10 Segreti

Trascurando per un momento i compagni, Egwene al’Vere si alzò sulle staffe, con la speranza di scorgere Tar Valon; ma nel sole del mattino vide soltanto una macchia bianca, confusa e scintillante. Però doveva trattarsi proprio della città sull’isola. La solitaria montagna dalla cima mozza, detta Montedrago, che spuntava dalla piana ondulata, era comparsa all’orizzonte nel tardo pomeriggio del giorno prima e si trovava da questo lato del fiume Erinin rispetto a Tar Valon. Era un punto di riferimento — una zanna accidentata che sporgeva dalla piana — facile da vedere per molte miglia e facile da evitare, come facevano tutti, anche chi era diretto a Tar Valon.

Montedrago, si diceva, era il luogo dove era morto Lews Therin il Kinslayer; ed era argomento di altre storie, profezie e avvertimenti. Tanti buoni motivi per stare lontano dalle sue nere pendici.

Egwene invece aveva più d’un motivo per non starne lontano. Solo a Tar Valon poteva trovare l’addestramento che le occorreva, che doveva avere. Mai più le avrebbero messo un collare! Scacciò il pensiero, che però continuava a tornarle in mente. Mai più avrebbe perduto la libertà! A Tar Valon, Anaiya avrebbe ripreso a controllarle i sogni; le Aes Sedai l’avrebbero fatto, anche se Anaiya non aveva trovato nessuna vera prova che Egwene fosse una Sognatrice, come sospettava. Da quando avevano lasciato la Piana di Almoth, Egwene era stata turbata dai sogni. A parte i Seanchan — e quei sogni ancora la facevano sudare — sempre più di frequente sognava Rand. Rand che correva. Che correva verso qualcosa, ma anche lontano da qualcos’altro.

Si sforzò di scorgere Tar Valon. Là ci sarebbe stata Anaiya. E forse anche Galad. Arrossì suo malgrado e si tolse completamente dalla testa Galad. “Pensa al tempo” si disse. “Pensa a qualsiasi altra cosa. Luce santa, ma qui fa caldo."

Quasi a inizio anno, con l’inverno appena trascorso, Montedrago era ancora incappucciato di bianco, ma nella piana la neve si era disciolta. Nuovi germogli spuntavano dal tappeto marrone dell’erba dell’anno precedente e dove, qua e là, gli alberi incoronavano la sommità d’una collina, si vedeva il primo rosso delle nuove gemme. Dopo un inverno passato a viaggiare, a volte bloccata in un villaggio o in una tenda da tempeste lunghe giorni interi, a volte percorrendo dall’alba al tramonto, fra cumuli di neve che arrivavano alla pancia dei cavalli, meno strada di quanta ne avrebbe percorsa a piedi in un pomeriggio di bel tempo, era piacevole scorgere i segni della primavera.

Scostò il pesante mantello di lana nera e si riaccomodò sulla sella dall’alto arcione posteriore, lisciandosi le sottane in un gesto d’impazienza. Pensò, con una smorfia, che da troppo tempo portava quella veste, da lei stessa divisa in due e ricucita per andare a cavallo; ma ne aveva solo un’altra, perfino più sudicia di quella che indossava. E dello stesso colore, il grigio scuro delle Incatenate. Per tutte quelle settimane, dall’inizio del viaggio, aveva avuto una sola scelta: grigio scuro o niente.

«Giuro che non metterò mai più vesti grigie, Bela» disse, rivolta all’irsuta giumenta, accarezzandole il collo. Ma tanto non avrebbe avuto molta scelta, una volta tornata alla Torre. Tutte le novizie vestivano di bianco.

«Parli di nuovo da sola?» disse Nynaeve, accostandosi in sella al castrone baio. Le due donne erano della stessa altezza e indossavano vesti identiche; solo la diversità delle cavalcature rendeva più alta d’una testa quella che un tempo era stata la Sapiente di Emond’s Field. Nynaeve corrugò la fronte e si tirò la grossa treccia scura che le ricadeva sulla spalla... gesto abituale, quand’era preoccupata. Portava l’anello col Gran Serpente delle Ammesse: non era ancora Aes Sedai, ma ben più prossima di Egwene alla qualifica. «Faresti meglio a tenere gli occhi aperti.»

