CAPITOLO 4

I

«Bene, ah, Secon, ne hai portato uno bene in carne», disse Mowery Sals, che era già un contadino. Un tempo, Boy Jackson e Boy Samson, che adesso si chiamava Mowery, erano stati compagni di giochi. Era stato più o meno a quel tempo che Dorrie Olsons era rimasta vedova ed era diventata Dorrie Filsons. Boy Samson aveva rivolto a Jackson qualche commento al riguardo, e aveva perso subito il suo nome: non si può continuare a restare tra gli altri apprendisti Honor, quando si hanno le costole rotte.

Ma adesso era lì, con gli occhi sgranati e la faccia sudata per l’emozione di toccare un Honor, e sembrava che non avesse nessuna intenzione maligna.

Ci sarebbe stato un banchetto intorno alla Spina, quella sera, e avrebbero macellato l’amsir, e adesso Secon Jackson doveva scegliere coloro che avrebbero mangiato la sua preda, e doveva assegnarne le parti. Doveva scegliere coloro che erano stati particolarmente buoni o gentili con lui durante gli anni precedenti. Il fatto che il banchetto si sarebbe svolto verso sera lasciava agli esclusi una possibilità di corteggiarlo per ottenere il suo favore. Jackson non sapeva se quella parte venisse di proposito o no, ma aveva visto molti nuovi Honor acquisire nuovi amici e nuove ricchezze, il pomeriggio del Giorno della Rasatura.

Be’, il padre di Secon era morto da parecchio e sua madre aveva fatto quel che aveva fatto con Red Filson, e suo fratello aveva fatto del suo meglio per allevarlo, quando ne aveva il tempo, ma poi c’era stata la faccenda di quella mattina. Non aveva zii o zie affezionati, dato che non era di famiglia contadina, e non aveva amici.

Avrebbe potuto farsi qualche amico quella mattina, ma anche loro avrebbero dovuto uscire presto in quel deserto, e non voleva che fossero lì ad ascoltare una montagna di menzogne, quella sera. Perciò tutti lo guardavano ansiosi, e l’Honor Anziano stava lasciando la folla per entrare nella Spina, dove vivevano gli Honor, e Secon non sapeva ancora cosa dire.

«Sentite», disse, guardandosi intorno, pensando che avrebbe potuto provare a pronunciare il nome di Petra Jovans, per vedere se alla gente piaceva che lui la scegliesse di fronte a tutti. «Devo far qualcosa per questa», disse, indicandosi la spalla ferita. «Vedrò i miei amici durante la giornata». Passò davanti a Mowery e a suo fratello, e un mormorio di delusione si levò dalla folla. Sentì alcuni dire che lui stava mettendo all’asta l’amsir per i migliori offerenti, ma non se la prese, perché se l’aspettava. Suo fratello lo raggiunse e s’incamminò al suo fianco.

«Ehi, non è così che si fa!», disse Black Jackson.

«Se facessi quello che dovrei, tu saresti crivellato di ferite», disse Secon Jackson, e continuò a camminare.


Entrò nella Spina passando dalla porta ovale come se non avesse fatto altro per tutta la vita. Questo te l’insegnavano: imparavi a memoria l’intera pianta, la tracciavi per terra con uno stecco, e così sapevi dov’era l’Honor Anziano, e sapevi dov’era l’Armeria, e il dottore, e dove avresti dormito quando fossi ritornato dal deserto dopo aver ucciso il tuo animale.

E così i contadini avrebbero pensato che tu avessi ricevuto una grande illuminazione, e i ragazzini che ti seguivano in codazzo avrebbero allungato il collo e avrebbero visto quanto eri sicuro. Si fermarono sulla soglia, naturalmente, perché sapevano che chiunque non fosse un Honor si sarebbe ammalato e sarebbe morto se avesse varcato la porta. White Jackson era entrato e aveva sbirciato in due o tre corridoi interni, quand’era ragazzino. Non si era ammalato e non era morto. Ma aveva avuto l’astuzia di non farlo per scommessa o quando qualcuno lo guardava, e aveva avuto la certezza che, se fosse stato scoperto, forse si sarebbe augurato di ammalarsi e di morire. E poi, aveva imparato soltanto che l’interno della Spina era tutto di metallo come l’esterno, a parte il fatto che era dipinto.

