Il Padre Capitano de Soya usa l’autorità del diskey papale in modi mai tentati prima.
La Stazione Tre-due-zero-sei Mediolitorale di Mare Infinitum,.dove è stato scoperto il tappeto hawking, è proclamata luogo del delitto e posta sotto legge marziale. De Soya fa giungere truppe della Pax e navi dalla città galleggiante di Santa Teresa e pone agli arresti domiciliari tutta la precedente guarnigione e i turisti venuti a pesca. Quando il vescovo Melandriano, il prelato che governa Santa Teresa, protesta contro quella prepotenza e mette in discussione i limiti del diskey papale, de Soya si rivolge all’arcivescovo Jane Kelley, governatore di Mare Infinitum. L’arcivescovo piega la testa di fronte al diskey papale e impone il silenzio a Melandriano, sotto pena di scomunica.
De Soya nomina il giovane tenente Sproul suo aiutante e ufficiale di collegamento per l’indagine in corso; poi convoca esperti in medicina legale e investigatori di vaglia della Pax, facendoli venire da Santa Teresa e da altre grandi piattaforme-città, per espletare le indagini sul luogo del delitto. Veritina e altre droghe sono somministrate al capitano C. Dobbs Powl, tenuto in arresto nel brigantino della stazione, nonché a tutto il personale dell’ex guarnigione e a tutti i pescatori presenti.
Nel giro di qualche giorno diventa chiaro che il capitano Powl, il compianto tenente Belius e molti altri ufficiali e soldati di quella remota piattaforma sono stati in combutta con i pescatori di frodo della zona per consentire la cattura illegale di prede, per rubare attrezzature della Pax (compreso un sommergibile che risultava affondato dai ribelli) e per estorcere denaro ai turisti. Di tutto questo de Soya se ne frega. Lui vuole sapere con precisione che cos’è accaduto quella sera di due mesi prima.
Le prove legali si accumulano. Il sangue e i resti organici trovati sul tappeto hawking sono sottoposti al test del DNA e i risultati sono trasmessi alla sezione archivio della Pax a Santa Teresa e sulla base orbitale. Si scopre la presenza di due distinti emotipi: la maggior parte del sangue è attribuita con certezza al tenente Belius; il DNA del sangue rimanente non compare negli archivi della Pax di Mare Infinitum, anche se ogni cittadino del pianeta oceanico è stato classificato e registrato.
— Come mai il sangue di Belius è finito sul tappeto volante? — domanda il sergente Gregorius. — Secondo tutte le testimonianze sotto ventina, Belius finì nella broda molto prima che il prigioniero tentasse la fuga sul tappeto volante.
De Soya annuisce e congiunge la punta delle dita. Si è insediato nell’ufficio dell’ex direttore, trasformandolo in centro comando; ora la piattaforma è affollata, conta il triplo della precedente popolazione. Tre grosse fregate della marina della Pax sono all’ancora al largo della piattaforma e due di esse sono anche sommergibili da guerra. Il ponte degli skimmer è ora pieno di velivoli della Pax e sono stati convocati ingegneri per riparare e ampliare il ponte dei tòtteri. Quella stessa mattina de Soya ha ordinato d’inviare nella zona altre tre navi. Il vescovo Melandriano trasmette almeno due volte al giorno una protesta scritta contro l’incremento delle spese; Padre Capitano de Soya non vi presta attenzione.
— Penso che il nostro sconosciuto si sia fermato per tirare il tenente fuori della… come l’hai chiamata?… fuori della broda. Sono venuti alle mani. Lo sconosciuto è stato ferito o ucciso. Belius ha cercato di tornare sulla stazione. Powl e gli altri lo hanno ucciso per errore.
— Già — dice Gregorius. — La migliore ricostruzione che abbia sentito finora. — Da quando hanno ricevuto da Santa Teresa i risultati dell’esame del DNA, hanno elaborato varie teorie… complotto con i pescatori di frodo, congiura tra lo sconosciuto e il tenente Belius, uccisione per mano di Powl di due compiici dello stesso Powl. La teoria appena esposta da de Soya è la più semplice.
