CAPITOLO OTTAVO CON OCCHI INGANNATORI

Il tempo era cambiato in fretta, e in modo decisivo. Avevamo visto arrivare il cambiamento quando un cuneo di aria polare era sceso dall’Alberta fino al Texas Panhandle. I bollettini meteorologici avevano fatto scendere al suolo gli hovercar. Quelli del progetto che non possedevano veicoli a ruote erano costretti ad andare al lavoro con mezzi di trasporto pubblici, e i parcheggi erano quasi deserti, a parte i grandi, sgraziati grovigli di tumbleweed trascinati dal vento.

Non tutti avevano dato ascolto agli avvertimenti, e ci furono i raffreddori e le influenze del primo vero freddo dell’anno. Brad si mise a letto. Weidner era in piedi, ma non poteva avvicinarsi a Roger per timore di contagiarlo con una malattia di poco conto che tuttavia quello non era in grado di affrontare. Quasi tutto il lavoro per trasformare Roger ricadde su Jonathan Freeling, la cui salute veniva protetta gelosamente quasi come quella del suo paziente, in quel periodo. Kathleen Doughty, solida e indistruttibile, era sempre nella stanza di Torraway, a spargere in giro cenere di sigaretta e a dispensare consigli alle infermiere. Trattatelo come una persona,ordinava. — E copritevi bene, prima di tornare a casa. Potrete mettere in mostra il vostro bel sederino quando vorrete… ma adesso dovete evitare di prender freddo fino a quando potremo fare a meno di voi. — Le infermiere non la contrastavano. Facevano tutte del loro meglio: persino Clara Bly, richiamata dalla luna di miele per sostituire le infermiere ammalate. Erano premurose quanto Kathleen Doughty, sebbene fosse difficile ricordare, guardando la cosa grottesca chiamata ancora Roger Torraway, che si trattava di un essere umano, capace di desideri e di depressioni, esattamente come loro.

Roger cominciava ad essere più cosciente, di tanto in tanto. Per venti e più ore al giorno era addormentato, o immerso in uno stordimento sognante causato dagli analgesici: ma qualche volta riconosceva i presenti, e qualche volta parlava addirittura con loro in modo coerente. Poi lo anestetizzavano di nuovo…

— Vorrei sapere che cosa prova lui, — disse Clara Bly all’infermiera che era venuta a darle il cambio. L’altra ragazza abbassò lo sguardo sulla maschera che era quanto restava della faccia di Roger, con i grandi occhi che erano stati fabbricati apposta per lui. — Forse è meglio per te non saperlo, — disse. — Vai a casa, Clara.

Roger udì quelle parole: la traccia sull’oscilloscopio indicò che le aveva sentite. Studiando la telemetria, noi potevamo farci un’idea di quel che c’era nella sua mente. Spesso soffriva: questo era evidente. Ma il dolore non era il segnale di qualcosa che richiedeva attenzione, né un incitamento all’azione. Era semplicemente una realtà della sua vita. Aveva imparato ad aspettarselo e ad accettarlo. Non era cosciente di molto di più, per quanto riguardava il suo corpo. I sensi della conoscenza fisiologica non avevano ancora imparato ad affrontare la realtà del suo corpo nuovo. Non sapeva quando venivano sostituiti o modificati gli occhi, i polmoni, il cuore, le orecchie, il naso, la pelle. Non sapeva riconoscere i segnali che avrebbero potuto fornirgli qualche informazione. Il sapore del sangue e del vomito in fondo alla gola: come poteva sapere che questo indicava l’assenza dei polmoni? La tenebra, il dolore represso dentro al cranio erano così diversi da tutte le emicranie che aveva provato: come poteva capire cosa significava, come poteva distinguere tra l’asportazione dell’intero apparato ottico e lo spegnersi di un interruttore della luce?

A un certo punto, Roger Torraway si rese conto vagamente di non sentire più il solito odore d’ospedale, deodorante e disinfettante mescolati. Quando? Non lo sapeva. Sapeva soltanto che nel suo ambiente non c’erano più odori.

Poteva udire. Con una acutezza di discriminazione ed un livello di percezione che non aveva mai conosciuto, poteva udire ogni parola che veniva pronunciata nella stanza, anche sottovoce, ed anche quasi tutto ciò che accadeva nelle stanze adiacenti. Udiva ciò che dicevano gli altri, quando era abbastanza cosciente per udire. Comprendeva le parole. Poteva sentire la buona volontà di Kathleen Doughty e di Jon Freeling, e comprendeva la preoccupazione e la collera che colorivano le voci del vicedirettore e del generale.

E soprattutto, poteva sentire il dolore.

C’erano tanti tipi diversi di dolore! C’erano tutte le fitte, in tutte le parti del suo corpo. C’erano le ferite degli interventi chirurgici, e c’erano le pulsazioni rabbiose dei tessuti che erano stati intaccati dalle modifiche principali. C’erano le incessanti, piccole fitte, quando Freeling o le infermiere inserivano gli strumenti in mille punti dolenti della superficie del suo corpo, per poterne studiare i dati.