Egwene si morsicò la lingua per non ribattere che teneva proprio gli occhi aperti per scorgere Tar Valon. Che cosa credeva, che si fosse alzata sulle staffe perché stufa della sella? Troppo spesso Nynaeve pareva dimenticare di non essere più la Sapiente di Emond’s Field e che Egwene non era più una ragazzina. Ma Nynaeve aveva l’anello, e lei no... non ancora; quindi per Nynaeve era come se niente fosse cambiato!

«Ti chiedi come Moiraine stia trattando Lan?» domandò in tono mielato; e per un attimo si compiacque per l’involontario strattone che Nynaeve diede alla treccia. Ma solo per un attimo: non era portata alle battute velenose e sapeva che i sentimenti di Nynaeve nei confronti del Custode erano come gomitoli di lana su cui un gattino avesse allungato le zampe.

Si pentì subito. Loro erano solo sei, con vesti semplici per non dare nell’occhio nei villaggi e nei paesi incontrati durante il viaggio, eppure formavano forse il gruppo più bizzarro che avesse mai attraversato di recente la prateria Caralain: quattro donne e due uomini, uno dei quali disteso nella barella sospesa fra due cavalli che portavano anche un carico leggero, le provviste per i lunghi tratti fra un villaggio e l’altro.

Sei persone, pensò Egwene, e quanti segreti? Alcuni li condividevano e avrebbero dovuto mantenerli, forse, perfino nella Torre Bianca. Si disse che la vita era stata più semplice, nel villaggio natio.

«Nynaeve» riprese «credi che Rand stia bene? E Perrin?» Non poteva più permettersi di fingere che un giorno avrebbe maritato Rand: ormai sarebbe stata soltanto finzione. Non ne era contenta... ancora non si era del tutto rassegnata... ma lo sapeva.

«I sogni? Ti hanno tormentato ancora?» Nynaeve parve preoccupata per lei, ma Egwene non era dell’umore adatto ad accettare dimostrazioni di simpatia.

Si costrinse a parlare con indifferenza. «Dalle voci che abbiamo udito, non saprei dire cosa accade. Tutto è distorto, sbagliato.»

«Niente è andato per il verso giusto, da quando Moiraine è entrata nella nostra vita» disse Nynaeve, brusca. «Perrin e Rand...» Esitò, con una smorfia. Pensava, secondo Egwene, che il cambiamento di Rand fosse opera di Moiraine. «Ora dovranno cavarsela da soli. Purtroppo anche noi dobbiamo preoccuparci: qualcosa non quadra, lo... lo sento.»

«Di cosa si tratta?»

«Ho come l’impressione d’una tempesta.» Nynaeve scrutò il cielo mattutino, sereno e azzurro, con qualche nuvola sparsa, e scosse la testa. «Una tempesta in arrivo.» Era sempre stata in grado di prevedere il tempo. “Ascoltare il vento", lo definivano; e ci si aspettava che in ogni villaggio la Sapiente ascoltasse il vento, anche se molte in realtà non ne avevano l’abilità. Tuttavia, da quando avevano lasciato Emond’s Field, il talento di Nynaeve in questo campo si era sviluppato, o era cambiato: a volte le tempeste da lei previste ora riguardavano gli uomini, non le condizioni atmosferiche.

Egwene si morsicò il labbro, riflettendo. Dopo tutta quella strada, non potevano lasciare che qualcosa li fermasse o li facesse rallentare, così vicino a Tar Valon. Per la salvezza di Mat e per ragioni a rigor di logica più importanti della vita stessa d’un giovane paesano, un amico d’infanzia, ma alle quali lei in cuor suo non attribuiva altrettanto valore. Guardò gli altri e si domandò se uno di loro avesse notato qualcosa.

Verin Sedai, bassa e grassoccia, vestita completamente di marrone, pareva cavalcare immersa nei propri pensieri; si era tirata sugli occhi il cappuccio fin quasi a nascondere il viso; procedeva all’avanguardia, ma lasciava che fosse il cavallo a stabilire l’andatura. Apparteneva all’Ajah Marrone e di solito le Sorelle di questa Ajah s’interessavano più della conoscenza che del mondo. Egwene, però, non era sicura che Verin mantenesse dalle cose terrene il distacco che voleva far credere: mettendosi con loro, era sprofondata fino alla cintola nelle faccende mondane.

