La mattinata era insolitamente fredda, pensava Janas, osservando dalla sua finestra il giardino. A pochi metri dai vetri, il vento scompigliava le foglie rossastre di un cespuglio, e gli faceva correre un brivido lungo la schiena. L’inverno era vicino e Janas non poté trattenersi dal pensare che quel tempo ingrato sembrava presagire la catastrofe imminente.
Qualcuno bussò alla porta.
«Avanti» disse lui.
«Siete sveglio?» chiese da fuori Miriam Lysek, la moglie di Jarl Emmett.
«Certo» rispose Janas. «Un momento» aggiunse, mentre si infilava la vestaglia. Poi andò alla porta e apri.
«Avete dormito bene?» chiese Miriam, una donna piccola e graziosa, più giovane del marito di venti o trent’anni.
«Sì, ma non abbastanza» rispose Janas.
«Restate a letto finché volete» disse lei. «Jarl e io adesso andiamo a lavorare. Vi ho messo la colazione al caldo, per quando la vorrete.»
«Grazie, ma preferisco farla subito.»
«Jarl vi prega di chiamarlo più tardi.»
«Benissimo.»
«Allora, ci vediamo dopo.» Miriam uscì, lasciandolo solo nella stanza degli ospiti di Emmett, dove aveva passato quella notte troppo breve.
Janas andò in bagno per radersi e fare un bagno, e intanto ripensava alla sera prima. Jarl li aveva accompagnati, lui, Hal Danser, Juan Kai e Paul D’Lugan alla sede centrale della CNS, a bordo di un elicottero da noleggio. Durante il volo, si erano posti la solita domanda: «Che cosa dobbiamo fare?» Franken non aveva mantenuto la promessa e aveva agito senza tenere conto di quei dati che Janas ora aveva con sé nella borsa. Com’era possibile, ormai, ritirare l’appoggio che Franken aveva promesso alla CT?
Secondo Paul D’Lugan, bisognava usare la violenza, e cioè riunire nell’ufficio di Franken un numero di uomini sufficiente, e costringerlo ad annullare l’impegno preso con la Confederazione e a richiamare le navi della CNS che stavano per unirsi alle forze della Confederazione. Janas aveva detto”. «No!...»
Franken era suo amico e, probabilmente, se aveva agito così, lo aveva fatto a ragion veduta. Janas era deciso ad andare da lui, a esporgli i fatti e chiedergli di agire in base a questi. D’Lugan aveva riso amaramente e aveva sostenuto che Franken non sarebbe mai ritornato, di sua volontà, sulle sue decisioni. Sostenuto da Jarl Emmett e Juan Kai, Janas replicò che la violenza era troppo rischiosa, e che bisognava ricorrervi solo in casi estremi. D’Lugan si spazientì, dichiarò che avrebbe aspettato finché Janas stesso si fosse convinto, e che allora loro due avrebbero fatto irruzione nell’ufficio di Franken, costringendolo a salvare la CNS.
Janas s’immerse nell’acqua calda del bagno, che l’avvolse con una carezza calda e gentile, e per un momento non pensò a nulla, tranne a rilassarsi e a distendersi.
Pochi minuti più tardi, dopo essersi infilato un’uniforme nuova, Janas passò in cucina dove era pronta la colazione. Mentre si sedeva per mangiare, scorse un foglietto sul tavolo.
“Bob, queste sono le chiavi della Holt gialla che è in garage. Usala quanto ti pare. Jarl.”
Janas sorrise, s’infilò in tasca le chiavi dell’overcar, e poi cominciò a mangiare.
“Non è cambiato niente” pensava Janas, pilotando l’overcar lungo i settori di Central.
Poco, in effetti, era cambiato negli edifici e nelle strade della cittadina che costituiva la sede degli uffici della Compagnia di Navigazione Solare. Central si era formata lentamente, nello spazio di oltre milleduecento anni, nella zona in cui un tempo c’era la città di Prescott; gli ultimi dieci anni non ne avevano alterato molto la fisionomia.
