I terminal lunari non gli erano mai apparsi tanto affollati, né la gente così tranquilla come quel giorno. Tutto, sulla Luna, appariva ancora normale; non c’era traccia di bombardamenti, e ogni cosa era a posto, dal personale della stazione alle installazioni automatiche. Si notava, è vero, un numero insolito di soldati, ma erano pochi quelli che si mescolavano alla folla formicolante e imbronciata. Quasi tutti se ne stavano silenziosi, armati, con indosso la divisa verde da combattimento della Confederazione, impassibili, addossati alle pareti.
La gente, invece... Sulle facce dei presenti si leggeva una paura che sfiorava il panico. Molti erano profughi, come, del resto, lo era anche lui, arrivato allora allora dallo spazio. Quella gente sapeva che cosa stava capitando “Lassù” e che cosa, tra poco, sarebbe avvenuto anche li, sulla Luna, e aveva paura.
Si voltò per dare un’occhiata al di là della cupola trasparente che ricopriva quel settore dell’immenso terminal lunare. Delle ombre, nitide e crude, tagliavano lo spazioporto, allungandosi, lentamente, impercettibilmente, a mano a mano che l’altra faccia del satellite ruotava verso il Sole. Là fuori, nel vuoto deserto della superficie lunare, illuminata dal Sole ancora violento del tardo pomeriggio, c’era l’astronave che l’aveva ricondotto da Odino sul satellite della Terra. Giaceva tranquilla e quieta, come un grosso bestione metallico scaraventato da un tremendo uragano su quella landa così poco accogliente, all’estremità meridionale del Mare Serenitatis, com’era impropriamente chiamato quel deserto. Si chiese se quel grosso animale si sarebbe ancora librato negli oceani dello spazio: aveva molti dubbi, in proposito.
Il comandante Robert L. Janas, della Compagnia di Navigazione Solare, comandante il capo del terminal di Odino della CNS, e in precedenza comandante della “President Regan” della stessa compagnia, terrestre di nascita ma spaziale di mestiere, alzò gli occhi al nero cielo lunare e osservò la mezza falce della Terra stagliarsi brillante, come un giocattolo dipinto, contro il velluto del cielo costellato di stelle.
“Finora era andata bene” pensò il comandante “ma addio fortuna, ormai.” Brontolò fra i denti una preghiera, o forse un’imprecazione, e nel momento in cui stava per voltarsi, fu attirato da un punto luminoso che saliva nel cielo. I punti in movimento, illuminati dal sole, affluirono uno dopo l’altro, divennero dozzine, formarono una flotta, anzi un’armata di astronavi, che affollavano il cielo lunare decollando da un punto remoto ai margini della piatta distesa del Mare Serenitatis. Lui conosceva quelle navi, una per una, ne sapeva i nomi, ne conosceva la destinazione. Un brivido gli corse lungo la schiena. Janas snocciolò quei nomi, mentre gli scafi salivano altissimi in cielo, si mettevano in orbita attorno alla Luna, in attesa di essere raggiunti dai compagni. Ecco, muovevano verso le stelle la “Maratona” e la “Belleau”, la “Bull Run” e la “Azincourt”, la “Salamina” e la “Argonne”, la “Pork Chop Hill” e la “Waterloo”, e tante altre unità dai nomi ugualmente famosi. Il fior fiore della flotta della Confederazione Terrestre, le più poderose navi da battaglia spaziali si levavano in volo dalla Luna. Tra breve, come sapeva Janas, sarebbero state raggiunte dalla flotta degli incrociatori della Confederazione, che in quel preciso momento salpava dagli altri aeroporti lunari: navi che portavano il nome di “North Carolina” e di “Revenge”, di “Victory” e di “Bismarck”, di “Royal William” e “Hood”, di “Yamato” e “Alabama”, e cento altre ancora.
Sarebbero entrate in orbita, tutte insieme, attorno alla Luna, per poi sciamare verso le stelle, dove in un punto perduto nello spazio nero, in un punto di un altro universo, era ad attenderle un’altra flotta, una flotta le cui navi portavano nomi altrettanto famosi, e che erano condotte da altri uomini come loro. Allora la battaglia avrebbe avuto inizio e la Grande Rivolta avrebbe toccato il culmine. E poi?