Elayne, dell’età di Egwene e pure lei novizia, ma bionda e con occhi azzurri mentre Egwene era bruna, cavalcava più indietro, accanto alla barella su cui giaceva Mat, privo di conoscenza. Vestiva lo stesso grigio di Egwene e di Nynaeve e teneva d’occhio Mat, preoccupata come tutti: erano ormai tre giorni che Mat non riprendeva conoscenza. Il tipo magro, dai capelli lunghi, che cavalcava dall’altro lato della barella, pareva guardare da tutte le parti senza darlo a vedere; per la concentrazione, le rughe gli risaltavano sul viso.

«Hurin» disse Egwene; Nynaeve annuì. Tutt’e due rallentarono per farsi raggiungere dalla barella. Verin continuò a procedere al piccolo trotto.

«Hurin, senti qualcosa?» domandò Nynaeve. Elayne alzò gli occhi, attenta.

Sotto lo sguardo delle tre, l’altro si mosse a disagio sulla sella e si strofinò il naso. «Guai» rispose, conciso e riluttante al tempo stesso. «Penso, forse... guai.»

Un tempo acchiappaladri per il re dello Shienar, non aveva i capelli rasati a ciuffo come i soldati shienaresi, tuttavia portava alla cintura una corta spada e un frangilama ammaccato per l’uso. Possedeva una sorta di talento che gli consentiva di fiutare i malfattori, in particolare coloro che avevano commesso atti di violenza.

Due volte, durante il viaggio, aveva suggerito, dopo meno di un’ora, di abbandonare il villaggio dove si erano fermati. La prima volta, loro tre si erano opposte, dicendo d’essere troppo stanche; ma, prima che la notte terminasse, il locandiere e due suoi compari avevano tentato di assassinarle nel sonno. Erano semplici ladri, non Amici delle Tenebre, e volevano solo impossessarsi dei cavalli e del contenuto delle bisacce e dei fagotti. Ma il resto del villaggio era al corrente della faccenda: a quanto pareva, i forestieri erano considerati selvaggina di cui è lecita la caccia. Egwene e gli altri erano stati costretti a fuggire per sottrarsi a una marmaglia che brandiva manici d’ascia e forconi. La seconda volta, appena ricevuto l’avvertimento di Hurin, Verin aveva ordinato di riprendere il viaggio.

Ma Hurin era sempre diffidente, se parlava all’Aes Sedai o alle altre. Si mostrava più spigliato con Mat, quando quest’ultimo era ancora in grado di parlare; con lui scherzava e giocava a dadi, se le donne non erano nei pressi. Egwene pensava che si sentisse a disagio, praticamente da solo con un’Aes Sedai e con tre donne prossime a diventarlo.

«Che sorta di guai?» domandò Elayne.

«Fiuto...» iniziò Hurin. Subito si bloccò e saettò lo sguardo da una donna all’altra. «Una semplice sensazione» riprese. «Un... un presentimento. Ho visto delle tracce, ieri e oggi. Molti cavalli. Venti o trenta da questa parte, venti o trenta da quest’altra. Mi hanno messo una pulce nell’orecchio. Tutto qui. Ma dico che si tratta di guai.»

Tracce? Egwene non le aveva notate.

«Non c’era niente di preoccupante, in quelle tracce» disse Nynaeve, brusca. «Erano vecchie di giorni. Perché pensi che siano guai?»

«Lo penso, ecco» rispose Hurin lentamente, come se volesse aggiungere altro. Abbassò gli occhi, si strofinò il naso e inspirò a fondo. «Da molto tempo non vediamo un villaggio» borbottò. «Chissà quali notizie di Falme ci hanno preceduto. Forse non troveremo la buona accoglienza che ci aspettiamo. Penso che questi uomini possano essere briganti, assassini. Bisognerebbe diffidare, penso. Se Mat stesse bene, andrei avanti in ricognizione; ma forse è meglio che non vi lasci da sole.»

Nynaeve inarcò il sopracciglio. «Credi che non riusciremmo a badare a noi stesse?»

«A cosa ti servirà l’Unico Potere, se ti uccidono prima che tu possa usarlo?» replicò Hurin, a occhi bassi, come se parlasse al pomo della sella. «Chiedo scusa, ma penso che... che cavalcherò a fianco di Verin Sedai per un poco.» Diede di tallone e avanzò al galoppo, prima che una di loro potesse replicare.