— Significa che il nostro sconosciuto è uno di coloro che viaggiano con la bambina — dice de Soya. — E che nella sua personalità c’è un lato tenero, ancorché stupido.
— Oppure potrebbe essere stato un pescatore di frodo — dice Gregorius. — Non lo sapremo mai.
De Soya batte la punta delle dita e alza gli occhi. — Perché no, sergente?
— Be’, Capitano, le prove sono tutte laggiù, no? — risponde, indicando col pollice la finestra e le onde del mare violaceo. — I ragazzi della marina dicono che qui è profondo più di ventimila metri, signore. I pesci hanno divorato i cadaveri. Se quell’uomo era un pescatore di frodo… be’, non lo sapremo mai. Se era un forestiero… be’, la Pax non ha un archivio centrale DNA… Dovremo esaminare gli archivi di varie centinaia di pianeti. Non lo troveremo mai.
Il Padre Capitano de Soya abbassa le mani e accenna a un sorriso. — Questa è una delle rare volte in cui ti sbagli, sergente. Vedrai.
Nella settimana successiva de Soya ordina una retata di tutti i pescatori di frodo nel raggio di mille chilometri e li sottopone a interrogatorio mediante veritina. La retata comporta l’intervento di ventiquattro navi oceaniche e di ottomila militari della Pax. Il costo dell’operazione è enorme. Il vescovo Melandriano rischia l’infarto e vola alla Stazione Tre-due-zero-sei Mediolitorale per bloccare quella pazzia. Il Padre Capitano de Soya mette agli arresti il prelato e lo fa chiudere in un remoto monastero a novemila chilometri di distanza, nei pressi della calotta polare.
Decide anche di far dragare il fondo dell’oceano.
— Non troverà niente — dice il tenente Sproul. — Qui ci sono tanti di quei predatori che nessuna sostanza organica arriva a duecento metri di profondità. E poi, secondo i rilevamenti sonar di questa settimana, il fondo è a ventiquattromila metri. Inoltre su Mare Infinitum ci sono solo due sommergibili in grado di operare a quella profondità.
— Lo so — dice de Soya. — Ho ordinato che vengano qui. Giungeranno domattina, con la fregata Passione di Cristo.
Per una volta il tenente Sproul rimane senza parole.
De Soya sorride. — Si rende conto, vero, figliolo, che il tenente Belius era un cristiano? Il suo crucimorfo non è stato recuperato.
Per un momento Sproul rimane a bocca aperta. — Sissignore… voglio dire… sì, ma… signore, per la risurrezione… voglio dire, non bisogna trovare il cadavere intatto, signore?
— Niente affatto, tenente. Basta un buon frammento della croce che tutti portiamo. Parecchi buoni cattolici sono stati risuscitati partendo da qualche centimetro di crucimorfo intatto e da un frammento di carne da cui leggere il DNA.
Sproul scuote la testa. — Ma, signore… sono passate nove Grandi Maree, signore. Ormai non rimane un millimetro quadrato del tenente Belius e del suo crucimorfo, signore. Quello là sotto è uno smisurato serbatoio da pascolo, signore.
De Soya si accosta alla finestra. — Può darsi, tenente. Può darsi. Ma abbiamo il dovere, verso il nostro fratello cristiano, di fare ogni possibile tentativo, no? Inoltre, se gli fosse concesso il miracolo della risurrezione, il tenente Belius dovrebbe rispondere delle accuse di furto, tradimento e tentato omicidio, no?
Avvalendosi delle più moderne tecniche disponibili, gli esperti di medicina legale riescono a ricavare impronte digitali non identificate da una tazza di caffè della sala mensa, malgrado i molti lavaggi che la tazza ha subito negli ultimi due mesi. Le migliaia d’impronte latenti sono laboriosamente identificate come appartenenti a militari della guarnigione o a pescatori in gita turistica, tranne quell’unica impronta ricostruita. Viene messa da parte insieme con la prova del DNA non identificato.
— Ai tempi della Rete — dice il dottor Holmer Ryum, capo del gruppo di medici legali — la megasfera dati ci avrebbe messo in contatto con gli archivi centrali dell’Egemonia nel giro di qualche secondo, via astrotel. Avremmo avuto quasi all’istante un raffronto.
