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Il Padre Capitano de Soya si sveglia nel ben noto tepore della culla della Raffaele. Dopo i primi istanti d’inevitabile confusione e disorientamento, si tira fuori della cuccetta e galleggia, nudo, fino al quadro comandi.

Tutto sembra a posto: la nave è in orbita intorno a Sol Draconis Septem… il pianeta è un’accecante sfera bianca proprio al di là degli oblò, la decelerazione procede al meglio, le altre tre culle sono sul punto di risvegliare il loro prezioso carico umano, il campo interno si mantiene a gravità zero finché tutti non avranno ripreso le forze, la temperatura e la pressione sono ai valori ottimali per il risveglio, la nave segue la giusta orbita geosincrona. Il prete-capitano dà il primo ordine della sua nuova vita: ordina alla nave di preparare il caffè per tutti nel piccolo quadrato ufficiali. In genere, dopo la risurrezione il suo primo pensiero è per il bulbo di caffè, nascosto nella nicchia del tavolo strategico, che si riempie del caldo liquido nero.

Poi de Soya si accorge che nel computer della nave palpita la spia luminosa di un messaggio ad alta priorità. Mentre era cosciente, nel sistema di Pacem, non ha ricevuto alcun messaggio: pare inverosimile che un messaggio li abbia raggiunti lì, in quel remoto sistema ex coloniale. La Pax non è presente nel sistema Sol Draconis… al massimo, navi torcia di passaggio usano le tre giganti gassose del sistema per rifornire i serbatoi d’idrogeno; una breve domanda al computer della nave conferma che nei tre giorni di decelerazione e d’inserimento in orbita non ci sono stati contatti con altre navi. La stessa domanda porta alla luce il fatto che sul pianeta non c’è alcuna missione della Chiesa, che l’ultimo contatto missionario è andato perduto da più di cinquant’anni standard.

De Soya ascolta il messaggio. Autorità papale istradata attraverso la flotta della Pax. Secondo i codici sullo schermo, il messaggio è giunto qualche centesimo di secondo prima che la Raffaele passasse a velocità quantica nello spazio di Pacem. Si tratta di un messaggio di solo testo, molto breve: SUA SANTITÀ ANNULLA MISSIONE SU SOL DRACONIS SEPTEM. NUOVA ZONA D’ACQUISIZIONE: BOSCHETTO DIVINO. DIRIGERSI IMMEDIATAMENTE NEL SISTEMA. AUTORIZZAZIONE LOURDUSAMY E MARUSYN. FINE MESSAGGIO.

De Soya sospira. Quel viaggio, quelle morti e risurrezioni, sono state inutili. Per un momento il prete-capitano non si muove, ma resta seduto sulla poltroncina di comando, nudo, a riflettere sull’accecante lembo bianco del pianeta di ghiaccio che riempie l’oblò ricurvo. Poi sospira di nuovo e si avvia a fare la doccia, fermandosi nel quadrato ufficiali per il primo sorso di caffè. Allunga automaticamente la mano verso il bulbo di caffè, mentre batte ordini sul quadro comandi del cubicolo-doccia… spruzzo aghiforme, caldo al limite della sopportazione. Prende l’appunto mentale di cercare un accappatoio. La nave non è più un ambiente di soli uomini.

Di colpo s’irrigidisce, irritato. Le sue dita non si sono chiuse sul manico del bulbo di caffè. Qualcuno ha spostato il bulbo nella nicchia.


La nuova recluta, caporale Rhadamanth Nemes, è l’ultima a lasciare la culla. I tre uomini distolgono lo sguardo, mentre lei lascia la culla e con un balzo si lancia verso il cubicolo doccia, ma nell’affollata bolla comando ci sono superfici lucide in quantità sufficiente a permettere a ciascuno di loro di dare un’occhiata al corpo compatto della piccola donna, alla pelle chiara, al livido crucimorfo fra i piccoli seni.