C’era una quantità di rombi e di tonfi all’interno della Spina; il pavimento metallico gli tremava sotto i piedi. Vi erano molte parti della sua struttura che nessuno gli aveva insegnato. Secon immaginava che fosse così perché erano i posti dove stavano i macchinari. Qualcosa doveva dare energia agli aratri. Qualcosa doveva produrre l’acqua che usciva dai rubinetti e irrigava i campi per far crescere le messi. Non credeva che i morti, ad Ariwol, abbandonassero i loro festini per operare tutte quelle magie. Se avessero potuto farlo, a cosa sarebbe servita una Spina?

Adesso doveva pensare che la Spina faceva funzionare anche le calotte; e poiché era così, era meno disposto che mai a credere alla magia di qualcosa che poteva venire arrestato da un pezzo di roccia. Forse gli avrebbero permesso di dare un’occhiata ad alcune di quelle viscere meccaniche, se avesse fatto il bravo e fosse stato al gioco. Si chiese se sarebbe mai riuscito a convincerli a lasciare che ci pasticciasse: e a che servono i macchinari, se non puoi pasticciarci? Quindi, a che serviva stare al gioco? E poi, Petra Jovans non aveva cercato di parlargli, mentre lui andava dal luogo della Rasatura alla porta della Spina, e perciò era infuriato con tutto e con tutti quando arrivò alla porta dell’Honor Anziano ed entrò.

«Perché non hai bussato?», chiese l’Honor Anziano, che era seduto dietro una scrivania.

«Non mi aspettavi?», ribatté Honor Secon Jackson.

L’Honor Anziano sorrise. Non c’era il minimo dubbio, questa volta; era il sorriso più largo che Secon Jackson avesse mai visto, e in un certo senso questo gli fece paura.

«Siediti, Honor», disse l’Anziano, spingendo una sedia verso di lui. «Credo che ci sia un modo di metterci d’accordo».

La sedia era esattamente come quelle che ognuno aveva in casa, ma questa non era stata usata per tanti anni e da tanta gente. Le rotelle giravano ancora. Secon Jackson la prese, la fece ruotare in modo che la scrivania fosse tra lui e l’Honor Anziano, e sedette. «D’accordo. Non mi dispiacerebbe».

«Non dispiacerebbe neppure a me, se fossi al tuo posto», disse l’Honor Anziano. «Non fraintendiamo la situazione, Honor Secon Jackson. Ho vissuto molto a lungo, e anche per me ci fu un giorno in cui andai nel deserto ed ebbi la mia piccola sorpresa. Ognuno degli Honor che vedi girare qui intorno, ogni Honor che mai ti abbia detto qualcosa della caccia e degli amsir, è andato nel deserto e ha avuto la stessa sorpresa. E non sentirai nessuno di loro lamentarsi. E non vedrai che io incontri difficoltà a mandare avanti le cose. Pensaci. Non fare niente che ti sembri andare bene. Qualunque cosa sia, io ci ho già pensato».

Secon Jackson lo studiò nello stesso modo in cui studiava sempre tutto. Il sorriso era molto meno ampio, adesso, ma c’era ancora. Secon Jackson cercò di pensare cosa avrebbe pensato lui, se avesse avuto quel sorriso; spesso era un sistema che non serviva a molto, ma stavolta funzionò. Il vecchio pensava che Secon Jackson avrebbe fatto la figura dello stupido, e che sarebbe stato facile manovrarlo, se avesse tirato diritto e avesse fatto quello che gli pareva più sensato. Sta bene, si disse Secon Jackson, allora non lo farò, e la prossima mossa spetta a te.

«Quindi non otterrai niente di speciale da me, per aver fatto quello che ha fatto ogni altro Honor che vive qui».

Lo sapevo già un minuto fa, si disse Secon Jackson; e poi si accorse che il vecchio poteva sfoggiare quel sorriso ed essere egualmente uno sciocco. Sapeva che Secon Jackson era sveglio, ma non credeva che lo fosse troppo. Non hai soltanto l’aspetto di un amsir, vecchio, pensò Secon Jackson, con un senso di sollievo, e ti piacerebbe andare ad Ariwol proprio adesso e accorgerti di essere stato un idiota?

