Sono stanchi della morte. Dopo otto sistemi stellari in sessantatré giorni, dopo otto orribili morti e otto dolorose risurrezioni, il Padre Capitano de Soya, il sergente Gregorius, il caporale Kee e il lanciere Rettig sono stufi di morire e di rinascere.
Ora, dopo ogni risurrezione, de Soya si mette, nudo, di fronte allo specchio e guarda la propria pelle, arrossata e luccicante come il corpo di chi sia stato scorticato vivo; tocca con cautela il crucimorfo, ora livido, ora scarlatto, sotto la carne del proprio petto. Nei giorni che seguono ogni risurrezione de Soya si sente sconvolto e vede aumentare il tremito delle proprie mani. Le voci gli giungono come da lontano e lui non riesce a concentrarsi, sia che parli con un ammiraglio della Pax, col governatore di un pianeta o con un semplice parroco.
Comincia a vestirsi come un parroco, porta la tonaca e il solino al posto dell’azzimata uniforme di prete-capitano della Pax. Alla cintola ha un rosario e lo recita quasi di continuo, facendo scorrere tra le dita i grani: la preghiera riesce a calmarlo, gli rimette ordine nei pensieri. Ora il Padre Capitano de Soya non sogna più Aenea come se fosse sua figlia; non sogna più Vettore Rinascimento e la propria sorella, Maria. Sogna l’apocalisse: terribili sogni di foreste orbitali in fiamme, di mondi incendiati, di raggi della morte che passano sopra fertili valli coltivate e lasciano solo cadaveri.
Si accorge, dopo il primo mondo del fiume Teti, d’avere sbagliato i calcoli. Due anni standard per controllare duecento mondi, ha detto nel sistema di Vettore Rinascimento, contando per ogni sistema tre giorni di risurrezione, un breve intervallo e poi la traslazione al sistema seguente. Non funziona a questo modo.
Il primo pianeta è Tau Ceti Centro, ex capitale amministrativa dell’estesa Rete dei Mondi dell’Egemonia, a quel tempo residenza di decine di miliardi di persone, circondato da un vero anello di città e di habitat orbitali, servito da ascensori spaziali, da teleporter, dal fiume Teti, dal Grand Concourse, dall’astrotel e da altro ancora… Punto focale per la megasfera del piano dati dell’Egemonia e sede del Palazzo del Governo, dove Meina Gladstone aveva trovato la morte per mano della plebaglia infuriata dopo la distruzione, a opera delle navi della FORCE, dei teleporter della Rete, TC2 era stato duramente colpito dalla Caduta. Quando si era spenta la griglia energetica, gli edifici galleggianti si erano schiantati al suolo. Altri grattacieli, in certi casi alti varie centinaia di piani, erano serviti solo da teleporter e mancavano di scale e di ascensori. Decine di migliaia di persone vi erano morte di fame o erano precipitate, prima d’essere portate in salvo dagli skimmer. Il pianeta non aveva agricoltura propria perché importava il necessario da migliaia di mondi tramite i teleporter a terra e i grandi portali in orbita nello spazio. Su TC2, i Tumulti della Fame erano durati cinquanta anni locali, pari a più di trenta anni standard; al termine, miliardi di persone erano morte per mano umana, aggiungendosi ai miliardi di vittime della carestia.
Tau Ceti Centro era stato un mondo sofisticato e sregolato, ai tempi della Rete. Ben poche religioni non vi avevano attecchito, in genere le più permissive e le più violente… la Chiesa della Redenzione Finale, ossia il culto dello Shrike, era stata popolare fra la gente sofisticata e annoiata. Ma nei secoli dell’espansione dell’Egemonia, l’unico vero oggetto d’adorazione su TC2 era stato il potere: la ricerca del potere, la conquista del potere, il mantenimento del potere. Il potere era stato il dio di miliardi di persone; quando quel dio era venuto a mancare, trascinando nel crollo miliardi di adoratori, i superstiti fra le rovine urbane avevano maledetto i ricordi del potere, mentre si arrabattavano per sopravvivere come contadini all’ombra dei grattacieli marcescenti, mentre tiravano l’aratro negli isolati urbani invasi d’erbacce, fra le autostrade abbandonate e le aviostrade e lo scheletro dei vecchi centri commerciali del Grand Concourse, mentre pescavano carpe nel Teti dove ogni giorno erano passati migliaia di yacht di lusso e di chiatte da diporto.
Tau Ceti Centro era maturo per il cristianesimo della rinascita, per il nuovo cattolicesimo; e quando, sessant’anni standard dopo la Caduta, erano giunti i missionari della Chiesa e la polizia della Pax, la conversione dei pochi miliardi di sopravvissuti era stata sincera e universale. Gli alti edifici a guglia, un tempo sedi commerciali e governative della Rete e ora in rovina, furono infine abbattuti; le loro pietre e i vetri lussuosi e il plastacciaio furono riciclati in grandi cattedrali costruite dalle mani dei nuovi rinati di Tau Ceti, affollate ogni giorno da persone grate e fedeli.
L’arcivescovo di Tau Ceti Centro divenne una delle più importanti e, sì, più potenti, personalità del riemergente dominio umano ora noto come Pax, rivaleggiando in influenza con Sua Santità su Pacem. Questo potere crebbe, trovò confini che non potevano essere superati senza incorrere nella collera papale (la scomunica di Sua Eccellenza il cardinale Klaus Kronenberg nell’Anno di Nostro Signore 2978, ossia nel 126 Dopo la Caduta, contribuì a stabilire questi confini) e continuò a crescere in quell’ambito.
Così, al primo balzo dal sistema di Vettore Rinascimento, il Padre Capitano de Soya scopre d’essersi sbagliato. Due anni, ha previsto, circa seicento giorni e duecento morti autoimposte per esaminare tutti i pianeti toccati un tempo dal fiume Teti.
Con le sue Guardie Svizzere, si trattiene otto giorni su Tau Ceti Centro. La Raffaele entra nel sistema e invia con il radarfaro automatico pulsazioni in codice; le navi della Pax rispondono e nel giro di quattordici ore si presentano all’appuntamento. Sono necessarie altre otto ore per decelerare nel traffico orbitale di TC2 e altre quattro per trasferire i corpi nella culla di risurrezione della capitale planetaria, San Paolo. In questo modo si perde un giorno intero.
Dopo tre giorni di risurrezione formale e dopo un altro giorno di riposo forzato, de Soya incontra l’arcivescovo di TC2, Sua Eccellenza Achilia Silvaski, e deve sopportare un giorno intero di formalità. De Soya ha con sé il diskey papale, una delega di potere quasi inaudita, e la corte dell’arcivescovo, simile a una muta di cani da caccia dietro l’usta, deve annusare le motivazioni e i prevedibili risultati di quel potere. Nel giro di qualche ora de Soya comincia a intuire i vari strati d’intrigo e di complessità all’interno di quella lotta di potere: l’arcivescovo Silvaski non può aspirare alla porpora cardinalizia perché, dopo la scomunica di Kronenberg, nessun capo spirituale di TC2 raggiunge un grado superiore a quello di arcivescovo senza trasferirsi su Pacem e nel Vaticano, ma l’attuale potere di Silvaski in quel settore della Pax supera di gran lunga quello di molti cardinali e la parte temporale di questo potere tiene a freno anche ammiragli della Flotta della Pax. Silvaski deve capire la portata della delega d’autorità papale che de Soya ha con sé e renderla inoffensiva per i propri scopi.
Il Padre Capitano de Soya se ne frega della paranoia dell’arcivescovo Silvaski e della politica della Chiesa su TC2. A lui interessano solo le vie d’uscita dei teleporter locali. Nel quinto giorno dalla traslazione nel sistema di Tau Ceti, de Soya percorre i cinquecento metri che separano dal fiume la cattedrale di San Paolo e l’arcivescovado: il fiume è un affluente secondario deviato in un canale che scorre nella città, ma un tempo faceva parte del Teti.
I giganteschi portali, ancora esistenti perché secondo gli ingegneri il tentativo di smantellarli causerebbe un’esplosione nucleare, sono da tempo pavesati di stendardi della Chiesa, ma non distano molto l’uno dall’altro: lì il Teti percorreva solo due chilometri da portale a portale e scorreva davanti all’affaccendato Palazzo del Governo e ai giardini del Parco dei Cervi. Ora il Padre Capitano de Soya, le sue tre Guardie Svizzere e la scorta di decine di attenti soldati della Pax fedeli all’arcivescovo Silvaski, si fermano davanti al primo portale e ammirano sulla riva erbosa l’arazzo lungo trenta metri (una raffigurazione del martirio di S. Paolo) appeso al secondo portale, chiaramente visibile al di là dei peschi in fiore dei giardini dell’arcivescovado.