Anche il caporale Nemes fa la comunione e pare disorientata e vulnerabile, mentre gli altri sorseggiano il caffè e mentre i campi interni modificano la gravità portandola da zero a un sesto del normale.

— La tua prima risurrezione? — le domanda gentilmente de Soya. Nemes annuisce. Ha capelli nerissimi, tagliati corti; la frangia le cade, floscia, sulla pallida fronte.

— Vorrei poterti dire che ci si abitua — continua il prete-capitano — ma la verità è che ogni risveglio è identico al primo… difficoltoso ed esilarante.

Anche Nemes sorseggia il caffè. Pare procedere per tentativi, nella microgravità. L’uniforme nera e cremisi, per contrasto, le rende ancora più chiara la pelle.

— Non dovremmo partire subito per Boschetto Divino? — domanda, in tono incerto.

— Fra poco — risponde il Padre Capitano de Soya. — Ho dato ordine alla Raffaele di lasciare l’orbita fra quindici minuti. Procederemo verso il più vicino punto di traslazione, con accelerazione 2 g, così potremo riprenderci per qualche ora, prima di tornare nelle culle.

Nemes pare rabbrividire un poco al pensiero di un’altra risurrezione. Come ansiosa di cambiare argomento, lancia un’occhiata all’accecante lembo del pianeta che riempie l’oblò e lo schermo ottico. — Come si può percorrere un fiume in tutto quel ghiaccio?

— Sotto, credo — dice il sergente Gregorius. Ha continuato a fissare con attenzione Nemes. — Dopo la Caduta, l’atmosfera si è solidificata di nuovo. Il Teti scorrerà sotto il ghiaccio.

Nemes, sorpresa, inarca il sopracciglio. — E Boschetto Divino che pianeta è?

— Non lo sai? — replica Gregorius. — Pensavo che nella Pax tutti avessero sentito parlare di Boschetto Divino.

Nemes scuote la testa. — Sono cresciuta su Esperance. Un pianeta su cui si pratica soprattutto l’agricoltura e la pesca. Lì la gente non ha molto interesse per gli altri pianeti. Né per gli altri mondi della Pax… né per le vecchie storie della Rete. Quasi tutti siamo troppo impegnati a raschiare dalla terra e dal mare il necessario per vivere.

— Boschetto Divino è l’antico mondo dei Templari — dice il Padre Capitano de Soya, posando il bulbo di caffè nella nicchia del tavolo strategico. — Fu gravemente incendiato durante l’invasione Ouster prima della Caduta. Ai suoi tempi era davvero bello.

— Molto bello — conferma il sergente Gregorius. — La Confraternita dei Templari del Muir era una sorta di setta che adorava la natura. Cambiò Boschetto Divino in un pianeta-foresta… alberi più alti e più belli delle sequoie della Vecchia Terra. I Templari vivevano lì, tutt’e venti e passa milioni, in città e piattaforme su quei bellissimi alberi. Ma nella guerra scelsero la parte sbagliata…

Nemes, che sorseggia il caffè, alza gli occhi. — Vuoi dire che erano dalla parte degli Ouster? — Pare sconvolta all’idea.

— Proprio così, ragazza — risponde Gregorius. — Forse perché a quel tempo avevano alberi che andavano nello spazio…

Nemes si mette a ridere. Una risata breve, stridula.

— Dice sul serio — interviene il caporale Kee. — I Templari usavano gli erg di Aldebaran… creature in grado di piegare l’energia… per incapsulare gli alberi in un campo di contenimento classe Nove e fornire un motore a reazione per gli spostamenti interplanetari. Avevano perfino regolari motori Hawking per i viaggi interstellari.

— Alberi volanti — dice Nemes e sbotta in un’altra rauca risata.

— Alcuni Templari fuggirono in quelle navi-albero, quando gli Ouster ripagarono la loro fedeltà inviando uno Sciame all’attacco di Boschetto Divino — continua Gregorius. — Ma la maggior parte bruciò, proprio come quasi tutto il pianeta. Per un secolo, dicono, quasi tutto quel mondo era solo cenere. Le nubi di fumo crearono l’effetto inverno nucleare.