«Non pensare a uccidermi adesso», disse l’Anziano, in tono noncurante. «Morirò abbastanza presto, e allora tu potrai avere tutto».

II

Era come se all’improvviso fosse cresciuta la distanza tra lui e i suoi occhi e i suoi orecchi. Secon Jackson si appoggiò allo schienale della sedia e disse: «Potrò avere tutto».

«Sì. Ma io dovrò dirti come, e tu dovrai imparare, e dovrai imparare anche a fare in modo che funzioni».

«Sta bene», disse Secon Jackson, riprendendosi. «Comincia a fare la tua parte».

L’Honor Anziano assunse un’espressione divertita. «Be’, non posso dirti tutto in un giorno».

«Non lo pretendo, ma comincia».

«D’accordo. Senti… Qui le cose sono molto semplici. Diciamo alla gente un mucchio di frottole per farle sembrare difficili, ma non lo sono. Noi viviamo intorno alla Spina, e lontano dalla Spina c’è un deserto dove vivono gli amsir. Possiamo praticare l’agricoltura e procurarci un po’ di carne e materiale per gli utensili dando la caccia agli amsir. Ecco, nel mondo non c’è altro. Il Sole sorge, il Sole tramonta. C’è l’estate e c’è l’inverno. C’è solo una certa quantità di terra, e c’è solo un certo numero di calotte da dare agli Honor. Ora, tutto questo deve essere gestito. Se lasciassimo in pace i contadini, quelli farebbero ciò che è più comodo, e metterebbero al mondo figli e pianterebbero tutto quello che gli passa per la testa; e potrebbe esserci cibo per tutti, e potrebbe anche non esserci. E anche se il cibo fosse sufficiente, e non credo che i contadini potrebbero provvedere a questo, tutti continuerebbero a vivere esattamente come adesso. Ti piacerebbe, Honor?». Gli occhi del vecchio scintillavano.

«Non è necessario che io risponda. Continua».

«È vero. Non mi occorre una risposta. Quello che puoi vedere è solo una parte del sistema. Vedi come inganniamo i contadini, e vedi quel che facciamo per indurli a credere che noi siamo speciali. Così, quando ci serve qualcosa per tirare avanti, possiamo ottenerla. Quando vediamo una donna che ci piace, possiamo averla. E adesso parliamo di donne. A cosa serve una donna, oltre che a divertirsi?».

«Per cucinare, pulire, tenere in ordine la casa», disse Secon Jackson.

L’Honor Anziano scuoteva la testa, e questo non sorprendeva Jackson, perché non si faceva mai una domanda se non si conosceva mai una risposta inattesa. «No», disse in tono saggio l’Anziano. «Una donna serve per essere migliore di tua madre, in modo che tu possa avere figli migliori di te. Ricordalo. È così per tutto. Quando prendi la pagnotta di un contadino e la mangi, la ragione di quel pane è renderti migliore… mantenerti forte e fare di te un Honor migliore. E se il pane della donna di un contadino è migliore di quello di un altro, allora tu ritorni in quel posto a prendere il pane. Anche se non prenderai mai quella donna, che potrebbe essere vecchia e brutta. Ma potrebbe avere una figlia, e tu potresti prenderti la figlia. E anche se non avesse figlie, tu saresti pur sempre migliore e più forte, grazie al pane migliore, e potresti prenderti una donna migliore di quanto otterresti altrimenti. E anche se non la prendessi e ti limitassi a servirti di lei, e suo figlio diventasse contadino, sarebbe un contadino migliore di quanto sarebbe stato, perché sapremmo già che l’uomo di sua madre non era stato abbastanza valido per fermarti».

«Quindi noi miglioriamo sempre tutto, qualunque cosa facciamo», disse Secon Jackson. Pensò che era un bel mondo, quello dove un Honor poteva fare tutto ciò che gli colpiva la fantasia, e questo serviva sempre a migliorare le cose. «Adesso spiegami gli amsir che sono armati di giavellotto e parlano».

