Quando infine giunge, l’invito di rilasciare il Padre Capitano de Soya dai virtuali arresti domiciliari nel rettorato dei Legionari di Cristo non proviene dal Sant’Uffizio dell’Inquisizione, come ci si aspettava, ma è portato di persona da monsignor Luca Oddi, sottosegretario del Segretario di Stato del Vaticano cardinale Simon Augustino Lourdusamy.
Per de Soya, la passeggiata nella Città del Vaticano e nei Giardini Vaticani è quasi sconvolgente. Qualsiasi cosa il Padre Capitano veda e senta… il cielo azzurro chiaro di Pacem, lo svolazzare di fringuelli nei frutteti di peri, il sommesso rintocco di campane del Vespro… provoca in lui una profonda commozione, al punto che deve farsi forza per trattenere le lacrime. Intanto, mentre camminano, monsignor Oddi conversa amabilmente, mescolando pettegolezzi locali e storielle, in un modo che fa ancora ronzare le orecchie a de Soya anche quando si è lasciato alle spalle da un pezzo la parte dei giardini dove le api svolazzano fra lo spiegamento di fiori.
De Soya si concentra sull’alto, anziano prelato che lo guida a passo così vivace. Oddi è molto alto e avanza come se scivolasse: le sue lunghe gambe non fanno quasi rumore, sotto l’abito talare. Ha un viso sottile e scaltro, pieghe e rughe modellate da molti decenni di facezie, un lungo naso a becco che pare fiutare l’aria del Vaticano in cerca di umorismo e di pettegolezzi. De Soya ha già sentito le battute su monsignor Oddi e il cardinale Lourdusamy, l’uomo alto e scherzoso e l’uomo gigantesco e scaltro: insieme, hanno un aspetto quasi comico… se ci si dimentica del potere davvero terrificante di cui dispongono.
Quando escono dai giardini ed entrano in uno degli ascensori esterni che portano alle logge del palazzo vaticano, per un attimo de Soya rimane sorpreso. Guardie Svizzere, risplendenti nell’antica uniforme a righe rosse, blu e arancione, scattano sull’attenti, quando i due entrano e poi escono dalle gabbie a rete dell’ascensore. Le Guardie Svizzere portano lunghe picche, ma de Soya rammenta che funzionano anche come carabine al plasma.
— Forse ricorda che Sua Santità, durante la prima risurrezione, decise di occupare questo piano per la propria passione verso il suo omonimo, Giulio II — dice monsignor Oddi, indicando con un ampio gesto il lungo corridoio.
— Sì — dice de Soya. Sente il cuore battere con violenza. Papa Giulio II, il famoso Papa guerriero che aveva commissionato il soffitto della cappella Sistina, durante il proprio regno, dal 1503 al 1513, era stato il primo ad abitare in quelle stanze. Ora Papa Giulio, in tutte le sue incarnazioni da Giulio VI a Giulio XIV, è vissuto e ha regnato lì per un periodo quasi ventisette volte superiore al decennio del primo Papa guerriero. "Di sicuro non sto per incontrare il Santo Padre!" pensa de Soya. Mentre imboccano l’ampio corridoio, riesce a mostrarsi calmo, ma ha le mani sudate e il respiro affannoso.
— Vedremo il Segretario, ovviamente — dice Oddi, con un sorriso. — Ma se lei non ha mai visto gli appartamenti papali, questa è una piacevole passeggiata. Oggi, per tutto il giorno, Sua Santità è in riunione con il Sinodo interstellare dei Vescovi, nella sala piccola di palazzo Nervi.
De Soya annuisce con aria attenta, ma a dire il vero è interessato alle stanze di Raffaello, che al passaggio intravede dalle porte aperte degli appartamenti papali. Conosce a grandi linee la storia: Papa Giulio n si stancò degli affreschi "vecchia maniera" di maestri di minore importanza come Piero della Francesca e Andrea del Castagno, perciò nell’autunno del 1508 chiamò da Urbino un geniale giovanotto di ventisei anni, Raffaello Sanzio, noto anche solo come Raffaello. In una sala de Soya vede la Stanza della Segnatura, un mirabile affresco che rappresenta il Trionfo della Verità Religiosa in contrasto con il Trionfo della Verità Filosofica e Scientifica.