— Inverno nucleare? — ripete Nemes.

De Soya osserva attentamente la ragazza e si domanda come mai una persona così ingenua sia stata scelta per portare il diskey papale in simili circostanze. Possibile che l’ingenuità sia parte della sua forza come assassina, nel caso si presenti la necessità di uccidere?

— Caporale — dice, parlando a Nemes — hai detto d’essere cresciuta su Esperance… Hai fatto parte della Guardia Nazionale del pianeta?

Nemes scuote la testa. — Sono entrata direttamente nell’esercito della Pax, Padre Capitano. C’era carestia di patate… i reclutatori offrivano la possibilità di viaggiare nello spazio… e, be’…

— Dove hai prestato servizio? — domanda Gregorius.

— Solo addestramento su Freeholm — risponde Nemes.

Gregorius si appoggia sui gomiti. La gravità di un sesto rende più comodo stare seduti.

— Quale brigata? — domanda il sergente.

— La Ventitreesima. Sesto reggimento.

— Le Aquile Urlanti — dice il caporale Kee. — Una mia collega fu trasferita in quel reparto. Il tuo ufficiale comandante era il capitano di fregata Coleman?

Nemes scuote la testa. — Quando c’ero io, comandava il capitano Deering. Sono rimasta lì solo dieci mesi locali… circa otto e mezzo standard, mi pare. Mi hanno addestrata come esperto in combattimento totale. Poi chiesero volontari per la Prima Legione… — Lascia perdere il resto, come se l’argomento fosse coperto da segreto militare.

Gregorius si gratta il mento. — Che strano, non ho mai sentito parlare di quell’unità. Niente rimane segreto a lungo, nell’esercito. Per quanto tempo hai detto d’essere stata in addestramento con questa… legione?

Nemes lo guarda negli occhi. — Due anni standard, sergente. Ed era davvero un segreto… fino a questo momento. La maggior parte dell’addestramento si è svolta su Lee Tre e nei Territori della Fascia di Lambert.

— Fascia di Lambert — riflette il sergente. — Allora hai avuto la tua parte d’addestramento a bassa gravità e a gravità zero.

— Più della mia parte — ammette il caporale Rhadamanth Nemes, con un lieve sorriso. — Durante la permanenza nella Fascia di Lambert, ci addestrammo per cinque mesi nel Gruppo Troiano Peregrine.

Il Padre Capitano de Soya ha l’impressione che la chiacchierata diventi un interrogatorio. Non vuole che il nuovo membro dell’equipaggio si senta assalito dalle domande, ma è curioso come Kee e Gregorius. Inoltre, ha la sensazione che ci sia qualcosa di… di sbagliato. — Allora i compiti delle Legioni sono molto simili a quelli dei Marines? — dice. — Combattimento nave-nave?

Nemes scuote la testa. — No, Capitano. Non si tratta solo di tattiche di combattimento a g-zero da nave a nave. Le Legioni sono state create per portare la guerra nel cuore del nemico.

— Cosa significa, caporale? — domanda piano de Soya. — In tutti i miei anni nella Flotta, novanta battaglie su cento si sono svolte in territorio Ouster.

— Sì — ammette Nemes. Ha di nuovo un lieve sorriso. — Ma voi colpite e vi ritirate… azione tipica della Flotta. Le Legioni occupano!

— Ma gran parte delle postazioni Ouster sono nel vuoto! — esclama Kee. — Asteroidi, foreste orbitali, lo spazio stesso…

— Appunto — dice Nemes, continuando a sorridere. — Le Legioni combatteranno gli Ouster sul loro stesso terreno… o vuoto spaziale, se sarà il caso.

Gregorius coglie l’occhiata di de Soya ("Basta domande!"), ma scuote la testa e dice: — Be’, non vedo cosa queste vantate Legioni possano imparare, che le Guardie Svizzere non abbiano già fatto… e bene… per sedici secoli.