«Ci arriveremo, te lo prometto», disse l’Honor Anziano. «La ragione per cui non vogliamo mai rischiare che qualcuno scopra la verità prima di essere diventato un Black Honor è la stessa per cui non ne parliamo mai quando i contadini possono ascoltarci». L’Honor Anziano si tese verso di lui, con aria seria. «Questo è importante, ragazzo mio. Se puoi capirlo e servirtene, avrai un motivo per essere speciale, persino tra gli Honor».

L’Anziano fece un gesto noncurante. «Diavolo, lo so che quasi tutti i giovani che portano armi, qui, sono soltanto contadini con un aratro di tipo diverso. Invece di sapere come si fa a battere il grano, sanno attaccare gli amsir; e, poiché lo sanno, credono che questo li renda eccezionali, e non c’è bisogno che pensino altro. No, ragazzo mio». L’Anziano gli puntò contro un dito ossuto e grinzoso. «Tu devi essere come noi. Devi avere gli occhi, e gli orecchi, e qualcosa dentro alla testa. E lo sai benissimo, come lo so io. Ma io so meglio di te come si fa».

«C’è parecchia gente, qui intorno, e ognuno crede che un giorno andrà ad Ariwol come tutti gli altri, e ci vivrà magnificamente senza lavorare. Tu glielo lasci credere, perché cosi si sente indotto a lavorare finché è qui. Lasci che sia un contadino, o un Honor, ma lasci anche che continui a pensare ad Ariwol, dove quelli come lui se la passano in modo splendido. Ma ti assicuri che sappia bene di essere un contadino o un Honor, perché allora sa chi è e sa cosa ci si aspetta da lui, finché è qui».

«Se sa cosa ci si aspetta da lui, allora farà quello che ci si aspetta. Non comincerà a curiosare nel cuore della notte, o in pieno giorno, per togliere i puntelli sotto tutto ciò che viene fatto per lui. Quanti di noi credi ci siano, in una generazione? Siamo molto pochi, ragazzo. Quello che tutti i contadini e quasi tutti gli Honor non ammetteranno mai, neppure di fronte a se stessi, è che se non fosse per noi sarebbero tutti morti. Sarebbero morti perché rovinerebbero la terra, o perché mangerebbero in modo sbagliato, o perché pasticcerebbero qui dentro e ucciderebbero la Spina».

L’Anziano studiò il volto di Secon Jackson. «Hai mai sentito parlare di qualcuno che volesse entrare nella Spina senza averne il diritto? Ma vedi qualche guardia, qui intorno? Hai mai sentito dire che un contadino decida all’improvviso: “Adesso me ne andrò fuori a caccia di amsir”? Hai mai sentito un contadino affermare: “Voglio più acqua”? E permettimi di chiedertelo. Se avessimo guardie, là fuori, i contadini non direbbero: “Chissà cosa custodiscono? E se hanno bisogno di guardie, forse tutto quello che devo fare, per capire, è togliere di mezzo qualcuno?”. Hai mai pensato cosa succederebbe se dicessimo ai contadini: “Voi non potete andare a caccia di amsir”? Non credi che si chiederebbero: “Be’, diavolo, è solo una legge fabbricata da loro”? No, ragazzo mio, non è così che si fa: altrimenti tutti quanti comincerebbero a pensare che basta infrangere qualche legge per avere ciò che vogliono. No, tu mostri alla gente una porta aperta e dici: “Questa è per gli Honor”. Mandi tanti uomini nel deserto, e moltissimi non ritornano. Non hai bisogno di dire ai contadini che è soltanto per gli Honor… Non ne hai bisogno, se fai così. Lo capiscono da soli.