«Questa è una sorpresa» disse Elayne, mentre Hurin rallentava a poco distanza dall’Aes Sedai. Verin parve non accorgersi della presenza di Hurin, più di quanto non s’accorgesse del resto; e lui parve lieto d’essere ignorato. «Da quando abbiamo lasciato Capo Toman» soggiunse Elayne «si è sempre tenuto il più possibile lontano da Verin. La guarda come se avesse paura delle sue parole.»

«Rispettare le Aes Sedai non significa avere paura di loro» disse Nynaeve. E soggiunse, con riluttanza: «Di noi.»

«Se prevede guai, dovremmo mandarlo in ricognizione» disse Egwene. Inspirò a fondo e guardò negli occhi le altre due. «In caso di guai, possiamo difenderci meglio di quanto non ci difenderebbe lui con cento soldati ad aiutarlo.»

«Ma lui non lo sa» disse Nynaeve, in tono piatto. «E non sarò certo io a dirglielo. Né voi due.»

«Immagino benissimo la reazione di Verin» disse Elayne, ansiosa. «Mi piacerebbe avere un’idea di quanto ne sa. Se l’Amyrlin scoprisse cosa abbiamo fatto, forse neppure mia madre potrebbe aiutarmi. Non so nemmeno se ci proverebbe.» La madre di Elayne era la regina dell’Andor. «Non ha imparato molto, prima di lasciare la Torre Bianca, per quanto si sia comportata come se fosse Sorella a tutti gli effetti.»

«Non possiamo fare assegnamento su Morgase» disse Nynaeve. «Lei è a Caemlyn e noi saremo a Tar Valon. No, forse siamo già nei guai fino al collo, perché siamo andate via di nascosto, e non importa cosa abbiamo riportato. Sarà meglio mostrare umiltà e non attirare ancora l’attenzione.»

In altri momenti, Egwene avrebbe riso all’idea di Nynaeve che si fingesse umile. Persino Elayne avrebbe avuto maggiore successo. Ma ora non si sentiva portata a ridere. «E se Hurin ha ragione?» domandò. «Se ci assalgono? Non può difenderci contro venti o trenta uomini; e saremmo bell’e morte, se aspettassimo che Verin intervenga. Non dicevi che senti arrivare una tempesta, Nynaeve?»

«Sul serio?» domandò Elayne. Scosse la testa, con un agitare di riccioli rossodorati. «Verin non sarà contenta, se...» Lasciò perdere. «Le piaccia o no, forse dovremo farlo.»

«Farò ciò che andrà fatto» dichiarò Nynaeve, brusca «se ci sarà qualcosa da fare; e voi due fuggirete, all’occorrenza. Forse nella Torre tutte parlano del vostro potenziale, ma non crediate che non vi quieteranno tutt’e due, se l’Amyrlin Seat o il Consiglio della Torre lo riterranno necessario.»

Elayne deglutì con forza. «Se dovessero quietarci per questo» disse con voce debole «quieteranno anche te. Dovremmo scappare insieme e agire insieme. Hurin ha già avuto ragione, in precedenza. Se vogliamo vivere, per trovarci nei guai nella Torre, dovremo... dovremo fare ciò che andrà fatto.»

Egwene rabbrividì. Quietata. Tagliata fuori da Saidar, la metà femminile della Vera Fonte. Poche Aes Sedai erano state sottoposte a questa punizione, tuttavia c’erano crimini per cui la Torre esigeva che la colpevole fosse quietata. Le novizie avevano l’obbligo d’imparare il nome di ogni Aes Sedai che fosse stata quietata e il crimine commesso.

Lei percepiva sempre la Fonte, appena fuori vista, come il sole di mezzodì alle spalle. Spesso non afferrava niente, quando si protendeva verso Saidar, ma voleva toccarlo. Più lo toccava, più lo voleva, sempre, anche se Sheriam Sedai, Maestra delle Novizie, aveva spiegato i pericoli che comportava il desiderio smodato della sensazione trasmessa dall’Unico Potere Essere tagliate fuori da Saidar, continuare a sentirne la presenza, ma non poterlo più toccare...

Anche le altre avevano perso la voglia di parlare.

