9

Janas accettò l’offerta di Franken. Se c’era un posto sulla Terra in cui si sentiva a suo agio, era proprio la Residenza Ufficiali della sede centrale CNS.

Dopo l’inutile colloquio con Franken, Janas riportò l’overcar di Emmett in rimessa, riti­rò il bagaglio e chiamò un taxi per ritornare a Central.

Appena sistemato nel nuovo appartamento, chiamò Jarl Emmett per informarlo della sistemazione.

«Avrei preferito che non avessi accettato» disse Emmett.

«Non volevo disturbarvi oltre» rispose Janas.

«Non era il caso di preoc­cuparti» insistette Emmett. «Miriam era contenta di averti con noi.»

«Ho bisogno di rimanere un po’ solo» disse Janas. «E Miriam ha già abbastanza da fare, senza che debba pensare anche a me.»

«Fa come vuoi, allora» disse Emmett, con un sorriso. Ma subito si rabbuiò: «Gli hai parlato?»

«Sì» disse Janas. «Ave­vate ragione voi. Non vuole sentire ragione.»

«Hai qualche altra soluzio­ne?»

«Per il momento, no.»

Emmett rimase in silenzio per qualche secondo.

«Senti» disse alla fine «cercherò di riunire tutti quelli che posso. Troviamoci da me, domani sera, verso le otto.»

Janas accettò e posò il rice­vitore.

Si fermò per un po’ davanti alla finestra, incerto sul da farsi. Al di là del sottile foglio di paraglas, si allargava una parte di Central CNS, in una serie fantastica di edifici in tutti gli stili architettonici fio­riti negli ultimi milleduecento anni e che, da soli, costituiva­no la storia della CNS. A sud incombeva il Monte Union, che si levava a duemila metri di altezza nel limpido cielo meridionale. Anche adesso, a millequattrocento anni di di­stanza, la sua cima appariva liscia e tonda come se fosse di vetro. Il Monte Union supera­va di parecchio i duemila metri prima dell’esplosione della bomba atomica che, destinata a Phoenix, aveva invece centra­to la cima del monte, carbo­nizzando l’intera vallata sotto­stante.

Janas tra sé formulò l’augurio di non vedere mai più un’altra palla infuocata rotola­re giù dai fianchi della monta­gna; poi, augurandosi che i ribelli non ritenessero necessa­rio bombardare Central, si vol­tò verso il 3D che era accanto al letto. L’incertezza era passa­ta.

Premette il pulsante “Infor­mazioni”, aspettò di ottenere la linea, e schiacciò quindi il bottone “San Francisco”. Ap­pena San Francisco rispose, Janas premette il pulsante “C”. Davanti ai suoi occhi cominciarono a sfilare i nomi, gli indirizzi e i numeri di tutti coloro che risiedevano nel comprensorio San Franci­sco-Oakland, e, pochi secondi dopo, apparve in campo il nome “Campbell”. Immediata­mente Janas ridusse la velocità di scansione. Quando arrivò il nome “Enid Campbell”, Janas bloccò lo schermo e si mise a scrivere una lista di numeri. Dopo di che, chiuse il canale Informazioni, perforò il nume­ro di codice e aspettò.

Sul video 3D apparve la faccia di una donna molto carina, dai capelli castani. Nel riquadro si leggeva la parola “Registrazione”.

«Non sono in casa in questo momento» disse la donna con un simpatico sorriso. «Se non vi spiace, lasciate il vostro numero: richiamerò appena sa­rò tornata.»

«Registrazione» disse a sua volta Janas. «Enid, sono Bob. Sono arrivato l’altra sera, ma non ho potuto chiamarti prima. Fatti viva appena puoi. Il mio numero è FLC-21-77015-35. Stop.»

Una spia luminosa si accese nel 3D, per indicare che il messaggio era stato registrato. Janas sorrise e chiuse la comu­nicazione.

Dopo una rapida colazione nel bar dell’albergo, Janas ri­tornò nell’appartamento, ordi­nò una bottiglia di prezioso vino clytesiano e si svestì. Pri­ma di infilarsi a letto per prendere un po’ di meritato riposo, estrasse il detector a forma di penna e lo passò attentamente su tutti gli indu­menti che si era appena tolto. Non rimase troppo stupito nel­lo scoprire, fissata ai pantalo­ni, un’altra trasmittente in mi­niatura.