— Ahhh — dice monsignor Oddi, soffermandosi in modo che de Soya possa ammirare per qualche momento l’affresco. — Le piace, vero? Vede Piatone, là tra i filosofi?
— Sì — risponde de Soya.
— Sa a chi assomigliava in realtà? Chi fu il modello?
— No — ammette de Soya.
— Leonardo da Vinci — dice il monsignore, con una traccia di sorriso. — Ed Eraclito… lo vede, là? Sa a chi s’ispirò Raffaello?
De Soya può solo scuotere la testa. In quel momento ricorda la piccola cappella mariana di mattoni cotti al sole, sul suo pianeta natale, con la sabbia che s’infilava in continuazione sotto i battenti e si accumulava ai piedi della statua della Vergine.
— Eraclito era Michelangelo — dice monsignor Oddi. — Ed Euclide, lì… lo vede?… era Bramante. Su, si avvicini.
De Soya quasi non ha il coraggio di mettere piede sul tappeto simile a uno splendido arazzo. Ha l’impressione che gli affreschi, le statue, le dorature e le alte finestre della sala gli turbinino intorno.
— Vede quelle lettere sul colletto di Bramante? Su, si sporga più vicino. Riesce a leggerle, figliolo?
— R-U-S-M — legge de Soya.
— Sì, sì — ridacchia monsignor Oddi. — Raphael Urbinas Sua Manu. Su, su, figliolo, traduca per un povero vecchio. Nell’ultima settimana ha fatto un buon ripasso di latino, mi pare.
— Raffaello d’Urbino, di propria mano — traduce de Soya. Mormora tra sé, più che rivolgersi all’alto prelato.
— Sì. Andiamo. Prenderemo l’ascensore papale per scendere agli appartamenti. Non dobbiamo far aspettare il Segretario.
Gli appartamenti Borgia occupano gran parte del pianterreno di quell’ala del palazzo. Per entrare, de Soya e monsignor Oddi passano dalla piccola cappella di Nicola V e il Padre Capitano pensa di non avere mai visto opera d’uomo più bella di quel piccolo locale. Gli affreschi sono stati dipinti dal Beato Angelico, tra il 1447 e il 1449 e sono l’essenza della semplicità, l’incarnazione della purezza.
Al di là della cappella, le sale degli appartamenti Borgia diventano più buie e più sinistre, proprio come la concomitante storia della Chiesa sotto i Papi Borgia. Ma giunto alla Sala IV, lo studio di Papa Alessandro, dedito alle scienze e alle arti liberali, de Soya comincia ad apprezzare il potere dei ricchi colori, le stravaganti applicazioni della foglia d’oro, i sontuosi usi dello stucco. La Sala V esplora, mediante affreschi e statue, la vita dei santi, tuttavia possiede un’atmosfera stilizzata, inumana, che de Soya associa agli antichi quadri dell’arte egiziana della Vecchia Terra. La Sala VI, la stanza da pranzo del Papa secondo monsignor Oddi, esplora i misteri della fede, con un’esplosione di colori e di figure che letteralmente mozzano il fiato al Padre Capitano.
Monsignor Oddi si ferma davanti a un enorme affresco raffigurante la Risurrezione di Cristo e indica con due dita una figura secondaria la cui intensa pietà è ancora percettibile dopo tanti secoli e sotto gli olii sbiaditi. — Papa Alessandro VI — dice piano. — Il secondo dei Papi Borgia. — Muove la mano in un gesto quasi indifferente e indica due figure in piedi accanto al Papa nell’affresco densamente popolato: tutt’e due hanno la luce e l’espressione riservate ai santi. — Cesare Borgia, il figlio bastardo di Papa Alessandro. L’uomo accanto a lui è il fratello di Cesare… fatto assassinare da quest’ultimo. La figlia di Papa Alessandro VI, Lucrezia, era nella Sala V… forse le è sfuggita… la santa vergine Caterina d’Alessandria.