Per nascondere il tremito, Egwene si sporse sopra la barella. Le coperte in disordine, lasciavano vedere, stretto nella mano di Mat, un pugnale ricurvo, col fodero dorato e un rubino grosso quanto un uovo di piccione incastonato nell’elsa. Ben attenta a non toccare il pugnale, Egwene rimise a posto le coperte, in modo che coprissero la mano. Mat aveva solo qualche anno più di lei, ma pareva molto più vecchio, per le guance incavate e il colorito giallastro. Respirava debolmente, movendo appena il petto. Ai suo piedi c’era una sacca di pelle. Egwene coprì anche quella. “Dobbiamo portare Mat alla Torre” si disse. “E anche la sacca."

Anche Nynaeve si sporse e toccò la fronte di Mat. «La febbre è saliti ancora» disse, preoccupata. «Se solo avessi qualche radice di serenella o di scacciafebbre!»

«Forse, se Verin provasse di nuovo a Guarirlo...» disse Elayne.

Nynaeve scosse la testa. Lisciò i capelli di Mat e sospirò, poi si raddrizzò. «Dice che per il momento può solo mantenerlo in vita e le credo» replicò. «Ieri notte ho... ho tentato io stessa di Guarirlo, ma non è accaduto niente.»

Elayne ansimò. «Sheriam Sedai dice che non dobbiamo tentare di Guarire, finché non siamo state guidate passo passo cento volte.»

«Hai rischiato di ucciderlo» disse Egwene, brusca.

Nynaeve sbuffò. «Guarivo ancora prima di pensare d’andare a Tar Valon, anche se non sapevo di cosa si trattava. Ma a quanto pare, perché il Talento funzioni devo usare le medicine. Se solo avessi un po’ di scacciafebbre! Non credo che gli resti molto tempo. Ore, forse.»

Egwene si domandò ancora una volta perché Nynaeve avesse scelto di farsi addestrare a Tar Valon: senza rendersene conto, aveva imparato a incanalare il Potere, anche se non sempre le riusciva di controllarlo, e aveva superato la crisi che uccideva tre donne su quattro, se non si aveva la guida delle Aes Sedai. Nynaeve diceva di voler ampliare le proprie conoscenze, ma spesso era riluttante come un bambino curato con radice di lingua-pecora.

«Presto saremo alla Torre Bianca» disse Egwene. «Là potranno Guarire Mat. L’Amyrlin si prenderà cura di lui. E di tutto il resto.» Non guardò la sacca sotto le coperte. Anche le altre due evitavano di guardarla. C’erano segreti che sarebbe stato un sollievo condividere con altri.

«Cavalieri» disse all’improvviso Nynaeve. Egwene li aveva già scorti: circa venti uomini erano comparsi sulla cresta di un’altura più avanti e si erano lanciati al galoppo, con svolazzare di mantelli bianchi, per intercettarli.

«Figli della Luce» disse Elayne, come se fosse un’imprecazione. «Mi sa che abbiamo trovato la tua tempesta e i guai di Hurin.»

Verin si era fermata e aveva posto la mano sul braccio di Hurin, perché non sguainasse la spada. Egwene fermò i cavalli con la barella, quasi a ridosso dell’Aes Sedai.

«Lasciate parlare me, bambine» disse Verin, tranquilla; spinse indietro il cappuccio per mostrare i capelli grigi. Egwene non sapeva con esattezza quanti anni avesse Verin; pensava che fosse abbastanza anziana, ma le ciocche grigie erano l’unico segno d’età avanzata. «E non reagite alle provocazioni.»

Il viso di Verin era calmo come la voce, ma Egwene ebbe l’impressione che l’Aes Sedai valutasse la distanza che le separava da Tar Valon. Ormai si vedevano le cime delle torri sull’isola e un ponte tanto alto da consentire il passaggio delle navi mercantili.

"Possiamo scorgerla” pensò Egwene “ma non riceverne aiuto."

Per un momento fu sicura che i Manti Bianchi volessero lanciarsi alla carica contro di loro; ma il capo del drappello alzò la mano e tutti si fermarono di colpo a meno di quaranta passi, sollevando polvere e terriccio.