Reso tranquillo dal fatto di non avere più addosso altri “aggeggi”, si sdraiò sul letto e accese una sigaretta. Mentre osservava il soffitto e, già quasi mezzo addormentato, beveva di tanto in tanto un sorso di vino, il 3D vicino al letto chiamò.

Janas si rotolò sul letto, a rischio di rovesciare il bicchie­re, e premette il bottone.

«Bob» chiamò una fresca voce femminile, prima che Ja­nas potesse vedere lo schermo. «Sei tu?»

«Ehi» disse Janas, che era finalmente riuscito a seder­si e a girare l’apparecchio verso il letto.

«A letto?» chiese la ra­gazza, che, vista in presa diret­ta, era carina come la sua immagine registrata. «A quest’ora?»

«Ma sono solo» disse Janas, sorridendo. «Non ho dormito troppo, la notte scor­sa.»

«Quando sei arrivato?»

«Non lo so con esattezza» disse Janas. «Il traghetto è atterrato verso mezzanotte.» Tacque un momento. «Hai da fare, stasera?»

«No, ti aspettavo. Mi sem­bra che sia passato un secolo dall’ultima volta che ci siamo visti su Odino.»

«Un secolo» disse Janas, con un sorriso. «Un milione di anni, direi. Senti» riprese bruscamente «prendo un grav e vengo da te oggi pomeriggio.»

«Non mi hai detto che eri stanco?»

«C’è stanchezza e stan­chezza.»

«Lo sai che ho voglia di vederti» disse Enid, con tene­rezza.

«Passo a prenderti verso le cinque.»

«Mi terrò pronta.»

«Ciao» disse Janas, chiu­dendo la trasmissione: Enid, mentre l’immagine svaniva dal video, gli inviò ancora un ba­cio.

Janas fini di bere il suo vino clytesiano, tirò fuori un’uni­forme nuova e cominciò a vestirsi.

Pochi minuti dopo ordinò un grav-car e disse all’addetto che l’avrebbe tenuto per circa ventiquattro ore. Prima di la­sciare l’albergo, s’infilò in ta­sca un minuscolo noiser, cioè l’apparecchio che serviva a di­sturbare l’ascolto, datogli da Emmett. Il grav, con tutta probabilità, era carico di rice­venti spia, e lui non aveva nessuna intenzione che gli altri sentissero ciò che lui e Enid si dicevano. Dopo tutto, erano affari loro!

Appena usci sulla terrazza, sul tetto del palazzo, l’inser­viente gli indicò un veicolo tutto in acciaio e paraglas, di un bel blu fiammante. Il grav-car, con i generatori già accesi, si dondolava pigramente a po­chi centimetri dalla pista. Un magnifico veicolo, lussuoso e poco pratico, pensò Janas.

Salutò il meccanico, s’infilò nel grav-car e si alzò dal tetto della Residenza CNS. I gratta­cieli di Central sfilarono rapi­damente sotto di lui, e, pochi secondi dopo, li vide emergere altissimi, in mezzo al paesaggio brullo. Via via che il grav prendeva quota, sulla destra e alle spalle spuntavano le case di Flagstaff. Sempre dietro di lui, ma sulla sinistra, si notava l’enorme complesso costituito dai quartieri occidentali di Phoenix-Tucson, e lo stermina­to agglomerato della città di Phoenix. Dopo un’ultima oc­chiata al paesaggio, Janas pun­tò a nord-ovest, superò Skull Valley e si diresse verso la costa occidentale, ancora na­scosta dalla curvatura del pia­neta.

Sotto di sé, Janas notò un rapido bagliore metallico, che tradiva la presenza di un eli­cottero diretto a occidente e che proveniva, a quanto pareva, da est di Central. Durante il volo, Janas cercò più volte, senza riuscirci, di ritrovare l’e­licottero; eppure era convinto che l’apparecchio volasse, co­me lui, in direzione di San Francisco.