E c’era il dolore interno, più profondo, che talvolta sembrava fisico, e che lo prendeva quando pensava a Dorrie. Qualche volta, quando era sveglio, si ricordava di domandare se lei era venuta lì o aveva telefonato. Non riusciva a ricordare, però, di aver mai ricevuto una risposta.

E poi, un giorno, sentì dentro alla testa un nuovo dolore bruciante… e comprese che era la luce.

Ora vedeva di nuovo.

Quando le infermiere si accorsero che Roger Torraway poteva vederle, lo riferirono immediatamente a Jon Freeling, il quale prese il telefono e chiamò Brad. — Vengo subito, — rispose quello. — Tenetelo al buio fino al mio arrivo.

Brad impiegò più di un’ora per compiere quel tragitto, e quando arrivò si vide benissimo che faticava a reggersi in piedi. Si sottopose a una doccia antisettica, a uno spray orale, si fece mettere una maschera da chirurgo, e poi, cautamente, aprì la porta ed entrò nella stanza di Roger.

Dal letto, una voce disse: — Chi è? — Era debole e tremante, ma era la voce di Roger.

— Io. Brad. — Bradley cercò a tentoni lungo la cornice della porta, fino a che trovò l’interruttore. — Accenderò la luce poco a poco, Roger. Dimmi quando riesci a vedermi.

— Adesso ti vedo, — sospirò la voce. — Almeno, mi pare che sia tu.

Brad fermò la mano. — Ma come fai… — incominciò. Poi s’interruppe. — Come sarebbe a dire? Mi vedi? E che cosa vedi?

— Beh, — sussurrò la voce, — non sono molto sicuro, per la faccia. C’è una specie di bagliore. Ma posso vedere le tue mani, e la testa. Sono luminose. E riesco a distinguere abbastanza bene il tuo corpo e le braccia. Molto più fiochi, però… sì, posso vedere anche le gambe. Ma la faccia è strana. La parte centrale è soltanto una chiazza.

Brad si toccò la mascherina da chirurgo. Aveva capito. — Infrarossi. Tu vedi il calore. Che altro riesci a vedere, Roger?

Silenzio, per un momento. Poi: — Ecco, c’è una specie di quadrato luminoso: credo sia il vano della porta. Vedo soprattutto il contorno. E qualcosa di molto luminoso là, contro la parete, dove sento anche qualcosa… i monitor telemetrici? E posso vedere il mio corpo, o almeno il lenzuolo che mi copre, e con una specie di contorno del mio corpo.

Brad girò lo sguardo intorno a sé. Sebbene avesse avuto un po’ di tempo per adattarsi all’oscurità, non vedeva quasi nulla: la punteggiatura luminosa dei quadranti dei monitor, e un esile filo di luce intorno alla porta, dietro di lui.

— Molto bene, Rog. Nient’altro?

— Sì, ma non so che cosa sono. Alcune luci in basso, vicino a te. Molto fioche.

— Credo siano le tubazioni del riscaldamento. Vai magnificamente, ragazzo mio. Bene, adesso aspetto. Alzerò la luce un pochino. Tu, magari, puoi farne benissimo a meno, ma io non posso, e neppure le infermiere. Dimmi come va.

Lentamente, Brad fece girare la manopola, un ottavo di giro, un poco di più. Le lampade inserite nelle intercapedini intorno al soffitto si accesero… dapprima molto fioche, poi un poco più forti. Adesso Brad poteva vedere la figura sul letto: prima lo scintillio delle ali spiegate che erano protese in avanti, al di sopra del corpo di Roger Torraway: poi il corpo stesso, con un lenzuolo drappeggiato che lo copriva fino alla cintura.

— Adesso ti vedo, — sospirò Roger, con quella sua voce esile. — È un po’ diverso… Adesso vedo i colori, e tu non sei più tanto luminoso.

Brad scostò la mano dall’interruttore. — Così va bene, per ora. — Si appoggiò alla parete, in preda alla vertigine. — Scusami, — disse. — Ho un raffreddore o qualcosa del genere… E tu, cosa senti? Voglio dire, dolori…?

— Cristo, Brad!

— No, voglio dire in rapporto alla vista. La luce ti fa male a… agli occhi?

— Gli occhi sono l’unica cosa che non mi fa male, credo, — sospirò Roger.

— Molto bene. Adesso ti darò un altro po’ di luce… Ecco, così, okay? Nessun fastidio?

— No.

Brad si avvicinò delicatamente al letto. — Bene, ora voglio che tu provi a fare una cosa. Puoi… ecco, chiudere gli occhi? Voglio dire, puoi spegnere i ricettori della vista?

Una pausa. — Non… non credo.

— Beh, puoi farlo, Rog. È una facoltà insita, quindi devi soltanto trovarla. Willy aveva avuto qualche difficoltà, all’inizio, ma poi c’era riuscito. Diceva che aveva pasticciato un po’, e poi c’era riuscito.

— … Non succede niente.