«È così che si mandano avanti le cose, ragazzo. E ti dirò di più… Scommetto che ci sono contadini che si sono spinti nel deserto, e scommetto che c’è stata gente che è entrata da quell’ingresso. Ma non hanno detto a nessuno quel che intendevano fare. E poi, si sono spinti nel deserto e sono morti, oppure sono tornati indietro quando sono arrivati al limitare e non hanno visto neppure un amsir, e non ne hanno parlato con nessuno. Non credo che qualcuno di loro si sia spinto molto lontano. Non perché siano morti, ma perché sapevano, fin da quando erano bambini, che avrebbero dovuto vergognarsene. E anche se vedessero un amsir, anche se qualcuno entrasse qui e vedesse certe cose, non saprebbe che significano perché nessuno glielo ha mai detto. E, dopo un po’, se ne andrebbe. E se non si ammalasse e non morisse, non ne parlerebbe comunque con nessuno, perché se lo dicesse a qualcuno, forse quello lo ucciderebbe per rimediare alla svista. Nessuno ama un solitario, ragazzo… Perché nessuno sa chi è».

Secon Jackson tornò a fissare gli occhi socchiusi del vecchio. «A meno che stia in vetta».

Il vecchio sorrise e annuì. «L’idea è questa».

«Sta bene», disse Jackson. «Ora, a parte il fatto che tu vuoi che alcuni dei tuoi giovani Honor si facciano uccidere, perché non mi è mai stato detto che gli amsir sanno parlare e sono armati di giavellotti?».

«Ecco, tu avresti cominciato a fabbricarti uno scudo e una lunga lancia, prima di avventurarti là fuori», disse l’Honor Anziano. «E se l’avessimo detto a qualcuno come tuo fratello prima che lui andasse là fuori, lo avrebbe riferito ad altri, per dimostrare che sapeva una cosa ignota a tutti quanti. Nell’uno e nell’altro caso, i contadini si sarebbero agitati parecchio. Ascolta, ragazzo… Cosa ti ha detto l’amsir?».

«Ha detto “Arrenditi”».

L’Anziano stava già annuendo. Era un’altra delle domande delle quali conosceva già la risposta. «Esattamente. Non voleva ucciderti… Dovevi essere uno sciocco fortunato, per non averlo capito fin quasi dall’inizio ed essere ancora vivo, e tu non sei sciocco. Ma non sono sicuro che tu sia fortunato. Ragazzo, nel mondo ci sono assai più cose di quanto chiunque immagini…».

«Lo so. L’avevo capìto da me», disse Honor Secon Black Jackson, che era stanco di sentirsi chiamare «ragazzo».

«Davvero? E hai capito cosa significa? Dopo che è successo, hai avuto tempo di pensare, come penserebbero i contadini, se lo sapessero e avessero la possibilità di rimuginarci sopra? Ascolta, ragazzo, in questo mondo… in questo mondo reale che deve essere molto più grande della Spina e del deserto, c’è qualcosa che non vuole uccidere gli Honor. C’è qualcosa che invece vuole portarli via. Lui voleva farti prigioniero. Lui e ogni altro amsir che si è lasciato attirare in un’imboscata, là fuori, era pronto a correre il rischio di morire perché cercava di mettere in atto un piano, mentre l’Honor voleva soltanto ucciderlo.

«Qualcosa, là fuori, vuole gli Honor. Forse li vuole soltanto per mangiarseli vivi in santa pace, da qualche parte, fuori dal deserto. Non lo so. Non lo sa nessuno. Ma qualunque cosa sia, sembra che sia un mondo tanto grande che in confronto gli Honor non sono neppure contadini… Sono una messe. E per quanto tempo credi che potremmo mandare avanti le cose, qui, se i contadini sapessero che cosa siamo?».

Secon Jackson attese, in silenzio, ma l’Anziano s’era assestato comodamente sulla sedia e lo guardava come se si aspettasse di vederlo stravolto. Per un minuto, Jackson non riuscì a crederlo. L’Anziano gli aveva detto tutto questo esclusivamente per dimostrare qualcosa che Jackson aveva intuito da solo, la notte prima, durante la lunga marcia verso casa. Stava lì ad ascoltare un vecchio, mentre avrebbe potuto fare qualcosa di utile, e aveva davanti il grosso pacco che il vecchio gli aveva aperto, e dentro non c’era niente, niente che non fosse di seconda mano.

Vecchio, pensò, hai perso tempo e l’hai fatto perdere a me. Disse: «Quindi immagini che io sia abbastanza intelligente. Se imparo come si fa a far stare in riga la gente senza che spinga, uno di questi giorni diventerò Honor Anziano?».