Arrivato a quota millecin­quecento, Janas lanciò il grav a tutta velocità, lo affidò al pilo­ta automatico e si preparò a rilassarsi. Filando a oltre quat­trocento chilometri orari, cal­colava di raggiungere il com­prensorio San Francisco-Oakland in poco più di due ore. Nel frattempo Janas con­templava lo spettacolo che sfi­lava sotto i suoi occhi, rievo­cando i giorni che lui e Enid avevano passato insieme su Odino.

Quando Janas era arrivato su Odino, poco dopo la Terza Battaglia delle Nebulosa, il grosso delle forze della Con­federazione si era ritirato, la­sciando sul pianeta solo un manipolo di uomini, per tene­re sotto controllo i pochi su­perstiti. La Confederazione, ri­piegando sulla Terra, si prepa­rava a ricomporre le forze, per prepararsi all’assalto finale, che sarebbe poi venuto dopo tre anni. I ribelli, a loro volta, avevano abbandonato la Nebulosa, lasciandosi alle spalle un vuoto politico quasi assoluto. Odino aveva conosciuto un pe­riodo di pace incerta, spesso interrotta da rivolte sanguino­se, da linciaggi, da imboscate e atrocità di ogni genere. I solda­ti della Confederazione cerca­vano scampo nelle città, la­sciando che la sottile vernice della civiltà scomparisse nel­l’anarchia generale. Su questo mondo sconvolto era sceso Ja­nas, dopo aver affidato la sua nave, la “President Regan”, nelle mani del primo ufficiale.

Enid Campbell era la figlia di un funzionario del Servizio Postale della Confederazione dell’Università, che era il cen­tro postale di Odino. Ralph Campbell, nella sua qualità di responsabile del servizio posta­le extraplanetario, aveva avuto occasione di conoscere Janas, allora comandante del termi­nal di Odino, e l’aveva invitato a casa sua.

Campbell, e Janas ricordava sempre l’accaduto con ango­scia, era morto durante uno dei tanti disordini dell’Univer­sità: era un omino buffo, pronto a difendere, a costo della sua vita, il servizio posta­le, salvaguardandolo sia dai soldati della Confederazione, sia dai nazionalisti di Odino. Non si era mai potuto stabilire chi lo avesse ammazzato, e forse non era poi così impor­tante saperlo. Campbell era morto nell’adempimento di quello che egli riteneva suo dovere, e chi lo aveva ucciso era probabilmente convinto di aver fatto il suo.

Campbell aveva due figli, che aveva allevato da solo, dopo che sua moglie era perita tragicamente in un assurdo in­cidente di overcar. La maggio­re era Enid, una bella ragazza nata sulla Terra, ma cresciuta su Odino. Suo fratello Rod, più giovane di lei di due anni, era un ragazzo idealista e irruento. Rod aveva lasciato Odino, dove era nato e cresciu­to, un anno e mezzo prima della morte del padre. Il viag­gio di Rod sulla Terra aveva uno scopo misterioso, di cui solo Enid era parzialmente al corrente. Nell’unica lettera scritta a Enid, Rod le diceva che viveva nel comprensorio di San Francisco, di cui era origi­naria la famiglia Campbell.

In quanto a Enid, Janas era stato subito attratto da quella ragazza che avrebbe potuto essere sua nipote, in un’epoca in cui la durata media della vita si aggirava sui duecento anni. I due, però, avevano supe­rato la differenza di età, ed erano diventati amanti. Janas aveva pensato più volte di spo­sarla, ma si era sempre tirato indietro per la stessa ragione, forse una scusa, che gli aveva impedito, fino ad allora, di sposarsi: e cioè, che il coman­dante di una nave spaziale non poteva pensare a una moglie.

Quando su Odino la situa­zione era divenuta intollerabi­le, Janas aveva ordinato a Enid di ritornare sulla Terra e di raggiungere il fratello a San Francisco, che era il posto più sicuro della Spirale. In un pri­mo momento Enid aveva pro­testato, ma alla fine, quando Janas le aveva detto che anche lui avrebbe fatto presto ritor­no sulla Terra, aveva ceduto.