Brad rifletté per un secondo. Era intontito dall’influenza, e sentiva che le energie l’abbandonavano. — Come mai? Hai mai avuto sinusiti?

— No… beh, forse. Un po’.

— Ricordi dove ti faceva male?

La figura si mosse a disagio sul letto, e i grandi occhi fissarono quelli di Brad. — Sì… sì, mi pare.

— Prova da quella parte, — ordinò Brad. — Vedi se trovi dei muscoli da muovere. I muscoli non ci sono, ma ci sono le terminazioni nervose che li controllavano.

— … Niente. Che muscolo devo cercare?

— Oh, diavolo, Roger! Si chiama rectus lateralis, ma a che ti serve saperlo? Continua a cercarlo.

— … Niente.

— Sta bene. — Brad sospirò. — Lascia perdere, per ora. Continua a provare più spesso che puoi, d’accordo? Scoprirai come si fa.

— Bella consolazione, — bisbigliò la voce risentita che veniva dal letto. — Ehi, Brad. Sembri più luminoso.

— Come sarebbe a dire? — scattò Brad.

— Più luminoso. Irradii più luce dalla faccia.

— Già, — fece Brad, mentre si accorgeva che le vertigini lo avevano ripreso. — Forse ho un po’ di febbre. Sarà meglio che me ne vada. Questa mascherina di garza dovrebbe impedirmi di contagiarti, ma è efficace solo per quindici minuti o poco più.

— Prima di andartene, — mormorò insistente la voce, — fammi un favore. Spegni di nuovo le luci per un minuto.

Brad alzò le spalle e obbedì. — Sì?

Udì il suono del corpo deforme che si spostava sul letto. — Mi sto voltando per vedere meglio, — riferì Roger. — Senti, Brad, volevo chiederti: come vanno le cose? Ce la farò?

Brad indugiò un attimo a riflettere. — Penso di sì, — rispose, sinceramente. — Fino ad ora è andato tutto per il meglio. Non voglio prenderti in giro, Roger. È tutta roba nuova, e qualcosa potrebbe andar storto. Ma fino ad ora non sembra.

— Grazie. Un’altra cosa, Brad. Hai visto Dorrie, ultimamente?

Una pausa. — No, Roger. Non la vedo da una settimana circa. Sono stato piuttosto male, e quando non stavo male avevo troppe cose da fare.

— Già. Senti, credo che potresti lasciare le luci come le avevi regolate prima, in modo che le infermiere ci vedano.

Brad girò di nuovo l’interruttore. — Ritornerò appena mi sarà possibile. Esercitati a chiudere gli occhi, d’accordo? E poi hai un telefono… chiamami quando vuoi. Non intendo se qualcosa andasse male… questo verrò a saperlo, non ti preoccupare: non vado neppure al gabinetto senza lasciare il numero dove possono rintracciarmi. Voglio dire, se hai voglia di parlare.

— Grazie, Brad. Arrivederci.


Gli interventi chirurgici erano finiti… almeno la parte peggiore. Quando Roger se ne rese conto, provò un sollievo che gli fece bene, anche se nella sua mente vi erano ancora troppe tensioni che non si sentiva di affrontare.

Clara Bly lo pulì e, nonostante gli ordini precisi, gli portò dei fiori per tirarlo un po’ su di morale. — Sei una brava ragazza, — mormorò Roger, girando la testa per guardare i fiori.

— Come li vedi?

Roger tentò di descriverli. — Ecco, sono rose, ma non sono rosse. Giallo chiaro? Hanno all’incirca lo stesso colore del tuo braccialetto.

— Arancione. — Clara finì di stendergli il lenzuolo nuovo sulle gambe. Il telo ondeggiò dolcemente, nella corrente irradiata dal letto fluidizzato. — Vuoi la padella?

— Per cosa? — borbottò Roger. Era arrivato alla terza settimana di dieta a basso residuo, e al decimo giorno di assunzione controllata di liquidi. Il suo apparato escretorio era diventato, come diceva Clara, quasi esclusivamente ornamentale. — Del resto, sono autorizzato ad alzarmi, — disse lui. — Quindi, se succede qualcosa, posso arrangiarmi da solo.

Sei grande, sorrise Clara, raccogliendo la biancheria sporca e uscendo. Roger si mise a sedere e ricominciò a esplorare il mondo intorno a lui. Studiò con interesse le rose. I grandi occhi sfaccettati captavano quasi un’ottava di radiazioni in più. il che significava mezza dozzina di colori che Roger non aveva mai visto prima, dall’infrarosso all’ultravioletto: ma non sapeva come chiamarli, e l’iride che aveva visto per tutta la sua vita si era estesa fino a includerli tutti. Quello che gli appariva come un rosso scuro era, lo sapeva, un lieve calore. Ma non era vero neppure che gli sembrasse rosso: era solo una diversa qualità della luce, che aveva associazioni con il calore e il benessere.

Comunque, c’era qualcosa di molto strano nelle rose, e non era il colore.