Janas distolse lo sguardo dal cielo, chiedendosi che cosa sarebbe avvenuto di lì a un mese. I terminal lunari sarebbero stati ancora in grado di funzionare? O meglio, ci sarebbero ancora stati i terminal? E la flotta? L’avrebbe rivista sciamare lassù, nel cielo nero? E la Terra? Sarebbe ancora apparsa, tra un mese, tutta verde e azzurra, oppure avvolta da una coltre desolata di fumo e di vapori?
Robert L. Janas, comandante della Compagnia di Navigazione Solare, nell’anno 979 della Confederazione, corrispondente al 3483 del vecchio calendario, era a metà della sua vita. Era un uomo alto, con la pelle color caffellatte, fatto piuttosto insolito per un uomo originario, come lui, dell’America del Nord. Da parte di madre, però, Janas discendeva dalle genti che abitano le pianure dell’Asia, e nelle vene gli scorreva un sangue vigoroso. La faccia angolosa, con i lineamenti duri, ricordava quella di un guerriero medioevale; poche donne lo giudicavano un bell’uomo, nessuna però lo considerava brutto. Aveva gli occhi scuri e profondi, gli occhi di un uomo abituato a scrutare nelle profondità infinite dello spazio, occhi da sognatore, in una faccia da guerriero: e forse per questo c’era qualcosa, nel suo aspetto, che faceva pensare ai guerrieri coperti di acciaio, ai castelli turriti e agli spadoni del Medio Evo. Nei capelli scuri si notavano delle striature di un grigio precoce, che lo facevano apparire più vecchio di quanto fosse. Quando camminava, zoppicava leggermente ma in modo evidente; una cicatrice e un trapianto al femore erano gli unici segni di uno scontro avuto su mondi lontani, in tempi così remoti che non se ne ricordava nemmeno più. L’uniforme azzurra e oro gli stava perfettamente e, per dirla in breve, il comandante Robert Janas era, dalla testa ai piedi, un comandante spaziale.
Quel giorno, però, nell’anno 979 CT, mentre dalla piattaforma lunare osservava le flotte della Confederazione puntare verso le stelle, Janas provava solo un senso di fredda apprensione. La fine era vicina, fra poco l’Imperium sarebbe crollato e l’umanità sarebbe ripiombata nel Medio Evo; eppure, non c’era niente da fare per impedire la catastrofe.
Janas si passò nella destra la borsa che reggeva colla sinistra, lasciò il ponte d’osservazione e si diresse verso il centro della grande cupola. Intorno alla sede del calcolatore riservato alla prenotazione posti, in quel momento insolitamente muto e inattivo, facevano cerchio, sul pavimento colorato, i lunghi tavoli degli uffici informazioni e prenotazioni. Al di sopra del calcolatore, su un piedestallo, spiccava il video 3D della TV e, all’interno della vasca tridimensionale, appariva, seduto dietro a un grosso tavolo, un giovanotto dall’aria simpatica. Aveva davanti a sé diversi fogli di carta che sfogliava nervosamente, mentre alle sue spalle, sulla parete, c’era una proiezione “Mercator” della Terra, contrassegnata dalle lettere intrecciate CT, simbolo della Confederazione. Il giovanotto stava parlando.
”...dopo settimane di discussioni. Il cittadino Herrera, Presidente della Confederazione, ha annunciato un’ora fa che il cittadino Altho Franken, presidente della Compagnia di Navigazione Solare, ha concesso l’uso delle navi della Compagnia e del relativo personale a difesa del territorio della Confederazione contro il ribelle Kantralas.”