Il grav-car sorvolò il ramo inferiore del Lago di Mede, mentre i raggi del sole pomeri­diano brillavano sulla grande distesa liquida, bloccata dall’e­norme diga di recente costru­zione, intitolata a Jonal Herrera. Poco dopo la Valle della Morte, comparve all’orizzonte il comprensorio San Francisco-Oakland.

Il calcolatore che presiedeva al Controllo del Traffico di Frisco interruppe le fantasti­cherie di Jonas chiedendogli il numero di volo. Rispose il cervello elettronico di bordo e immediatamente dopo Jonas ricevette le istruzioni per ab­bandonare l’alta quota e inne­starsi nelle vie consuete di traffico. Passati pochi minuti, dopo aver ridotto notevol­mente la velocità, Janas infilò una linea di controllo che cor­reva a poche centinaia di metri al di sopra dei tetti degli edifi­ci, e finalmente s’inoltrò nella pista di superficie. Pilotando manualmente il grav-car, come se fosse stato un normale overcraft, s’inserì nel flusso del traffico urbano, dirigendosi verso il quartiere di Enid.

Enid, cosa piuttosto insoli­ta, lo aspettava fuori dell’ap­partamento. Il fresco del mat­tino aveva lasciato il posto a un bel pomeriggio tiepido, che pareva voler fare dimenticare che l’inverno era imminente.

Quando Enid saltò su dalla panchina dove era seduta, Ja­nas si accorse che la ragazza s’era aggiornata secondo la nuova moda: indossava una camicetta iridescente, che le copriva solo la schiena e le braccia, e a ogni sua mossa il tessuto variopinto l’avvolgeva in un arcobaleno di colori scin­tillanti. I seni, giovani e sodi, spuntavano tra lunghi nastri multicolori. La gonna le arriva­va alle ginocchia, ma la stoffa trasparente lasciava poco cam­po all’immaginazione. Un cap­pello bianco completava l’ab­bigliamento. Janas trovava bel­lo l’abito, ma era geloso che altri potessero ammirare tanta parte del corpo della ragazza.

Janas bloccò il grav-car a un metro da Enid.

«Bob!» ansimò la ragaz­za, strappandosi al suo bacio appassionato. «Non qui, da­vanti a tutti.»

«Allora, sali.»

«Sì, signore» rispose lei, e s’inerpicò a bordo del veico­lo, mentre lui le teneva aperto lo sportello. Janas salì dopo di lei e, pochi secondi dopo, il grav era di nuovo in moto.

«Dove andiamo?» chiese lui.

«Dove vuoi.»

«A cena?»

«Benissimo.»

«Conosci qualche bel po­sto?»

«Da “Gaposchkin”»

«Dov’è?»

Enid lo guidò lungo un in­trico di strade verso il ristoran­te.

«Vedo che conosci bene la città» disse pochi minuti do­po Janas, inoltrandosi in un dedalo di vie.

«Non avevo niente da fa­re, se non studiare la città» rispose Enid. «È straordi­nario quante cose si possono imparare, quando uno vi si dedica veramente.»

«Hai già trovato un impie­go?»

«No, non l’ho ancora cer­cato. Ho aspettato che arrivas­si tu.» Lo guardò con aria scanzonata. «Sapevo che mi avresti tolta dal marciapiede e che avresti cercato di fare di me una donna onesta.»

Ma prima che Janas avesse trovato la risposta, erano arri­vati davanti al ristorante.

Durante tutta la cena chiac­chierarono di mille cose insi­gnificanti, come fanno sempre due innamorati che si ritrova­no dopo tanto tempo. Soltan­to quando furono al caffè, affrontarono l’argomento che per tutto quel tempo era rima­sto minacciosamente in so­speso. D’altra parte, era impos­sibile evitarlo.

«Hai già visto Altho Franken?» chiese Enid, ac­cettando la sigaretta che Janas le offriva.

Janas accennò di si.

«E che cosa ti ha detto?»

«All’incirca ciò che avevo previsto quando ho saputo la decisione che aveva preso» disse lentamente Janas. «Si è impegnato, e non intende tor­nare sulle sue decisioni.»

«E tu, che intendi fare?»

«Non lo so ancora.»