Roger gettò via il lenzuolo e si guardò. La pelle nuova non aveva pori, né peli, né grinze. Sembrava più una tuta da sommozzatore che la sua pelle naturale. E sotto quella, lo sapeva, c’era un’intera muscolatura nuova, mossa dall’energia: ma non se ne scorgeva la minima traccia.

Tra poco avrebbe potuto alzarsi e camminare da solo. Non era ancora pronto a farlo. Accese il televisore. Lo schermo s’illuminò di una schiera abbagliante di punti magenta, fiordaliso e verdi. Roger dovette compiere uno sforzo di volontà per guardarli e vedere tre ragazze che cantavano e ballavano: i suoi occhi nuovi aspiravano ad analizzare l’immagine nelle sue componenti. Cambiò stazione e trovò un telegiornale. La Nuova Asia Popolare aveva inviato altri tre sommergibili atomici in «visita di cortesia» in Australia. L’addetto stampa del presidente Deshatine affermava severamente che i nostri alleati del Mondo Libero potevano contare su di noi. Tutte le squadre di football dell’Oklahomà avevano perduto. Roger spense l’apparecchio: gli stava venendo mal di testa. Ogni volta che cambiava posizione le linee sembravano inclinarsi, e dalla parte posteriore del televisore si irradiava una luminosità sconcertante. Dopo aver tolto la corrente, rimase a guardare per qualche tempo la luce del tubo catodico che si affievoliva, il bagliore che usciva dalla parte posteriore oscurarsi. Era calore, pensò.

Dunque, che cosa aveva detto Brad? «Cerca, nei pressi del punto dove si trovano i seni paranasali.»

Era una sensazione strana, trovarsi in un corpo sconosciuto e cercare di individuare un comando che nessuno era in grado di definire esattamente. E solo per chiudere gli occhi! Ma Brad gli aveva assicurato che era possibile. I sentimenti che Roger provava nei confronti di Brad erano complessi, e una delle componenti era l’orgoglio. Se Brad diceva che era possibile farlo, allora Roger l’avrebbe fatto.

Ma non ci riusciva. Provò tutte le combinazioni di pressioni muscolari e di forza di volontà che gli vennero in mente, e non accadde nulla.

Lo colpì un ricordo improvviso: era vecchio di anni, un ricordo dei tempi in cui lui e Dorrie erano appena sposati. No, non sposati, non ancora: vivevano insieme, ricordava, e cercavano di decidere se volevano unire ufficialmente le loro vite. Era stato il loro periodo dei massaggi e della meditazione trascendente, quando si esploravano a vicenda in tutti i modi che venivano loro in mente; e ricordava l’odore dell’olio per neonati, con l’aggiunta di un po’ di muschio… e come aveva riso delle istruzioni per il secondo chakra: «Raccogliete l’aria nella milza e trattenetela, poi espirate mentre le vostre mani scorrono verso l’alto, sui due lati della spina dorsale del vostro partner». Ma loro non erano mai riusciti a capire dove fosse la milza, e Dorrie era stata così divertente, mentre frugava i recessi più intimi dei loro corpi: — È qui? Lì? Oh, Rog, senti, tu non fai sul serio…

Provò un dolore interiore improvviso, che saliva vertiginosamente dentro di lui, e si riabbandonò sul letto, desolato. Dorrie!

La porta si spalancò.

Clara Bly si precipitò dentro, gli occhi accesi e spalancati sul visetto scuro e grazioso. — Roger! Cosa fai!

Roger trasse un respiro lento e profondo prima di parlare. — Cosa succede? — Sentiva l’inespressività della propria voce: non aveva più tono, dopo quello che le avevano fatto.

— Tutti gli aghi degli indicatori saltano! Ho pensato… non so che cosa ho pensato, Roger. Ma, qualunque cosa sia successo, ti faceva star male.

— Scusami, Clara. — Roger restò a guardare, mentre la ragazza accorreva ai monitor a muro, e li studiava rapidamente.

— Adesso vanno un po’ meglio. — disse lei, un po’ burbera. — Mi pare sia tutto a posto. Ma che cosa diavolo stavi facendo?

— Mi preoccupavo, — disse Roger.

— Di cosa?

— Della posizione della mia milza. Tu sai dov’è?

Clara lo fissò pensierosa per un momento, prima di rispondere. — È sotto le costole inferiori, sul fianco sinistro. Più o meno dove credi che sia il cuore. Un poco più in giù. Vuoi prendermi in giro, Roger?

— Beh, un pochino. Forse ho ricordato qualcosa che non avrei dovuto, Clara.

— Per favore, non farlo più!

— Proverò. — Ma il pensiero di Dorrie e Brad era ancora presente, in agguato, appena al di sotto del livello conscio della sua mente. Poi disse: — Una cosa… ho cercato di chiudere gli occhi, e non riesco.

Clara si avvicinò e gli toccò la spalla, in un gesto amichevole. — Ci riuscirai, caro.

— Già.

— No. Dico sul serio. Assistevo Willy, allora, e lui era molto scoraggiato. Ma poi ce l’ha fatta. Comunque, — disse, voltandosi, — per il momento provvedo io. È ora di spegnere le luci. Domattina dovrai essere fresco come una rosa.