La faccia del telecronista sparì dallo schermo, lasciando il posto alla figura dura e tarchiata del presidente della Confederazione Terrestre, il cittadino Jonal Constantine Herrera. Nell’angolo inferiore destro della vasca tridimensionale apparve la parola “registrazione”. Il personaggio cominciò a parlare: “Il nobile gesto del cittadino Altho Franken sarà ricordato a lungo dai popoli della Confederazione. La Compagnia di Navigazione Solare ha sempre mantenuto, come tutti sappiamo, una posizione di neutralità nei conflitti politici, e sono comprensibili, perciò, le esitazioni del cittadino Franken prima di infrangere una tradizione consacrata dal tempo. Ma il gesto del cittadino Franken è destinato a entrare nella storia, perché segnerà la svolta decisiva nella nostra lunga, aspra battaglia, diretta a mantenere l’integrità della Confederazione”.
La figura di Herrera sparì dallo schermo, mentre ricomparivano la faccia e la voce del telecronista. “Il presidente Herrera ha proseguito dicendo...”
Janas si allontanò di scatto dal video 3D, e gli parve quasi di sentirsi male. “Stupido!” brontolò tra sé. “Maledetto stupido!”
Cercò un posto dove sedersi e riordinare le idee. Apri la borsa, tirò fuori le copie dei rapporti per i quali aveva affrontato quella traversata di anni-luce che l’avrebbe portato sulla Terra solo per consegnare a Altho Franken i rapporti riguardanti i mondi stellari e le forze dei ribelli. Franken, quando Janas gli aveva parlato di quei rapporti, aveva chiesto di vederli, e lo aveva pregato di tornare sulla Terra, per esporgli la sua opinione sull’esito probabile del conflitto. Inoltre s’era impegnato a non prendere decisioni definitive nei confronti della CNS, senza aver prima visto quei rapporti e aver parlato con Janas. E adesso che Janas, dopo aver affrontato distanze di anni-luce, si trovava ad appena 384.000 chilometri dalla Terra, Franken era venuto meno alla promessa fatta e aveva messo il futuro della CNS nelle mani del presidente della CT, Jonal Herrera. Se almeno avesse aspettato quelle poche ore, se prima di decidere avesse parlato con Janas, forse si sarebbe potuta evitare la distruzione dell’intera civiltà.
Janas ricacciò i fogli nella borsa, e chiuse questa con violenza, augurandosi che la nausea gli passasse.
«Comandante Robert Janas» chiamò una voce dagli altoparlanti sospesi attorno alla colonna di sostegno della 3D. «Il comandante Robert Janas è pregato di presentarsi allo sportello prenotazioni della Compagnia di Navigazione Solare, settore A-3.»
Dopo un secondo di silenzio la simpatica voce femminile ripeté il messaggio.
Janas si alzò con cautela e si mosse in direzione dei tavoli. La ragazza seduta al tavolo indossava un vestito che lasciava scoperte molte cose, e che, come si capiva dal taglio e dai colori, era la divisa della CNS. Janas intuì che da quando era partito dalla Terra, laggiù dovevano esserci stati molti cambiamenti. La ragazza gli sorrise.
«Sono Robert Janas.»
«Buongiorno, comandante» disse lei. «C’è una chiamata dalla Terra per voi. Alla cabina dodici, prego» e gli indicò una fila di cabine che si aprivano lungo il corridoio che collegava quel settore con l’edificio principale del terminal.
«Grazie» rispose Janas, dirigendosi verso le cabine.
Pochi minuti dopo, seduto in una comoda poltrona davanti a una parete liscia e vuota, Janas faceva un rapido esame dei due quadri-comando che si protendevano verso di lui. A destra, c’era il quadro-comunicazioni, fornito di una serie di pulsanti che servivano a sintonizzare le immagini e i suoni che avrebbero animato lo schermo appena lui avesse passato la mano davanti alla fotocellula. A sinistra, invece, c’era il bar automatico. La scoperta di quest’ultimo, in quel particolare momento, gli fece un grande piacere. Janas infilò la moneta nella fessura e premette il bottone; un momento dopo un pannello si aprì, e venne avanti un grosso bicchiere di whisky. Sentendosi già subito meglio, Janas passò la mano davanti alla fotocellula.
Finora non si era ancora chiesto chi volesse parlare con lui dalla Terra. Enid non sapeva niente di quel viaggio, e, delle due sole persone che ne erano al corrente, il cittadino Altho Franken, in quel momento, non sentiva certo il bisogno di parlargli.