De Soya può solo guardare con tanto d’occhi. Sul soffitto vede il disegno che compare in ciascuna di quelle sale, il toro e la corona, gli emblemi dei Borgia.
— Tutti questi affreschi sono opera del Pinturicchio — dice monsignor Oddi, riprendendo a camminare. — In realtà si chiamava Bernardino di Betto ed era completamente pazzo. Forse un servo delle tenebre. — Si sofferma per dare di nuovo un’occhiata alla sala, mentre le Guardie Svizzere scattano sull’attenti. — Ma di sicuro un genio — soggiunge piano. — Venga. È l’ora del nostro appuntamento.
Il cardinale Lourdusamy attende, dietro una lunga e bassa scrivania, nella Sala VI, la Sala dei Pontefici. Non si alza, ma si sposta di lato sulla poltrona, mentre il Padre Capitano de Soya è annunciato e ha il permesso di avvicinarsi. De Soya piega il ginocchio e bacia l’anello al cardinale. Lourdusamy gli dà un colpetto sulla testa e con un gesto bandisce ogni altra formalità. — Prenda quella sedia, figliolo — dice. — Si metta comodo. Le assicuro che quella poltroncina è molto più comoda di questa sorta di trono che hanno trovato per me.
De Soya ha quasi dimenticato la forza della voce del cardinale Lourdusamy: un basso brontolio che pare sorgere dalla terra, oltre che dal massiccio corpo del prelato. Il cardinale Lourdusamy è gigantesco, una grande massa di seta rossa, di lino bianco e di velluto cremisi, una montagna umana culminante nella grossa testa sopra una serie di menti; ha bocca piccola, occhi piccini e vivaci, cranio quasi calvo messo in risalto dallo zucchetto cremisi.
— Federico — tuona il cardinale Lourdusamy — sono davvero compiaciuto e deliziato che lei abbia superato senza risentirne tutte quelle morti e quelle vicissitudini. La vedo in ottime condizioni, figliolo. Stanco, ma in forma.
— Grazie, Eccellenza — dice de Soya. Monsignor Oddi si è accomodato alla sinistra del prete-capitano, un po’ più discosto dalla scrivania del cardinale.
— E mi dicono che ieri lei è comparso davanti al tribunale del Sant’Uffizio — tuona il cardinale Lourdusamy, guardando negli occhi de Soya e trapassandolo con lo sguardo.
— Sì, Eccellenza.
— Niente schiacciapollici, mi auguro. Niente vergini di Norimberga o ferri arroventati. Oppure l’hanno messa sulla ruota? — La sua risatina pare echeggiare nell’ampio petto.
— No, Eccellenza — dice de Soya. Riesce a trovare un sorriso.
— Bene, bene — dice il cardinale. La luce di un tubo al neon, dieci metri più in alto, gli fa sfavillare l’anello. Il cardinale si sporge e sorride. — Quando Sua Santità ordinò al Sant’Uffizio di riprendere l’antico nome, Inquisizione, alcuni miscredenti pensarono che nella Chiesa fossero tornati i giorni di follia e di terrore. Ma ora sanno come stanno le cose, Federico. L’unico potere del Sant’Uffizio consiste nel consigliare gli Ordini della Chiesa, la sua autorità punitiva consiste nel raccomandare la scomunica.
De Soya si umetta le labbra. — Ma quella è una punizione terribile, Eccellenza.