Roger chiese insospettito: — Perché?

— Oh, non altri tagli. È finita, per un po’. Brad non te lo ha detto? Domani ti collegheranno al computer per quella faccenda della mediazione. Avrai parecchio da fare, Rog, perciò dormi. — Clara spense la luce, e Brad vide il visetto scuro mutarsi in un dolce chiarore che gli sembrò color pesca.

Poi gli venne in mente una cosa. — Clara? Mi faresti un favore?

La ragazza si fermò, con la mano sulla porta. — Che cosa, tesoro?

— Vorrei farti una domanda.

— Avanti.

Egli esitò, chiedendosi come poteva fare. — Vorrei sapere, — disse, elaborando mentalmente le frasi mentre parlava, — è… vediamo, oh, sì. Quel che vorrei sapere è, Clara, quando tu e tuo marito siete a letto e fate l’amore, che sistemi adoperate?

— Roger! — La luminosità della faccia di lei si intensificò di colpo: Torraway poté vedere la rete delle vene, sotto la pelle, inondata da sangue scottante.

Le disse: — Scusami, Clara. Penso che… penso che a furia di starmene qui sto diventando volgare. Dimentica che te l’ho chiesto, d’accordo?

Clara restò in silenzio per un momento: quando parlò di nuovo la sua voce era professionale, non più amichevole: — Sicuro, Roger, tutto a posto. Mi hai solo colta alla sprovvista, ecco. È… beh, è tutto a posto: ma il fatto è che non mi avevi mai detto una cosa simile.

— Lo so. Scusami.

Ma non era pentito: o almeno non del tutto.

Guardò la porta dietro Clara e studiò il tracciato rettangolare di luce che filtrava dal corridoio. Si sforzò di mantenere calma la propria mente il più possibile. Non voleva far suonare di nuovo i campanelli d’allarme dei monitor.

Ma voleva pensare a qualcosa che si trovava sulla linea di demarcazione della zona di pericolo; come mai il rossore che aveva invaso la faccia di Clara alla sua domanda era così simile all’improvviso chiarore che era apparso sul viso di Brad quando gli aveva chiesto se aveva visto Dorrie.


La mattina dopo eravamo completamente mobilitati per controllare i circuiti, inserire gli «stand-by», provvedere a che i relè automatici fossero sintonizzati per intervenire al minimo accenno di disfunzione. Brad arrivò alle sei in punto, debole, ma con la mente lucida, pronto a mettersi al lavoro. Weidner e Jon Freeling arrivarono pochi minuti dopo di lui, sebbene il lavoro primario, per quel giorno, spettasse a Brad: non erano capaci di stare lontani. Kathleen Doughty era presente, ovviamente, come era stata presente ad ogni fase: non perché glielo imponesse il dovere, ma perché così voleva il suo cuore. — Non fate soffrire troppo il mio ragazzo, — ringhiò, stringendo tra i denti la sigaretta. — Avrà bisogno di tutto l’aiuto possibile, quando comincerò io a lavorarmelo, la settimana prossima.

Pesando ogni sillaba, Bradley disse: — Kathleen, io farò del mio meglio.

— Già, lo so, Brad. — La donna spense la sigaretta e ne accese immediatamente un’altra. — Non ho mai avuto figli, e credo che Roger e Willy fossero diventati come figli, per me.

— Sicuro, — borbottò Brad, che non l’ascoltava più. Non era autorizzato a toccare il 3070 o le altre unità ancillari. Poteva solo stare a guardare mentre i tecnici e i programmatori eseguivano il loro lavoro. Quando il terzo controllo era ormai quasi completato, senza che niente andasse storto, Brad uscì finalmente dalla sala del computer e salì tre piani in ascensore, per raggiungere la stanza di Roger.

Si soffermò davanti alla porta a respirare per un momento, e poi aprì l’uscio con un sorriso. — Sei quasi pronto per innestarti, ragazzo mio, — disse. — Te la senti?

Gli occhi d’insetto si volsero verso di lui. La voce inespressiva di Roger disse: — Non so cosa dovrei sentire. Mi sento soprattutto spaventato.

— Oh, non è proprio il caso di spaventarsi. Oggi, — si corresse in fretta Brad, — dobbiamo semplicemente collaudare la mediazione.

Le ali da pipistrello fremettero e cambiarono posizione. — E questo mi ucciderà? — chiese la voce monotona fino all’esasperazione.

— Oh, andiamo, Roger! — Brad s’incollerì di colpo.

— È solo una domanda, — scandì la voce.

— È una domanda idiota! Ascolta: so quello che provi…

— Ne dubito.

Brad s’interruppe e studiò la faccia impenetrabile di Roger. Dopo un attimo disse: — Ricominciamo dall’inizio. Quello che farò io non sarà ucciderti, bensì tenerti in vita. Sicuro, tu pensi a quanto è accaduto a Willy. A te non succederà. Sarai in grado di dominare quello che avviene… qui, e su Marte, dov’è importante.

