55

La giornata è stata lunga e noiosa: Nemes ha riposato per qualche ora e si è svegliata appena ha percepito il dislocamento dovuto all’attivazione del teleporter situato quindici chilometri a monte. Si è spostata più in alto sulle rocce laviche, si è nascosta dietro un tronco caduto e ha atteso l’atto seguente.

L’atto seguente, ha pensato poi, è stato una farsa. Ha osservato il trambusto nel fiume, il goffo salvataggio dell’uomo artificiale (dell’uomo artificiale meno un braccio artificiale, si è corretta) e poi, con un certo interesse, la bizzarra comparsa dello Shrike. Ovviamente sapeva già che lo Shrike era nelle vicinanze, dal momento che le vibrazioni di dislocamento del suo passaggio nel continuum non erano molto diverse da quelle dovute all’apertura del portale. Addirittura è passata al modo temporapido per guardare lo Shrike entrare a guado nel fiume e fare da spauracchio agli umani. Era rimasta perplessa: cosa faceva, quella creatura obsoleta? Teneva gli umani alla larga dalla trappola di forficule, oppure li spingeva verso di lei come un bravo cane da pastore? Nemes sapeva già che la risposta dipendeva dalla fazione che in primo luogo aveva inviato in missione quella mostruosità tutta lame.

Non è che avesse grande importanza. Nel Nucleo si pensava che lo Shrike fosse stato creato e mandato indietro nel tempo da una precoce iterazione dell’Intelligenza Finale. Si sapeva che lo Shrike aveva fallito e che sarebbe stato sconfitto di nuovo nelle lotte del remoto futuro tra l’IF umana appena nata e il Dio Macchina in maturazione. Quale che fosse il caso, lo Shrike era un fallimento e una nota in calce a quel viaggio. Nemes non aveva altro interesse in quella creatura se non la speranza, ormai labile, che le fornisse un attimo d’animazione come avversario.

Ora, guardando gli esausti esseri umani e il comatoso androide giacere scompostamente sull’erba, Nemes si stufa di restare passiva. S’infila saldamente nella cintura la sacca per campioni, nasconde nella fascetta velcro che porta al polso la scheda della trappola sfinge, scende dalle rocce di lava e avanza sulla sporgenza erbosa.


Il giovanotto, Raul, ha piegato il ginocchio e regola un laser a bassa energia. Nemes non può fare a meno di sorridere. — Non useresti su di me quell’affare, vero? — dice.

Il giovanotto non risponde. Solleva il laser. Potrebbe adoperarlo su di lei, senza dubbio nel tentativo di accecarla, pensa Nemes; in questo caso, decide, muterà fase e glielo caccerà in gola e giù fino negli intestini… senza spegnere il raggio.

Aenea la guarda per la prima volta. Nemes capisce per quale motivo il Nucleo sia nervoso per il potenziale della bambina… elementi d’accesso del Vuoto Legante tremolano intorno a Aenea come elettricità statica… ma capisce pure che la bambina è lontana anni luce dall’usare il proprio potenziale in quell’area. Tutto quello Sturm und Drang e tutta quella galoppante urgenza sono stati sprecati. La bambina umana non è soltanto immatura nei propri poteri, è anche all’oscuro del loro vero significato.

Nemes si rende conto d’avere avuto una leggera preoccupazione che la bambina in sé potesse porle un problema nei secondi finali, attingendo in qualche modo a un’interfaccia del Vuoto Legante e creandole difficoltà. Capisce d’essersi sbagliata a preoccuparsi. Per quanto possa parere strano, rimane delusa. — M’aspettavo qualcosa di più interessante — dice e si avvicina di qualche passo.

— Cosa vuoi? — domanda il giovane Raul, alzandosi a fatica. Nemes vede che il giovanotto è esausto per lo sforzo di tirare all’asciutto i suoi due amici.

— Da te non voglio niente — risponde con disinvoltura. — E neppure dal tuo moribondo amico dalla pelle azzurra. Da Aenea voglio solo alcuni secondi di conversazione. — Indica con un cenno i vicini alberi, fra i quali ha seminato le micromine claymore. — Perché non porti fra gli alberi il tuo golem e non aspetti che la bambina ti raggiunga? Scambierò con lei qualche parola in privato, poi sarà tua. — Si avvicina di un altro passo.

— Sta’ indietro — dice Raul. Punta la piccola torcia laser.