Nynaeve borbottò rabbiosamente; Elayne si raddrizzò in sella, piena d’orgoglio, quasi si preparasse a sgridare i Manti Bianchi per le loro cattive maniere. Hurin stringeva ancora l’elsa: pareva pronto a frapporsi tra loro e i Manti Bianchi, malgrado l’ammonimento di Verin. L’Aes Sedai si limitò ad agitare con calma la mano davanti a sé per disperdere la polvere. I cavalieri dal mantello bianco si disposero a semicerchio e bloccarono la strada.

Le piastre pettorali e gli elmi conici risplendevano, perfino la maglia di ferro sulle braccia brillava. Ciascuno aveva sul petto il sole raggiato, in oro. Alcuni incoccarono una freccia, ma non alzarono l’arco, pur tenendolo pronto. Il capo era giovane, ma sotto il sole ricamato aveva due nodi d’oro da ufficiale.

«Due streghe di Tar Valon, se non sbaglio di grosso» disse, con un sorriso a denti stretti. Negli occhi aveva una luce d’arroganza, come se conoscesse una verità che gli altri erano troppo tonti per capire. «Più due bambocce e due leccapiedi, uno ammalato e uno vecchio.» Hurin drizzò il pelo, ma Verin lo tenne a freno. «Da dove venite?»

«Da occidente» rispose con la massima calma Verin. «Spostatevi e lasciateci proseguire. Qui i Figli della Luce non hanno autorità.»

«I Figli hanno autorità dovunque ci sia la Luce, strega; e dove non c’è la Luce, noi la portiamo. Rispondi alle mie domande! O devo portarti al campo e affidarti agli Inquisitori?»

Mat aveva bisogno d’essere curato nella Torre Bianca, si disse Egwene. Anche un piccolo ritardo sarebbe stato fatale. E, peggio ancora (fece una smorfia, all’idea di ritenerlo più importante) il contenuto della sacca non doveva cadere in mano ai Manti Bianchi.

«Ho risposto» replicò Verin, calma «e con più cortesia di quanto meriti. Credi davvero di poterci fermare?» Alcuni Manti Bianchi alzarono l’arco, come per reazione a una minaccia; ma Verin proseguì, sempre con lo stesso tono: «Forse, da altre parti, con le minacce puoi dominare la gente; ma non qui, in vista di Tar Valon. Credi davvero che, qui, riusciresti a portare via delle Aes Sedai?»

L’ufficiale cambiò posizione a disagio, come se a un tratto dubitasse di poter mettere in pratica le proprie parole. Poi diede un’occhiata ai suoi uomini — o per assicurarsi del loro sostegno o perché si era ricordato che lo guardavano — e si riprese. «Non temo i tuoi sistemi da Amica delle Tenebre, strega. Rispondimi o risponderai agli Inquisitori.» Ma parve meno deciso di prima.

Verin aprì bocca, come per continuare un’oziosa chiacchierata, ma prima che lei potesse parlare, Elayne intervenne, in tono di comando: «Sono Elayne, Erede dell’Andor. Se non vi togliete di mezzo all’istante, ne risponderai alla regina Morgase!»

Verin emise un sibilo d’irritazione.

Per un attimo il comandante dei Manti Bianchi parve sorpreso, poi scoppiò a ridere. «Credi?» replicò. «Forse scoprirai che Morgase non ha più tanto amore per le streghe, ragazza. Se ti strappo a loro e ti riporto da lei, mi ringrazierà. Il lord capitano Eamon Valda sarebbe molto contento di parlare con te, Erede dell’Andor.» Alzò la mano. Egwene non capì se fosse semplice gesticolio o un segnale ai suoi uomini, ma alcuni Manti Bianchi strinsero le redini.

"Non possiamo più aspettare” pensò. “Non mi farò incatenare di nuovo!" Si aprì all’Unico Potere. Era un esercizio semplice e, con la pratica, anche rapido. In un attimo svuotò la mente di tutto, tranne un singolo bocciolo di rosa librato nel nulla. Il bocciolo era lei stessa, si schiudeva alla luce, si apriva a Saidar. Il Potere la invase, minacciò di spazzarla via. Egwene lottò per non farsi sopraffare e si concentrò sul terreno davanti al cavallo dell’ufficiale. Su di un tratto piccolo, perché non voleva uccidere nessuno. Ma non si sarebbe lasciata catturare!