Poiché quella sezione del Teti si trova adesso nei giardini privati di Sua Eccellenza, ci sono guardie lungo il canale e ai ponti. Le guardie non prestano particolare attenzione agli antichi manufatti che un tempo erano ingressi di teleporter, ma gli ufficiali della guardia patatina assicurano a de Soya che nessun veicolo, né individui non autorizzati, sono passati da quei portali né sono stati visti lungo le rive del canale.
De Soya esige che ci sia una guardia permanente ai portali. Vuole che siano piazzate telecamere per una sorveglianza di ventinove ore su ventinove. Vuole sensori, allarmi, trappole. I militari della Pax conferiscono con l’arcivescovo; poi, di malavoglia, eseguono l’ordine che ritengono uno sminuimento della propria sovranità. De Soya quasi dispera, notando quelle inutili manovre politiche.
Il sesto giorno, il caporale Kee si ammala di una febbre misteriosa ed è ricoverato in ospedale. De Soya la ritiene una conseguenza della risurrezione: ciascuno di loro ha patito in privato tremiti convulsi, sbalzi emotivi e altre indisposizioni meno gravi. Il settimo giorno Kee è in grado di camminare e implora de Soya di toglierlo dall’infermeria e da quel pianeta. Ma ora l’arcivescovo chiede con insistenza che quella sera de Soya lo assista nella celebrazione di una Messa solenne in onore di Sua Santità Giulio XIV. De Soya non può rifiutare, perciò quella sera… fra scettri e monsignori dai bottoni rosa, sotto il gigantesco stemma con la Triplice Corona e le Chiavi Incrociate di Sua Santità (stemma che compare anche sul diskey papale che de Soya porta al collo) tra i fumi d’incenso, le mitre bianche e il tintinnio di campanelle, nel solenne canto di un coro di seicento voci bianche, il semplice prete-guerriero nato su MadredeDios e l’elegante arcivescovo celebrano il mistero della crocifissione di Cristo e della risurrezione. Quella sera il sergente Gregorius riceve la comunione dalla mano di de Soya (come fa ogni giorno, dall’inizio della ricerca) in compagnia di alcune decine di persone scelte come lui per ricevere l’Ostia, segreto del successo dell’immortalità crucimorfica in questa vita, mentre tremila fedeli pregano e assistono alla cerimonia nella fioca luce della cattedrale.
L’ottavo giorno i quattro lasciano il sistema e per la prima volta il Padre Capitano de Soya accoglie come gradito mezzo di fuga la prossima morte.
La loro risurrezione avviene in una culla su Porta del Paradiso, pianeta un tempo miserrimo, ai tempi della Rete terraformato con alberi ombrosi e con tutte le comodità, ora in gran parte tornato al fango ribollente, alle paludi pestilenziali, all’atmosfera irrespirabile e all’ardente cascata di radiazioni del suo sole, Vega Primo. Il computer di bordo della Raffaele, calcolatore privo d’intelligenza, ha scelto il percorso da seguire lungo i mondi del Teti sulla base dell’efficienza del viaggio per visitarli, perché su Vettore Rinascimento non si sono trovati indizi della possibile destinazione della bambina. De Soya nota con interesse che si avvicinano sempre di più al sistema della Vecchia Terra… meno di dodici anni luce, da TC2; ora solo poco più di otto anni luce, da Porta del Paradiso. Si rende conto che visiterebbe con piacere il sistema solare della Vecchia Terra… anche senza la Vecchia Terra… nonostante il fatto che Marte e gli altri corpi celesti abitati, pianeti e lune e asteroidi, siano provinciali e arretrati e non rivestano per la Pax maggior interesse del suo stesso MadredeDios.
Ma il Teti non scorreva nel sistema della Vecchia Terra, perciò de Soya deve dominare la propria curiosità e accontentarsi del fatto che i mondi seguenti saranno ancora più vicini a quel sistema solare.
Anche Porta del Paradiso comporta la perdita di otto giorni, ma non per ragioni di politica interna della Chiesa. In orbita intorno al pianeta c’è una piccola guarnigione della Pax, che di rado scende su quel mondo disastrato. Nei 274 anni standard dalla Caduta, la popolazione di Porta del Paradiso si è ridotta da quattrocento milioni di residenti a una decina di scombicchierati cercatori minerari che vagano sui pianori di fango: ancora prima che Meina Gladstone ordinasse la distruzione dei teleporter, gli Sciami Ouster avevano assalito il sistema vegano, avevano distrutto la sfera di contenimento orbitale, sbriciolato la capitale Città Piana Fangosa e i suoi amabili giardini, annientato con bombe al plasma le stazioni generatrici d’atmosfera per la cui costruzione erano occorsi secoli e praticamente avevano sterilizzato il pianeta ancora prima che la perdita del collegamento teleporter facesse in modo che niente vi sarebbe più cresciuto.
Perciò ora la guarnigione della Pax sorveglia il ribollente pianeta per via dei suoi minerali grezzi di cui tanto si parla, ma non ha motivo di scendervi. De Soya deve convincere il comandante della guarnigione, maggiore Leem, che bisogna organizzare una spedizione. Il quinto giorno dopo l’ingresso della Raffaele nel sistema vegano, de Soya, Gregorius, Kee, Rettig, un certo tenente Bristol e una decina di soldati della Pax, muniti di tute per difendersi dai pericoli ambientali, prendono una navetta e scendono dove un tempo scorreva il Teti. Non trovano i portali.
— Credevo che fosse impossibile distruggerli — dice de Soya. — Il TecnoNucleo li ha costruiti per durare e li ha muniti di marchingegni che ne rendessero impossibile la distruzione.
— Qui non ci sono — dice il tenente Bristol e ordina di tornare in orbita.
De Soya lo blocca. Avvalendosi dell’autorità del diskey papale, insiste per una ricerca con tutti i sensori. I due teleporter sono infine localizzati: distano sedici chilometri l’uno dall’altro e sono sepolti sotto un centinaio di metri di fango.
«Il mistero è risolto» trasmette il maggiore Leem sul canale a raggio compatto. «O l’attacco degli Ouster o una successiva slavina di fango hanno sepolto i portali e quello che era stato il fiume. Questo pianeta è andato letteralmente all’inferno.»
«Può darsi» replica de Soya. «Ma voglio che i portali siano portati alla luce, che siano racchiusi in bolle ambientali temporanee per consentire la sopravvivenza a chi ne dovesse uscire e che siano sorvegliati di continuo.»
«Lei è uscito di senno, crocesanta!» esplode il maggiore Leem; poi, ricordando il diskey papale, soggiunge: «Signore».
«Non ancora» replica de Soya, con un’occhiata di fuoco nell’obiettivo della telecamera. «Voglio che tutto sia pronto entro settantadue ore, Maggiore, altrimenti lei passerà i prossimi tre anni standard laggiù nel distaccamento planetario.»
Occorrono settantadue ore per scavare, costruire le cupole ambientali e disporre le sentinelle. Chi percorresse il Teti, non troverebbe il fiume, è ovvio: solo fango ribollente, atmosfera nociva e irrespirabile e soldati in pieno assetto di guerra. Nell’ultima notte in orbita intorno a Porta del Paradiso, a bordo della Raffaele de Soya s’inginocchia e prega che Aenea non sia già passata di lì. Nel fango sulfureo dello scavo non sono state trovate ossa, ma l’ingegnere della Pax incaricato dei lavori ha detto a de Soya che lì, nella sua forma naturale, il suolo è talmente acido che potrebbe avere già corroso lo scheletro della bambina.
De Soya non crede che sia andata così. Il nono giorno effettua la traslazione dal sistema vegano, ma prima ammonisce il maggiore Leem di tenere sul chi vive le sentinelle, di mantenere vivibili le bolle ambientali e di usare espressioni più educate verso eventuali visitatori futuri.
