23

Janas, a tutta prima, non riu­scì a ricordare dove fosse e perché fosse finito laggiù, e come mai avesse le caviglie e la spalla sinistra doloranti. Poi, a poco a poco, il buio in cui si aggirava cominciò a diradarsi, e mentre le coscienza gli torna­va, lui apri gli occhi.

Allora si voltò con fatica e cercò a tastoni attorno a sé, finché toccò qualcosa di mor­bido e di caldo.

«Maura!» esclamò Ja­nas.

«Comandante!» rispose la ragazza, nel buio.

«Siete ferita?»

«No, non credo» rispose la ragazza. «E voi?»

«Devo essermi contuso le caviglie» disse Janas. «Nien­te di grave, però.»

«Bob» disse una voce, a sinistra. «Sono io, Jarl. Non ci sono riusciti, vero?»

«Non ancora» rispose Ja­nas. «Ma non credo che sperassero di farci fuori; al­meno, non con questo sistema. Ti sei fatto male?»

«Ho battuto la testa. Per il resto, tutto a posto. Se non c’erano i paraurti sul fondo, eravamo spacciati.»

«Altho?» chiese Janas. «Bilthor?»

Altho Franken brontolò qualcosa, poi disse: «Bilthor ha perso i sensi.»

«Se la caverà» disse Ja­nas. «L’urto non è stato abbastanza violento da causare fratture. Adesso, ascoltatemi bene. C’è qualcuno che sta cercando di impedirci di invia­re il contrordine, ed evidente­mente si tratta di agenti di Herrera.»

«Io non c’entro» disse Franken.

«Ci credo» gli disse Ja­nas. «Questa gente vuole fer­marci con qualunque mezzo, anche a costo di ammazzare te: non dimenticartene.»

Nel frattempo, Emmett si era alzato in piedi, e cercava di aprire le porte dell’ascensore.

«Dammi una mano» dis­se a Janas.

«Aspetta» gli disse Janas.

«Ma perché?»

«Chiunque sia l’autore di questo attentato» disse Janas «è là fuori che ci aspetta, armato. E, fra tutti noi, abbia­mo appena una pistola.»

«Ma non possiamo rima­nere qui seduti a aspettare» disse Emmett. «Non ne ab­biamo il tempo.»

«A quest’ora i nostri si saranno resi conto che è suc­cesso qualcosa e verranno a darci una mano» disse Janas.

«Sì, però...» Emmett fu interrotto da qualcuno che bussava alla porta dell’ascenso­re.

«Jarl?» diceva una voce soffocata.

«Chi è?» chiese Emmett.

«Hal Danser» rispose la voce. «Che cos’è capitato?»

Janas ebbe l’impressione che Franken tirasse un sospiro di sollievo.

«C’è stato un guasto ai freni» rispose Emmett. «Tiraci fuori di qui.»

«Un momento!»

Janas si avvicinò a Emmett e gli sussurrò all’orecchio: «Sta’ lontano dalla porta.»

«Perché?» chiese Em­mett.

«Non è il caso di correre rischi.»

«Con Hal? Ma mi fido di lui come di te.»

«Tu sai chi è la spia?»

«No. Potrebbe essere uno qualunque di noi.»

«Appunto. Per questo ti dico di stare lontano dalla porta.»

«Non preoccuparti per Danser» disse Franken nel buio.

«Cosa volete dire?» scat­tò Emmett.

«Danser vuole far fuori me» spiegò Franken. «Lavo­rava per me: come credete che io fossi informato dei vostri piani?»

Emmett brontolò qualcosa e Janas lo senti muoversi verso Franken.

«Lascia perdere, Jarl» disse. «Ci penseremo dopo. Per il momento tienti indietro.»

Emmett si addossò alla pa­rete della cabina; Janas invece tirò fuori la 45, si appoggiò contro il riquadro della porta cercando di non pesare troppo sulle caviglie, e aspettò.

Finalmente una spranga me­tallica fu insinuata tra i due battenti, che si scostarono di pochi centimetri, lasciando passare un raggio di luce nella cabina oscura. Janas non riuscì a distinguere altro che la punta dell’arnese infilato tra le due lastre di metallo.

