— Raul!
Mancava almeno un’ora al sorgere del sole di Qom-Riyadh. A. Bettik e io eravamo seduti nella stanza dove Aenea dormiva. A. Bettik era sveglio (pareva che non dormisse mai) ma fui io il primo ad accorrere al capezzale della bambina. L’unica illumuiazione era la luce dei grafici del biomonitor sopra la testiera. Fuori, la tempesta di sabbia ululava da ore.
— Raul… — I grafici dicevano che la febbre era calata, che il dolore era scomparso, che restava solo l’irregolare elettroencefalogramma.
— Sono qui, ragazzina. — Le presi la mano. Le sue dita non scottavano più per la febbre.
— Hai visto lo Shrike?
Rimasi sorpreso, ma capii subito che non si trattava di prescienza né di telepatia. Avevo riferito per radio l’avvistamento. Di sicuro A. Bettik aveva tenuto acceso l’altoparlante e Aenea, pur nel dormiveglia, aveva ascoltato e se n’era ricordata.
— Sì — risposi. — Ma va tutto bene. Non è qui.
— Però l’hai visto.
— Sì.
Aenea si aggrappò alla mia mano e si alzò a sedere sul letto. Vedevo i suoi occhi brillare nella fioca luce. — Dove, Raul? — mi domandò. — Dove l’hai visto?
— Sulla zattera — risposi. Con la mano libera la costrinsi a stare distesa. Federa e camicia da notte erano inzuppate di sudore. — Va tutto bene, ragazzina. Non ha fatto niente. Era sempre lì, quando me ne sono andato.
— Ha girato la testa, Raul? Ti ha guardato?
— Be’, sì, ma… — M’interruppi. Aenea gemeva piano, muoveva la testa sul guanciale. — Ragazzina… Aenea… va tutto bene…
— No, non va bene! — sbottò la bambina. — Oddio, Raul. Gli ho chiesto di venire con me. L’ultima notte. Sapevi che gli avevo chiesto di venire? Non ha voluto…
— Chi non ha voluto? Lo Shrike? — Alle mie spalle, A. Bettik si avvicinò. Fuori, la sabbia rossa sfregava contro le finestre e la porta scorrevole.
— No, no, no — disse Aenea. Aveva le guance bagnate, non so se per le lacrime o per la febbre. — Padre Glauco — continuò, con voce che andò quasi persa nel rumore del vento. — L’ultima notte… ho chiesto a padre Glauco di venire con noi. Non avrei dovuto chiederglielo, Raul… lui non era parte dei miei… dei miei sogni… ma gliel’ho chiesto… e dopo avrei dovuto insistere…
— Va tutto bene — ripetei, scostandole dalla fronte una ciocca madida. — Padre Glauco sta bene.
— No, non sta bene — disse Aenea e gemette debolmente. — È morto. La cosa che ci dà la caccia l’ha ucciso. Lui e tutti i Chitchatuk.
Guardai di nuovo il pannello del monitor. Indicava sempre assenza di febbre, malgrado i vaneggiamenti della bambina. Guardai A. Bettik, ma l’androide fissava attentamente Aenea.
— Vuoi dire che lo Shrike li ha uccisi? — domandai.
— No, non lo Shrike — rispose lei, piano, e col polso si coprì la bocca. — Almeno, non credo. No, non è stato lo Shrike. — All’improvviso m’afferrò la mano. — Raul, mi ami?
La fissai per un istante, non potevo fare altro. Poi, senza ritirare la mano, dissi: — Certo, ragazzina. Voglio dire…
Aenea parve guardarmi realmente per la prima volta da quando si era svegliata chiamandomi per nome. — No, zitto. — Rise piano. — Scusa. Sono stata scollata nel tempo per un minuto. È naturale che non mi ami. Ho dimenticato quando siamo stati… chi eravamo l’uno per l’altra adesso.
— No, va tutto bene — dissi, senza capire. Le diedi qualche colpetto sulla mano. — Ho affetto per te, ragazzina. Anche A. Bettik. E stiamo per…
— Zitto — disse Aenea. Liberò la mano e col dito mi toccò le labbra. — Zitto. Per un momento mi sono smarrita. Ho pensato che fossimo… noi. Il modo in cui stiamo per andare su… — Si lasciò sprofondare sul guanciale e sospirò. — Oddio, questa è la notte che precede il nostro arrivo su Boschetto Divino. La nostra ultima notte di viaggio…
Ancora non ero sicuro che parlasse sensatamente. Aspettai.
— Signorina Aenea — disse A. Bettik — la nostra prossima destinazione è Boschetto Divino?
— Immagino — rispose Aenea. Pareva tornata la bambina che conoscevo. — Sì. Non so. Tutto svanisce… — Si alzò di nuovo a sedere. — Non è lo Shrike a darci la caccia, sapete. E neppure la Pax.
— Certo che è la Pax — replicai, cercando d’indurla a riprendere contatto con la realtà. — Ci hanno inseguito da quando…
Aenea scuoteva con convinzione la testa. I capelli le pendevano in ciocche madide. — No — disse piano, ma con forza. — La Pax ci dà la caccia perché il Nucleo dice che siamo pericolosi per essa.