Rimasero, per qualche se­condo, in silenzio. Una came­riera piccola e grassottella, con un vestito che, data la figura, lasciava troppe cose scoperte, servì il caffè.

Enid fissò a lungo il liquido scuro, come se scorgesse nella bevanda un qualche tremendo presagio.

«Rod è deciso a ucciderlo» disse alla fine, con una voce appena percettibile, che pareva un’eco distante.

«Altho?» chiese brusca­mente Janas.

«No» disse Enid, alzando gli occhi dal caffè. «Herrera.»

«Il presidente?»

«Sì. Per questo è venuto sulla Terra. Rod fa parte di un’associazione che non so be­ne come si chiami: mi pare “I Figli della Libertà”, o qualcosa del genere. Si preparano a as­sassinare Herrera.»

«Tuo fratello è sciocco.»

«Lo so» mormorò la ragazza. «Si è iscritto tra i volontari che dovranno effet­tuare il colpo.»

«E che cosa spera di fare?»

«Non lo so» rispose pia­no Enid. «E non so neppure se lui lo sa.»

«È uno sciocco» ripeté Janas. «Quel delitto non ser­virà a niente. Una volta fatto fuori Herrera, ne spunteranno altri due, peggiori di lui e pronti a prendere il suo posto. Ha un’idea, Rod, di quante volte nella storia, una volta ucciso un tiranno, si è scoper­to che se ne era fatto un martire e che era pronta una dittatura peggiore della pri­ma? Non ha mai sentito parla­re di Giulio Cesare? Non sa che cosa è avvenuto a Roma, dopo la sua morte?»

«Gliel’ho detto, ma non mi vuole dar retta.»

«Se fosse un colpo orga­nizzato come si deve, in modo da fare fuori tutti quelli che sostengono Herrera e da affi­dare la Confederazione alle mani di qualcuno molto deci­so, be’, allora sarebbe un’altra faccenda. Ma un progetto che si limiti a eliminare quell’uo­mo solo, non serve assoluta­mente a niente.»

Enid sospirò, ma non disse nulla.

«E quando pensano di agi­re?»

«Non lo so» disse Enid. «Presto, ma non so esatta­mente quando.»

«Allora non è il caso di preoccuparsi» disse Janas, con un sorriso amaro. «Con tutta probabilità, non combi­neranno niente. Tra pochi giorni, o al massimo tra poche settimane, la data precisa non ha grande importanza, Herrera sarà morto senza che ci sia bisogno dell’intervento di Rod.»

«Che cosa vuoi dire?»

«La Confederazione non durerà più a lungo. Non lo so con assoluta certezza, ma mi risulta che i ribelli stanno ser­rando le file e si preparano all’attacco decisivo. La loro flotta sta puntando sulla Ter­ra. Quando sono partito, non c’era più una sola nave da guerra ribelle nella Nebulosa; e il grosso della flotta della Con­federazione ha lasciato la Luna ieri.»

«Non immaginavo che le cose sarebbero precipitate in questo modo» disse Enid. «Siamo in guerra da tanto tem­po, e non mi aspettavo che finisse così bruscamente.»

«Non finirà bruscamente, cara» le disse Janas. «Questo conflitto è cominciato molto tempo prima che io nascessi, e cioè un bel po’ di anni fa, e si concluderà solo quando io sa­rò morto da un pezzo.»

«Ma la Rivolta...»

«La Rivolta finirà tra po­co, con la vittoria dei ribelli. Ne sono certo. Ma è quello che verrà dopo che mi spaventa.»

L’angoscia di Janas si riflet­té negli occhi profondi di Enid.

«Non parliamone più, Bob.»

«Sì, non parliamone più.» Janas si alzò e aprì il porta­foglio per pagare il conto. La­sciò cadere una dozzina di monete d’oro della CNS sul tavolo. «Vuoi che andiamo a bere qualcosa?»

Un’ora e mezzo dopo, Janas e Enid ritornarono a prendere il grav-car, che era parcheggiato a fianco del piccolo e suggestivo bar.

«Dove andiamo?» chiese Janas, quando furono a bordo.