«Tra un secondo sarete fuori» diceva la voce di Hal Danser, mentre un altro scalpel­lo veniva inserito nella fessura. «Fate forza tutti assieme» continuò. «Quando dico tre, spingete. Uno. Due. Tre.»

Si sentì uno schianto, e subito diverse mani afferraro­no i battenti e li spalancarono. La luce inondò la cabina buia.

Janas, per un momento, ri­mase abbagliato, non al punto però da non distinguere le sagome dei tre uomini e le armi che impugnavano. Senza aspettare premette il grilletto della 45.

Quelli di fuori, evidente­mente, non avevano previsto una reazione così violenta da parte degli occupanti della ca­bina. Il più vicino dei tre barcollò all’indietro, lasciando­si sfuggire l’arma a energia che impugnava, e alzò la sinistra come per arrestare il sangue che sgorgava dal braccio de­stro.

«Butta via quella pistola, Janas!» ordinò Danser, pun­tando l’arma ad ago verso il comandante spaziale. «Mira a Franken» gridò all’altro uo­mo.

Janas sparò due volte di seguito. Il primo proiettile mancò Danser e si perdette nel corridoio, ma il secondo arrivò a segno. Danser barcollò all’in­dietro, mentre la sua pistola a ago si scaricava in aria lascian­do dietro di sé una scia di fumo e un odore di metallo arroventato.

Il terzo uomo aveva già pre­so di mira Altho Franken, quando Janas gli scaricò ad­dosso l’automatica. Il raggio a energia mancò per pochissimo Franken, che era riuscito a buttarsi di lato.

La mira della 45 era troppo bassa per uccidere, ma abba­stanza alta per cogliere al gi­nocchio l’attaccante, che bar­collò all’indietro, contorcen­dosi per il dolore. Janas sparò ancora e stavolta prese in piena faccia l’uomo che morì sul colpo.

Janas, dopo aver appena avuto il tempo di riprendere il fiato, si voltò verso l’interno della cabina.

«Tutti bene?» chiese.

«Mi pare di sì» rispose Emmett. «Bilthor ha ripreso i sensi.»

«E Maura?» chiese Ja­nas.

«Eccomi» rispose la ra­gazza, con voce tremante.

«Non è stato Herrera» disse Franken, scosso. «Non avrebbe mai cercato di farci fuori.»

«Ma non ti rendi conto di che razza di uomo è, Al?» disse Janas, poi si rivolse a Emmett: «È meglio che usciamo di qui.»

«Riesci a camminare?» chiese Emmett.

«Sì.» E voltandosi verso i fratelli Franken, disse: «Usci­te!»

Mentre il presidente e il vice-presidente della CNS usci­vano dalla cabina, una mezza dozzina di uomini arrivava di corsa, guidati da Juan Kai.

«Che cosa è capitato, Jarl?» gridò Kai.

Emmett indicò Hal Danser.

«Era una spia, Juan» disse Emmett, freddamente. «Ha tentato di farci fuori tutti, per ordine di Herrera!»


Janas un po’ gridò, un po’ trascinò Altho Franken attra­verso la sala del grande calcola­tore, verso il grosso tavolo che gli aveva indicato Emmett. Bil­thor Franken, ancora intontito per la botta, lo segui, so­spinto da un’arma a energia puntata nelle costole.

Emmett, rivolgendosi a Ja­nas, gli mostrò una serie di schermi e di video a 3D, allineati lungo la parete. «Qui ci sono i radar e le camere 3D» disse. «Così possiamo vedere che cosa succede di sopra.»

Sullo schermo più vicino, appariva una veduta d’insieme delle terrazze del grattacielo Operazioni. Lassù si notavano diversi uomini armati, più nu­merosi di prima, intenti a guar­dare per aria. Nel limpido cielo azzurro ruotava una dozzina di elicotteri dei Neri e, più indie­tro, si distingueva appena, grossa come un punto, la sago­ma lontana di una nave spazia­le. Per quanto la nave fosse ancora molto distante, Janas riconobbe immediatamente un’unità della Confederazione.

«Sei stato ottimista, Jarl» disse, con voce smorzata. «La Confederazione è già qui.»

Emmett si sentì gelare. «Dio mio!» mormorò.

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