— Se avessimo del formaggio, potremmo farci un panino al prosciutto e formaggio, se avessimo del prosciutto — replica il Padre Capitano de Soya.
— Prego?
— Niente, niente — dice de Soya. — M’aspetto di avere un raffronto nel giro di alcuni giorni.
Il dottor Ryum è perplesso. — In che modo, Padre Capitano? Abbiamo controllato le banche dati planetarie. Abbiamo controllato ogni pescatore di frodo da lei catturato… e, devo dirlo, su Mare Infinitum non c’è mai stato un arresto in massa come questo. Lei sta sconvolgendo un delicato equilibrio di corruzione che qui esisteva da secoli.
De Soya si sfrega la radice del naso. Nelle ultime settimane non ha dormito molto. — I delicati equilibri di corruzione non m’interessano, dottore.
— Capisco. Ma non capisco come possa aspettarsi un riscontro nel giro di qualche giorno. Né la Chiesa né la Pax centrale hanno schedature di tutti i cittadini dei vari mondi, per non parlare della Periferia e delle zone Ouster…
— Tutti i mondi della Pax hanno i propri archivi — replica con calma de Soya. — Per i sacramenti del battesimo e della croce. Per i matrimoni e per i decessi. Archivi dell’esercito e della polizia.
Il dottor Ryum allarga le mani, sconsolato. — Ma da dove vorrebbe cominciare?
— Da dove esistono le migliori probabilità di trovarlo — risponde il Padre Capitano de Soya.
Intanto, nel raggio dei milleduecento metri dove i due sommergibili di profondità convengono di scendere, non si trova niente dello sventurato tenente Belius. Centinaia di squali arcobaleno vengono storditi e portati in superficie per analizzare il contenuto del loro stomaco. Non si trovano resti di Belius né del suo crucimorfo. Migliaia di altri spazzini del mare vengono raccolti in un raggio di duecento chilometri e nel loro stomaco si scoprono frammenti di due pescatori di frodo, ma nessuna traccia di Belius né dello sconosciuto. Nella Stazione Tre-due-zero-sei Mediolitorale si celebra una messa funebre per il tenente; di lui si dice che è morto della vera morte e che ha trovato la vera immortalità.
De Soya ordina ai capitani dei due sommergibili di scendere a maggiore profondità e di cercare manufatti. I capitani si oppongono.
— Perché? — domanda de Soya. — Vi ho chiamati qui perché i vostri battelli possono raggiungere il fondo dell’oceano. Perché rifiutate?
— I Bocca a Lampada — dice il più anziano dei due capitani. — Per fare ricerche, dobbiamo usare le luci. Fino a milleduecento metri, se il sonar e il radar rilevano la loro risalita, possiamo precederli nell’emersione. Sotto quella quota, non avremmo alcuna possibilità. Non scenderemo oltre.
— Scenderete — dice il Padre Capitano de Soya. Il diskey papale brilla contro il nero dell’abito talare.
Il capitano più anziano muove un passo. — Può arrestarmi, spararmi, scomunicarmi… Non porterò a morte certa i miei uomini e il mio battello. Lei non ha mai visto un Bocca a Lampada, Padre!
De Soya gli tocca amichevolmente la spalla. — Non l’arresterò, non le sparerò né la scomunicherò, capitano. E vedrò presto un Bocca a Lampada. Forse più d’uno.
Il capitano non capisce.
— Ho fatto venire altri tre sottomarini della Flotta Oceanica — dice de Soya. — Troveremo, snideremo e uccideremo ogni Bocca a Lampada e ogni altro gigacanto nel giro di cinquecento chilometri. Quando v’immergerete, la zona sarà completamente sicura.
Il capitano anziano guarda il collega e poi de Soya. Sia lui sia il collega sembrano sconvolti. — Padre… Capitano… signore… sa quanto vale un Bocca a Lampada? Per i turisti e per le grandi fabbriche di Santa Teresa… signore.