La parete di fronte s’illuminò un secondo e subito divenne trasparente. Davanti a Janas adesso si apriva un’altra cabina, separata dalla sua soltanto da un foglio sottile di paraglas. La nuova cabina era grande come la sua, ma un po’ più lussuosa e, sulla parete di fronte, spiccava il disco solare circondato dai raggi: cioè l’emblema della Compagnia di Navigazione Solare.
A due metri da Janas, e l’illusione era perfetta, era seduto un uomo piuttosto tarchiato, con la pelle chiara e i capelli rossi, più giovane di lui di una decina d’anni. Lo scarto temporale dovuto alla trasmissione a velocità della luce era l’unico segno che tradisse l’irrealtà dell’immagine.
Quando Janas inserì il trasmettitore, una cinquantina di telecamere lo ripresero in 3D e inviarono l’immagine sulla Terra. Un segnale per arrivare dalla Luna alla Terra impiegava un secondo e tre decimi, ma il segnale di risposta richiedeva molto più tempo per ritornare sulla Luna. Passarono due secondi e mezzo, e finalmente l’immagine sullo schermo parlò e sorrise. «Ciao, Bob.»
«Ciao, Jarl.»
Jarl Emmett, Supervisore alla sede centrale della CNS, si mosse sulla sedia, tirò fuori un sigaro e lo accese.
«Hai sentito la novità, Bob?» chiese Emmett, soffiando una nuvola di fumo contro la pseudo parete che li separava.
«Ho sentito» rispose Janas. Mentre aspettava che il segnale arrivasse sulla Terra e ritornasse, buttò giù un sorso di whisky.
«Altho non ce la faceva proprio più ad aspettare» disse Emmett, rabbiosamente. «Non ci ha detto niente. Io l’ho saputo dal telegiornale, un’ora fa.»
Janas annuì, ma non disse nulla.
«Per la miseria, Bob, non so cosa fare» disse Emmett. «Forse, ma ne dubito, tu riuscirai ancora a parlargli. Ormai si è impegnato e non credo che, anche se volesse, potrebbe più tirarsi indietro.»
«E se chiedessimo la convocazione dell’assemblea?» disse Janas. «Dopotutto, Altho è un funzionario eletto.»
«Già, eletto» brontolò Emmett dopo il solito intervallo. «Scusami, Bob, ma hai mai sentito, tu, che un Franken abbia perso la presidenza?»
Janas scosse lentamente la testa.
«E anche se lo ritenessimo possibile, non siamo abbastanza potenti, in consiglio. Sono mesi che molti consiglieri fanno pressioni perché lui prenda quella decisione.»
«Ma non possiamo, adesso, cedere le armi» disse Janas, freddamente. «Dobbiamo tentare tutto il possibile.»
Emmett, a un tratto, si voltò per guardarsi attorno, come se temesse che qualcuno potesse sentire, anche se sapeva che, senza un apparecchio speciale, non era possibile intercettare il segnale. La Confederazione, però, e Altho Franken possedevano quell’apparecchio.
«Hai ragione» disse alla fine Emmett. «Ne parleremo quando sarai qui. Quando parte il tuo traghetto?»
Janas diede un’occhiata all’orologio. «Tra un’ora e mezza.»
«Benissimo» disse Emmett, dopo il solito intervallo. «Vengo ad aspettarti allo spazioporto. C’è altro?»
Janas per qualche secondo tacque, poi scosse la testa negativamente.
«Buon viaggio allora, Bob» disse Emmett, allungando la mano verso il quadro-comandi di destra.
Janas gli sorrise, ma non disse niente.
La parete di fronte s’illuminò per un secondo, e ridivenne opaca. Janas, ancora per un pezzo, rimase al suo posto.
Finalmente, come oppresso da un grande peso, portò il bicchiere alle labbra e buttò giù il resto del whisky. Si asciugò bruscamente la bocca col dorso della mano, si alzò, raccolse la borsa e uscì dalla cabina.