— È importante per me, qui, — disse Roger.

— Oh, per l’amor di Dio. Quando il sistema funzionerà, tu vedrai e udrai soltanto quello che è necessario, capisci? O quello che vorrai. Disporrai di un controllo volitivo considerevole. Sarai in grado…

— Non so neppure chiudere ancora gli occhi, Brad.

— Imparerai. Sarai in grado di utilizzare tutto. Ma non potrai farlo se non cominciamo. Poi questi apparecchi escluderanno tutti i segnali superflui, in modo che tu non ti confonda. È questo che ha ucciso Willy: la confusione.

Una pausa, mentre dietro la faccia grottesca il cervello rimuginava. Alla fine, tutto ciò che Roger disse fu: — Hai una gran brutta cera, Brad.

— Mi dispiace. In verità, non sto molto bene.

— Sei sicuro di essere in condizioni di farcela?

— Sono sicuro. Ehi, Roger, ma cosa stai dicendo? Vuoi rimandare?

— No.

— Beh, e allora cosa vuoi?

— Vorrei saperlo, Brad. Continua.

Ormai eravamo pronti; le luci verdi del «via» lampeggiavano già da parecchi minuti. Brad alzò le spalle e disse imbronciato all’infermiera: — Cominciamo.


Poi, per dieci ore, i circuiti di mediazione vennero messi in fase uno ad uno, collaudati, regolati, mentre Roger provava i suoi nuovi sensi sulle proiezioni delle macchie di Rorschach e delle ruote colorate di Maxwell. Per Roger, la giornata volò. Il suo senso del tempo non era molto attendibile. Non era più regolato dagli orologi biologici innati in ciascuno, bensì dalle componenti meccaniche; queste rallentavano la sua percezione del tempo quando non vi era una situazione di stress, l’acceleravano quando era necessario. — Rallentate, — implorava Roger, guardando le infermiere che gli sfrecciavano accanto veloci come proiettili. E poi quando Brad, che ormai cominciava a tremare per la stanchezza, rovesciò un vassoio d’inchiostri e di pastelli, a Roger parve che quegli oggetti scendessero fluttuando verso il pavimento. Non ebbe difficoltà ad afferrare al volo due bottiglie d’inchiostro e lo stesso vassoio prima che toccassero terra.

Quando vi ripensò, più tardi, si rese conto che si trattava degli oggetti che si sarebbero potuti rompere. Aveva lasciato cadere i pastelli di cera. In quella frazione di secondo in cui aveva avuto una possibilità di scelta, aveva scelto di afferrare gli oggetti che bisognava afferrare e aveva lasciato perdere gli altri, senza accorgersi di quanto aveva fatto.

Brad era molto soddisfatto. — Sei stato grande, ragazzo mio, — disse, aggrappandosi ai piedi del letto. — Ora me ne vado a dormire un po’, ma domani verrò a trovarti dopo l’intervento chirurgico.

— L’intervento? Quale intervento?

— Oh, — disse Brad. — Un semplice ritocco. Roba da nulla, in confronto a quello che hai già passato, credimi. D’ora innanzi, — disse, voltandosi per uscire, — hai finito di nascere: ora non devi far altro che crescere. Esercitarti. Imparare a servirti di quello di cui disponi. La parte più difficile è superata. Hai imparato a interrompere la vista quando vuoi?

— Brad, — risuonò la voce inespressiva, più sonora ma egualmente grigia, — che cosa diavolo vuoi da me? Io ci provo!

— Lo so, — fece Brad, conciliante. — Ci vediamo domani.

Per la prima volta, quel giorno, Roger fu lasciato solo. Sperimentò i suoi nuovi sensi. Si rendeva conto che potevano essergli molto utili in situazioni di sopravvivenza. Ma lo confondevano moltissimo. Tutti i piccoli suoni della vita quotidiana erano ingigantiti. Sentiva Brad, in corridoio, parlare con Jonny Freeling e le infermiere che smontavano di servizio. Sapeva che con le orecchie dategli da sua madre non avrebbe percepito neppure un brusio: ma adesso poteva distinguere le parole a volontà: — anestesia locale, ma non voglio. Voglio che non si accorga di niente. Ha già abbastanza traumi da sopportare. — Era Freeling, che parlava a Brad.

Le luci erano più brillanti. Roger tentò di ridurre la sensibilità della propria vista, ma non accadde nulla. Quello che gli occorreva, pensò, era solamente una di quelle lampadine minuscole, da albero di Natale. C’era molta luce: quell’intensa luminosità era sconcertante. Inoltre, osservò, le luci erano ritmiche, da impazzire: riusciva a percepire ogni pulsazione della corrente a sessanta Hertz. All’interno dei tubi fluorescenti osservò il contorcersi di un fulgido serpente di gas. Le lampade a incandescenza, d’altra parte, erano quasi buie, a parte i filamenti brillanti al centro, che egli poteva esaminare dettagliatamente. Non provava l’impressione di sforzarsi gli occhi, anche quando guardava la luce più intensa.