Nel terzo sistema solare toccato dalla Raffaele non c’è nessuno a occuparsi della loro risurrezione. La nave Arcangelo entra con il suo carico di morti nel Sistema NCG 2629 e lancia segnali nel codice della Pax. Non riceve risposta. Il sistema NCG 2629 comprende otto pianeti, uno solo dei quali, noto col nome ben poco fantasioso di NCG 2629-4BIV, può mantenere la vita. Dai dati ancora disponibili alla Raffaele, pare attendibile che l’Egemonia e il TecnoNucleo abbiano sostenuto lo sforzo e la spesa di far passare su quel pianeta il fiume Teti come forma di autocompiacimento, una formulazione estetica. Il pianeta non è mai stato seriamente colonizzato né terraformato, a parte la casuale semina RNA nei primi tempi dell’Egira, e a quanto pare è stato incluso nel giro turistico del Teti solo per i panorami e per l’osservazione d’animali.
Ciò non significa che al momento non ci siano sul pianeta esseri umani: la Raffaele li annusa dall’orbita di parcheggio negli ultimi giorni della risurrezione automatica dei suoi passeggeri. Per quanto possono ricostruire e capire le limitate risorse dei computer quasi-IA della Raffaele, la scarsa popolazione di NCG 2629-4BIV, composta di biologi, zoologi, turisti e squadre di supporto (in visita sul pianeta e lì rimasti a seguito della Caduta) è diventata indigena. Tuttavia, nonostante l’incontrollata riproduzione per quasi tre secoli, solo alcune migliaia d’anime popolano ancora le giungle e gli altopiani di quel primitivo pianeta: gli animali ottenuti per semina RNA erano in grado di mangiare gli esseri umani e l’hanno fatto con entusiasmo.
La Raffaele sfrutta fino in fondo le proprie potenzialità nel semplice compito di trovare i portali teleporter. I dati della Rete di cui dispone in memoria dicono semplicemente che i portali sono dislocati a intervalli variabili lungo un fiume di seimila chilometri nell’emisfero nord. La Raffaele modifica la propria orbita, spostandosi in un punto grosso modo geosincrono sopra l’esteso continente che domina quell’emisfero e comincia a tracciare una mappa fotografica e radar del fiume. Purtroppo sul continente ci sono tre grossi fiumi, due che scorrono verso est, uno che scorre verso ovest, e la Raffaele non può stabilire un ordine prioritario in base alle probabilità. Decide allora di tracciare la mappa di tutt’e tre i fiumi, compito che richiede l’analisi di dati relativi a più di ventimila chilometri.
Quando il cuore dei quattro uomini comincia a battere, al termine del terzo giorno del ciclo di risurrezione, la Raffaele tira l’equivalente siliceo di un sospiro di sollievo.
Ascoltando il computer che descrive il lavoro già eseguito, Federico de Soya, nudo di fronte allo specchio, non prova alcun sollievo. A dire il vero si sente sul punto di piangere. Pensa alla Madre Capitano Stone, alla Madre Capitano Boulez e al capitano Hearn, ormai alla frontiera della Grande Muraglia e probabilmente impegnati in duri combattimenti con il nemico Ouster. De Soya invidia il loro compito, semplice e onesto.
Dopo una conversazione con il sergente Gregorius e con i suoi due uomini, de Soya esamina i dati, scarta subito il fiume che scorre verso ovest perché troppo poco pittoresco per il Teti in quanto segue soprattutto profondi canyon e si allontana dalle giungle e dalle paludi infestate di vita; scarta anche un secondo fiume, per l’evidente numero di cascate e di rapide (troppo arduo per il traffico del Teti) e inizia una rapida rilevazione radar del terzo fiume, il più lungo, con vaste e placide distese d’acqua. La mappa mostra decine, forse centinaia, di ostacoli naturali che possono sembrare arcate di teleporter… cascate su strapiombi, ponti naturali, campi sassosi fra le rapide… ma tutte cose che possono essere esaminate a vista in poche ore.
Il quinto giorno de Soya e gli altri localizzano i portali… molto distanziati tra loro, ma senza dubbio artificiali. De Soya pilota di persona la navetta e lascia sulla Raffaele il caporale Kee, come rinforzo in caso d’emergenza.
Il quadro è quello paventato da de Soya: non c’è modo di dire se la bambina è uscita da quella parte, con o senza la nave. La distanza fra gli inerti portali è la più lunga fino a quel momento, quasi duecento chilometri; anche se de Soya fa volare la navetta avanti e indietro sulla giungla e sul bordo del fiume, non può stabilire se qualcuno sia passato di lì, non ha testimoni da interrogare né soldati della Pax da mettere di guardia.
Atterra su di un’isola non lontano dal teleporter superiore e discute con Gregorius e Rettig.
— Sono trascorse tre settimane standard da quando la nave ha lasciato Vettore Rinascimento — dice Gregorius. L’interno della navetta è ingombro e funzionale: i tre parlano dai sedioli di volo. Le tute da combattimento di Gregorius e di Rettig sono appese nello scomparto AEV, come seconde pelli di metallo.
— Se sono usciti qui — dice Rettig — probabilmente si sono limitati a decollare con la nave. Non avevano motivo di continuare lungo il fiume, in un simile mondo.
— Vero — dice de Soya. — Però ci sono buone probabilità che la nave sia danneggiata.
— Sì, ma fino a che punto? — obietta il sergente. — Poteva volare? Autoripararsi durante il volo? Raggiungere una base officina Ouster? Qui non siamo molto lontano dalla Periferia.
— Oppure la bambina ha mandato via la nave e ha varcato il portale seguente — suggerisce Rettig.
— Ammesso che uno degli altri portali funzioni — dice stancamente de Soya. — E che su Vettore Rinascimento non si sia trattato di un semplice colpo di fortuna.
Gregorius posa le mani sulle ginocchia. — Sì, signore, è assurdo. Al confronto, cercare un ago in un pagliaio, come si usava dire, sarebbe un gioco da bambini.
Il Padre Capitano de Soya guarda dal finestrino della navetta. Alte felci si piegano nel vento silenzioso. — Ho la sensazione che la bambina segua il vecchio Teti. Ritengo che userà i teleporter. Non so come… forse con la macchina volante che qualcuno ha adoperato per portarla fuori dalla Valle delle Tombe del Tempo, oppure con un canotto gonfiabile o con una barca rubata… ma penso che percorrerà il Teti.
— Cosa possiamo fare qui? — domanda Rettig. — Se è già passata, l’abbiamo mancata. Se non è ancora giunta… be’, potremmo aspettarla in eterno. Se avessimo cento navi Arcangelo per portare soldati su ognuno di quei mondi…
De Soya annuisce. Nelle sue ore di preghiera, spesso si distrae al pensiero di quanto sarebbe più facile il suo compito, se i corrieri Arcangelo fossero semplici navi robotizzate: allora potrebbero traslare nei sistemi della Pax, rendere nota l’autorità del diskey papale e ordinare la ricerca, poi balzare fuori sistema senza neppure decelerare. Per quanto ne sa lui, la Pax non costruisce navi robotizzate: l’odio della Chiesa per le IA e la dipendenza dal contatto umano lo vietano. Per quanto ne sa lui, esistono solo tre navi corriere di classe Arcangelo, la Michele, la Gabriele (quella che per prima gli ha portato il messaggio) e la sua attuale Raffaele. Nel sistema di Vettore Rinascimento aveva voluto mandare in ricerca l’altra nave corriere, ma la Michele aveva urgenti impegni per il Vaticano. Dal punto di vista logico, de Soya aveva capito perché quella ricerca era sua e solo sua. Ma hanno consumato quasi tre settimane per esaminare solo due pianeti. Una nave Arcangelo robotizzata potrebbe balzare in duecento sistemi e trasmettere l’allarme in meno di dieci giorni standard… invece, a questo ritmo, a lui e alla Raffaele occorreranno quattro o cinque anni standard. L’esausto Padre Capitano ha voglia di ridere.
— C’è sempre la sua nave — dice vivacemente. — Se proseguono senza la nave, hanno due possibilità: inviare la nave da qualche altra parte o abbandonarla in uno dei mondi del Teti.
— Lei parla al plurale, signore — dice piano Gregorius. — È sicuro che la bambina non sia da sola?
— Su Hyperion qualcuno l’ha tolta dalla nostra trappola — risponde de Soya. — Con lei ci sono altri.
— Forse un intero equipaggio Ouster — dice Rettig. — Ormai sarebbero a metà strada dallo Sciame, dopo avere lasciato la bambina su uno qualsiasi di quei pianeti. Oppure potrebbero portarla con loro.
De Soya alza la mano per imporre silenzio: hanno già dibattuto a lungo questo punto. — Penso che la nave sia stata colpita e danneggiata — dichiara. — Cerchiamo la nave e forse quella ci condurrà alla bambina.