Nemes alza le mani, come spaventata. — Ehi, socio, non sparare — dice. Non sarebbe preoccupata nemmeno se quel laser fosse di un amperaggio diecimila volte superiore.

— E tu sta’ indietro — dice Raul. Tiene il pollice sul pulsante. Il laser giocattolo è puntato contro gli occhi della donna.

— Va bene, va bene — dice Nemes. Arretra d’un passo. E muta fase, diviene una luccicante figura di cromo, solo approssimativamente umana.

— Raul! — grida Aenea.

Nemes si è stufata. Passa al modo temporapido. Davanti a lei il quadro si congela. Aenea ha la bocca aperta, parla ancora, ma le vibrazioni non muovono l’aria. Il fiume rapinoso è impietrito, come in una fotografia a velocità di scatto assurdamente elevata. Goccioline di spruzzaglia sono sospese a mezz’aria. Un’altra goccia d’acqua è sospesa un millimetro sotto il mento gocciolante di Raul.

Nemes avanza e toglie di mano a Raul la torcia laser. Ha la tentazione di seguire subito il precedente impulso e poi passare al modo tempolento per osservare la reazione dei tre, ma con la coda dell’occhio vede Aenea… la manina ancora stretta a pugno… e si rende conto d’avere del lavoro da fare, prima di divertirsi.

Lascia cadere lo strato morfico di sfasamento quanto basta a togliere dalla cintura la sacca per campioni e torna come prima. Si avvicina alla figuretta accucciata, con la sinistra apre la sacca, come se fosse un cesto, tenendola sotto il mento della bambina, e rende rigidi la mano destra e tutto l’avambraccio, facendoli diventare una lama affilata quasi quanto il monofilo ancora sospeso sul fiume.

Dietro la maschera di cromo, sorride. — Addio… ragazzina — dice. Ha ascoltato di nascosto la conversazione, quando il terzetto si trovava diversi chilometri a monte del fiume.

Muove in un arco omicida l’affilato avambraccio.


— Che diavolo succede? — grida il caporale Kee. — Non vedo.

— Calma — ordina de Soya. I due uomini occupano le poltroncine di comando e stanno chini sui monitor telescopici.

— Nemes è diventata… non so… metallica — dice Kee, facendo girare di nuovo il video in un ripetitore, mentre osserva il quadro in movimento più in basso — e poi è scomparsa.

— Il radar non la rileva — dice de Soya, passando attraverso vari modi sensori. — Niente infrarossi… anche se nelle immediate vicinanze la temperatura si è alzata di quasi dieci gradi. Intensa ionizzazione.

— Cella di tempesta locale? — domanda Kee, stupito. Prima che de Soya possa rispondere, indica il monitor. — E ora cosa succede? La bambina è caduta. A quel tipo accade qualcosa…

— Raul Endymion — dice de Soya, cercando di migliorare la qualità dell’immagine sul monitor. Il calore in aumento e la turbolenza atmosferica provocano increspature nell’immagine e la confondono malgrado il computer tenti di stabilizzarla. La Raffaele è in posizione a soli 280 chilometri sull’ipotetico livello del mare di Boschetto Divino, troppo bassa per seguire una facile orbita geosincrona e abbastanza bassa per protestare a causa dell’espansione dell’atmosfera in aggiunta al riscaldamento molecolare che già subisce.

Il Padre Capitano de Soya ha visto quanto basta per prendere una decisione. — Togli energia alle funzioni nave e abbassa al minimo il supporto vita — ordina. — Porta il nucleo di fusione al 115 percento e stacca gli schermi deflettori anteriori. Sposta l’energia su uso tattico.

«Non sarebbe consigliabile…» inizia la voce della nave.

— Annullo la risposta a voce e i protocolli di sicurezza — replica bruscamente de Soya. — Codice di priorità delta-nove-nove-due-zero. Autorizzazione diskey papale… subito. Conferma su monitor.

I monitor si riempiono di colonne dati che si sovrappongono alla mobile immagine sul terreno. Kee guarda a occhi sgranati. — Buon Dio — mormora il caporale. — Oh, Dio santo!

— Sì — gli fa eco de Soya, guardando l’energia scendere sotto la linea rossa in tutti i sistemi, tranne il monitoraggio visivo e tattico.

In quel momento sulla superficie del pianeta iniziano le esplosioni.