De Soya si alza. — Accelerazione fra due minuti — annuncia. — Prendiamo posto. Parleremo ancora di Boschetto Divino e della missione su quel pianeta, mentre corriamo al punto di traslazione.


La Raffaele ha impiegato quasi undici ore di decelerazione a 2 g per diminuire la propria velocità quasi pari a quella della luce in modo da entrare nel sistema, ma il computer ha localizzato un punto adatto di traslazione per Boschetto Divino solo a trentacinque milioni di chilometri da Sol Draconis Septem. La nave potrebbe accelerare comodamente a 1 g e raggiungere quel punto in circa venticinque ore, ma de Soya ha ordinato che esca dal pozzo gravitazionale del pianeta ad accelerazione costante di 2 g per sei ore, prima di usare altra energia per tenere in funzione i campi interni nell’ultima corsa di un’ora a 100 g. Quando i campi entrano finalmente in funzione, il gruppo fa l’ultimo controllo per Boschetto Divino: tre giorni per la risurrezione, poi immediato intervento della navetta, con il sergente Gregorius al comando del gruppo a terra, sorveglianza dei cinquantotto chilometri del segmento del Teti fra i due portali e infine gli ultimi preparativi per la cattura di Aenea e dei suoi compagni.

— Dopo tutto questo, come mai Sua Santità comincia a indirizzarci nella ricerca? — domanda il caporale Kee, mentre vanno alle culle.

— Una delle sue rivelazioni — spiega il Padre Capitano de Soya. — Bene… tutti a letto. Terrò d’occhio i pannelli.

Come al solito, negli ultimi minuti prima della traslazione de Soya chiude le loro culle. Solo il capitano resta a sorvegliare.

Mentre per qualche minuto è da solo al quadro comandi, de Soya richiama in fretta i dati della loro entrata interrotta nel sistema di Hebron e del ritorno. Li ha già esaminati prima della partenza da Pacem, ma adesso fa scorrere di nuovo velocemente fra i dati visivi e numerici. C’è tutto, tutto pare esatto: le riprese dall’orbita intorno Hebron mentre lui e i suoi due soldati sono ancora in culla… le città in fiamme, il panorama pieno di crateri, i villaggi distrutti che mandano fumo nell’atmosfera desertica, Nuova Gerusalemme ridotta a rovine radioattive… e poi il rilevamento radar da parte di tre Sciami. La Raffaele ha interrotto il ciclo di risurrezione e con il suo carico di morti si è data alla fuga, sfruttando l’accelerazione di 280 g consentita dal suo motore a fusione migliorato. Gli Ouster invece dovevano usare per i campi interni una parte d’energia, altrimenti sarebbero morti (niente risurrezione, per i pagani) e quindi non potrebbero mai raggiungere più di 80 g durante l’inseguimento.

Però c’erano le riprese visive: le lunghe code dei motori a fusione Ouster, il tentativo di colpire la Raffaele da una distanza di quasi una UA, la registrazione della nave dei campi di difesa che deviano senza fatica la lancia d’energia da quella distanza, la traslazione finale al sistema di Mare Infinitum perché era quello il più vicino punto di balzo…

Tutto era ragionevole. Le inquadrature erano convincenti. De Soya non era rimasto minimamente convinto.

Non sapeva con certezza perché era così scettico. Le registrazioni visive non significavano molto, naturalmente; per più di mille anni, dall’inizio dell’Era Digitale, anche le più convincenti immagini visive potevano essere contraffatte da un ragazzino con il personal computer. Ma per falsificare le registrazioni della nave sarebbe stato necessario uno sforzo gigantesco… una congiura tecnica. Perché, si domanda de Soya, ora non dovrebbe fidarsi della memoria della Raffaele?