Central sorgeva sull’antico altopiano del Colorado, ed era arroccata a 1980 metri sul livello del mare, in mezzo a regioni che un tempo erano state deserti spazzati dal vento, circondati da grandi pianure erbose e da foreste di pini, ridotte in ceneri dalla grande esplosione atomica, avvenuta prima che la CNS esistesse. Central era cresciuta a poco a poco, orgogliosamente, via via che le sue astronavi sciamavano dalla Terra in cerca di nuovi mondi intatti, sparsi nell’universo. Era vecchia ormai, Central, simile a una torreggiante sequoia, ma era ancora piena di orgoglio e di vigore, ed era ancora la sede a cui facevano capo le astronavi che si spingevano nell’universo percorrendo distanze interminabili.
Janas si diresse a nord, lungo la China Valley, dove si trovava ancora la sede dell’Accademia, in quell’agglomerato di case vecchie di settecento anni, e dove venivano addestrati i giovani destinati a diventare gli ufficiali delle astronavi della CNS. Durante il tragitto gli tornavano in mente gli anni della giovinezza, quando anche lui, un giovane allora pieno di speranze, aveva imparato il mestiere tra quelle mura. Ricordava perfettamente quei giorni e gli uomini che erano stati suoi maestri, e più di tutti ricordava il figlio minore di Graham Franken, che era allora il presidente della CNS. Anche Altho Franken, come Janas, aveva sognato la gloria, ma i suoi sogni erano sempre stati ben più ambiziosi di quelli del giovane Robert Janas, che sperava soltanto di ottenere un giorno il comando di una grande nave stellare. Altho Franken, invece, al pari dei suoi tre fratelli maggiori, sognava di diventare presidente della Compagnia di Navigazione Solare. “I nostri sogni si sono avverati” pensò Janas. “E ora?”
L’overcar scivolò lungo la serie di edifici allineati e attraversò le grandi piste su cui era posata la squadriglia delle navi da addestramento. Janas compi un giro verso sud, dov’era il complesso maggiore di Central e dove, al tavolo della presidenza della CNS, Altho Franken prendeva decisioni capaci di determinare il futuro dell’umanità nel prossimo millennio.
Janas infilò l’overcar in un parcheggio nei pressi dell’edificio più imponente e più nuovo di Central, poi scese di macchina e si fermò un istante ad ammirare quella mole enorme. L’immenso palazzo non era soltanto la sede della presidenza della CNS, e cioè della società più potente di quella fetta di Galassia, ma era anche un monumento alla memoria del padre di Altho, perché quell’edifico era stato il sogno degli ultimi anni di Graham Franken. Eppure Robert Janas, mentre lo ammirava, ritto in mezzo al parcheggio, trovava che quella mole aveva qualcosa di vacuo e di accademico. “Forse perché il prossimo anno non ci sarà più” pensava Janas. “Anzi, rischia di non arrivare neppure alla fine dell’inverno.”
Un secondo overcar s’infilò nel parcheggio. Il guidatore, però, anziché scendere, rimase a bordo, a guardare nel vuoto, benché Janas avesse l’impressione che lo sconosciuto lo tenesse d’occhio.
Sforzandosi di scacciare un vago senso di apprensione, Janas lasciò il parcheggio e si diresse verso il “Graham Franken”. La borsa gli pesava in mano e un’improvvisa ventata fredda gli scompigliò i capelli.
Janas entrò nel palazzo e attraversò l’ingresso imponente, decorato dal famoso affresco che celebrava la storia della CNS, dai primi tempi, quando era ancora la modesta Compagnia Planetaria Trasporti e Miniere, fino al giorno d’oggi, quando le sue navi spaziali viaggiavano per l’intera Confederazione e oltre. Janas diede appena un’occhiata all’opera, attraversò l’atrio, si diresse verso le scale mobili e sparì dietro l’affresco. Arrivato al quinto piano, prese l’ascensore a gravità, salì fino in cima, usci dall’ascensore, e attraversò la grande sala, dirigendosi verso la fila degli impiegati pronti a ricevere il pubblico.
«Desiderate, comandante?» chiese la ragazza dietro il tavolo.
«Vorrei parlare al cittadino Franken» dichiarò semplicemente Janas.
«Quale cittadino Franken?» chiese la ragazza, sorridendo.
«Il cittadino Altho Franken.»
«Avete un appuntamento, comandante?»
«No.»
«Posso chiedervi che cosa desiderate dal cittadino Franken, comandante?»
«Sono Robert Janas. Il cittadino Franken sa di che si tratta.»