Gregorius indica la giungla. Fuori piove. — Abbiamo sorvolato l’intero tratto di fiume fra i portali. Nessun segno di una nave. Appena arriviamo nel prossimo sistema della Pax, possiamo inviare qui i soldati della guarnigione per tenere d’occhio i portali.
— Sì — dice il Padre Capitano de Soya — ma con un debito temporale di otto o nove mesi. — Guarda la pioggia rigare il parabrezza e i finestrini laterali. — Frugheremo il fiume.
— Cosa ? — esclama il lanciere Rettig.
— Se tu avessi una nave danneggiata e dovessi abbandonarla, non la nasconderesti? — replica de Soya.
Le due Guardie Svizzere fissano il comandante. De Soya si accorge che le dita dei suoi uomini tremano. Le ripetute risurrezioni influiscono anche su di loro.
— Scandaglieremo col radar il fiume e per quanto possibile anche la giungla — dice de Soya.
— Occorrerà almeno un altro giorno… — comincia Rettig.
De Soya annuisce. — Diremo al caporale Kee di ordinare alla nave di scandagliare col radar la giungla per una fascia di duecento chilometri lungo le rive. Noi useremo la navetta per frugare il fiume. Abbiamo a bordo un radar meno sofisticato, ma dobbiamo coprire meno spazio.
Gli esausti soldati possono solo annuire e ubbidire.
Nella seconda ansa del fiume fanno una scoperta: un oggetto metallico, di grandi dimensioni, in una profonda pozza a solo qualche chilometro a valle del primo portale. La navetta resta sospesa sull’oggetto, mentre de Soya chiama su banda compatta la Raffaele. «Caporale, ora indaghiamo. Voglio che la nave sia pronta a colpire quest’oggetto entro tre secondi dal mio ordine… ma solo su mio ordine!»
«Ricevuto, signore» trasmette Kee.
De Soya tiene sospesa la navetta, mentre Gregorius e Rettig indossano l’armatura, approntano gli utensili necessari e passano nella camera stagna, il cui portello è già aperto. — Andate — dice de Soya.
Il sergente Gregorius salta giù e il sistema EM della sua tuta entra in funzione proprio un attimo prima che lui tocchi l’acqua. Il sergente e il lanciere planano sul fiume, tenendo pronte le armi.
«Abbiamo sul visore tattico l’immagine del radar di profondità» comunica Gregorius su banda compatta.
«I vostri ritorni video sono buoni» dice de Soya, dal sediolo di comando. «Iniziate l’immersione.»
I due uomini si abbassano, toccano la superficie del fiume, scompaiono sott’acqua. De Soya fa virare la navetta in modo da guardare dalla bolla di destra: il fiume è verde scuro, ma sotto la superficie si scorge il luccichio delle torce applicate sui caschi. «Circa otto metri sotto la superficie» comunica de Soya.
«Trovato» dice il sergente.
De Soya guarda il monitor. Vede fanghiglia turbinante, un pesce con molte branchie che schizza via dalla luce, uno scafo metallico ricurvo.
«C’è un portello aperto» riferisce Gregorius. «La nave è in gran parte sepolta nel fango, ma dal poco che vedo, lo scafo pare delle dimensioni giuste. Rettig rimane fuori. Io entro.»
De Soya prova l’impulso di augurargli "Buona fortuna!" ma si trattiene. Ormai sono insieme da tempo, quanto basta per sapere cos’è appropriato per ciascuno di loro. De Soya orienta la navetta e prepara il rozzo cannone al plasma che rappresenta l’unico armamento della piccola nave.
Il ritorno video s’interrompe appena Gregorius varca il portello. Passa un minuto. Due. Ancora due minuti… e de Soya in pratica scalpita sul sediolo di comando. Quasi s’aspetta di vedere la nave balzare fuori dell’acqua e artigliare lo spazio in un disperato tentativo di fuga.
«Lanciere?» chiama.
«Comandi, signore» risponde Rettig.
«Niente da Gregorius?»
«Nossignore. Credo che lo scafo blocchi la banda compatta. Aspetto altri cinque minuti e… Un momento, signore. Vedo qualcosa.»
Grazie al video di ritorno del lanciere, anche de Soya vede nel buio dell’acqua torbida il casco, le spalle, le braccia del sergente Gregorius emergere dal portello. La lampada sul casco del sergente illumina alghe e fanghiglia; il fascio luminoso ondeggia e per un attimo acceca la telecamera di Rettig.
«Padre Capitano de Soya, non è la nave giusta, signore» brontola Gregorius, solo un tantino a corto di fiato. «Credo che sia uno degli antichi yacht polivalenti usati dai ricchi al tempo della Rete. Fungevano anche da sommergibili… e potevano anche volare un poco, credo.»
De Soya lascia uscire il fiato. «Perché è sul fondo, sergente?»
La sagoma in armatura alza il pollice, rivolgendosi a Rettig, e i due risalgono in superficie. «Credo che l’abbiano affondato deliberatamente, signore» risponde Gregorius. «Ci sono almeno dieci scheletri a bordo… forse dodici. Due di bambini. Come dicevo, signore, quell’affare era adatto a galleggiare su ogni oceano, anche a fungere da sommergibile se necessario, quindi non è possibile che tutti i portelli si siano aperti accidentalmente, signore.»
De Soya guarda dal finestrino le due sagome in armatura affiorare e librarsi a cinque metri dall’acqua, gocciolando da tutte le parti.
«Credo che siano rimasti bloccati qui dopo la Caduta, signore» dice Gregorius. «E che abbiano deciso di farla finita. Si tratta solo di un’ipotesi, Padre Capitano, ma ho il sospetto…»
«Ho il sospetto che tu abbia ragione, sergente» lo interrompe de Soya. «Tornate a bordo.»
Prima che arrivino, mentre è da solo, de Soya alza la mano e mormora una benedizione al fiume, al vascello affondato e alle persone lì sepolte. La Chiesa non dà la benedizione ai suicidi, ma sa che c’è ben poco di sicuro, nella vita o nella morte. O, almeno, de Soya lo sa, anche se la Chiesa lo ignora.
Lasciano dei rivelatori di movimento che emettono i propri raggi davanti ai due portali (quei congegni non bloccheranno la bambina e i suoi compagni, ma diranno ai soldati che de Soya manderà sul pianeta se nel frattempo qualcuno ha varcato gli archi) e poi abbandonano NCG 2629-4BIV, agganciano la tozza navetta alla brutta massa della Raffaele sopra il lucente lembo del pianeta avvolto di turbini di nuvole e accelerano per uscire dal pozzo gravitazionale e compiere la traslazione per la prossima fermata, il Mondo di Barnard.
Secondo il piano d’inseguimento di de Soya, quel sistema solare è il più vicino alla Vecchia Terra (solo sei anni luce) ed è stato una delle prime colonie interstellari dell’epoca pre-Egira; il Padre Capitano si compiace di pensare che darà una rapida occhiata nel passato della Vecchia Terra stessa. Tuttavia, dopo la risurrezione nella base della Pax a circa sei UA dal Mondo di Barnard, de Soya nota subito le differenze. La stella di Barnard è una nana rossa la cui massa è circa un quinto di quella del sole di tipo G della Vecchia Terra e la cui luminosità è 2500 volte inferiore. Solo la vicinanza al sole (0,126 UA) e secoli di lavoro per terraformarlo, hanno consentito al Mondo di Barnard di occupare un’alta posizione nella scala Solmev. Ma, come de Soya e i suoi scoprono dopo il trasbordo sul pianeta, sotto scorta della Pax, l’impegno ha dato davvero ottimi risultati.
Il Mondo di Barnard ha sofferto moltissimo per l’invasione dello Sciame Ouster poco prima della Caduta e pochissimo, in termini relativi, per la Caduta stessa. Al tempo della Rete, quel pianeta era stato una piacevole contraddizione: massicciamente agricolo, specializzato in prodotti originari della Vecchia Terra, come mais, grano, soia e simili, ma anche profondamente intellettuale, perché vantava centinaia delle più raffinate università della Rete. La combinazione di arretratezza agricola (la vita sul Mondo di Barnard tendeva a imitare quella delle piccole città del nordamerica intorno al 1900) e di punto caldo intellettuale vi aveva attirato alcuni dei migliori studiosi, scrittori e pensatori dell’Egemonia.