A questo punto ebbi esattamente il tempo sufficiente ad avere un’eco retinica della donna che si mutava in una confusa ombra argentea; battei le palpebre e mi accorsi che la torcia laser era sparita dalla mia mano. L’aria diventava iperriscaldata. Ai lati di Aenea l’aria all’improvviso si annebbiò e parve riempirsi di una figura cromata in lotta… sei braccia, quattro gambe, lame vibranti. Mi lanciai verso la bambina, anche se sapevo di non poter intervenire in tempo, ma… con mio stupore… la raggiunsi in tempo per tirarla a terra e rotolare lontano dall’esplosione d’aria calda e di movimento confuso.

Il segnale d’allarme del medipac entrò in funzione come uno struscio d’unghie sulla lavagna… un suono impossibile da trascurare. A. Bettik stava morendo. Coprii col mio corpo Aenea e la spinsi verso l’androide. Allora nei boschi intorno a noi iniziarono le esplosioni.


Nemes muove in un arco il braccio e non si aspetta d’incontrare ostacoli mentre la lama passa attraverso muscoli e vertebre; invece sobbalza per il violento urto.

Abbassa gli occhi. L’affilato spigolo della sua mano è incastrato nella stretta di due serie di dita a lama. L’avambraccio è bloccato da altre due mani affilate come bisturi. Lo Shrike si avvicina, le lame sulla parte inferiore del corpo sfiorano il viso impietrito della bambina. Gli occhi della mostruosa creatura risplendono di un rosso acceso.

Per un attimo Nemes è sorpresa e assai irritata, ma non si allarma. Strappa via la mano e salta indietro.

Il quadro è esattamente com’era un secondo prima… il fiume è in tempo congelato, la mano vuota di Raul Endymion è protesa come se premesse il pulsante d’accensione del piccolo laser, l’androide giace moribondo sul terreno mentre le spie luminose sono impietrite a metà del palpito… solo la bambina è ora coperta dall’ombra dell’enorme massa dello Shrike.

Sotto la maschera di cromo, Nemes sorride. Concentrata sul collo della bambina, non ha notato la goffa creatura avventarsi in temporapido su di lei. Un errore che non ripeterà più.

— La vuoi? — dice Nemes. — Anche tu sei stato inviato a ucciderla? Accomodati pure… purché abbia io la sua testa.

Lo Shrike ritira le braccia e gira intorno alla bambina: le spine e le lame del ginocchio mancano gli occhi di Aenea per meno di un centimetro. A gambe divaricate, lo Shrike si erge fra Nemes e Aenea.

— Oh, non la vuoi? — dice Nemes. — Allora me la riprendo. — Si muove più veloce del temporapido, finta a sinistra, gira a destra, vibra il colpo. Se lo spazio intorno a lei non fosse distorto dallo spiazzamento, i contraccolpi sonici distruggerebbero qualsiasi cosa nel raggio di chilometri.

Lo Shrike para il colpo. Scintille scaturiscono dal cromo e fulmini si scaricano nel terreno. La mostruosa creatura fende l’aria dove Nemes si trovava un nanosecondo prima. Nemes gira intorno, vibra alla schiena della bambina un calcio che le farebbe schizzare dal petto la spina dorsale e il cuore.

Lo Shrike devia il calcio e fa volare Nemes. La figura cromata della donna ricade trenta metri più in là, tra gli alberi, e fracassa rami e tronchi che dopo il suo passaggio rimangono sospesi a mezz’aria. Lo Shrike si lancia in temporapido all’inseguimento.

Nemes urta un masso e si conficca per cinque centimetri nella solida roccia. Percepisce lo Shrike passare al modo tempolento, mentre corre verso di lei; lo imita e passa anche lei nel rumore e nel movimento. Gli alberi si spezzano tra gli schiocchi e prendono fuoco. Le mini-claymore non percepiscono battito cardiaco né respiro, ma sentono la pressione e balzano verso di essa, esplodono a centinaia, in una reazione a catena di cariche sagomate che spingono l’una contro l’altro Aenea e lo Shrike, come due metà di un’antica bomba atomica a implosione.

Lo Shrike ha sul torace una lunga lama ricurva. Nemes conosce le storie sulle vittime che quella creatura ha impalato e trascinato via per appenderle alle spine più lunghe dell’Albero del Dolore. Non s’impressiona. Mentre Aenea e lo Shrike sono spinti l’una addosso all’altro dalle cariche sagomate che esplodono intorno a loro, il campo di spiazzamento di Nemes piega su se stessa la spina toracica dello Shrike. La creatura spalanca mascelle simili a pale di bulldozer e lancia un ruggito ultrasonico. Nemes vibra il braccio contro il collo dello Shrike e scaglia la mostruosa creatura a quindici metri di distanza nel fiume.