«Il cittadino Franken è molto occupato» ripeté meccanicamente la ragazza. «Per parlargli occorre fissare un appuntamento in anticipo. Qualcun altro vi potrebbe essere utile?»
«No» disse Janas, deciso. «Informatelo che sono arrivato: credo che mi riceverà.»
«Accomodatevi, comandante. Vi richiamerò.»
Janas sorrise e andò a sedersi in una poltrona li vicino, a pochi metri dal tavolo.
La ragazza chiamò qualcuno all’apparecchio e pochi secondi dopo cominciò a parlare con qualche intermediario della lunga catena che stava tra lei e l’uomo che reggeva la Compagnia di Navigazione Solare.
Janas non riusciva a sentire quel che diceva la ragazza, ma vedeva le labbra di lei che si muovevano. Ora, in tutti quegli anni in cui era stato alla testa di altri uomini, Janas aveva imparato a decifrare i movimenti delle labbra.
«C’è qui il comandante Robert Janas che vuol parlare al cittadino Altho Franken» dicevano le labbra della ragazza. «No, non ha un appuntamento. Non lo so. Non ha voluto dirmelo.» Per un secondo le labbra non si mossero. «Sì, signora. Comandante Robert Janas. Alto, bruno, piuttosto bello.» Janas sorrise tra sé. «Non ne sono sicura. Direi un centinaio. Va bene. Sì, signora.»
La ragazza guardò Janas e gli sorrise, ma non disse nulla. Janas rispose al sorriso della ragazza, che si chinò sulle sue carte, mostrando di occuparsi d’altro.
Altre due persone, nel frattempo, si erano rivolte a lei, per chiedere di parlare con qualche personalità della CNS, quando, a un tratto, una spia luminosa si accese.
«Maura» disse la ragazza, rispondendo alla chiamata. «Si signora, senz’altro.»
La ragazza si alzò, voltandosi verso Janas. «Comandante Janas» disse. «Il cittadino Franken vi riceve. Vogliate seguirmi.»
Qualcuno dei presenti si voltò a guardare chi era quel tipo che veniva ricevuto dal cittadino Altho Franken, senza aver fissato un appuntamento qualche settimana prima e il nome Janas parve far venire in mente qualcosa ai presenti.
La ragazza accompagnò Janas fuori dalla sala, lungo un corridoio interminabile. Per due volte fu sul punto di dire qualcosa, ma tutte e due le volte cambiò idea, preferendo tacere. Janas si stava ancora chiedendo perché, quando arrivarono davanti a un tavolo dove sedeva un giovanotto bruno, vestito alla vecchia moda.
«Il comandante Robert Janas chiede di vedere il cittadino Franken» disse la ragazza al giovanotto, che nel frattempo si era alzato.
«Grazie, Maura. Molto lieto, comandante» disse il giovanotto, tendendogli la mano. «Sono Milton Anchor, segretario personale del cittadino Franken. Il cittadino Franken vi aspetta. Vogliate accomodarvi.»
Janas lo ringraziò, attraversò l’ufficio e si fermò davanti a due imponenti battenti di legno, aspettando che Anchor avvertisse Franken e poi premesse il pulsante che comandava l’apertura della porta. Aitilo Franken, in fondo al vastissimo, lussuoso ufficio, si alzò per salutarlo.
«Bob» disse Franken. «Come sono contento di rivederti!»
«Anch’io, Al» disse Janas.
«Accomodati» e Franken gli indicò una sedia accanto all’immenso tavolo. «Qualcosa da bere? Un sigaro?»
«No, grazie» disse Janas, sedendosi e tirando fuori un pacchetto di sigarette.
«Quanto tempo è passato!» disse Franken, sedendosi a sua volta e versandosi da bere.
Franken era invecchiato, pensava Janas. Si era appesantito, in quei dieci anni, la faccia mostrava diverse rughe e c’erano molti capelli grigi. Gli occhi erano incassati, quasi nascosti dalle pieghe della carne, e la faccia aveva un pallore particolare, che non era dovuto alla mancanza di sole, ma a una lunga angoscia e a una continua paura.
«Quanti anni sono passati, Bob?» chiese Franken.
«Dieci anni.»
«Mi sembrano molti di più.»
«Sono stati dieci anni molto pieni» disse Janas.
