CAPITOLO 2

I

Quando ebbe riposato a lungo sulla sabbia fresca, guardando le nebulose e le lune che ruotavano splendide, senza sapere cosa fossero, si sollevò su un gomito e accarezzò affettuosamente la lunga coscia dell’amsir che giaceva disteso accanto a lui. L’uccellaccio cacciatore, con le ali ripiegate, era solo una forma indistinta, avvolta in una coperta, ma Honor White Jackson avrebbe saputo indicare per nome ogni cresta arricciata di corno, ogni nastro pendulo, ogni unghia, ogni dente. Sganciò la bolla piena d’acqua che portava appesa alle reni, la stappò, e brindò silenziosamente alla carcassa, prima di bere.

Quando i muscoli del collo e del dorso si tesero, la sabbia si staccò dalle ferite e gli fece il solletico, scivolandogli lungo la spina dorsale. Rivolse un sogghigno all’amsir e gli batté la mano sul fianco. Si alzò, riagganciò e legò il suo arsenale, e si orientò con l’ombra delle rocce infide contro le stelle. Ora che sapeva dov’era, poteva andare dove era stato. E adesso che era in piedi, non poteva più udire i passi degli amsir che si avvicinavano, se ce n’era qualcuno nei dintorni. Perciò doveva muoversi.

Si chinò, sollevò la sua prima conquista, se l’assestò sopra le spalle e si avviò a passo tranquillo, svelto e regolare, soffermandosi solo per ascoltare attentamente e guardarsi intorno come meglio poteva. Non sembrava che gli amsir si muovessero molto, di notte… Perciò gli Honor usavano la tattica di allontanarsi dalla Spina all’imbrunire e di tendere un’imboscata al mattino. Ma Honor White Jackson era più che mai d’umore iconoclastico, e si domandava perché, se gli amsir non si aggiravano nell’oscurità, tante di quelle imboscate fallivano.

La stretta con cui sosteneva il nemico ucciso era inutilmente rigida: lo sapeva, ma non l’allentò. Avrebbe potuto trasportarlo più agevolmente se si fosse rilassato: ma non fece neppure questo.

Nessuno gli aveva detto che gli amsir sapevano parlare. Nessuno gli aveva detto che portavano lance metalliche o altre armi, a esclusione degli artigli, i becchi e le punte delle ali. Gli avevano detto (lo si diceva a tutti i bambini della Spina, prima ancora che quasi tutti si dedicassero all’agricoltura e pochissimi tra loro tentassero di diventare Honor) che gli amsir li avrebbero catturati tutti, se gli Honor non avessero vegliato. Ma nessuno gli aveva detto come sarebbero stati presi.

Non avrebbe lasciato andare il suo amsir. Pensava che fosse perché aveva dovuto imparare tante cose per prenderlo.

I granelli ruvidi di sabbia facevano un rumore, come di grida delicate, sotto i suoi passi pesanti. L’amsir frusciava e tintinnava. Era tutto creste e punte che pungolavano le carni di White Jackson. Le ali erano piene di giunture lungo l’osso principale. Per convenzione, si diceva che la mano spuntava dal gomito, ma in realtà c’era un’articolazione tra la spalla e la mano. Dalla mano in giù, il resto dell’ala era sostenuto da quello che, in un uomo sarebbe stato un mignolo mostruosamente lungo. Le costole che irrigidivano l’ala erano di cartilagine dura e crescevano dalle giunture di quel dito, del polso e del vero gomito. Era come un tendone rotto. Per quanto Jackson piegasse le ali e cercasse di rincalzarle l’una nell’altra o di bloccarle sotto il duro torace dell’amsir, l’unghia alla punta di quel mignolo, all’estremità dell’una o dell’altra ala, ricadeva e dondolava contro le sue caviglie, mentre camminava. Depose l’amsir e lo legò con i suoi stessi merletti. Adesso era un fagotto ondeggiante sulla sua schiena, rigido e fastidioso.

Uno spigolo trovò la ferita più profonda di Jackson, la lacerazione aperta dal becco attraverso la sommità della spalla, con i labbri aperti e irrigiditi, incrostati di sabbia, fino al muscolo elastico e contorto. Jackson era affascinato da quel taglio. Era eccezionale poter toccare l’interno del proprio corpo, indugiare sul pensiero che, se non fosse stato un Honor vittorioso, sarebbe rabbrividito per il dolore. Capiva benissimo che tutti gli uomini preferivano non mettere in pericolo il proprio corpo. Sapeva per esperienza che anche una piccola ferita poteva assillare un individuo, ricordandogli che la riluttanza è saggezza. Ma aveva notato che non era la grandezza della ferita, era il sentimento che provava per se stesso a fare o a non far piangere un uomo; ed era per questo che lui era diventato un Honor. Adesso era un Honor che avrebbe avuto una bianca cicatrice del rostro di un amsir sull’ampia spalla; un Honor che di tanto in tanto posava il suo amsir e gli si stendeva accanto sulla sabbia, con l’orecchio a terra, ascoltando, mentre le stelle e le piccole lune gli davano poca luce per rischiarargli il cammino, e ritornava alla Spina, dove adesso sarebbe vissuto in modo diverso da prima.