Distoglie l’attenzione dallo Shrike e si gira verso Aenea e gli altri. Raul si è gettato sulla bambina per farle da scudo. "Davvero toccante" pensa Nemes e passa al modo temporapido, congelando perfino le lingue di fiamma arancione che si allargano dal punto dove c’è lei, al centro del fiore dell’esplosione.

Attraversa a passo svelto la muraglia semisolida dell’onda d’urto e si lancia di corsa verso la bambina e il suo amico. Taglierà la testa a tutt’e due e terrà per sé come ricordo quella dell’uomo, dopo avere consegnato quella della bambina.

Nemes è a meno d’un metro da Aenea, quando lo Shrike emerge dalla nube di vapore che l’attimo prima era un fiume e attacca l’avversaria dal lato cieco, dalla sinistra. Il braccio di Nemes fende l’aria a un centimetro dalla testa di Aenea e di Raul, mentre la donna e lo Shrike rotolano lontano dal fiume, tranciando il terreno fino al basamento roccioso e abbattendo alberi finché non urtano contro un’altra muraglia di roccia. Il carapace dello Shrike proietta scintille, mentre le enormi mascelle si spalancano e i denti si serrano sulla gola di Nemes.

— Ma… non… scherzare… maledizione — ansima Nemes da dietro la maschera di dislocamento. Non ha in programma di farsi azzannare a morte da un obsoleto cambia-tempo. Modifica in lama la mano e, mentre le file di denti traggono scintille e fulmini dalla sua gola schermata, la conficca profondamente nel torace dello Shrike. Sogghigna nel sentire le quattro dita trapassare armatura e carapace. Afferra una manciata di visceri e con uno strattone li strappa via, augurandosi di staccare gli schifosi organi, quali che siano, che tengono in vita quella belva mostruosa; si ritrova solo con una manciata di tendini affilati come rasoi e di schegge di carapace. Ma lo Shrike barcolla all’indietro, mulinando come falci le quattro braccia. Muove ancora le possenti mascelle, come se non riesca a credere di non azzannare più la vittima.

— Su, vieni! — dice Nemes, avanzando contro lo Shrike. — Vieni! — Vuole distruggerlo (il sangue le è andato alla testa, come solevano dire un tempo gli uomini), ma è abbastanza calma da sapere che il suo compito è un altro. Deve solo distrarre lo Shrike, oppure renderlo inoffensivo al punto che le sia possibile decapitare la bambina. Allora lo Shrike non avrà più importanza, per sempre. Forse Nemes e quelli della sua razza lo terranno in uno zoo per dargli la caccia nei momenti di noia. — Su, vieni — lo provoca, muovendo un altro passo avanti.

Lo Shrike è ferito, tanto da uscire dal modo temporapido senza staccare i campi di dislocamento. Nemes potrebbe distruggerlo con facilità, ma c’è sempre il campo di dislocamento: se ora gira intorno al campo, lo Shrike può passare al modo temporapido mentre lei gli dà le spalle. Allora lo segue in tempolento, contenta di risparmiare energia.


— Cristo! — esclamai, alzando gli occhi ma continuando a proteggere Aenea. Lei guardava dal cavo del mio braccio.

Accadeva tutto nello stesso tempo. L’allarme del medipac di A. Bettik strideva, l’aria era calda come l’alito di una fornace, la foresta dietro di noi esplodeva in fiamme e rumori, schegge d’albero scagliate dal vapore iperriscaldato riempivano l’aria sopra di noi, il fiume lanciava un geyser di vapore e all’improvviso lo Shrike e la cromata figura umana facevano finte e vibravano colpi a meno di tre metri da noi.

Aenea non badò al massacro, strisciò fuori dal riparo del mio corpo, si mosse a tentoni sul terreno fangoso per raggiungere A. Bettik. Le andai dietro, guardando le confuse sagome cromate lanciarsi una contro l’altra e scontrarsi. Elettricità statica schizzava dai due contendenti e balzava contro le rocce e il terreno rovinato.