— Il Nucleo? Ma è… fin da dopo la Caduta, è sempre stato…
— Vivo e pericoloso — disse Aenea. — Dopo che Gladstone e gli altri distrussero il sistema teleporter che forniva la rete neurale, il Nucleo si è ritirato… ma non è mai andato lontano, Raul. Non lo capisci?
— No. Non ci riesco. Dov’era, se non è andato lontano?
— Nella Pax — rispose semplicemente Aenea. — Mio padre… la sua personalità nell’iterazione Schrön di mamma… me lo spiegò prima che nascessi. Il Nucleo attese che la Chiesa fosse rivitalizzata sotto Paul Duré… Papa Teilhard I. Duré era un uomo buono, Raul. Mia madre e zio Martin l’hanno conosciuto. Portava due crucimorfi… il proprio e quello di padre Lenar Hoyt. Ma Hoyt era… debole.
Le diedi un colpetto sul polso. — Cosa c’entra, questa storia, con…
— Ascolta! — m’interruppe Aenea, ritraendo il braccio. — Domani su Boschetto Divino può accadere qualsiasi cosa. Posso morire. Possiamo morire tutt’e tre. Il futuro non è mai scritto… solo buttato giù a matita. Se io muoio e tu sopravvivi, devi spiegare a zio Martin… a chiunque abbia voglia di ascoltarti…
— Non stai per morire, Aenea…
— Ascolta e basta! — mi supplicò. Aveva di nuovo le lacrime agli occhi.
Le rivolsi un cenno d’assenso e tacqui. Perfino il vento parve diminuire d’intensità.
— Teilhard fu assassinato durante il suo nono anno di regno. Mio padre lo predisse. Non so se per mano di agenti del TecnoNucleo… quelli si servono di cìbridi… o semplicemente del Vaticano; ma quando Lenar Hoyt fu risuscitato dai crucimorfi che lui e Paul Duré condividevano, il Nucleo agì. Fu il Nucleo a fornire alla Pax la tecnologia che permette al crucimorfo di risuscitare esseri umani senza farli divenire asessuati e idioti come i Bikura su Hyperion…
— Ma come? — la interruppi. — Come poteva, il TecnoNucleo, conoscere il modo per addomesticare il simbionte crucimorfo? — Intuii la risposta ancora prima che Aenea rispondesse.
— Hanno creato loro i crucimorfi! Non le IA del Nucleo attuale, ma l’Intelligenza Finale da loro creata nel futuro. Ha mandato indietro nel tempo su Hyperion i parassiti, proprio come le Tombe del Tempo. Ha messo alla prova i parassiti sulla tribù perduta… i Bikura… ha visto i problemi…
— Problemi secondari, come il fatto che la risurrezione distruggeva gli organi riproduttivi e l’intelligenza…
— Sì — disse Aenea. Mi prese di nuovo la mano. — Il Nucleo riuscì a correggere quei difetti, grazie alla sua tecnologia. Tecnologia che diede alla Chiesa guidata dal nuovo papa… Lenart Hoyt, Giulio VI.
Cominciavo a capire. — Un patto faustiano…
— Il patto faustiano per eccellenza! Per ottenere l’universo la Chiesa doveva solo vendere l’anima.
— E così nacque il Protettorato della Pax — commentò piano A. Bettik. — Potere politico mediante un parassita…
— Chi ci dà… chi mi dà la caccia, in realtà è il Nucleo — continuò Aenea. — Sono una minaccia per le IA, non solo per la Chiesa.
Scossi lentamente la testa. — Come fai a essere una minaccia per il Nucleo? Sei una bambina…
— Una bambina che ancora prima di nascere era in contatto con una personalità cìbrida rinnegata — mormorò Aenea. — Mio padre era libero, Raul. Non solo nella sfera dati o nella megasfera… ma nella metasfera. Libero nella più ampia psico-cerber-rete della quale perfino il Nucleo aveva paura…
— Leoni e tigri e orsi — borbottò A. Bettik.
— Esatto — disse Aenea. — Quando la personalità di mio padre penetrò nella megasfera del Nucleo, domandò all’IA Ummon cosa incuteva paura al Nucleo. La risposta fu che le IA non s’inoltravano maggiormente nella metasfera perché essa brulicava di leoni e tigri e orsi.
— Non afferro, ragazzina — dissi. — Non ci capisco un tubo.
Aenea si sporse a stringermi la mano. L’alito, sulla mia guancia, era tiepido e dolce. — Raul, tu conosci i Canti di zio Martin. Cos’accadde alla Terra?
— La Vecchia Terra? — domandai come uno sciocco. — Nei Canti, PIA Ummon disse che le tre fazioni del TecnoNucleo erano in guerra… Ne abbiamo già parlato.
— Ripetimelo.
— Ummon disse alla personalità Keats… a tuo padre… che i Volatili volevano distruggere la razza umana. Gli Stabili, la fazione dello stesso Ummon, volevano salvarla. Finsero che la Vecchia Terra fosse distrutta da un buco nero e la trasferirono o nella Nube di Magellano o nell’Ammasso Ercole. Ai Finali, la terza fazione, non importava la sorte della Vecchia Terra e della razza umana, purché si realizzasse il loro progetto, l’Intelligenza Finale. Aenea aspettò che continuassi.