Il comandante dei Manti Bianchi non terminò il gesto. Con un rombo, il terreno di fronte a lui eruttò un getto di terriccio e di sassi, più in alto della sua testa. Il cavallo nitrì di terrore e s’impennò; l’ufficiale cadde di sella come un sacco di farina.

Prima che lui toccasse terra, Egwene spostò la mira più vicino agli altri Manti Bianchi e il terreno eruttò di nuovo. Bela scartò, ma Egwene, senza pensarci, la controllò con redini e ginocchia. Sentì, sorpresa, una terza esplosione, non provocata da lei, e una quarta. Fu remotamente consapevole di Nynaeve e di Elayne, avvolte dal bagliore che rivelava come anche loro avessero abbracciato Saidar. L’alone era visibile solo a chi era in grado d’incanalare il Potere, ma i risultati erano evidenti a tutti. Esplosioni assalivano da ogni lato i Manti Bianchi, li schizzavano di terriccio, li intontivano, facevano imbizzarrire i cavalli.

Hurin si guardò intorno, a bocca aperta, atterrito quanto i Manti Bianchi, mentre cercava di evitare che i cavalli con la barella e anche il suo si dessero alla fuga. Verin aveva spalancato gli occhi, per lo stupore e per la collera: mosse furiosamente le labbra, ma le parole si perdettero nel frastuono.

E poi i Manti Bianchi fuggirono: alcuni lasciarono cadere l’arco e galopparono come se avessero alle calcagna il Tenebroso stesso. Tutti, tranne il giovane ufficiale, che si rialzò da terra e a spalle ingobbite fissò Verin, mostrando il bianco degli occhi. La polvere gli imbrattava il viso e l’elegante mantello bianco, ma lui parve non accorgersene. «Allora uccidimi, strega» disse, scosso. «Avanti. Uccidimi come hai ucciso mio padre!»

Verin non gli badò: era concentrata sulle altre. Come se anche loro si fossero dimenticati dell’ufficiale, i Manti Bianchi scomparvero al di là della cresta senza girarsi a guardare. Il cavallo dell’ufficiale galoppava con gli altri.

Sotto lo sguardo infuriato di Verin, Egwene si staccò da Saidar, lentamente, malvolentieri. Era sempre spiacevole, staccarsene. Ancora più lentamente svanì il bagliore intorno a Nynaeve, che fissava con ferocia il comandante dei Manti Bianchi, quasi lo ritenesse capace di chissà quale trucco. Elayne pareva sconvolta per ciò che aveva appena fatto.

«La tua azione...» cominciò Verin; s’interruppe, inspirò a fondo. Comprese nell’occhiata le altre due. «La tua azione è abominevole» riprese. «Abominevole! Un’Aes Sedai non usa come arma il Potere, se non contro la Progenie dell’Ombra e come ultima risorsa per salvare la propria vita. I Tre Giuramenti...»

«Erano pronti a ucciderci» la interruppe Nynaeve, accalorandosi. «A ucciderci o a portarci via per farci torturare. Stava per dare l’ordine.»

«In realtà, Verin Sedai, non abbiamo usato come arma il Potere» protestò Elayne, guardandola negli occhi, ma con voce scossa. «Non abbiamo danneggiato, né tentato di danneggiare, nessuno. Di sicuro...»

«Non cercare il pelo nell’uovo, con me!» replicò Verin, brusca. «Quando sarai Aes Sedai, se mai avverrà, sarai obbligata a mantenere i Tre Giuramenti; ma ci si aspetta che pure le novizie si comportino come se fossero già impegnate.»

«E lui?» disse Nynaeve, indicando l’ufficiale, ancora lì fermo, con l’aria stordita. Aveva il viso teso come pelle di tamburo e pareva furibonda quasi quanto l’Aes Sedai. «Stava per prenderci prigioniere. Mat morirà, se non arriva subito alla Torre, e... e...»

Egwene sapeva che cosa Nynaeve si sforzava di non dire: “E quella sacca deve essere assolutamente consegnata all’Amyrlin Seat".