Udì una voce nuova, in corridoio, e aguzzò l’udito per ascoltare: Clara Bly, che era venuta a prendere servizio per il turno di notte: — Come va il paziente, dottor Freeling?

— Benissimo. Mi sembra riposato. Ha dovuto dargli un sonnifero, ieri notte?

— No. Stava bene. Un po’… — Clara ridacchiò. — Un po’ strano, comunque. Ha fatto una specie di osservazione sconcia, che da Roger non mi sarei mai aspettata.

— Uh. — Vi fu una pausa di perplessità. — Bene, non sarà più un problema. Devo andare a controllare le letture. Abbia cura di lui.

Roger pensò che avrebbe dovuto essere molto gentile con Clara; non sarebbe stato difficile, poiché era la sua infermiera preferita. Si distese, ascoltando il fruscio delle ali nere e i suoni ritmici dei pannelli telemetrici. Era molto stanco. Sarebbe stato piacevole dormire…

Si risollevò di scatto. Le luci si erano spente! Poi si riaccesero di nuovo, non appena egli se ne accorse.

Aveva imparato a chiudere gli occhi!

Soddisfatto, Roger si lasciò sprofondare di nuovo nel letto che ondeggiava dolcemente. Era vero: stava imparando.


Lo svegliarono per dargli da mangiare, e poi lo riaddormentarono per l’ultima operazione.

Non vi fu anestesia. — Ci limiteremo a spegnerti, — disse Jon Freeling. — Non sentirai niente. — E in effetti non sentì niente. Lo portarono nella vicina sala operatoria, con i flaconi delle terapie intensive, i cateteri, i sondini e tutto il resto. Roger non poté sentire l’odore del disinfettante, ma sapeva che c’era: percepiva la luminosità raccolta sulle punte di ogni oggetto, il calore dello sterilizzatore, come una raggera sullo sfondo della parete.

Poi il dottor Freeling ordinò di fargli perdere conoscenza, e noi obbedimmo. Deprimemmo uno ad uno i suoi input sensoriali: per lui fu come se i suoni si affievolissero, le luci si offuscassero, le sensazioni tattili si addolcissero. Smorzammo gli input del dolore attraverso tutta la nuova epidermide, li estinguemmo completamente dove avrebbe inciso il bisturi di Freeling e dove sarebbe penetrato l’ago. C’era un problema complesso. Molti degli input del dolore dovevano venir mantenuti anche dopo che Roger fosse guarito. Era necessario che avesse un sistema di segnalazione, quando fosse stato libero sulla superficie di Marte: qualcosa che lo avvertisse se si ustionava, si causava lacerazioni o lesioni; e il dolore era il sistema d’allarme più efficace che potessimo dargli. Ma per la maggior parte del suo corpo, la sofferenza era finita. Mentre estinguevamo gli input li escludevamo programmaticamente dal suo apparato sensoriale.

Roger, naturalmente, non sapeva nulla di tutto questo. Si limitò ad addormentarsi e poi a svegliarsi.

Quando alzò lo sguardo, urlò.

Freeling, che si era rialzato e si sgranchiva le dita, sussultò e lasciò cadere la maschera. — Cosa succede?

Roger disse: — Gesù! Per un momento ho visto… non so. Poteva essere un sogno? Ma vi ho visti tutti intorno a me, intenti a guardarmi, e sembravate un branco di guul. Teschi. Scheletri. Mi guardavate sogghignando! E poi siete tornati come siete.

Freeling guardò Weidner e alzò le spalle. — Credo, — disse, — che fossero semplicemente i tuoi circuiti mediatori all’opera. Capisci? Traducono ciò che vedi in qualcosa che tu puoi afferrare immediatamente.

— Non mi va, — scattò Roger.

— Bene, dovremo parlarne a Brad. Ma francamente, Roger, penso che sia giusto così. Credo che il computer abbia preso tutte le tue sensazioni di paura e di dolore, sai, ciò che prova chiunque quando subisce un’operazione, e le abbia assommate allo stimolo visivo: le nostre facce, le maschere, tutto il resto. Interessante. Mi domando fino a che punto si è trattato di mediazione, e fino a quale era pura e semplice illusione postoperatoria.

— Mi fa piacere che tu lo trovi interessante, — ribatté Roger, irritato.

Ma, in tutta sincerità, anch’egli lo trovava interessante. Quando fu di nuovo nella sua stanza lasciò la propria mente libera di vagare. Non era in grado di evocare a volontà le immagini della fantasia: venivano quando volevano, ma non erano spaventose come quella prima visione terribile di mandibole scarnite e di occhiaie vuote. Quando Clara entrò con la padella e poi se ne andò appena lui la rifiutò con un gesto, guardò la ragazza attraverso la porta che si chiudeva: e l’ombra dell’uscio divenne l’entrata di una grotta, e Clara Bly un orso delle caverne che gli ringhiava contro, irritato. Era un po’ stizzita, pensò: un indizio subsonico sul volto di lei venne registrato dai sensi di Roger, e fu analizzato dal ronzante 3070, nel sotterraneo, e presentato come avvertimento.