«Può darsi. Hai maggiori probabilità di chiunque altro». Il vecchio lo guardò fermamente, con quegli occhi che sembravano scoprire le menzogne. «Ma dovrai meritarlo. È un mondo duro, ragazzo. Puoi vedere che è più duro di quanto avessi mai pensato. Non c’è niente di facile, neppure per uno di noi».

«Uno di noi furbi», disse Honor Secon Jackson.

«Uno di noi furbi», ripeté il vecchio. «È inutile che ti illuda… Considerati in un modo diverso, e sarai battuto prima ancora d’incominciare».

«Ne hai visti molti, di furbi, in vita tua?».

«Qualcuno».

«Qualcuno che sta circolando là fuori in questo momento, e pensa che diventerà lui l’Anziano. Ognuno di loro la pensa in questo modo?».

Il vecchio sorrise. «Qualcuno, sì. Ti preoccupa?».

Jackson scrollò la testa. «No».

Il vecchio sorrise di nuovo. Sembrava quasi che si accingesse a gridare: «Arrenditi! Arrenditi!». Disse: «Deve essere così, ragazzo. È così che deve andare… Deve risultarne una lotta. È questo che migliora le cose, le martellate e le coltellate. Serve a dare la forma a ogni cosa. Elimina i punti deboli. Ragazzo, è necessario rendere migliore questo posto. Deve resistere fino al giorno in cui gli amsir troveranno il modo di avvicinarsi alla Spina. Deve essere così, perché diventiamo più duri, e continueremo a vivere qui, se mai la Spina sparirà». Il vecchio si alzò bruscamente e diede un calcio leggero alla parete di metallo dietro di lui. La percosse con il palmo della mano ossuta. «Questo è solo un altro maledetto utensile, ragazzo! Un giorno o l’altro si logorerà. Se tutto andrà bene, saranno quelli come noi a rendere la gente di questo posto abbastanza dura e resistente per poterne fare a meno!». Gli occhi dell’Anziano brillavano. Tremava. «Ragazzo, devi capire!».

«Devo vedere lontano. Vedere quello che succederà», disse Jackson.

«Esattamente! Ecco cosa fa di noi quel che siamo!».

Capisco, pensò Honor Secon Jackson. Vedo quello che c’è davanti a noi. Potrei diventare come te. «Strano», disse.

«Strano che cosa?».

«Pensavo che forse tu mi avresti dato qualcosa di speciale, quando avessi capito che non ero come gli altri».

«Sapevo che non eri come gli altri prima ancora che andassi nel deserto. Non credi che sarei rimasto deluso se non fossi tornato? E ti ho dato qualcosa di speciale… La conoscenza».

«Sì, bene, è proprio quello che avevo in mente», disse Jackson. Si alzò, si toccò di nuovo la spalla. «Sarà meglio che vada a farci dare un’occhiata. Non è il momento più adatto per restare storpiato».

III

Scese nella stanza del dottore. Il dottore era un Gray Honor che aveva da molto tempo una lunga cicatrice serpeggiante attraverso lo stomaco. Camminava sempre un po’ curvo, e teneva sempre le labbra strette. Ma finché poteva fungere da medico, l’Anziano avrebbe fatto in modo che gli venissero forniti il cibo e tutto il resto cui aveva diritto un Honor regolare. Quando entrò Jackson, borbottò e lo guardò con occhi profondi. «Il primo, eh?».

«Me la sono cavata bene, tutto considerato».

«Comunque te la sia cavata, Honor. Comunque. Niente fa soffrire di più che non essere più in grado di soffrire».

«La pensi così?». Sembrava che quella fosse una frase fatta dal dottore: ti tirava un po’ su, e tirava un po’ su se stesso. Bene, un Honor che non andava più a caccia aveva bisogno di tirarsi su.

«Sono sempre qui per rappezzarti meglio che posso, Honor», disse il dottore, e medicò la ferita con uno straccio pulito intinto nell’acqua bollente e tenuto con due asticelle d’osso.