— Massaggio cardiaco! — gridò la bambina e cominciò a comprimere il torace di A. Bettik. Balzai sull’altro lato dell’androide e lessi le spie del medipac. A. Bettik non respirava. Il cuore si era fermato da mezzo minuto. Eccessiva perdita di sangue.

Qualcosa d’argenteo e affilato saettò verso la schiena di Aenea. Mi mossi per tirare a terra la bambina, ma, prima di poterla raggiungere, un’altra forma metallica intercettò la prima e nell’aria esplose il fragore di metallo contro metallo. — Lascialo a me! — gridai, spingendo da parte Aenea e cercando di tenerla dietro di me, mentre premevo sul torace di A. Bettik e cercavo il giusto ritmo delle compressioni. Le spie luminose del medipac mostravano che i nostri sforzi spingevano il sangue nel cervello dell’androide. I polmoni ricevevano ed emettevano aria, ma non senza il nostro aiuto. Continuai le pressioni, guardando da sopra la spalla le due figure muoversi rumorosamente, rotolare, entrare in collisione a velocità quasi supersonica. L’aria puzzava d’ozono. Faville della foresta in fiamme volavano intorno a noi e nubi di vapore sibilavano e si gonfiavano.

— L’anno… prossimo… — gridò Aenea per superare il frastuono, battendo i denti malgrado il sudore provocato dall’aria caldissima — andiamo… in vacanza… da un’altra parte.

La fissai, pensando che fosse impazzita. Aveva occhi stralunati, ma non del tutto pazzi. Era la mia diagnosi. Il medipac mandò lo stridio d’allarme e continuai le compressioni.

Dietro di noi ci fu un’improvvisa implosione, chiaramente percettibile sopra lo scoppiettio delle fiamme, il sibilo del vapore e il fragore di scontri metallici. Girai la testa per guardare da sopra la spalla, senza mai smettere il massaggio cardiaco sul torace di A. Bettik.

L’aria tremolò e una sola figura comparve nel punto dove due si erano scontrate. Poi la superficie metallica s’increspò e scomparve. La donna era lì. Non aveva un capello fuori posto e non mostrava segni di fatica.

— Allora, a che punto eravamo? — disse. Avanzò senza fretta.


In quegli ultimi secondi di battaglia non è stato facile piazzare la trappola sfinge. Nemes usa tutta l’energia per ribattere alle lame turbinanti dello Shrike. Le pare di combattere contro parecchie eliche rotanti tutte insieme. È già stata su pianeti con velivoli spinti da eliche. Due secoli prima, su uno di quei pianeti ha ucciso il Console dell’Egemonia.

Adesso controbatte braccia mulinanti, senza mai staccare lo sguardo dagli occhi ardenti. "Il tuo tempo è trascorso" pensa, rivolgendosi allo Shrike, mentre braccia e gambe, protette dal dislocamento, menano fendenti e controfendenti, come falci invisibili. Penetrando nel campo meno focalizzato dello Shrike, Nemes afferra una giuntura del braccio superiore e strappa via spine e lame. Quel braccio ricade, ma cinque bisturi della mano inferiore penetrano nell’addome di Nemes e cercano di sventrarla.

— No no — dice Nemes, con un calcio alla gamba destra dello Shrike, sbilanciandolo per un millesimo di secondo. — Non correre troppo.

Lo Shrike barcolla e in quell’attimo di vulnerabilità Nemes toglie dalla fascia che porta al polso la scheda sfinge; sfruttando una breccia di cinque nanosecondi nel proprio campo di dislocamento, posiziona la scheda esattamente nel palmo della propria mano e la sbatte in una punta che sporge dal collo dello Shrike.

— Ecco fatto — grida, balzando indietro. Passa in temporapido per controbattere il tentativo dello Shrike di staccare la scheda e l’attiva pensando a un cerchio rosso.

Si allontana ancora, mentre il campo iperentropico si manifesta con un ronzio e scaglia lo Shrike cinque minuti nel futuro. Lo Shrike non può tornare, mentre quel campo continua a esistere.

Rhadamanth Nemes torna in tempolento e spegne il campo. La brezza, per quanto surriscaldata e piena di faville, le dà un piacevole senso di freschezza. — Allora — dice Nemes, godendosi l’espressione nelle due paia d’occhi umani — a che punto eravamo?


— Lo faccia! — grida il caporale Kee.

— Non posso — dice de Soya, ai comandi. Tiene il dito sull’onni-presa tattica. — Acqua a terra. Esplosione di vapore. Li ucciderebbe tutti. — I quadri di comando della Raffaele mostrano ogni erg di energia deviata, ma non serve a niente.