«Sì. Sono avvenute molte cose, Bob, forse più di quanto tu possa immaginare. Non sei più stato sulla Terra. Non sai che cosa è capitato, quaggiù.»
«Forse tu non sai che cosa è capitato lassù» disse Janas, indicando il cielo.
«Probabilmente hai ragione» disse Franken, con aria assente. Rimase per qualche secondo in silenzio, sorseggiando la bevanda.
«Come sta Enid?» chiese alla fine.
Janas non rispose subito, ma fissò Franken, chiedendosi come facesse a saperlo.
«Mi tengo informato sugli amici» disse Franken, con un sorriso forse troppo cordiale. «So tutto di te e di Enid.»
Janas riuscì a fatica a contenersi. Al Franken non aveva nessun diritto di ficcare il naso nei suoi affari personali: o forse l’aveva?
«Scusami» disse Franken, con tono conciliante. «Non avevo intenzione di offenderti. Voglio soltanto tenermi al corrente di ciò che avviene.»
Janas scrollò le spalle. Franken sorrise e prese un sigaro dalla scatola istoriata che teneva sul tavolo. Lo inumidì, lo accese, servendosi di un accendisigari di vecchia foggia, poi si abbandonò nella poltrona. Janas si sforzò di non pensare all’incidente, sapendo che Franken si preparava ad affrontare un argomento ben più serio.
«Ho fatto bene, Bob?» chiese alla fine. Era chiaro, dal tono, che non voleva sapere la verità, ma solo sentirsi dire che Janas era d’accordo con lui. Janas però non poteva accontentarlo.
«No» disse semplicemente.
«Mi spiace che tu la prenda così, Bob» disse Franken, con un’ombra di delusione.
«Non è questione di prendersela» disse Janas, con calma. «Io so che tu hai fatto un passo falso.»
«Come puoi saperlo?» chiese bruscamente Franken. «Tu non sei mai stato seduto in questa poltrona a osservare il mondo intorno a te, che si disgrega lentamente. Non puoi saperlo, Bob, non puoi!»
«Ma tu sai che cosa sta capitando nello spazio?»
«Certo che lo so» disse Franken, quasi irritato. «Tutti i dati a nostra disposizione sono stati affidati al nostro migliore calcolatore elettronico. È stato lui che ha tratto le conclusioni, non io. Io mi sono limitato ai fatti.»
«Ma tu sei stato nello spazio? Hai visto che cosa è capitato su Odino? Sai com’è ridotta Iside? E che cosa è rimasto di Antigone? E di Cassandra?»
«Non sono stato nello spazio» disse Franken. «Non posso andarci. Ho troppo da fare quaggiù. Ma lassù ci sono i nostri uomini. Ho letto i loro rapporti e ho ascoltato le loro incisioni. Ne so quanto te, e forse di più, su ciò che sta capitando nello spazio.»
«Ho i miei dubbi.»
«Ho un migliaio di agenti nello spazio, Bob. Ricevo quotidianamente i loro rapporti.»
«Spie» disse Janas. «Come puoi avere la certezza che quei rapporti siano veri e che quegli uomini non abbiano paura di dirti la verità? Come puoi sapere che sono fedeli a te e non alla Confederazione?»
«Non essere melodrammatico, Bob.»
«Ho i miei rapporti, Al» disse Janas. «Ci sono voluti dieci dei miei cento anni di vita, e la morte di due miei amici per averli. Mi avevi promesso di leggerli, prima di impegnarti. Infila queste schede nel tuo calcolatore, vedi un po’ che conclusioni trae il cervello elettronico e poi prendi la tua decisione.»
«L’ho già presa.»
«Lo so» disse Janas, con amarezza.
«Mi spiace, Bob. Volevo aspettare di parlare con te, ma non ne ho avuto il tempo. Ho dovuto prendere una decisione, e ormai mi sono impegnato.»
«Ma dà un’occhiata ai miei rapporti, almeno!»
«Non ho tempo» disse Franken lentamente. «Apprezzo molto ciò che hai fatto, ma ormai non ha più importanza. Ho già visto i rapporti della Confederazione e, oltre a quelli, ho i miei. Non hai niente da dirmi che io non sappia già.»
«Per l’amor del cielo, Al...»
