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Janas, a tutta prima, rimase troppo sbalordito per poter parlare. Non aveva mai pensa­to seriamente che i Neri lo potessero arrestare, per quan­to, in quel momento, si ren­desse perfettamente conto di essersi compromesso. Nello stesso istante, capiva con quanta incapacità e leggerezza avevano agito i così detti capi della congiura e come Jarl Emmett e gli altri si fossero comportati da veri dilettanti. Franken, fin dal primo giorno, quando Janas lo aveva cercato, sapeva che si stava architettan­do un piano per ottenere la revoca degli ordini impartiti alle navi della CNS, e che quel piano non si sarebbe limitato alle pure proteste verbali. Franken non aveva fatto altro che aspettare che i congiurati si compromettessero, e l’occa­sione buona gli era stata forni­ta la sera prima, quando il famoso “Comitato”, dopo molti tremori ed esitazioni, aveva parlato di fare ricorso alla forza, criticando anche l’augusto ufficio del presidente della CT. Se in mezzo a loro c’era una spia, anche se non aveva potuto registrare elettro­nicamente ciò che era stato detto, era più che in grado di testimoniare contro di loro e di portare davanti a un tribu­nale Robert Janas, Jarl Emmett e gli altri, sotto l’accusa di tradimento. A questo pun­to, Altho aveva agito con la piena approvazione del presi­dente. Janas, in piedi davanti ai due agenti, si dava aperta­mente dello stupido.

«Vengo» disse poi, chie­dendosi se sarebbe riuscito a fuggire, e dove avrebbe trovato rifugio, su quel mondo che ormai non era più suo.

«Da questa parte, signore» disse il più alto in grado, indicando con gesto cortese l’ascensore.

Janas obbedì senza prote­stare, pensando tuttavia alle eventuali possibilità di fuga.

E fu questione di un attimo. I due agenti, giovani e inesper­ti, non si aspettavano certo un colpo di mano proprio lì, nella Residenza Ufficiali della CNS.

Nel corridoio, fino a un secondo prima vuoto e deser­to, comparve come per magia un giovanotto bruno, con uno stordigente in mano.

«Forza, Janas!» gridò, mentre l’arma crepitava.

Janas riconobbe D’Lugan e non perse tempo. Si buttò indietro a braccia allargate co­gliendo di sorpresa i due Neri. Uno barcollò e finì contro la parete mentre cercava di estrarre la pistola a raggio. Ma non fu abbastanza svelto: il raggio di energia paralizzante della pistola di D’Lugan lo trafisse in pieno e il Nero crollò a terra.

Mentre D’Lugan si liberava del primo, Janas si buttava addosso all’altro, scaraventan­dolo violentemente contro la parete. Immediatamente dopo, gli cacciò il gomito in gola. Con un gemito strozzato, l’a­gente tentò di liberarsi del comandante spaziale, ma Janas lo centrò con un destro allo stomaco. L’uomo che era ve­nuto per arrestarlo si afflosciò sul pavimento con un rantolo strozzato.

«Presto» disse D’Lugan, infilandosi lo stordigente nella fondina e afferrando il primo dei due agenti. «Portiamoli nel tuo appartamento.»

In pochi istanti, Janas e D’Lugan trascinarono i due nelle camere di Janas, li immo­bilizzarono con le lenzuola del letto e li ficcarono, senza tante cerimonie, nel gabinetto.

«Per un po’ dovrebbero restarsene tranquilli» disse D’Lugan.

«Come mai eravate qui?» chiese Janas, appena ritrovò il fiato per parlare.

«Vi spiegherò tutto più tardi» rispose D’Lugan. «Adesso non c’è tempo. Jarl è ancora libero e al suo posto. Avete un abito civile?»

«Sì» rispose Janas.

«Stile Terra?» chiese D’Lugan, indicando il proprio abbigliamento.

«No» disse Janas, con un sorriso.

«Ve ne ho portato uno.» D’Lugan uscì dalla stanza e rientrò subito dopo con un pacco. «Mi pare che sia della vostra misura» disse.

Dentro al pacco c’era una camicia a righe bianche e ros­se, con ampie maniche a sbuf­fo, un paio di pantaloni ar­lecchino, porpora e oro, degli stivaletti rossi e un cappello a punta dello stesso rosso dei pantaloni. Janas fissò, per un secondo, quella tenuta ridico­la, poi guardò D’Lugan che non era conciato molto meglio e, finalmente, decise che, sulla Terra, la sobria uniforme della CNS avrebbe dato molto più nell’occhio di quel travesti­mento inverosimile.

«Non fate il difficile, co­mandante» disse D’Lugan, sorridente.