Kee abbassa il microfono a perla, commuta l’interruttore su tutti i canali e comincia a trasmettere su raggio compatto, assicurandosi che il reticolo inquadri l’uomo e la bambina, non la donna che avanza.

— Non servirà a niente — dice de Soya. In tutta la sua vita non si è mai sentito così frustrato.

— Rocce — grida intanto Kee nel microfono. — Rocce!


Mi ero alzato, spingevo Aenea tenendola dietro di me e rimpiangevo di non avere la pistola, la torcia laser, qualsiasi cosa, mentre la donna si avvicinava. La carabina al plasma era sempre nella sacca impermeabile sulla riva a soli due metri da me. Dovevo solo fare un balzo, aprire la sacca, togliere la sicura, aprire il calcio ripiegato, puntare e sparare. Non credevo che quella donna sorridente me ne avrebbe lasciato il tempo. E non credevo neppure che Aenea sarebbe stata ancora viva, quando mi fossi girato a sparare.

In quel momento lo stupido braccialetto comlog si mise a vibrare e il rivestimento interno mi sfregò la pelle come quelle antiquate sveglie da polso non sonore. Non ci badai. Il comlog cominciò a farmi formicolare il polso. Portai all’orecchio lo stupido marchingegno. Il comlog bisbigliò: «Vai sulle rocce. Prendi la bambina e vai sulle lastre di lava».

Non aveva senso. Guardai A. Bettik (sotto i miei occhi le spie luminose già passavano dal verde all’ambra) e iniziai ad arretrare, inciampando ma tenendomi fra quella donna sorridente e Aenea.

— Via, via — disse la donna. — Non è simpatico. Aenea, se vieni qui, il tuo amico avrà salva la vita. Anche il tuo pseudouomo azzurro si salverà, se il tuo amico riuscirà a tenerlo in vita.

Abbassai rapidamente gli occhi per guardare il viso di Aenea: avevo paura che la bambina accettasse l’offerta. Lei mi si appese al braccio. Negli occhi aveva un’intensità terribile, ma non era impaurita. — Andrà tutto bene, ragazzina — le mormorai, continuando a spostarmi sulla sinistra. Dietro di noi c’era il fiume. Cinque metri a sinistra iniziavano le rocce di lava.

La donna si mosse a destra, bloccandoci la strada. — Perdiamo solo tempo — disse, calma. — Ho ancora solo quattro minuti. Un mucchio di tempo. Un’eternità.

— Andiamo. — Afferrai per il braccio Aenea e corsi verso le rocce. Non avevo piani. Avevo solo le parole prive di senso mormorate da una voce che non era quella del comlog.

Non raggiungemmo mai le rocce di lava. Ci fu una vampata d’aria calda e la sagoma cromata della donna fu davanti a noi, tre metri sopra di noi, sulla facciata di roccia nera. — Addio, Raul Endymion — disse la maschera di cromo. Il tremolante braccio metallico si sollevò.

La vampata di calore mi bruciò le sopracciglia, m’incendiò la camicia e ci scagliò in aria, all’indietro. Battemmo duramente e rotolammo via dall’indicibile calore. I capelli di Aenea fumavano e li battei con le braccia per impedire che prendessero fuoco. Il medipac di A. Bettik strideva di nuovo, ma il rombo da valanga dell’aria iperriscaldata soffocava l’avvertimento. Vidi che la manica della mia camicia fumava e la strappai prima che prendesse fuoco. Girammo le spalle al calore e strisciammo via il più rapidamente possibile. Pareva d’essere sul bordo d’un vulcano attivo.

Afferrammo A. Bettik e lo tirammo sulla riva, senza esitare un secondo a infilarci nell’acqua fumante. Mi sforzai di tenere fuor d’acqua la testa dell’androide svenuto, mentre Aenea si sforzava d’impedire a noi due di scivolare via nella corrente. Proprio appena sopra la superficie dell’acqua, dove il nostro viso premeva sul fango umido della riva, l’aria era quasi abbastanza fresca da consentirci di respirarla.

Sentendo le bolle gonfiarsi sulla fronte, senza sapere ancora che le sopracciglia e ciocche di capelli erano bruciate, alzai la testa e scrutai dal bordo della riva.