Mentre manca ancora qualche minuto alla traslazione, richiama i dati della recente discesa nel sistema di Sol Draconis Septem. Dalla poltroncina di comando si lancia un’occhiata alle spalle: le tre culle sono sigillate e silenziose, le spie brillano di luce verde. Gregorius, Kee e Nemes sono ancora svegli, in attesa della traslazione e della morte. De Soya sa che in quegli ultimi minuti il sergente prega. Kee di solito legge un libro sul monitor interno della culla. De Soya non ha idea di che cosa faccia la donna nella sua comoda bara.

Si rende conto d’essere diventato paranoico. "Il bulbo di caffè era spostato" pensa. "Il manico era in posizione laterale." Nelle ore da sveglio ha cercato di ricordare se nel sistema di Pacem qualcuno poteva essere entrato nel quadrato ufficiali e avere spostato il bulbo. No… durante la risalita dal pozzo gravitazionale di Pacem non hanno adoperato il quadrato ufficiali. La donna, Nemes, è salita a bordo prima degli altri, ma lui ha usato il bulbo di caffè e l’ha rimesso a posto dopo che lei è entrata nella culla. Di questo de Soya è sicuro. Come sempre è stato l’ultimo a entrare nella culla. Accelerazione e decelerazione possono schiacciare bulbi non progettati per resistere a enormi gravità, ma il vettore di decelerazione seguito dalla Raffaele era lineare lungo la direttrice di viaggio della nave corriere e non avrebbe spostato lateralmente gli oggetti. La nicchia del bulbo di caffè è stata progettata per tenere a posto gli oggetti.

Il Padre Capitano de Soya fa parte di una lunga serie di naviganti per mare e per spazio divenuti fanatici del semplice concetto "un posto per ogni cosa e ogni cosa al suo posto". De Soya è uno spaziale. In quasi vent’anni di servizio su fregate, cacciatorpediniere e navi torcia ha visto che qualsiasi cosa lasciata fuori posto gli salta letteralmente in faccia appena la nave passa a gravità zero. Cosa ancora più importante, de Soya ha la necessità, vecchia di epoche, del marinaio: allungare la mano e trovare senza guardare l’oggetto cercato, nel buio o nella tempesta. Certo, pensa, la posizione del manico del suo bulbo di caffè non è una questione importante… eppure è importante. Ciascuno degli altri si è abituato a usare una delle cinque nicchie-poltroncina intorno al tavolo strategico che nell’ingombro modulo comando funge anche da tavolo mensa. Quando usano il tavolo per estrapolare percorsi o per esaminare mappe, tutti loro (compreso Rettig, quand’era ancora vivo) hanno sempre occupato, seduti o in piedi o librati a gravità zero, il solito posto intorno al tavolo. Un comportamento tipico della natura umana, così com’è tipico degli spaziali mantenere esatte e prevedibili le proprie abitudini.

Qualcuno ha spostato il manico del bulbo del caffè… forse puntando nella nicchia il ginocchio, a gravità zero, per tenersi fermo… o ferma! Paranoia, si rimprovera de Soya. Senza alcun dubbio.

Però c’è anche la sconvolgente notizia bisbigliatagli dal sergente Gregorius nei minuti fra la propria uscita dalla culla di risurrezione e il risveglio del caporale Nemes.

«Un mio amico nelle Guardie Svizzere su Pacem, Capitano. Abbiamo bevuto un goccio, la sera prima della partenza. Ci conosce tutti… Kee, Rettig e me… e giura d’avere visto Rettig, svenuto, nella barella di un’ambulanza fuori dell’infermeria del Vaticano.»

«Impossibile» aveva replicato de Soya. «Rettig è morto per complicazioni durante la risurrezione ed è stato sepolto nello spazio di Mare Infinitum.»

«Già» aveva brontolato Gregorius. «Ma il mio amico era sicuro che nell’ambulanza c’era Rettig. Svenuto, con maschera a ossigeno, apparecchiature di rianimazione e tutto il resto, ma Rettig.»