Dopo la Caduta, il Mondo di Barnard si era affidato più al retaggio agricolo che al valore intellettuale. All’arrivo in forze della Pax, una cinquantina d’anni dopo la Caduta, vi era stata una certa resistenza al marchio della cristianità della rinascita e al governo basato sulla Pax. Il Mondo di Barnard era stato autarchico e voleva rimanere tale. Non era stato ufficialmente accettato nella Pax fino all’a.D. 3061, circa 212 anni dopo la Caduta, e solo a seguito di una sanguinosa guerra civile fra i cattolici e le bande partigiane più o meno raggruppate sotto il nome di Liberi Credenti.
Ora, mentre de Soya apprende questi particolari durante il breve giro in compagnia dell’arcivescovo Herbert Stern, le principali università sono vuote o trasformate in seminari per i giovani del Mondo di Barnard. I partigiani sono in pratica scomparsi, ma esistono alcune sacche di resistenza nelle zone dei canyon e delle foreste lungo il fiume noto come Turkey Run.
Il Turkey Run ha fatto parte del Teti ed è proprio lì che de Soya e suoi uomini vogliono andare. Il quinto giorno, con una scorta di sessanta soldati della Pax e di alcune guardie scelte personali dell’arcivescovo, raggiungono il fiume.
Non incontrano partigiani. Quel tratto del Teti scorre in ampie vallate, passa sotto alti dirupi di argillite, attraversa boschi cedui della Vecchia Terra (alberi trapiantati) e sbuca in quella che da tempo è diventata terra arata, per la maggior parte campi di mais punteggiati qua e là di bianche fattorie e di capannoni agricoli. A de Soya non pare un luogo di violenze e infatti lì lui non ne incontra.
Gli skimmer della Pax frugano i boschi, ma non trovano segno della nave della bambina. Il Turkey Run è troppo basso per nascondere una nave (il maggiore Andy Ford, l’ufficiale della Pax al comando della ricerca, lo chiama il "più dolce fiume da canoa da questo lato del Sugar Creek") e qui il segmento del Teti era lungo solo alcuni chilometri. Il Mondo di Barnard ha un moderno controllo del traffico atmosferico e orbitale: nessuna nave avrebbe potuto lasciare la zona senza essere rilevata. Un’indagine tra i contadini della zona del Turkey Run non rivela la presenza di forestieri. Alla fine, il comando militare della Pax, il concilio diocesano dell’Arcivescovo e le locali autorità civili promettono una sorveglianza continua della zona, malgrado la minaccia di azioni di guerriglia da parte dei Liberi Credenti.
L’ottavo giorno de Soya e i suoi uomini si accomiatano da decine di persone definibili solo come nuovi amici, salgono in orbita, si trasferiscono a bordo di una nave torcia della Pax e sono scortati alla guarnigione in orbita alta intorno alla Stella di Barnard e poi alla nave Arcangelo. L’ultima cosa di quel mondo bucolico che de Soya vede di sfuggita è la coppia di guglie della gigantesca cattedrale che sorge nella capitale, San Tommaso, un tempo nota come Bussard City.
Allontanandosi ora dalla direzione in cui si trova il sistema solare della Vecchia Terra, de Soya, Gregorius, Kee e Rettig si svegliano nel sistema Lacaille 9352, distante dalla Vecchia Terra quasi quanto Tau Ceti distava dalle prime navi coloniali. Qui il ritardo non è né burocratico né militare, ma ambientale. Il pianeta di quella stella, noto nella Rete come Amarezza di Sibiatu e ribattezzato Grazia Inevitabile dall’attuale popolazione di poche migliaia di coloni della Pax, era a quel tempo di scarso interesse pittoresco e ora lo è molto meno. Il fiume Teti vi scorreva sotto un tunnel di perspex lungo dodici chilometri che manteneva la pressione e tratteneva l’aria respirabile. Da più di due secoli quella copertura è in stato d’abbandono, l’acqua è evaporata per la bassa pressione, la rarefatta atmosfera di metano e ammoniaca si è precipitata a riempire le rive deserte e i residui dei tubi di perspex.
De Soya non sa spiegarsi come mai la Rete abbia incluso nel Teti quel sasso. Lì non c’è guarnigione militare della Pax, né una consistente presenza della Chiesa, a parte i cappellani che vivono fra i coloni, molto religiosi, che ricavano da vivere sfruttando le miniere di bauxite e i pozzi di zolfo. De Soya e i suoi uomini convincono alcuni coloni ad accompagnarli all’antico fiume.
— Se è uscita qui, è morta — dice Gregorius, mentre ispeziona il gigantesco portale che incombe sopra una linea retta di rottami di perspex e di alveo asciutto. Il vento di metano soffia e granelli di polvere cercano d’infilarsi nelle tute atmosferiche.
— No, se è rimasta nella nave — dice de Soya, girandosi pesantemente nella tuta per guardare il cielo gialloarancione. — I coloni non avrebbero notato il decollo della nave… la colonia è troppo distante.
L’uomo che li accompagna, un tipo brizzolato, curvo anche nella logora tuta sbiancata dal sole, borbotta da dietro il visore: — Vero, Padre. In verità non stiamo mai fuori troppo.
De Soya e i suoi uomini discutono l’opportunità di far venire su di un simile pianeta un distaccamento di soldati della Pax che tenga d’occhio i portali per l’eventuale arrivo della bambina nei mesi e negli anni a venire.
— Sarebbe un maledetto servizio rompiculo per niente, signore — dice Gregorius. — Scusi l’espressione, Padre.
De Soya annuisce, turbato. Hanno lasciato lì gli ultimi rilevatori di movimento: hanno esplorato cinque mondi su duecento e sono già a corto di materiale. Anche lui è depresso al pensiero d’inviare soldati su quel pianeta, ma non vede alternativa. Oltre al dolore sordo della risurrezione e agli sbalzi d’umore che ora lo tormentano di continuo, è in preda all’avvilimento e ai dubbi. Si sente un vecchissimo gatto cieco mandato ad acchiappare un topo, ma impossibilitato a sorvegliare duecento tane nello stesso tempo. Non per la prima volta, rimpiange di non essere nella Periferia a combattere contro gli Ouster.
Come se gli leggesse nel pensiero, il sergente Gregorius dice: — Signore, ha esaminato davvero l’itinerario stabilito dalla Raffaele?
— Sì, sergente, perché?
— Toccheremo alcuni pianeti che non sono più nostri, Capitano. Non solo nell’ultima parte del giro… quei mondi sperduti nella Periferia. La Raffaele vuole portarci su pianeti occupati dagli Ouster già da molto tempo.
De Soya annuisce, stanco. — Lo so, sergente. Nel chiedere al computer della nave di elaborare questo viaggio, non ho posto condizioni relative alle aree di guerra né alle zone difensive della Grande Muraglia.
— Ci sono diciotto pianeti che sarebbe un po’ azzardato visitare — dice Gregorius, con la traccia di un sogghigno. — Visto che al momento appartengono agli Ouster.
De Soya annuisce di nuovo, ma non replica.
Parla invece il caporale Kee, con calma. — Se vorrà dare un’occhiata anche a quelli, signore, saremo più che felici di accompagnarla.
Il prete-capitano guarda in viso i suoi tre uomini. Pensa d’avere dato troppo per scontate la loro lealtà e la loro presenza. — Grazie — dice con semplicità. — Decideremo quando arriveremo a quella parte del… del giro turistico.
— Cosa che a questo ritmo potrebbe verificarsi fra un centinaio d’anni standard — commenta Rettig.
— Certo, è possibile — dice de Soya. — Agganciamo le cinture e andiamo via in fretta da questo buco.
Traslano fuori del sistema.
Ancora nel Vecchio Vicinato, praticamente appena fuori del cortile posteriore della Vecchia Terra pre-Egira, balzano su due pianeti pesantemente terraformati che girano con la loro complicata coreografia nello spazio di mezzo anno luce fra Epsilon Eridani ed Epsilon Indi.
L’Esperimento Abitativo Eurasiano Omicron2-Epsilon3 è stato un eroico tentativo utopistico pre-Egira di ottenere contro ogni probabilità il terraforming e la perfezione politica, soprattutto neomarxista, in mondi ostili durante la fuga da forze ostili. Tentativo miseramente fallito. Al posto degli utopisti l’Egemonia aveva messo basi della FORCE:spazio e stazioni automatiche di rifornimento carburante; ma poi la pressione delle navi coloniali dirette alla Periferia e il passaggio delle spin-navi nella regione del Vecchio Vicinato durante l’Egira avevano portato a terraformare con successo quei due pianeti bui che giravano fra il fioco Epsilon Eridani e l’ancora più fioco Epsilon Indi. Infine la famosa disfatta della flotta di Glennon-Height aveva dato fama e importanza militare ai due pianeti gemelli. In seguito la Pax aveva ricostruito le basi abbandonate della FORCE e rigenerato i declinanti sistemi di terraforming.