Janas sorrise a sua volta, scoprendo a un tratto che D’Lugan gli era simpatico, non tanto perché gli era venuto in aiuto, quanto perché conserva­va un certo gusto che ormai pareva scomparso dalla Terra. D’Lugan era uno spaziale co­me lui, un comandante di astronavi, che aveva, con tutta probabilità, ampi motivi per detestare Altho Franken e ciò che quell’uomo rappresentava.

Senza rispondere a D’Lu­gan, Janas indossò quei ridicoli indumenti Poi si mise in tasca una copia dei rapporti che aveva nella borsa e passò nella sua camera da letto.

«Fate presto» si spazientì D’Lugan. «Non abbiamo molto tempo.»

«Un momento» rispose Janas. Aprì la valigia e prese un pesante oggetto metallico, l’arma tradizionale dei coman­danti della CNS. Era una vec­chia pistola automatica calibro 45, un’arma di vecchio tipo, a cui Janas più volte aveva dovu­to la vita. L’infilò nella cami­cia, sperando che non si vedes­se troppo, afferrò una mancia­ta di proiettili, se li cacciò in tasca, e finalmente usci, segui­to da D’Lugan.

«Dove andiamo?» chie­se, quando i battenti si chiuse­ro alle loro spalle.

«A fare una visita» disse D’Lugan. «Venite con me, e cercate di non dare nell’oc­chio.»

Senza più parlare, i due si diressero verso l’ascensore. Scesero diversi piani, infilaro­no le scale mobili e arrivarono ai piani sotterranei dell’edifi­cio. Di qui, dopo un’altra cor­sa affannosa lungo i piani sot­terranei e di nuovo su per le scale fino al pianterreno, i due sbucarono nell’atrio di ingres­so, dove erano di guardia una mezza dozzina di Neri, che non si occuparono di loro, e alla fine si ritrovarono al’aperto.

D’Lugan parlò una volta so­la, per dire: «Andiamo laggiù.» E intanto indicava lo splen­dido grattacielo “Graham Franken”, dove erano gli uffi­ciali di Altho Franken.

Janas era urtato dai modi autoritari di D’Lugan, ma era costretto ad ammettere che, a differenza di lui, l’altro cono­sceva il piano.

Entrarono, senza intoppi, nel “Graham Franken”, attra­versarono l’atrio immenso, e, prendendo scale mobili e ascensori, arrivarono all’ultimo piano dove erano gli uffici direttivi della CNS, ed entraro­no nella grande sala dove, due giorni prima, Janas era venuto a chiedere udienza a Altho.

Senza esitare, D’Lugan si diresse verso la stessa impiega­ta che aveva accolto Janas. La ragazza alzò gli occhi. Rimase senza fiato, e il nome “Paul” le sfuggi di bocca.

«Ci siamo» disse D’Lu­gan sottovoce.

Un’ombra di paura apparve sul volto di lei, ma subito sparì. Innervosita, si guardò attorno, fissò Janas, che aveva riconosciuto, poi tornò a rivolgersi a Paul D’Lugan.

«In che cosa posso essere utile, signori?» ormai parlava con voce normale, abbastanza forte perché gli altri sentissero.

«Siamo i cittadini Hendriks e Malheim» disse D’Lu­gan. «Abbiamo appuntamen­to con il cittadino Altho Franken.»

La ragazza annui quasi im­percettibilmente, con un lam­po di intesa negli occhi. Pre­mette un bottone sul tavolo, o per lo meno finse di premerlo.

«Il cittadino Franken vi riceverà tra un momento» disse fingendo di aver ascolta­to la risposta di qualche impie­gato. «Accomodatevi e vi richiamerò.»

Mentre si dirigevano verso le poltrone, D’Lugan sussurrò a Janas poche parole di spiega­zione: «Maura è dei nostri.»

Dopo di che non parlò più.

Janas si frugò in tasca e scoprì che aveva dimenticato le sigarette. D’Lugan, notando il gesto, tirò fuori il suo pacchetto e ne offri una al comandante spaziale, che ac­cettò con gratitudine.

Janas accese la sigaretta e si guardò attorno, sentendosi ter­ribilmente esposto, per quanto sapesse che quello era l’ultimo posto dove i Neri avrebbero pensato di cercarlo. D’altra parte, nessuno degli impiegati, ad eccezione di Maura, lo ave­va riconosciuto. In quella sala, in fondo, lui e D’Lugan erano, almeno per il momento, abba­stanza al sicuro. Comunque, provò un senso di conforto, sentendo sotto l’ampia camicia il peso della grossa 45.