«Grazie, dottore», disse Jackson, e se ne andò dopo che il dottore gli ebbe messo un paio di punti.

Si fermò davanti alla Spina, dove Harrison e Filson facevano ancora la guardia al suo amsir, come dovevano. Quando un Honor portava a casa il suo uccellaccio, l’Anziano sceglieva gli uomini più duri della Spina per fargli da sentinella. I casi in cui la gente cambiava idea circa quello che era il più duro erano quando un Honor decideva di poter dire a un tipo come Harrison o a Filson che la guardia al suo amsir la faceva da sé.

Jackson guardò prima uno poi l’altro. Filson gli rivolse un gran sorriso. O forse no. «Tua madre sarà fiera di te, oggi». Il fatto era che dalla sua espressione non si poteva capire come la pensava.

«Credo», disse Jackson. «Voi due Honor sarete al mio banchetto stasera, eh?». Indicò l’amsir con un cenno. «Potete prendere la parte che preferite», disse. «Ma forse sarà meglio che non vogliate tutti e due lo stesso pezzo, eh?». Si allontanò; e quelli, scelti come guardie dall’Anziano, non avrebbero potuto inseguirlo, se avessero voluto. Non si voltò a guardare il suo amsir. Cominciava a puzzare parecchio e, anche se certa gente la considerava una squisitezza, lui ne aveva avuto abbastanza. Ne aveva avuto più che abbastanza, e pensava che il merito fosse suo, non dell’amsir.

C’era gente di ogni genere, in giro; contadine che sbrigavano i loro lavori, e ragazzini, e il solito traffico. A tutti quelli che lo guardavano con l’aria di volergli parlare, Jackson si limitava a dire: «Vuoi venire al mio banchetto? Vieni». E continuò a camminare verso la casetta di cemento dove aveva trascorso quasi tutta la sua vita da solo.

C’era un’unica stanza, con un giaciglio in un angolo. C’erano pioli d’osso piantati nelle pareti, e reggevano vari oggetti. In parte era roba per ragazzini, roba che lui aveva fabbricato quando stava cominciando a imparare come si costruivano gli utensili. Giocattoli. Alcuni erano molto utili, ma lui era andato nel deserto con il suo materiale migliore, e l’aveva ancora addosso o in mano. Sedette a gambe incrociate nell’angolo dove lavorava di solito, con la luce scialba che entrava dal foglio di pergamena teso sulla finestra, dove forse c’era stata una copertura di tipo diverso quando era stata creata la capanna, e poi qualcuno l’aveva scartata; o, forse, quando era stato creato il mondo, chiunque lo avesse creato aveva dimenticato di fare una finestra.

Fissò di nuovo le punte dei dardi con la colla fresca di pelle di amsir che bolliva nel pentolino. Si guardò intorno. Andò al grande muro vuoto di fronte alla finestra. Il cemento era sporco di fuliggine e tutto striato, dove lui s’era esercitato a disegnare e aveva cancellato i disegni e s’era esercitato di nuovo fino a che s’era sentito soddisfatto.

Lì c’erano cose che aveva fatto, oh, mezza dozzina di anni prima, o tre quarti di dozzina d’anni prima. Il muro ne era quasi completamente invaso. C’erano immagini di bambini che correvano e gridavano e saltavano. C’erano immagini delle case e della Spina, e alcune di contadini che procedevano dietro gli aratri, con il deserto sullo sfondo. C’era qualcosa che sembrava una macchia nera di fuliggine e doveva essere la Spina contro lo sfondo delle stelle, di notte, ma non lo sembrava. Jackson aveva cercato di lasciare punti vuoti sul cemento, per fare le stelle, ma era impossibile fare le stelle in quel modo. Non l’aveva cancellato solo perché sarebbe diventato ancora più confuso.