Ma quando Clara rientrò, aveva il volto di Dorrie. Poi quel viso si dissolse, si rimodellò nella sua solita pelle scura, negli occhi luminosi, e non somigliò più a Dorrie: ma Roger l’interpretò come un segno che tra loro tutto era ritornato a posto…

Tra lui e Clara.

No, pensò: tra lui e Dorrie. Guardò il telefono accanto al letto. I circuiti del visore erano permanentemente staccati, dietro sua richiesta: non voleva chiamare qualcuno dimenticando che l’altro poteva vederlo. Ma non se ne era mai servito per chiamare Dorrie. Spesso tendeva la mano verso l’apparecchio, ma ogni volta la ritraeva.

Non sapeva che dirle.

Come fai a chiedere a tua moglie se va a letto con il tuo migliore amico? Affronti la questione apertamente e glielo chiedi, diceva l’istinto a Roger: ma non sapeva decidersi a farlo. Non era abbastanza sicuro. Non poteva arrischiarsi a lanciare quell’accusa: poteva sbagliarsi.

Il guaio era che non poteva discuterne con nessuno dei suoi amici. Don Kayman sarebbe stato il confidente ideale, per una cosa del genere: era la funzione del prete. Ma Don era così chiaramente, soavemente, teneramente innamorato della sua graziosa suorina che Roger non poteva addossarsi il dolore di discutere il dolore con lui.

E per quanto riguardava la maggioranza dei suoi amici, il guaio era che, in tutta sincerità, non avrebbero capito i motivi del suo turbamento. Il matrimonio «aperto» era così comune a Tonka, anzi in quasi tutto il mondo occidentale, che erano proprio le poche coppie chiuse a suscitare pettegolezzi. Era molto difficile ammettere di essere gelosi.

E del resto, si disse con fermezza Torraway, non era la gelosia a turbarlo. Non era esattamente la gelosia. Era qualcosa d’altro. Non era il maschilismo siciliano o l’indignazione del proprietario che scopre qualcuno a sollazzarsi nel suo fertile giardino. Era che Dorrie doveva voler amare soltanto lui. Poiché Roger voleva amare soltanto lei…

Si accorse di scivolare verso uno stato d’animo che sicuramente avrebbe fatto squillare il campanello d’allarme sui monitor telemetrici. E questo non lo voleva. Risolutamente, allontanò da sé il pensiero di sua moglie.

Per un po’ si esercitò a «chiudere gli occhi»: era rassicurante saper usare quella facoltà nuova quando lo voleva. Non avrebbe saputo descrivere cosa faceva, come non vi era riuscito Willy Hartnett: ma poteva prendere la decisione di interrompere la ricezione degli input visivi, e i circuiti dentro la sua testa e giù, nella stanza del 3070, riuscivano a convertire quella decisione in tenebra. Poteva addirittura ridurre selettivamente la luce, e poteva ravvivarla. Scoprì che poteva escludere tutte le bande di lunghezza d’onda tranne una, oppure sopprimerne una, o fare in modo che uno o più colori dell’arcobaleno fossero più vivi degli altri.

Era molto soddisfacente, davvero, anche se con il passar del tempo annoiava. Roger avrebbe desiderato poter attendere il pranzo, ma quel giorno il pranzo non vi sarebbe stato: un po’ perché aveva subito un’operazione, un po’ perché lo disabituavano gradualmente a mangiare. Nelle prossime settimane avrebbe mangiato e bevuto sempre meno: al momento di arrivare su Marte, avrebbe avuto bisogno di mangiare soltanto un buon pasto al mese.

Gettò via il lenzuolo e osservò pigramente il manufatto in cui era stato trasformato il suo corpo.

Un secondo più tardi lanciò un grande urlo straziato di paura e di sofferenza. Tutti i monitor telemetrici lampeggiarono di un rosso accecante. Nel corridoio esterno, Clark Bly si voltò di scatto e si precipitò verso la sua porta. Nell’appartamento da scapolo di Brad i campanelli d’allarme squillarono un secondo esatto più tardi, parlandogli di qualcosa di urgente e di grave che lo riscosse da un sonno inquieto ed esausto.

Quando Clara aprì la porta, vide Roger, raggomitolato in posizione fetale sul letto, gemente e disperato. Con una mano si copriva l’inguine, tra le gambe strette. — Roger? Cosa succede?

La testa si rialzò, gli occhi d’insetto la guardarono ciechi. Roger non interruppe i lamenti animaleschi che gli uscivano dalla gola, non parlò. Alzò soltanto la mano.

Lì, tra le gambe, non c’era niente. Niente pene, testicoli, scroto: nient’altro che la lucida pelle artificiale, con un bendaggio trasparente, che nascondeva i segni dell’intervento chirurgico. Era come se non vi fosse mai stato niente. Dei segni diagnostici della virilità… non c’era traccia. La piccola operazione era finita, e non era rimasto nulla.

Загрузка...