— Circa quindicimila seidon di Mare-Occhio — dice de Soya. — Ossia circa trentacinquemila fiorini della Pax. Quasi cinquantamila marchi della Mercatoria. Cadauno. — Sorride. — E poiché riceverete il trenta percento che spetta a chi localizza per la marina i Bocca a Lampada, vi auguro buona caccia.
I due comandanti di sommergibile si precipitano alla porta.
Per la prima volta de Soya manda un suo sostituto sulla Raffaele per svolgere un incarico. Il sergente Gregorius viaggia da solo nella nave Arcangelo e porta con sé i dati riguardanti il DNA e le impronte, oltre a fili prelevati dal tappeto hawking.
«Non dimenticare» gli trasmette su raggio compatto de Soya, prima che la Raffaele passi a velocità quantica «che su Hyperion c’è ancora una forte presenza della Pax e che in qualsiasi momento almeno due navi torcia si trovano nel sistema. Ti porteranno nella capitale, San Giuseppe, per una corretta risurrezione.»
Legato nella cuccetta antiaccelerazione, il sergente Gregorius si limita a un borbottio. Sul video pare sereno e calmo, malgrado la morte imminente.
«Tre giorni per la risurrezione» prosegue de Soya «e non più di un giorno, direi, per esaminare l’archivio. E poi il ritorno.»
«Ricevuto, capitano» dice Gregorius. «Non sprecherò tempo nei bar di Jacktown.»
«Jacktown?» si stupisce de Soya. «Ah, sì… il vecchio nomignolo della capitale. Be’, sergente, se vuoi passare la tua unica vera sera in un bar, offro io. Con me hai passato vari mesi all’asciutto.»
Gregorius sogghigna. Vede sull’orologio che mancano trenta secondi al balzo quantico e alla dolorosa dipartita. «Non mi lamentavo, capitano.»
«Molto bene» dice de Soya. «Fai buon viaggio. Ah… sergente?»
«Comandi!» Dieci secondi.
«Grazie, sergente.»
Non c’è risposta. All’improvviso non c’è niente, all’altro capo del raggio compatto di tachioni coerenti. La Raffaele ha effettuato il balzo quantico.
La marina scopre e uccide cinque Bocca a Lampada. De Soya, nel tòttero di comando, va a esaminare di persona ogni carcassa.
— Buon Dio, non immaginavo che fossero così grandi — dice al tenente Sproul, quando arrivano sul punto dove il primo galleggia.
L’animale, color bianco sporco, supera di tre volte le dimensioni della piattaforma: una massa di peduncoli oculari, fauci spalancate, fenditure fibrillanti di branchie grandi ciascuna come un tòttero, viticci pulsanti lunghi centinaia di metri, dondolanti antenne che portano ciascuna una "lampada" a luce fredda di grande vividezza perfino lì al sole e bocche, molte bocche, ciascuna abbastanza grande da inghiottire un sottomarino della flotta. Sotto gli occhi di de Soya le squadre di raccolta già si affollano intorno alla carcassa esplosa per la decompressione, segano peduncoli oculari e tagliano la carne bianca in pezzi facilmente trasportabili prima che il caldo la guasti.
Soddisfatti che la zona sia stata ripulita dei Bocca a Lampada e di altri micidiali gigacanti, i due capitani portano i sommergibili a ventiquattromila metri di profondità. Laggiù, tra foreste di vermotubi grandi come le sequoie della Vecchia Terra, trovano una stupefacente varietà di vecchi relitti… sommergibili di pescatori di frodo, ridotti dalla pressione alle dimensioni di una valigetta… una fregata della marina, scomparsa da più di un secolo… Trovano anche stivali: decine di stivali.
— Il procedimento di concia — spiega a de Soya il tenente Sproul, mentre guardano insieme i monitor. — È una stranezza, ma accadeva anche sulla Vecchia Terra. Alcune delle più antiche operazioni di recupero marino, per esempio quella di una nave chiamata Titanic, non portarono mai in superficie cadaveri… il mare è troppo affamato per conservarli… ma mucchi di stivali. Qualcosa, nel procedimento di concia del pellame, scoraggia le creature marine, laggiù… e qui.