«Non lo so, Bob» disse Enid, stringendosi a lui, men­tre accendeva il generatore. «Dove vuoi.»

«A casa tua?»

«No» rispose bruscamente lei. «Non frainten­dermi: non voglio andare là perché Rod e i suoi amici abitano nello stesso palazzo, e io non voglio vederli.»

«Ma possiamo tenere le luci spente» scherzò Janas, ma poi capì che Enid parlava sul serio. «Che ne diresti di una crociera sul Pacifico?»

«Buona idea.»

Janas chiamò il computer del controllo del traffico e ottenne un piano di volo che gli permise di uscire senza guai dal comprensorio di San Fran­cisco e dall’intrico del traffico. Cinque minuti dopo, la su­per-città non era più che un formicolio di luci alle loro spalle. Di fronte si stendeva l’oceano nero e scintillante, su cui si rifletteva una fetta di luna. Attraverso l’acqua, s’intravvedevano in trasparenza le luci dei centri sottomarini sparsi lungo tutta la costa.

«Com’è bello quassù» disse Enid. «Così lontano da tutto. Più niente sembra reale.»

«È un po’ come essere nello spazio» disse Janas, con voce lontana.

Sotto di loro sfilò lentamen­te, e sparì in lontananza, una enorme città galleggiante.

«Che cos’è?» chiese Enid, guardando giù.

«Non lo so.»

«Forse è Atlantide» disse lei. «Ho sentito dire che in questa settimana faceva rotta su San Francisco.»

«Probabilmente è proprio lei.»

Enid voltò lentamente la testa. Ormai tra loro non era­no più necessarie le parole.

Le labbra di Janas articola­rono “Ti amo”. Enid si strinse a lui, sgusciando dalla camicet­ta quasi inesistente.

Il sole si levava sul Pacifico, quando il grav-car fece ritorno al comprensorio San Franci­sco-Oakland.

Enid aveva appena finito di vestirsi che il grav entrò nelle vie di traffico di superficie.

«Quanti soldi hai?» le chiese Janas.

«Non accetto denaro dagli uomini che mi piacciono» disse Enid. «E la mia tariffa è piuttosto salata, per i vecchi signori grassi.»

«Parlo sul serio» disse Janas.

«Ne ho abbastanza.»

«Abbastanza per trasferir­ti in un’altra casa?»

«Credo di si. Ma perché dovrei farlo? Ho già pagato in anticipo l’affitto, e l’alloggio attuale va benissimo.»

«E invece non va.»

«Perché?»

«Perché sanno dove stai.»

«Ma chi sono?»

«Non lo so con certezza. Quelli della Confederazione, oppure gli agenti di Altho. Mi stanno pedinando, e tu ti trovi presa tra me e tuo fratello. Enid, non voglio che tu abbia dei guai. Da quando ho messo piede sulla Terra, li ho avuti sempre alle calcagna. Non vo­glio che quella gente, chiunque sia, ti metta le mani addosso. Avrei fatto bene, forse, a non venire a San Francisco; ma, d’altra parte, Altho sapeva che tu abitavi qui.»

«Che cosa devo fare?» chiese Enid; e negli occhi le riaffiorò la paura della sera prima.

«Torna a casa» le disse lui. «Comportati come se niente fosse. Dopo qualche ora, porta via quello che puoi, senza dare nell’occhio, e trova­ti un altro alloggio. Dà un nome falso e non comunicarmi dove vai. È meglio che io non lo sappia.»

«Ma...»

«Per qualche giorno non cercarmi» continuò Janas, deciso. «Aspetta di essere ben sicura di non correre rischi.»

«E come faccio a saperlo?»

«Troverò il modo per av­vertirti.»

«Ma non capisco, Bob.»

«È meglio che tu non capisca» disse Janas. «Co­munque, ti prego di fare come ti dico.»

«Va bene.»

Janas bloccò il grav vicino alla casa di lei. Dopo un ultimo bacio, Enid saltò giù dal veico­lo, con aria angosciata.

Janas si voltò una sola volta a guardarla, poi si staccò dal marciapiede e s’infilò nelle corsie di traffico. Non si voltò più indietro per paura di non potere più staccarsi da lei.

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