«Bevi qualcosa, Bob. Mi rendo conto che sono stati dieci anni molto duri, ma ormai sei a casa.»
Janas si abbandonò sulla seggiola, spense con violenza la sigaretta e ne cercò subito un’altra.
«Va bene» disse. «Dammi un whisky.»
«Così va meglio» disse Franken, sorridendo e prendendo la bottiglia.
«Con questo, non intendo cedere.»
«Credo che tu dovresti accettare la situazione. In fin dei conti, sei un terrestre. Non ti è lecito criticarmi perché aiuto la Confederazione.»
«Ma io non ti chiedo di appoggiare i ribelli!»
«No?» disse Franken. «E allora, che cosa vuoi?»
«Voglio che la CNS resti in vita finché questo pasticcio sarà finito. Voglio che la CNS continui a esistere, nonostante ciò che sta avvenendo.»
«Con il nostro aiuto, la Confederazione ha buone possibilità di vittoria» disse Franken, porgendo il bicchiere a Janas. «La Confederazione, in fin dei conti, è l’unico governo legale.»
«Governo legale!» esclamò Janas, con violenza. «I tuoi predecessori non hanno mai parlato così. I presidenti dei vecchi tempi non riconoscevano al governo il diritto di decidere sulla vita e la morte della CNS. La Compagnia e loro avevano pieno diritto di esistere e, per sussistere, non cercavano l’approvazione di nessuno.»
«Le cose sono molto cambiate da allora, Bob.»
«Lo so che sono cambiate.»
«Ti prego, Bob.» Franken fece una pausa. «Noi dobbiamo molto alla Confederazione.»
«Non dobbiamo un bel niente alla Confederazione, Al» replicò Janas, portandosi il bicchiere alle labbra. «È stata la CNS a costruire le prime navi spaziali e ad aprire la via verso le stelle. Siamo stati noi a far si che la Terra diventasse un mondo unito e costituisse una Confederazione con i pianeti che noi avevamo colonizzato. È stata la CNS a dar vita alla Confederazione. Non dobbiamo assolutamente niente alla Confederazione.»
«Siamo entrambi cittadini della Confederazione» disse Franken. «E dunque, le dobbiamo fedeltà.»
«Fedeltà a chi ci prende in giro? La Confederazione di oggi è la negazione dei principi che l’hanno creata. È un impero, e un impero in piena decadenza. Anche Henri Kantralas era un cittadino della Confederazione, e tu lo giudichi un uomo che si sottrae alle proprie responsabilità?»
«Kantralas è un ribelle!»
«E Jonal Herrera è un tiranno» rispose Janas. È un dittatore spietato, che è arrivato alla presidenza attraverso una serie di ricatti. Come puoi trattare con un uomo come quello?
«È il presidente» disse Franken.
«E ciò significa che tutto quel che fa è ben fatto?»
«No, ma per lo meno ha la legge dalla sua parte.»
«La legge!» scattò Janas. «Ce l’hai “sempre con la legge. Ma che cosa conta la legge, per i tipi come lui? Tu ritieni che un uomo come Kantralas si sarebbe messo dalla parte dei ribelli, se la causa di Herrera fosse giusta?»
«Kantralas è un ribelle» ripeté Franken. «È venuto meno al giuramento che lo legava alla Confederazione.»
«Sì, è venuto meno al giuramento e l’ha fatto pubblicamente, di fronte all’intera Confederazione. Non ha complottato in segreto. Herrera, dal canto suo, infrange il giuramento di fedeltà almeno dieci volte il giorno.»
«Non piace neanche a me Herrera, però...»
«Ma perché credi che Kantralas si sia unito ai ribelli?» lo interruppe Janas. «Tu non sai che cosa ha combinato, lassù, la Confederazione Perché credi che i ribelli abbiano l’appoggio delle popolazioni? E ce l’hanno, nonostante le dichiarazioni in contrario della Confederazione. La gente non ne può più della Confederazione e preferisce morire, piuttosto che sopportare ancora la sua tirannia.»
«Sì, è vero, lassù ci sono stati disordini, ma era impossibile evitarli.»
«Molte cose erano evitabili!»
«Che cosa avrei dovuto fare, secondo te?» chiese Franken. «Dare il mio appoggio al generale Kantralas?»