«Portateli su» ordina de Soya, mediante il collegamento a cavo.
«Gli stivali?» domanda il capitano del sommergibile. «Tutti?»
«Tutti» conferma de Soya.
I monitor mostrano sul fondo marino una profusione di robaccia: cose perdute dalla guarnigione della piattaforma in quasi duecento anni di sbadataggine, effetti personali dei pescatori di frodo e dei marinai annegati, spazzatura metallica e plastica gettata via da pescatori e da altri. Molti oggetti sono corrosi e deformati dai crostacei di profondità e dall’inimmaginabile pressione, ma alcuni sono abbastanza recenti e resistenti da essere riconoscibili.
«Raccoglieteli e portateli su» ordina de Soya, mentre guarda oggetti luccicanti che potrebbero essere un coltello, una forchetta, una fibbia di cintura, una…
«Cos’è quello?» domanda de Soya.
«Quale?» dice il capitano del sommergibile. Guarda i telemanipolatori e non i monitor.
«Quell’oggetto luccicante… pare una pistola.»
L’immagine sui monitor cambia, mentre il sommergibile si gira. I potenti fari frugano il fondo, si spostano, illuminano l’oggetto e la telecamera lo avvicina. «È una pistola» conferma il capitano. «Ancora pulita. Un po’ danneggiata dalla pressione, ma in pratica intatta.» De Soya può udire lo scatto della telecamera a inquadratura singola che cattura dal monitor l’immagine. «Ora la raccolgo» dice il capitano.
De Soya sta per ammonirlo… "con prudenza!"… ma si trattiene. Negli anni al comando di una nave torcia ha imparato a lasciare che ciascuno faccia il suo lavoro. Guarda comparire sul monitor il braccio prensile e il telemanipolatore che con delicatezza solleva l’oggetto luccicante.
— Potrebbe essere la pistola a fléchettes del tenente Belius — dice Sproul. — Non è mai stata ritrovata.
— Si trova piuttosto lontano dalla piattaforma — riflette de Soya, guardando il monitor, dove l’immagine si muove e cambia.
— Qui le correnti sono forti e capricciose — replica il giovane ufficiale. — Ma devo ammettere che non pareva una pistola a fléchettes. Troppo… come dire… squadrata.
— Già — dice de Soya. I fari sottomarini brillano sullo scafo incrostato di un sommergibile affondato da decenni. De Soya pensa agli anni nello spazio e a quanto quell’ignoto e differente abisso sia vuoto rispetto a un qualsiasi oceano di qualsiasi mondo, brulicante di vita e di storia. Pensa agli Ouster e al loro bizzarro tentativo di adattarsi allo spazio come quei vermotubi e quei gigacanti e quelle altre creature abbarbicate al fondale si sono adattate al buio eterno e alla terribile pressione. Forse, pensa, gli Ouster capiscono, del futuro della razza umana, qualcosa che noi nella Pax abbiamo solo negato.
"Eresia" si rimprovera. Scaccia quei pensieri e guarda il giovane ufficiale di collegamento. — Fra poco sapremo cos’è — dice. — Nel giro di un’ora avranno portato su il carico.
Gregorius ritorna dopo quattro giorni. È morto. La Raffaele invia col radiofaro il suo triste segnale; una nave torcia si presenta all’appuntamento, a venti minuti luce dal pianeta, e il corpo del sergente viene rimosso e portato nella cappella di risurrezione a Santa Teresa. De Soya non aspetta che il sergente sia risuscitato. Si fa subito portare la borsa dei documenti.