La ricerca di de Soya in queste due sezioni del Teti è rapida ed efficiente. Ciascun tratto di fiume si trova all’interno di aree militari riservate: presto risulta evidente che la bambina, per non parlare della nave, non può avere attraversato quella zona nei due mesi precedenti senza essere scoperta e costretta ad atterrare. De Soya l’aveva già intuito, perché conosce il sistema di Epsilon (è passato da lì varie volte, nei suoi viaggi alla Grande Muraglia e oltre), ma ha ritenuto di poter esaminare di persona i portali.
Tuttavia è una fortuna che il sistema abbia una guarnigione: sia Kee sia Rettig devono essere ricoverati in ospedale. Ingegneri e specialisti della Chiesa esaminano la Raffaele e trovano che ci sono piccole ma gravi imperfezioni nelle culle automatiche di risurrezione. Le riparazioni richiedono tre giorni.
Stavolta, quando traslano fuori del sistema, facendo solo un’altra fermata nel Vecchio Vicinato prima di passare nell’estesa Rete post-Egira, possono sperare a buon diritto in un miglioramento dello stato depressivo e dell’instabilità emotiva, se dovranno affrontare di nuovo la risurrezione automatizzata.
— Ora dove siete diretti? — domanda padre Dimitrius, lo specialista che li ha aiutati negli ultimi giorni.
De Soya esita solo un secondo. Non comprometterà la missione, se riferirà all’anziano prete solo quel dato.
— Mare Infinitum — risponde. — Un pianeta oceanico a circa tre parsec verso l’esterno e due anni luce sopra il piano della…
— Ah, sì — dice l’anziano prete. — Qualche decina d’anni fa avevo una missione su quel pianeta per portare nella luce di Cristo i pescatori indigeni. — Il canuto prete alza la mano e benedice. — Qualsiasi cosa lei cerchi, Padre Capitano de Soya, prego sinceramente che la trovi su quel pianeta.
De Soya sta per lasciare Mare Infinitum, quando la pura e semplice fortuna gli offre il tanto atteso indizio.
Sono già trascorsi sessantatré giorni dall’inizio delle ricerche e due dalla risurrezione nelle culle a bordo della stazione orbitale della Pax; quello è l’inizio del loro ultimo giorno sul pianeta.
Un tenente giovane e ciarliere, Baryn Alan Sproul, è l’ufficiale di collegamento fra de Soya e il comando della flotta della Pax intorno a 70 Ophiuchi A; come tutte le guide turistiche della storia, il giovanotto riferisce a de Soya e ai suoi uomini più informazioni generali di quante a loro piacerebbe ascoltare. Ma è un bravo pilota di tòtteri e su quel mondo oceanico, in una macchina volante a lui poco nota, de Soya ha piacere d’essere il passeggero, anziché il pilota; si rilassa un poco, mentre Sproul li porta verso sud, lontano dall’estesa città galleggiante di Santa Teresa, nelle deserte zone di pesca dove ancora galleggiano le arcate dei teleporter.
— Perché qui i portali sono così distanti l’uno dall’altro? — domanda Gregorius.
— Ah, be’, è una lunga storia — dice il tenente Sproul.
De Soya coglie l’occhiata del sergente. Gregorius non sorride quasi mai, tranne nell’imminenza del combattimento; ma de Soya ormai sa bene che un certo luccichio negli occhi del sergente equivale a una grassa risata.
— … perciò l’Egemonia voleva costruire i portali del Teti quaggiù, in aggiunta alla sfera orbitale e ai piccoli teleporter sistemati da tutte le parti… un’idea abbastanza sciocca, vero, signore? mettere in questo oceano un segmento di un fiume… Comunque, lo volevano nella Corrente Mediolitorale, cosa che ha un certo senso perché è lì che si trovano i leviatani e alcuni dei più notevoli gigacanti, nel caso che i turisti della Rete volessero vedere i pesci, cioè… ma il problema è, be’, molto ovvio…
De Soya lancia un’occhiata al caporale Kee che sonnecchia nel tiepido sole che entra dalla bolla del tòttero.
— È ovvio che non c’è nulla di tanto permanente da giustificare la costruzione d’impianti grossi come quei portali… li vedrà fra un minuto, signore, sono davvero enormi. Be’, voglio dire, ci sono anelli corallini, certo, ma non sono abbarbicati a scogliere, galleggiano; ci sono anche le isole d’algagialla, ma non sono… voglio dire, se vi mette piede, sprofonda, se capisce cosa voglio dire, signore… Là, a destra, signore. Quella è algagialla. Non ce n’è molta, così a sud. Comunque, gli ingegneri della vecchia Egemonia montarono quei portali un po’ come abbiamo fatto noi per le piattaforme e le città negli ultimi cinquecento anni, signore. Ossia, hanno posto le fondamenta a tre o quattrocento metri… roba grossa e pesante dev’essere, signore… e poi hanno conficcato sul fondo grosse ancore a draga frenate da cavi. Ma qui il fondo dell’oceano è piuttosto incerto… di solito si trova almeno a ventimila metri… è là che vivono i grossi nonnini dei gigacanti di superficie come Bocca a Lampada, signore… mostri a enorme profondità, signore… lunghi chilometri…
— Tenente — lo interrompe de Soya — cosa c’entra, tutto questo, con la distanza fra i portali? — Il ronzio quasi ultrasonico delle ali da libellula del tòttero minaccia di far addormentare il Padre Capitano. Kee già russa e Rettig si è messo comodo e ha chiuso gli occhi. È stato un lungo volo.
Sproul sorride. — Ci stavo arrivando, signore. Vede, con la loro massa di chiglia e con uno strascico di venti chilometri di cavo, le nostre città e le nostre piattaforme non vanno molto lontano, neppure nella stagione della Grande Marea, no, signore. Ma i portali… be’, abbiamo un mucchio d’attività vulcanica nel Mare-Occhio, signore. Un’ecologia tutta diversa, laggiù, mi creda. Alcuni di quei vermi tubolari darebbero filo da torcere ai gigacanti, non scherzo, signore. Comunque, i vecchi ingegneri della Rete sistemarono i portali in modo che, se chiglia e cavi avessero percepito attività vulcanica sotto di loro, sarebbero… be’, migrati, signore, è il termine più preciso che mi venga in mente.
— Allora la distanza fra i portali del Teti è aumentata per l’attività vulcanica sul fondo dell’oceano?
— Sì, signore — conferma il tenente Sproul, con un largo sorriso che pare suggerire piacere e sorpresa per il fatto che un ufficiale della Flotta capisca un simile problema. — Eccone uno, signore — soggiunge con gesto teatrale, facendo virare il tòttero in una spirale discendente. Mantiene sospeso il velivolo a qualche metro dall’antica arcata. Venti metri più in basso, il mare viola ribolle e schizza contro il metallo arrugginito alla base del portale.
De Soya si strofina il viso. Non riesce, come gli altri, a vincere la fatica. Forse, se lasciasse passare qualche giorno in più fra la risurrezione e la morte successiva…
— Ora non potremmo vedere l’altro portale?
— Sì, signore! — Il tòttero ronza a solo qualche metro dalle onde e copre i duecento chilometri che lo separano dall’arcata seguente. De Soya si appisola davvero; l’ufficiale lo scuote gentilmente e lui apre gli occhi e scorge l’arcata del secondo portale. È pomeriggio inoltrato e il sole basso proietta sul mare viola una lunga ombra.
— Molto bene — dice de Soya. — Le ricerche con il radar di profondità sono tuttora in corso?
— Sì, signore — conferma il tenente. — Stanno allargando il raggio di ricerca, ma per il momento hanno rilevato solo alcuni grossi e infernali Bocca a Lampada. La cosa ha fatto arrabbiare i tizi della pesca sportiva, glielo dico io.
— A quanto ho capito, signore — borbotta Gregorius, dal suo posto sullo strapuntino dietro il pilota — qui la pesca sportiva è un’industria molto importante.