«No» rispose Janas. «Una tua mossa chiaramente in favore dei ribelli avrebbe attirato su di te le ire della Confederazione. Herrera, sapendo che le cose andavano male nel Centro, non aveva certo l’intenzione di aprire un secondo fronte; ma pur di impedirti di aiutare i ribelli, lo avrebbe fatto. Tu dovevi rimanere al di fuori di tutto, e restare neutrale. Sono milleduecento anni che la CNS segue questa linea di condotta, e bisognava continuare così. La Confederazione non avrebbe preso misure contro di noi, a meno che noi appoggiassimo apertamente la Lega; e Kantralas, da parte sua, avrebbe riconosciuto la nostra neutralità.»
«Come potevo saperlo?»
«Tu conosci Kantralas» disse Janas «e sai che Herrera ha paura della CNS.»
«Ascoltami, Bob, cerca di vedere le cose dal mio punto di vista. Se io gli avessi negato il mio appoggio, Herrera se la sarebbe legata al dito, e in caso di vittoria della Confederazione, al primo pretesto, avrebbe schiacciato la CNS.»
«L’avrebbe fatto in ogni caso» disse Janas. «Ma la Confederazione non vincerà, non può vincere.»
«Un momento» disse Franken, con voce stridula, quasi all’orlo dell’isterismo. «Supponiamo che Kantralas vinca. È un uomo non più giovane e ha intorno una schiera di personaggi pronti a agguantare il potere: e quella è gente molto diversa da lui. Kantralas morirà, o qualcuno lo farà fuori, e allora saranno guai. Una di quelle teste calde, avendo paura di noi, cercherà di mettere le mani sulla CNS.»
«Sì, qui sono d’accordo con te» rispose Janas. «Ed è proprio quello che volevo. Sii realista, Al. Leggi i miei rapporti. Una volta sconfitta la Confederazione, la Lega dei Mondi Indipendenti si sfascerà. Più di cento sistemi non aspettano che quel momento per dichiarare la propria totale indipendenza. La Lega, nel giro di un anno, andrà in briciole, a meno che ci sia una personalità sufficientemente forte, e una ragione altrettanto forte, per tenerla assieme. In quel momento non ci sarà né un uomo né un gruppo tanto forte da poter attaccare la CNS con speranze di vittoria, e noi saremo la potenza più forte di tutta la Spirale.»
«Continuo a ritenere che abbiamo migliori possibilità se stiamo con la Confederazione.»
«Non la penseresti così, se conoscessi i fatti.»
«Conosco i fatti, Bob.»
«Non ne sono convinto. Prendi Odino, per esempio. È, o meglio era, il pianeta più civile della Confederazione. Sono secoli che su Odino si costruiscono astronavi. Lassù esisteva la migliore università della Confederazione. Adesso non c’è più niente. L’università è ridotta a un cumulo di macerie, le fabbriche sono distrutte, gli spazioporti smantellati. Ci vorranno cinquecento anni prima che Odino riabbia gli impianti industriali da cui usciranno le nuove astronavi. D’altra parte, qualcuno dovrà pure scampare a questo conflitto e alle altre guerre che seguiranno. E questo qualcuno terrà in vita la civiltà interstellare.»
Mentre Janas parlava, Franken lo fissava con espressione assente. Alla fine si alzò lentamente, dicendo: «Apprezzo le tue intenzioni, Bob. Ma tocca a me prendere le decisioni.»
La porta in fondo all’ufficio si aprì e entrò il segretario personale, Milt Anchor.
«Desiderate, cittadino Franken?»
«Il comandante Janas se ne va. Vi spiace provvedere alla sua sistemazione? Desidero che sia la migliore possibile.» Poi voltandosi verso Janas, disse: «Milt leggerà i tuoi rapporti, Bob, e appena me ne avrà riferito, ne riparleremo. Nel frattempo forse avrai modo di conoscere alcuni rapporti della Confederazione, che ti faranno cambiare idea.»
«Ne dubito.»
«Hai deciso di fermarti alla Residenza della Compagnia?»
Janas scrollò le spalle, chiedendosi dove sarebbe potuto andare. La Terra, ormai, non era più la sua patria, e tuttavia non gli era possibile, in quel momento, ritornare tra le stelle.
«Sì, mi fermo qui» rispose lentamente.