Verin guardò con aria stanca l’ufficiale. «Voleva solo intimidirci, bambina» disse. «Non poteva costringerci ad andare dove non volevamo e lo sapeva benissimo. Avrebbe incontrato più complicazioni di quante fosse disposto ad accettare. Con un po’ di pazienza, l’avrei convinto a farci passare. Oh, forse avrebbe provato a ucciderci, se avesse potuto tenderci un’imboscata; ma neppure un Manto Bianco col cervello d’un caprone cercherebbe di colpire un’Aes Sedai che sappia della sua presenza. Guardate cosa avete combinato! Quali storie racconteranno, quegli uomini? Quale danno provocheranno, queste storie?»

Nell’udire l’accenno alle imboscate, l’ufficiale arrossì. «Non è da vigliacchi» sbottò «non andare alla carica contro i poteri che causarono la Frattura del Mondo. Voi streghe volete che la Frattura si ripeta, a favore del Tenebroso!»

Verin scosse la testa, incredula e stufa di quelle storie.

Egwene avrebbe voluto riparare in parte il danno. «Mi spiace molto per l’accaduto» disse all’ufficiale. Per fortuna ancora non aveva l’obbligo di dire sempre la verità, come le Aes Sedai: infatti ciò che stava per dire era, nel migliore dei casi, solo una mezza verità. «Sono stata avventata e me ne scuso. Sono certa che Verin Sedai ti Guarirà i lividi.»

L’ufficiale arretrò, come se lei avesse proposto di farlo scorticare vivo. Verin tirò su col naso rumorosamente.

«Abbiamo fatto un lungo viaggio» proseguì Egwene «da Capo Toman a qui; se non fossi stata così stanca, non avrei mai...»

«Sta’ zitta, ragazza!» gridò Verin.

«Capo Toman?» ringhiò l’ufficiale dei Manti Bianchi. «Falme! Eravate a Falme!» Barcollò, arretrò ancora d’un passo, sguainò a mezzo la spada. Dalla sua espressione Egwene non capì se volesse assalirla o difendersi. Hurin, mano sul frangilama, spostò il cavallo più vicino all’ufficiale; ma l’altro proseguì come invasato, con la bava alla bocca per la furia: «Mio padre è morto a Falme! Byar me l’ha riferito! Voi streghe l’avete ucciso per il vostro falso Drago! Farò in modo che paghiate con la vita! Farò in modo che vi mettano al rogo!»

«Bambine avventate» sospirò Verin. «Incapaci di tenere a freno la lingua. Vai con la Luce, figlio mio.»

Senza altre parole, gli girò intorno e si avviò; ma le grida del giovane ufficiale la seguirono.

«Mi chiamo Dain Bornhald! Ricordatelo, Amici delle Tenebre! Vi farò temere il mio nome! Ricordatelo!»

Mentre le grida di Bornhald si affievolivano, Verin e gli altri cavalcarono in silenzio per un poco. Alla fine Egwene disse, a nessuno in particolare: «Cercavo solo di migliorare la situazione.»

«Migliorare!» brontolò Verin. «Devi imparare che c’è un momento per dire tutta la verità e un momento per tenere a freno la lingua. La lezione meno significativa, ma importante, se vuoi vivere tanto a lungo da portare lo scialle di Sorella. Non ti è mai venuto in mente che le notizie di Falme potevano precederci?»

«E perché doveva venirle in mente?» domandò Nynaeve. «Abbiamo incontrato gente che aveva udito solo qualche voce; e nell’ultimo mese abbiamo viaggiato più rapidamente persino delle voci.»

«E le voci dovevano per forza percorrere la nostra stessa strada?» ribatté Verin. «Abbiamo viaggiato lentamente. Le voci hanno le ali e seguono centinaia di vie diverse. Prevedi sempre il peggio, bambina, e non avrai sorprese spiacevoli.»

«Cosa voleva dire, riguardo mia madre?» domandò a un tratto Elayne. «Mentiva di sicuro. Lei non si metterebbe mai contro Tar Valon.»

«Da sempre le regine dell’Andor sono amiche di Tar Valon, ma tutto cambia» disse Verin, di nuovo serena, ma con una certa tensione nel tono di voce. Si girò sulla sella per guardare le tre ragazze, Hurin, Mat sulla barella. «Il mondo è bizzarro e tutto cambia.» Arrivarono in cima all’altura; ora più avanti si scorgeva un villaggio: tetti dalle tegole gialle ammassati alla base del grande ponte che portava a Tar Valon. «Da questo momento dovete stare davvero in guardia» disse Verin. «Ora iniziano i veri pericoli.»

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