«Non ha senso» aveva ribattuto de Soya. Ha sempre considerato con sospetto ogni teoria di complotti, sapendo per esperienza personale che un segreto condiviso da più di due persone ben di rado rimane tale a lungo. «Perché la Flotta della Pax e la Chiesa avrebbero dovuto mentirci su Rettig? E dove si trova, ora, se su Pacem era vivo?»

Gregorius si era stretto nelle spalle. «Forse non era lui, Capitano. Continuo a ripetermelo. Ma l’ambulanza…»

«L’ambulanza, cosa?» aveva replicato de Soya, più bruscamente di quanto non volesse.

«Era diretta a Castel Sant’Angelo, signore. Quartier generale del Sant’Uffizio.»

Paranoia, torna a ripetersi de Soya.

Le registrazioni delle undici ore di decelerazione sono normali: frenata ad alta gravità e il solito ciclo di tre giorni per la risurrezione, che assicura le massime possibilità di recupero in piena sicurezza. De Soya lancia un’occhiata alle cifre d’inserimento in orbita e fa scorrere il video della lenta rotazione di Sol Draconis Septem. Si meraviglia sempre di quei giorni perduti… la Raffaele che esegue i suoi semplici compiti, mentre le culle fanno rivivere lui e gli altri… si meraviglia dell’irreale silenzio che di sicuro riempie la nave.

«Tre minuti alla traslazione» annuncia la voce sintetica della Raffaele. «Tutto il personale dovrebbe essere già nelle culle.»

De Soya non bada all’avvertimento e richiama i dati degli ultimi due giorni e mezzo in orbita intorno a Sol Draconis Septem, prima che lui e gli altri siano tornati in vita. Non sa bene che cosa cerca… non c’è nessuna registrazione dell’uso della navetta, nessun segno di precedente accensione del supporto vita… tutti i monitor delle culle riportano il regolare ciclo, il primo impulso di vita nelle ultime ore del terzo giorno… tutte le registrazioni orbitali della nave sono normali… un momento!

«Due minuti alla traslazione» avvisa la piatta voce della nave.

Lì, il primo giorno, poco dopo il raggiungimento dell’orbita geosincrona standard… e lì di nuovo, circa quattro ore più tardi. Tutto normale, eccetto il particolare nudo e crudo dell’accensione di quattro piccoli reattori a fusione. Per raggiungere e mantenere una perfetta orbita geosincrona, una nave come la Raffaele dovrebbe accendere decine di quei piccoli reattori a fusione. Ma gran parte delle manovre d’aggiustamento, de Soya lo sa benissimo, prevede l’uso dei grossi reattori posti a poppa accanto al motore a fusione e a prua nel braccio del modulo di comando, data la sgraziata struttura della nave corriere. Quelle scariche dei reattori sono analoghe… prima una duplice accensione per stabilizzare la nave durante il rullio in modo che il modulo di comando guardi dalla parte opposta del pianeta… normale durante il "girarrosto" per diffondere uniformemente il calore solare lungo la superficie della nave senza usare il campo di raffreddamento… ma solo otto minuti qui… e qui! E dopo il rullio, quei doppi pizzicotti a reazione. Due e due. Poi la coppia finale di scariche, che potrebbe accompagnare l’accensione dei reattori più grossi per girare la nave in modo che le telecamere del modulo di comando puntino di nuovo verso il pianeta. Poi, dopo quattro ore e otto minuti, ripetizione dell’intera sequenza. Il computer ha registrato altre trentotto analoghe sequenze per mantenere la posizione e nessuna accensione dei reattori principali che indicherebbe la rotazione dell’intera nave; ma quelle quattro duplici scariche saltano subito all’occhio addestrato di de Soya.

«Un minuto alla traslazione» avverte la Raffaele.

De Soya ode il gemito dei giganteschi generatori di campo che annuncia il passaggio al sistema Hawking modificato e sa che resterà vivo ancora per cinquantasei secondi. Non se ne cura. Se non si muove subito, dopo la traslazione la poltroncina di comando porterà nella culla il suo cadavere. La nave è progettata in questo modo… confuso, ma necessario.