— Sì, sergente — dice Sproul, girando la testa. — Vista la recessione nella raccolta d’algagialla, è la nostra maggior fonte di guadagno nel commercio interplanetario.
De Soya indica una piattaforma distante solo qualche chilometro. — Un’altra piattaforma di pesca e di rifornimento? — domanda. Ha trascorso con i comandanti della Pax un giorno intero a esaminare rapporti provenienti da piccoli avamposti come quello sparsi su tutto il pianeta. Nessuno parlava di contatti con una nave né dell’avvistamento di una bambina. Durante il lungo volo a sud, hanno sorvolato decine di piattaforme simili.
— Sì, signore — risponde Sproul. — Devo trattenermi ancora un poco o ha visto abbastanza?
De Soya guarda il portale… ora incombe su di loro, mentre il tòttero rimane sospeso qualche metro sopra le onde. — Possiamo tornare, Tenente — dice il Padre Capitano. — Stasera abbiamo una cena ufficiale, siamo ospiti del vescovo Melandriano.
Sproul inarca le sopracciglia. — Sì, signore. — Fa salire il tòttero, compie un ultimo giro intorno al portale e punta di nuovo a nord.
— Quella piattaforma pare danneggiata di recente — dice de Soya, sporgendosi verso destra per guardare meglio dalla bolla.
— Sì, signore — conferma il tenente. — Un mio amico ha appena terminato il turno su quella piattaforma… la stazione Tre-due-zero-sei Mediolitorale, signore… e me ne ha parlato. Un pescatore di frodo ha tentato di farla saltare in aria, alcune maree fa.
— Sabotaggio? — domanda de Soya, mentre guarda allontanarsi la piattaforma.
— Guerriglia — precisa il tenente. — I pescatori di frodo sono gli indigeni locali, i discendenti dei coloni bloccati qui prima che la Pax giungesse sul pianeta. Per questo abbiamo soldati su ciascuna piattaforma e regolari navi di pattuglia durante la stagione di pesca. Dobbiamo per così dire tenere in branco le navi da pesca, signore, in modo che i pescatori di frodo non le assalgano. Ha visto quelle barche all’ormeggio, signore… be’, è quasi ora che prendano il largo. Le nostre navi le scorteranno. Il Bocca a Lampada, be’, signore, viene in superficie quando le lune si trovano proprio in questa posizione… ecco la maggiore che si alza. Le navi da pesca legali hanno potenti riflettori che accendono appena le lune sono calate, per attirare i grossi gigacanti. Ma lo fanno anche i pescatori di frodo, signore.
De Soya guarda la vuota distesa d’oceano fra il tòttero e l’orizzonte settentrionale. — Non vedo posti dove i ribelli potrebbero nascondersi.
— No, signore. Voglio dire, sì, signore. In realtà hanno navi da pesca mimetizzate in modo da sembrare isole d’algagialla, sommergibili, perfino un grosso sottomarino raccoglitore camuffato in modo da sembrare un Bocca a Lampada, per quanto possa sembrare incredibile, signore.
— E quella piattaforma è stata danneggiata durante un attacco di pescatori di frodo? — dice de Soya. Ora parla solo per tenersi sveglio. Il ronzio d’ali del tòttero è micidiale.
— Esatto, signore. Circa otto Grandi Maree fa. Un uomo solo… cosa insolita, perché in genere i pescatori di frodo agiscono in gruppi. Ha fatto saltare alcuni skimmer e alcuni tòtteri… la solita tattica, anche se in genere sono prese di mira le barche.
— Mi scusi, Tenente, ha parlato di otto Grandi Maree fa. Potrebbe tradurre in giorni standard?
Sproul si mordicchia il labbro. — Ah, sì, signore, scusi, signore. Sono cresciuto a Mare-Occhio e… be’, otto Grandi Maree corrispondono a circa due mesi standard, signore.
— Il pescatore di frodo è stato catturato?
— Sì, signore — dice Sproul, con un sorriso da ragazzino. — Be’, a dire il vero, c’è una storia… — Lancia un’occhiata al prete-capitano per vedere se è il caso di continuare. — Bene, per farla breve, signore, quel pescatore di frodo fu prima catturato, poi fece esplodere le cariche e tentò di fuggire, infine fu colpito e ucciso dalle guardie.
De Soya annuisce e chiude gli occhi. Negli ultimi giorni ha esaminato più di cento rapporti su "incidenti di pesca di frodo" riguardanti gli ultimi due mesi standard. Far saltare piattaforme e uccidere pescatori di frodo pare, dopo la pesca, lo sport più popolare su Mare Infinitum.
— La cosa buffa, su quel tizio — prosegue il tenente, terminando la storia — è il modo in cui ha tentato di fuggire. Una sorta di vecchio tappeto volante dei tempi dell’Egemonia.
De Soya drizza subito le orecchie. Lancia un’occhiata al sergente e ai due soldati. Tutt’e tre scattano a sedere e lo fissano.
— Torni indietro — ordina il Padre Capitano de Soya. — Ci riporti a quella piattaforma.
— E poi cos’è accaduto? — domanda de Soya per la quinta volta. Con le sue Guardie Svizzere si trova nell’ufficio del direttore della piattaforma, sul punto più alto della struttura, proprio sotto l’antenna parabolica radar. Dalla lunga finestra si vedono sorgere le tre incredibili lune.
Il direttore, Dobbs Powl, capitano della Pax nel Comando Oceanico, è sovrappeso, florido, suda copiosamente. — Quando fu chiaro che quell’uomo non apparteneva a nessuno dei gruppi di pescatori che avevamo a bordo quella notte, il tenente Belius lo prese da parte per interrogarlo. Procedura standard, Padre Capitano.
De Soya lo fissa. — E poi?
Il direttore si umetta le labbra. — E poi l’uomo riuscì a fuggire temporaneamente, Padre Capitano. Ci fu una lotta sulla passerella superiore. L’uomo gettò in mare il tenente Belius.
— Il tenente fu recuperato?
— No, Padre Capitano. Quasi sicuramente annegò, anche se quella notte c’era un certo fermento di squali arcobaleno…
— Descriva l’uomo che ha catturato e poi perduto — lo interrompe de Soya, calcando sull’ultima parola.
— Giovane, Padre Capitano, sui venticinque standard. Alto, signore. Un giovanotto davvero ben piantato.
— L’ha visto di persona?
— Oh, sì, Padre Capitano. Ero sulla passerella insieme col tenente Belius e col marinaio scelto Ament, quando quel tizio si ribellò e spinse giù dalla ringhiera Belius.
— E sfuggì a lei e al marinaio — dice in tono piatto de Soya. — Anche se voi eravate armati, mentre quell’uomo… Ha detto che era ammanettato?
— Sì, Padre Capitano — risponde Powl. Con un fazzoletto già umido si asciuga la fronte.
— Ha notato qualcosa d’insolito in quel giovanotto? Qualcosa di cui non ha parlato nel suo… ah… scarno rapporto al Quartier Generale?
Il direttore mette via il fazzoletto, lo estrae di nuovo per asciugarsi il collo. — No, Padre Capitano… Cioè, ah, durante la lotta, il maglione di quel tizio si strappò sul davanti. Ho notato che non era come lei e me, Padre Capitano…
De Soya inarca il sopracciglio.
— Voglio dire, non era della croce — spiega in fretta Powl. — Non aveva il crucimorfo. Ovviamente la cosa non mi colpì, a quel tempo. Per la maggior parte, questi pescatori di frodo indigeni non sono battezzati. Se lo fossero, non sarebbero pescatori di frodo, no?
De Soya non bada alla domanda. Si avvicina al capitano seduto e sudato. — Così quell’uomo scavalcò la passerella principale e fuggì da quella parte?
— Non fuggì, signore — dice Powl. — Andò a prendere quell’affare volante che aveva nascosto là sotto. Ma naturalmente avevo già dato l’allarme. Tutti i soldati della guarnigione sono corsi fuori, come sono stati addestrati a fare.
— Ma l’uomo si alzò in volo su… su quell’affare? E lasciò la piattaforma?
— Sì — dice Powl. Si asciuga di nuovo la fronte e pensa, è chiaro, al proprio futuro… o alla mancanza di un futuro. — Ma solo per un minuto. L’abbiamo visto sul radar e poi con i visori notturni. Quel… tappeto… volava, è vero, ma quando abbiamo aperto il fuoco, è tornato verso la piattaforma…
— A quale quota volava, capitano Powl?