— E la Chiesa concorda con ciò che tutti credono. Che la Vecchia Terra fu inghiottita dal buco nero e che morì quando si presume sia morta.
— Tu a quale versione credi, Raul?
Trassi un sospiro. — Non so — risposi. — Be’, mi piacerebbe che la Vecchia Terra esistesse ancora, ma non mi pare poi così importante.
— E se ci fosse una terza possibilità?
All’improvviso la porta a vetri vibrò e tremò. Posai la mano sulla pistola al plasma, aspettandomi quasi che lo Shrike raspasse per entrare. Era solo l’ululato del vento del deserto. — Una terza possibilità? — ripetei.
— Ummon mentì — disse Aenea. — L’IA mentì a mio padre. Non furono elementi del Nucleo a spostare la Terra… né gli Stabili, né i Volatili, né i Finali.
— Allora fu davvero distrutta.
— No. A quel tempo mio padre non capì. Capì più tardi. La Vecchia Terra fu spostata nella Nube di Magellano, d’accordo, ma non da elementi del Nucleo. Le IA non possedevano la tecnologia né le risorse energetiche né il livello di controllo del Vuoto Legante. Il Nucleo non può neppure arrivare alla Nube di Magellano. Troppo remota… a distanza inimmaginabile.
— Chi, allora? Chi rubò la Vecchia Terra?
Aenea tornò ad adagiarsi sul guanciale. — Non lo so. Credo che nemmeno il Nucleo lo sappia. Ma le IA non vogliono saperlo… e hanno il terrore che noi lo scopriamo.
A. Bettik si accostò d’un passo. — Allora non è il Nucleo ad attivare i teleporter nel nostro viaggio?
— No — rispose Aenea.
— Scopriremo chi è? — domandai.
— Se sopravvivremo — rispose Aenea. — Se sopravvivremo. — Ora i suoi occhi erano stanchi, non febbricitanti. — Ci aspettano domani, Raul. E non mi riferisco al prete-capitano e ai suoi uomini. Qualcuno… qualcosa del Nucleo sarà ad aspettarci.
— La creatura che secondo te ha ucciso padre Glauco, Cuchiat e gli altri?
— Sì.
— La tua è una sorta di visione? La morte di padre Glauco, voglio dire.
— Non una visione — rispose Aenea, con voce vacua. — Solo un ricordo dal futuro. Un ricordo sicuro.
Guardai la tempesta che cominciava a scemare. — Possiamo restare qui — dissi. — Possiamo procurarci uno skimmer o un VEM funzionante, volare nell’emisfero nord e nasconderci in una delle grandi città di cui parla la guida, Alì per esempio. Non siamo obbligati a giocare il loro gioco e varcare domani quel portale.
— Siamo obbligati, invece.
Aprii bocca per protestare, poi invece rimasi zitto. Dopo un poco dissi: — E dove entra in ballo lo Shrike?
— Non lo so — rispose Aenea. — Dipende da chi l’ha mandato stavolta. Oppure potrebbe agire in proprio. Non so.
— In proprio? Credevo che fosse solo una macchina.
— Oh, no. Non è solo una macchina.
Mi grattai la guancia. — Non capisco. Potrebbe essere un amico?
— Un amico, mai — rispose Aenea. Si alzò a sedere e mi mise la mano sulla guancia, dove mi ero grattato un attimo prima. — Scusa, Raul, non voglio parlare per enigmi. Solo, non so! Non c’è niente di scritto. Tutto è fluido. E quando ho una fuggevole visione del movimento delle cose, è come guardare un bel disegno di sabbia l’attimo prima che il vento lo disperda…
Come per dare forza al suo paragone, le ultime raffiche della tempesta di sabbia fecero vibrare i vetri. Aenea mi sorrise. — Mi spiace d’essermi scollata nel tempo, poco fa…
— Scollata?
— La domanda se mi amavi — spiegò, con un sorriso triste. — Avevo dimenticato dove e in quale tempo siamo.
Dopo un istante dissi: — Non importa, ragazzina. Ti voglio bene davvero. E a costo della vita non permetterò che qualcuno ti faccia male domani… la Chiesa, il Nucleo, chiunque altro.
— Anch’io mi sforzerò d’impedire che una simile eventualità si verifichi, signorina Aenea — disse A. Bettik.
La bambina ci sorrise e ci toccò la mano. — Il Taglialegna di Latta e lo Spaventapasseri — disse. — Non merito due amici come voi.
Toccò a me sorridere. Nonna mi aveva narrato quella vecchia storia. — E dov’è il Leone Cuordiconiglio?
Aenea perdette il sorriso. — Quello sono io — disse a voce molto bassa. — Sono io, il cuor di coniglio.
Nessuno di noi dormì ancora, quella notte. Preparammo i bagagli e quando la prima traccia dell’alba sfiorò le rosse colline al di là della città, andammo alla zattera.