Federico de Soya è stato capitano di nave torcia per molti anni. Ha già effettuato più di dieci balzi su navi corriere classe Arcangelo. Conosce quella firma "duplice scarica, rotazione, duplice scarica" sulla registrazione di un reattore. Anche se dalla memoria della nave è stata cancellata l’effettiva rotazione, le impronte digitali di quella manovra sono lì negli elementi essenziali. La rotazione serve a orientare la navetta, agganciata sul lato opposto del modulo comando, verso il pianeta. La seconda duplice scarica, quella ancora in memoria, serve a equilibrare le piccole raffiche di propulsione che sganciano la navetta dalla massa centrale della Raffaele. L’ultima duplice scarica serve per stabilizzare la nave, una volta tornata in posizione normale, ossia con le telecamere del modulo comando puntate di nuovo sul pianeta.

Niente di tutto questo è ovvio come pare, dal momento che per tutto il tempo l’intera nave ruota lentamente nel "girarrosto", con occasionali scariche per modificare l’assetto e avere migliore riscaldamento o raffreddamento. Ma per de Soya la firma è inconfondibile. Il Padre Capitano batte gli ordini per richiamare ancora una volta le altre registrazioni. Nessun segno di utilizzo della navetta. Nessun segno di manovra di rotazione per l’utilizzo della navetta. Conferma che la navetta è sempre stata agganciata. Nessun segno d’accensione del supporto vita prima della risurrezione di tutti, poche ore prima. Nessuna immagine, nelle registrazioni visive, della navetta in movimento verso l’atmosfera del pianeta. Immagine costante della navetta agganciata e vuota.

C’è una sola anomalia: le due sequenze di otto minuti d’accensione dei reattori, a distanza di quattro ore l’una dall’altra. Otto minuti di rotazione della nave rispetto al pianeta permetterebbero a una navetta di scomparire nell’atmosfera senza che ci sia la registrazione video della telecamera principale. O di ricomparire per il riaggancio. Le telecamere del braccio di prua e il radar avrebbero registrato l’evento, a meno che, prima del distacco della navetta, non abbiano ricevuto l’ordine di tralasciarlo. Questa soluzione avrebbe comportato una minore manomissione delle registrazioni dopo il fatto.

Se qualcuno ha ordinato al computer della nave di cancellare tutte le tracce dell’utilizzo della navetta, la limitata Intelligenza Artificiale della Raffaele potrebbe avere alterato la registrazione proprio in questo modo, senza capire che le accensioni dei piccoli reattori durante il "girarrosto" avrebbero lasciato impronte. Ma nessuno se ne sarebbe accorto, se non avesse avuto la decennale esperienza di un comandante di nave torcia. Se de Soya avesse un’ora per richiamare tutti i dati sul combustibile idrogeno, per fare il controllo incrociato con le necessità di rifornimento della navetta e le esigenze d’ingresso nel sistema solare, poi raffrontarli con l’input del collettore Bussard durante la decelerazione, capirebbe meglio se la manovra di rotazione della nave e l’utilizzo della navetta sono davvero avvenuti. Se avesse un’ora tutta per sé.

«Trenta secondi alla traslazione.»

De Soya non ha il tempo di raggiungere la culla. Ha però il tempo di richiamare una speciale sequenza di ordini per manovrare la nave, d’inserire il codice dei comandi ausiliari manuali per soppiantare temporaneamente le funzioni automatiche, di confermarlo, di cambiare i parametri di monitoraggio e di ripetere l’operazione altre due volte. Ha appena udito la conferma del terzo ordine, quando avviene il balzo quantico a velocità C-più.

La traslazione fa letteralmente a brandelli de Soya nella poltroncina di comando. Il Padre Capitano de Soya muore con un ghigno feroce sulle labbra.

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