La figura cromata era ritta al centro di un cerchio di tre metri di luce arancione che si estendeva fino al cielo e scompariva solo quando si restringeva a un infinitesimale puntino, centinaia di chilometri più in alto. L’aria tremolava e ribolliva, dove il raggio d’energia quasi solida tagliava l’atmosfera.

La donna metallica cercò di muoversi verso di noi, ma il raggio ad alta energia parve esercitare una pressione troppo forte. Tuttavia la donna si tenne in piedi; il campo cromato divenne rosso, poi verde, poi d’un bianco abbagliante. Ma lei continuò a stare dritta, ad agitare il pugno al cielo. Sotto i suoi piedi la lava bollì, divenne rossa, colò a valle in grandi rivoli fusi. Alcuni rivoli finirono nel fiume, a neppure dieci metri da noi, e con un forte sibilo sollevarono nubi di vapore. Ammetto che in quel momento, per la prima volta in vita mia, presi in seria considerazione l’idea di diventare religioso.

La sagoma cromata parve intuire il pericolo qualche secondo prima che fosse troppo tardi. Sparì, ricomparve come macchia confusa… pugno agitato contro il cielo… sparì di nuovo, comparve per l’ultima volta e poi affondò nella lava fusa dove un istante prima c’era solida roccia.

Il raggio rimase attivo ancora per un minuto buono. Non potevo più guardarlo direttamente e il calore mi spellava le guance. Premetti di nuovo il viso nel fango e tenni A. Bettik e la bambina contro la riva, mentre la corrente cercava di tirarci a valle nel vapore e nella lava e nel reticolato di monofili.

Guardai dal bordo un’ultima volta e vidi il pugno di cromo affondare nella lava; poi il campo parve per un attimo frazionarsi in colori, prima di estinguersi. La lava cominciò subito a solidificarsi. Nel tempo che impiegai a tirare sulla riva Aenea e A. Bettik e a ricominciare il massaggio cardiaco, dalla roccia quasi solida colava solo qualche rivolo o pseudopodo di lava. Schegge di roccia si staccarono e volteggiarono nell’aria surriscaldata, mescolandosi alle faville della foresta ancora in fiamme dietro di noi. Non c’era segno della donna cromata.

Il medipac funzionava ancora. Le spie luminose passarono dal rosso all’ambra, mentre mantenevamo il sangue in movimento e riportavamo la vita nel corpo di A. Bettik. La manica emostatica era ben stretta. Quando mi parve che A. Bettik potesse farcela da solo, guardai la bambina accoccolata di fronte a me. — E ora? — domandai.

Dietro di noi ci fu una fioca implosione d’aria: mi girai in tempo per veder ricomparire lo Shrike.

— Oh, Cristo — mormorai.

Aenea scuoteva la testa. Sulla fronte e sulle labbra aveva vesciche da ustioni. Ciuffi di capelli erano bruciati e la sua camicia era sporca e strappata. Per il resto, Aenea pareva in buone condizioni. — No — disse. — Tutto a posto.

Mi ero alzato e cercavo nella sacca la carabina al plasma. Inutile. Si era trovata troppo vicino al raggio d’energia: la guardia del grilletto era semifusa e gli elementi di plastica del calcio pieghevole si erano incollati alla canna. Era già un miracolo che le cartucce non fossero esplose riducendoci a vapore. Lasciai cadere la sacca e fronteggiai a pugni alzati lo Shrike. Passasse su di me, maledizione!

— Tutto a posto — ripeté Aenea, tirandomi indietro. — Non farà niente. È tutto a posto.

Ci sedemmo sui talloni accanto all’androide. A. Bettik mosse le ciglia. — Mi sono perso qualcosa? — bisbigliò con voce arrochita.

Non ridemmo. Aenea gli toccò la guancia e mi guardò. Lo Shrike rimase dov’era apparso: faville accese gli passavano davanti agli occhi ardenti e la fuliggine gli si depositava sul carapace.

A. Bettik chiuse gli occhi e le spie luminose ripresero a palpitare. — Dobbiamo trovargli un aiuto valido — mormorai a Aenea — altrimenti lo perderemo.

Aenea annuì. Pensai che m’avesse bisbigliato una risposta, ma non era la sua voce.

Alzai il braccio sinistro, senza badare ai brandelli di camicia e ai lividi rossastri. I peli erano bruciati fino all’ultimo.

Ascoltammo insieme. Il comlog parlava con la voce di un uomo che conoscevamo.

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