— Quota? — Powl corruga la fronte. — Venticinque, trenta metri sul livello del mare, penso. Circa all’altezza del nostro ponte principale. Puntava dritto su di noi, Padre Capitano. Come se si apprestasse a bombardare la piattaforma. Naturalmente, in un certo senso, fece proprio così… le cariche esplosero proprio allora. A momenti me la facevo sotto… mi scusi, Padre.
— Continui — dice de Soya. Guarda Gregorius, in posizione di riposo, alle spalle del direttore. Dall’espressione, il sergente sarebbe ben felice di strozzare il capitano Powl.
— Be’, fu un’esplosione notevole, signore. Le squadre antincendio corsero verso il luogo del disastro, ma il marinaio scelto Ament e alcune sentinelle e io restammo al nostro posto sulla passerella nord…
— Molto commendevole — borbotta de Soya, senza nascondere il tono ironico. — Continui.
— Be’, Padre Capitano, c’è poco d’altro — dice debolmente Powl, sempre più sudato.
— Ha dato l’ordine di sparare all’uomo in volo?
— Sì… sì, signore.
— E tutte le sentinelle hanno fatto subito fuoco… al suo ordine?
— Sì — dice Powl, con occhi vitrei per lo sforzo di ricordare. — Penso che tutte abbiano sparato. Erano sei, oltre al marinaio Ament e me.
— Ha sparato anche lei? — insiste de Soya.
— Be’, sì… la stazione era sotto attacco. Il ponte di volo era in fiamme. E quel terrorista puntava su di noi, portando Dio sa cosa.
De Soya annuisce con aria poco convinta. — Ha visto qualcosa o qualcuno, sul tappeto, a parte quell’uomo?
— Be’, no — risponde Powl. — Ma era buio.
De Soya guarda dalla finestra le lune che sorgono. Dai vetri entra una vivida luce arancione. — C’erano le lune, quella notte?
Powl si umetta di nuovo le labbra, come tentato di mentire. Sa che de Soya e i suoi uomini hanno interrogato il marinaio scelto Ament e le sentinelle e de Soya sa che lui sa. — Erano appena spuntate — borbotta.
— Per cui la luce era paragonabile a questa?
— Sì.
— Ha visto nient’altro su quell’apparecchiatura volante? Un pacco? Uno zaino? Una cosa che sembrasse una bomba?
— No — dice Powl, ora anche arrabbiato, oltre che impaurito — ma è bastata una manciata di plastico per far esplodere i nostri skimmer di pattuglia e tre tòtteri, Padre Capitano.
— Verissimo — dice de Soya. Si accosta alla finestra vividamente illuminata. — Le sue sette sentinelle, marinaio scelto Ament incluso… avevano tutti fucili a fléchettes, capitano?
— Sì.
— E lei aveva una pistola a fléchettes. Esatto?
— Sì.
— E tutte quelle scariche di fléchettes hanno colpito il presunto terrorista?
Powl esita, si stringe nelle spalle. — La maggior parte, credo.
— E lei ha visto i risultati? — domanda con calma de Soya.
— Hanno fatto a brandelli il bastardo… signore — dice Powl, in cui la collera ora ha il sopravvento sulla paura. — Ho visto pezzi di quell’uomo volare da tutte le parti come cacca di gabbiano sulle pale di un ventilatore. Poi l’uomo è caduto… no, è volato via all’indietro da quello stupido tappeto, come tirato da un cavo. È caduto in mare proprio accanto al pilone L-3. Nel giro di dieci secondi gli squali arcobaleno sono venuti a galla e hanno iniziato il banchetto.
— Perciò non ha recuperato il cadavere? — domanda de Soya.
Powl lo guarda, con aria di sfida. — Oh, no… l’abbiamo recuperato, Padre Capitano. Ho ordinato ad Ament e a Kilmer di ramazzare i resti, con raffi, arpioni e una rete a mano. Dopo che l’incendio è stato domato, appena mi sono assicurato che la piattaforma non corresse altri pericoli. — Ora pare fiducioso d’essersi comportato correttamente.
De Soya annuisce. — E dov’è ora il cadavere, capitano?
Il direttore unisce la punta delle dita grassocce. Tremano solo un poco. — L’abbiamo seppellito. In mare, naturalmente. L’abbiamo gettato dalla banchina sud, il mattino dopo. Abbiamo attirato un intero banco di squali arcobaleno e ne abbiamo uccisi alcuni per colazione.
— Ma è sicuro che il cadavere fosse quello del presunto terrorista arrestato poco prima?
Powl strizza gli occhietti e fissa de Soya. — Sì… ciò che ne restava. Un semplice pescatore di frodo. Merdate del genere accadono ogni momento sul grande mare viola, Padre Capitano.
— E i pescatori di frodo pilotano ogni momento antichi tappeti EM qui sul grande mare viola, capitano Powl?
Il direttore impietrisce. — Era quello, l’affare?
— Nel rapporto non ha menzionato il tappeto, capitano.
Powl scrolla le spalle. — Non pareva importante.
De Soya annuisce. — E ora lei dice che… l’affare… ha continuato a volare? Che sorvolò il ponte e la passerella e scomparve sul mare? Senza nessuno sopra?
— Sì — risponde Powl, drizzandosi nella sedia e lisciandosi l’uniforme spiegazzata.
De Soya si gira di scatto. — Il marinaio scelto Ament dichiara una cosa diversa, capitano. Il marinaio scelto Ament dice che il tappeto fu recuperato, che fu disattivato e che prima di scomparire fu affidato in custodia a lei. È vero?
— No — replica il direttore, lasciando girare lo sguardo su Gregorius, Sproul, Kee, Rettig e riportandolo su de Soya. — Non l’ho più visto, dopo che ci ha sorvolato. Ament è un fottuto bugiardo.
De Soya fa un cenno al sergente Gregorius. Poi si rivolge a Powl. — Un simile manufatto antico, funzionante, vale un bel po’ di denaro anche su Mare Infinitum, non è vero, capitano?
— Non so — riesce a dire Powl, tenendo d’occhio Gregorius. Il sergente si è avvicinato all’armadietto personale del direttore, d’acciaio pesante, chiuso a chiave. — Non sapevo neppure cosa fosse, quel maledetto affare — soggiunge Powl.
Ora de Soya è in piedi accanto alla finestra. La luna maggiore riempie il cielo orientale. L’arco del teleporter è ben visibile, stagliato contro la luna. — Il termine esatto è "tappeto hawking" — dice piano de Soya, quasi in un mormorio. — In un luogo chiamato la Valle delle Tombe del Tempo, avrebbe lasciato proprio la firma radar laggiù rilevata. — Rivolge ancora un cenno al sergente Gregorius.
Con un solo colpo della mano guantata il sottufficiale delle Guardie Svizzere scardina l’armadietto d’acciaio. Sposta scatole, fascicoli, mucchi di banconote… ed estrae un tappeto accuratamente arrotolato. Lo porta alla scrivania del direttore.
— Arrestate quest’uomo e toglietemelo da sotto gli occhi — ordina con calma il Padre Capitano de Soya. Il tenente Sproul e il caporale Kee fanno uscire dall’ufficio il direttore che continua a protestare.
De Soya e Gregorius srotolano sulla scrivania il tappeto hawking. Alla luce delle lune, gli antichi fili di volo mandano ancora riflessi dorati. De Soya tocca il margine frontale dell’antico manufatto, tasta i tagli e gli strappi dove le fléchettes hanno lacerato il tessuto. C’è sangue dappertutto, oscura l’elaborato disegno e rende opaco il luccichio dei monofilamenti di superconduttore. Brandelli di quella che potrebbe essere carne umana sono impigliati nella corta frangia sulla parte posteriore del tappeto.
De Soya guarda Gregorius. — Sergente, hai mai letto quel lungo poema intitolato i Canti?
— I Canti, signore? No… non sono il tipo che legge molto. E poi, non è nell’elenco dei libri proibiti?
— Sì, credo che sia all’indice, sergente — dice il Padre Capitano de Soya. Si scosta dall’insanguinato tappeto hawking e guarda le lune e il profilo del portale. "Questa è una tessera del puzzle" pensa. "E quando il puzzle sarà completo, ti avrò, bambina."
— Sì, credo che sia all’indice, sergente — ripete. Si gira in fretta e si dirige alla porta, indicando con un gesto a Rettig di arrotolare il tappeto e di portarlo con sé. — Andiamo. — Mette nel tono più energia di quanta non abbia mostrato da settimane. — Abbiamo da fare.