Gli archivi della Pax su Hyperion hanno riconosciuto con certezza il DNA prelevato sul tappeto hawking e hanno identificato anche l’impronta parziale trovata sulla tazza di caffè. DNA e impronta appartengono allo stesso uomo: Raul Endymion, nato su Hyperion, a.D. 3099, non battezzato, arruolato nella Guardia Nazionale nel mese di Tommaso, a.D. 3115, in azione di guerra con il 23° Reggimento di Fanteria Semovente durante la rivolta di Ursus (tre encomi per atti d’eroismo, in un caso il recupero di un commilitone sotto il fuoco nemico) di stanza a Forte Benjing nell’Artiglio Meridionale del continente Aquila per otto mesi standard, completamento del servizio militare nella Stazione 9 del fiume Kans su Aquila, a pattugliare la giungla e a montare la guardia contro l’attività terroristica dei ribelli nelle vicinanze delle piantagioni di fibroplastica. Grado finale, sergente. Congedato con onore il 15 del mese di Lent, a.D. 3119, luogo di residenza sconosciuto fino a meno di dieci mesi standard fa, quando, il 23 del mese dell’Ascensione, a.D. 3126, è stato arrestato, processato e incarcerato a Port Romance (continente Aquila) per l’omicidio di tale Dabil Herrig, cristiano rinato di Vettore Rinascimento. Gli atti riportano che Raul Endymion ha rifiutato l’offerta della croce ed è stato giustiziato mediante neuroverga una settimana dopo l’arresto, il 30 del mese dell’Ascensione, a.D. 3126. Il cadavere è stato sepolto in mare. Il certificato di morte e l’autopsia sono stati autenticati dall’Ispettore Generale della Pax a Port Romance.
Il giorno seguente si controllano le impronte latenti sull’antica rivoltella cal. 45 ripescata dal fondo dell’oceano: appartengono a Raul Endymion e al tenente Belius.
I frammenti di filo del tappeto hawking non sono identificati con altrettanta facilità dagli archivi della Pax su Hyperion, ma l’impiegato che si è occupato della ricerca ha incluso un appunto manoscritto nel quale dice che un simile tappeto riveste molta importanza nei leggendari Canti composti da un poeta vissuto su Hyperion all’incirca fino al secolo scorso.
Dopo la risurrezione, il sergente Gregorius riposa per alcune ore e vola alla Stazione Tre-due-zero-sei Mediolitorale per fare rapporto. De Soya gli riferisce le varie scoperte. Gli dice pure che venti ingegneri della Pax, impegnati per tre settimane a esaminare il teleporter, non hanno trovato segno che l’antico portale sia entrato in funzione, anche se diversi pescatori, sulla piattaforma quella notte, hanno scorto un vivido lampo. Gli ingegneri riferiscono pure che non c’è modo di mettere le mani nell’antica arcata costruita dal TecnoNucleo, né di stabilire dove il teleporter abbia trasferito eventuali utilizzatori.
— Come su Vettore Rinascimento — commenta Gregorius. — Ma almeno lei ha un’idea di chi ha collaborato alla fuga della bambina.
— Forse — dice de Soya.
— Quell’uomo ne ha fatta, di strada, per venire qui a morire — dice il sergente.
Il Padre Capitano de Soya si lascia andare contro la spalliera. — È proprio morto qui, sergente?
Gregorius non ha risposte.
— Credo — riprende de Soya — che su Mare Infinitum abbiamo terminato. O avremo terminato fra un paio di giorni.
Il sergente annuisce. Dalla fila di finestre, lì nell’ufficio del direttore, vede il vivido bagliore che precede il sorgere delle lune. — Dove andiamo ora, Capitano? Riprendiamo il vecchio schema di ricerca?
Anche de Soya guarda a oriente, aspetta che la gigantesca luna arancione compaia sopra l’orizzonte oscurato. — Non so, sergente — risponde. — Intanto rimettiamo tutto a posto, consegnarne il capitano Powl alla Giustizia della Pax in Orbita Sette e lisciamo le piume al vescovo Melandriano…
— Se possibile — dice il sergente Gregorius.
— Se possibile — conviene de Soya. — Poi salutiamo l’arcivescovo Kelley, torniamo sulla Raffaele e decidiamo dove balzare. Forse sarebbe ora d’elaborare qualche teoria sulla destinazione della bambina, per cercare d’anticiparla, e non limitarsi a seguire lo schema della Raffaele.
— Sissignore — dice Gregorius. Saluta, va alla porta, esita un momento. — E lei ha una teoria, signore? Basata sulle poche cose trovate qui?
De Soya continua a guardare le tre lune che si levano. Non gira la poltrona per guardare in viso il sergente. — Forse — dice. — Solo forse.