C’era un ritratto di suo fratello. Black capitava lì, ogni tanto, e lo guardava e scuoteva la testa e diceva: «Sono io?». Be’, no, ma era un suo ritratto; lo raffigurava teso e agile, con tutto il peso su una gamba e il resto del corpo equilibrato in avanti, con un braccio proteso e il bastone da lancio in avanti, e si vedeva il modo in cui erano atteggiate le dita per tenerne l’estremità e il modo in cui i muscoli di quel braccio avevano appena terminato di scagliare il dardo e cambiavano assetto per tenere le dita serrate intorno al bastone. Si vedeva l’espressione del viso, che White Jackson aveva tanto faticato a rendere esattamente, e lontano, molto lontano, si vedeva qualcosa che si contorceva e che somigliava a un amsir per quanto era possibile disegnarlo, quando gli unici che avevi visto erano morti e non ne avevi mai osservato uno in corsa.

Secon Jackson girò lo sguardo sulla stanza. Non c’era nulla, lì, che avesse bisogno di portarsi via. Un Honor non portava mai via niente dalla sua vecchia abitazione, il Giorno della Rasatura; quando vivevi nella Spina, avevi a disposizione l’armeria della Spina, e non avevi bisogno che qualche ragazzino venisse a tenerti acceso il fuoco. Avevi bisogno solo di ciò che potevi portare in mano. Se un Honor era vissuto solo, dopo che se ne era andato arrivava la gente a portarsi via tutto quello che le serviva. Vedremo se porterete via quel muro, pensò Jackson: ma in realtà non gli importava affatto che lo facessero o no.

Andò accanto allo scaffale che aveva costruito accanto al fuoco per fabbricare gli strumenti, e guardò gli stecchi bruciati e i vasetti d’argilla colorata. Prese uno dei carboncini, e per un poco si aggirò qua e là tenendolo in mano. Aveva la sensazione che dovesse risultarne qualcosa, e guardò la finestra, che era pulita, con la luce che filtrava dalla pergamena traslucida e ben raschiata.

Si avvicinò, l’osservò, passandovi sopra i polpastrelli e il palmo della mano. Si appoggiò, esercitando una pressione che per poco non era sufficiente per sfondarla, e poi alzò la destra, tenendo il carboncino come se fosse l’impugnatura di un’arma, e guardò la linea nera che si sviluppava sulla pergamena.

Mosse la linea muovendo il proprio corpo. Quando la linea fu arrivata dal punto iniziale al punto terminale, ne tracciò un’altra; e quando ne ebbe abbastanza, cominciò a battere sulla pergamena con la punta consumata del carboncino, avventando in avanti il busto e spostando i piedi, fino a quando ebbe la sensazione di camminare, di camminare nella mezza luce su un terreno così accidentato da obbligarlo a posare con cautela i piedi. Ma ogni passo era quasi esattamente identico all’ultimo, come se camminando così potesse percorrere una lunga strada, e misurasse le proprie forze per capire quanto avrebbe impiegato ad arrivare. Vedeva la Spina da lontano, lontano sopra le dune, con il tramonto che trasformava il cielo, e vide le rocce vicine, con i lati rivolti verso di lui neri e grigi, e soltanto un orlo lucente, dove poteva scorgere l’ultimo Sole che colpiva le parti rivolte verso la Spina.

Sulla sabbia disegnò un uomo senza calotta, nell’attimo in cui atterrava, con l’attrezzatura che cadeva, e la spalla al suolo. Poi vide più oltre l’amsir, che teneva solo la punta di un piede sulla sabbia, e un’ala alzata, e stava girando, con le trine che cominciavano a fluirgli davanti e il peso che si trasferiva sulla gamba in movimento. L’amsir teneva il collo proteso in avanti e la bocca aperta, e di lì a un attimo avrebbe fatto qualcosa di assurdo e meraviglioso.

Ormai restava soltanto da disegnare le dita dell’unica mano visibile dell’amsir. E il fatto era, pensò Honor Jackson mentre guardava, il fatto era che l’amsir avrebbe sbagliato mira. Quella gamba stava ruotando nel modo errato. Quando avesse toccato la sabbia, l’altro piede avrebbe dovuto slittare in avanti… Non molto, ma abbastanza, così che quando l’amsir fosse scattato verso l’uomo, sullo slancio di quella gamba, si sarebbe ritrovato impacciato e forse, nel passo successivo, avrebbe anche potuto incespicare. Se non avesse avuto nella mano qualcosa che le desse peso. Quindi Jackson dovette disegnare il giavellotto.

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