Aveva quasi finito la sigaret­ta, quando l’impiegata li chia­mò. Con voce appena più forte del normale, disse: «Cittadini Hendricks e Malheim, il citta­dino Franken vi aspetta. Vi prego di seguirmi»

Badando di non fare mosse troppo precipitose, Janas si alzò insieme con D’Lugan, e i due seguirono la ragazza attra­verso la sala e lungo il corrido­io che conduceva agli uffici privati di Franken.

Quando furono abbastanza lontani dalla sala, la ragazza si fermò e guardò con aria inter­rogativa D’Lugan.

«Si» rispose lui. «An­diamo da Altho» si voltò verso Janas. «Il comandante Robert Janas, Maura Biela.»

«Ci siamo già conosciuti» disse Janas.

«L’altro giorno non ero del tutto sicura» disse Maura. «Supponevo però che foste l’uomo di cui aveva parlato Paul.»

«Non abbiamo tempo per parlare» disse D’Lugan, tiran­do fuori lo stordigente. «Te­nete questa» e mise l’arma in mano a Janas.

«Che cosa devo fare?» chiese Janas.

«Aspettate qui» rispose D’Lugan. «Passato un minu­to, venite. Io, nel frattempo, terrò occupato Anchor. Colpi­te subito, appena entrate, pri­ma che abbia tempo di fare un gesto. D’accordo?»

Janas annui.

D’Lugan batté amichevol­mente una mano sulla spalla della ragazza e le fece cenno di incamminarsi. I due percorsero il corridoio, e Janas rimase ad aspettare, contando i secondi.

Passato il minuto, si guardò attorno, vide che in corridoio non c’era nessuno, e s’incam­minò.

All’ultima svolta, senti la voce di D’Lugan che diceva forte: «Sentite, cittadino» stava dicendo «il cittadino Franken mi aspetta. Non fate­mi perdere altro tempo.»

«Signore» protestava An­chor. «Non sono stato avver­tito. In questo momento il cittadino è occupato. Non pos­so...»

«Ma dev’esserci un equivo­co, cittadino Anchor» disse Maura. «Io ho avuto l’auto­rizzazione da...»

Janas non stette più ad ascoltare. Venne avanti, puntò lo stordigente, mirando alla faccia di Anchor. Il giovane segretario bruno alzò gli occhi, sbalordito, e di scatto si piegò in avanti, tentando di raggiun­gere un pulsante sul tavolo. La pistola di Janas gracidò rabbio­samente e Anchor si afflosciò sul tavolo. D’Lugan afferrò quel corpo inerte e lo adagiò sul pavimento.

«Datemelo» disse D’Lu­gan, indicando lo stordigente. Janas glielo gettò e tirò fuori la sua 45. Janas, in piedi ac­canto a D’Lugan davanti alla porta, provava una selvaggia soddisfazione per avere final­mente cominciato a agire.

«Aprila» disse D’Lugan a Maura che, in piedi dietro al tavolo, individuò il pulsante che comandava l’apertura.

Tra un silenzio assoluto i due battenti si aprirono, e davanti ai tre apparve l’ufficio lussuoso del presidente. Altho Franken era curvo su una gran­de carta. In piedi accanto al tavolo, con le spalle voltate verso la porta, c’era un ufficia­le delle guardie, con la pistola ad ago infilata nella cintura e l’uniforme costellata di nastrini.

Per un secondo, Franken continuò a esaminare in silen­zio il punto che la guardia gli indicava sulla carta; poi a un tratto, si rese conto che le porte non erano più bloccate.

«Che c’è, Milt?» chiese, alzando gli occhi. Appena vi­de, nel riquadro della porta, i due uomini armati, si sbiancò in faccia.

L’agente, meccanicamente, si voltò di scatto e la sua grossa mano corse all’arma che gli pendeva sull’anca.

«Bob» ansimò Franken. Poi, riavutosi dallo stupore, cercò di afferrare qualcosa sot­to il tavolo.

La guardia, con in pugno la pistola ad ago, si gettò di lato, e contemporaneamente alzò la mano per prendere la mira. La 45 di Janas sparò con un rombo assordante, che riecheg­giò a lungo tra le pareti dell’uf­ficio.

Il proiettile raggiunse l’agen­te nell’istante in cui premeva il grilletto, e lo colpi nel bel mezzo della fila di nastrini colorati che gli ornavano la giacca. L’uomo barcollò all’indietro, rantolando, con un’e­spressione di enorme sbalordi­mento. La pistola a ago crepi­tò ancora, poi gli sfuggì di mano. La guardia crollò sul tappeto e rimase immobile. Nel frattempo era entrato in azione lo stordigente di D’Lugan, e Altho Franken si afflo­sciò sul tavolo, rovesciando, con la mano inerte, un grosso bicchiere. Il liquido color am­bra si sparse sulla mappa e colò sul tappeto.

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