— Sì — riconosce il cardinale Lourdusamy e non usa più un tono scherzoso. — Terribile. Ma non è cosa di cui lei debba preoccuparsi, figliolo. L’incidente ormai è passato. Il suo nome e la sua reputazione sono completamente salvi dal biasimo. Il rapporto che il tribunale invierà a Sua Santità la proscioglierà da qualsiasi colpa più grave di… come dire… di una certa insensibilità per i sentimenti di un certo vescovo di provincia che ha nella Curia sufficienti amici per pretendere quell’indagine conoscitiva.
De Soya ancora non osa tirare un sospiro di sollievo. — Il vescovo Melandriano è un ladro, Eccellenza.
I vivaci occhietti del cardinale Lourdusamy si spostano per un attimo verso monsignor Oddi, poi tornano a fissare in viso il prete-capitano. — Sì, sì, Federico — dice il Segretario di Stato. — Lo sappiamo. Ne eravamo al corrente già da qualche tempo. Il buon vescovo, nella sua remota città galleggiante su quel mondo d’acqua, avrà il suo momento davanti ai cardinali del Sant’Uffizio, stia tranquillo. E stia pure tranquillo che per lui le raccomandazioni non saranno altrettanto indulgenti. — Con uno scricchiolio di legno antico si appoggia all’alto schienale. — Ma dobbiamo parlare d’altre cose, figliolo. È pronto a riprendere la sua missione?
— Sì, Eccellenza — risponde de Soya. Si sorprende per l’immediatezza e la sincerità della risposta. Fino a quel momento ha ritenuto meglio che sia stato posto termine a quella parte della sua vita e del suo servizio.
Il cardinale Lourdusamy diventa più serio. Pare serrare con forza le mascelle. — Magnifico — tuona. — Ora, mi è stato detto che uno dei suoi uomini è morto durante la spedizione a Hebron.
— Un incidente nella fase di risurrezione, Eccellenza.
Il cardinale Lourdusamy scuote la testa. — Terribile. Terribile.
— Il lanciere Rettig — soggiunge il Padre Capitano de Soya: sente il bisogno che sia fatto il nome di quell’uomo. — Era un buon soldato.
Negli occhi del cardinale c’è un luccichio come di lacrime. Lourdusamy guarda in viso de Soya e dice: — Prowederemo ai suoi genitori e a sua sorella. Un fratello del lanciere Rettig raggiunse il grado di prete-comandante su Bressia. Lo sapeva, figliolo?
— No, Eccellenza — risponde de Soya.
Il cardinale annuisce. — Una grave perdita. — Sospira e posa sulla scrivania sgombra la mano grassoccia. De Soya nota le fossette sul dorso; guarda la mano come se fosse un’entità autonoma, una creatura marina priva di scheletro.
— Federico — tuona il cardinale Lourdusamy — possiamo suggerirle qualcuno che riempia il vuoto lasciato sulla sua nave dalla morte del lanciere Rettig. Ma prima dobbiamo parlare dei motivi di questa missione. Sa perché dobbiamo trovare e tenere sotto custodia quella ragazzina?
De Soya raddrizza la schiena. — Sua Eccellenza spiegò che la bambina è figlia di un abominio cìbrido. Che costituisce una minaccia per la Chiesa stessa. Che potrebbe essere un agente delle IA del TecnoNucleo.
Il cardinale annuisce. — Tutto vero, Federico, tutto vero. Ma non le abbiamo spiegato in che modo quella bambina è una minaccia, non solo per la Chiesa e per la Pax, ma per tutta la razza umana. Se torna in missione, figliolo, ha diritto di sapere.
Dall’esterno, soffocati ma ancora percettibili attraverso le finestre e le pareti del palazzo, provengono due improvvisi e diversi rumori. Nello stesso istante, dal colle Gianicolo lungo il fiume verso Trastevere, il cannone di mezzogiorno spara a salve e gli orologi di S. Pietro cominciano a battere i dodici rintocchi.
Il cardinale Lourdusamy esita, toglie dalle pieghe della veste cremisi un antico orologio da tasca, annuisce come soddisfatto, lo carica e lo ripone.
De Soya aspetta.