II

Era quasi l’alba quando scorse la mole della Spina contro le stelle più basse. Nel contempo, notò un passo umano sulla sabbia. Pensò che poteva essere Black Jackson che veniva verso di lui, girando intorno a una duna.

Secondo la consuetudine, un Honor si faceva trovare seduto accanto alla sua preda, sul lato della Spina rivolto verso il sole, quando la gente si alzava al mattino. Si sapeva che certi Honor erano rimasti per tutta la notte al limitare del deserto, anche quando non sarebbero stati tenuti a farlo. Coloro che incontravano per caso un Honor prima dell’alba facevano finta di non accorgersi che lui portava sulle spalle una carcassa. Lo scopo era creare la sensazione che fosse accaduto tutto per caso come una pioggia di meteoriti. L’Honor doveva a sua volta comportarsi con molta indifferenza, e non notare che qualcuno gli prestava attenzione… almeno fino a quando il pubblico diventava abbastanza numeroso per indurlo a prorompere in grandi manifestazioni di gioia.

Tutto questo suscitava più commenti che attenzione. Sembrava una reliquia di un tempo passato, forse di una mezza dozzina di generazioni addietro, quando qualche pazzo aveva inventato parecchi pii rituali. Il guaio di tutta quella roba, sebbene avesse lo scopo di rendere la vita migliore e più interessante, era che la vita non migliorava mai, e che un uomo doveva continuare a trovare da sé nuovi interessi. Dopo un po’, anche una comunità contadina avrebbe potuto accorgersene. Perciò White Jackson quasi si aspettava che un tipo indipendente come Black Jackson arrivasse a stringergli la mano o a fare qualcosa del genere, prima di scoprirlo ufficialmente alla mattina. A parte il fatto che forse, anche se un Honor non doveva farlo, Black poteva preoccuparsi per lui.

L’amsir aveva cominciato improvvisamente a esalare quell’odore caratteristico che Jackson aveva studiato sin dall’infanzia. Cautamente, provò a togliersi la calotta, e constatò che in effetti si trovava all’interno del raggio delle condizioni accettabili, anche se il terreno sotto i suoi piedi era ancora quello del deserto, e respirare richiedeva un certo sforzo nell’aria gelida. Era molto più lontano di quanto osassero spingersi i contadini. Più avanti, avrebbe incontrato una quindicina di braccia di erba incolta intorno al perimetro, prima che cominciassero i campi. Durante l’inverno, quella fascia si restringeva, ma restava sempre un po’ più ampia di sette braccia. Per una parte dell’anno, quando le giornate erano lunghe e il Sole alto batteva crudo sulle griglie scintillanti in cima alla Spina, la fascia poteva allargarsi fino a diciotto braccia. I campi non l’invadevano mai. Un contadino (White Jackson era arrivato da un pezzo a quella conclusione) era un uomo capace di rimuginare giorno e notte per trovare il modo di sottrarre mezza spanna di terreno a un vicino, ma neanche per tutto Ariwol si sarebbe tagliato le dita sul filo di una pergamena.


Era davvero Black Jackson, alto e con quei muscoli intorno allo stomaco e alla vita che destavano l’invidia di White Jackson, e i capelli corti che lo indicavano come un Honor compiuto. La faccia glabra spiccava in una chiazza più chiara, in contrasto con la bocca e le occhiaie. White si fermò, ma non lasciò scivolare al suolo l’amsir, e restò ritto, disinvolto.

«Benvenuto, Honor», disse Black. C’era un ansito inconsueto nella gran voce rombante, che da tanti anni White considerava forte ma amichevole. Black si fece avanti e toccò la spalla di White… la spalla illesa. Sebbene fosse ancora quasi completamente buio, a quella breve distanza White poteva scorgere l’espressione sobria della larga bocca di Black. Le labbra cominciarono a rilassarsi quando Black toccò l’amsir. Già da tanto tempo White aveva notato che la gente credeva solo a ciò che toccava… Al resto credeva condizionatamente, in base alla testimonianza di coloro che affermavano di avere toccato. «Tutto bene, ragazzo?». Black toccò di nuovo lui.

«Uh-uh».

«Bene. Bene, ne hai preso uno, no? E sei illeso». Black gli girava intorno, dimostrando in modo sempre più evidente una sorta di sollievo, studiando l’amsir, tastando la carcassa. «Giovane», disse, esaminando i calli dei cuscinetti dei piedi con uno strofinio del pollice. Aveva portato il dardo e il bastone. Li posò e guardò White. «Ti ha dato molti fastidi?».

White scrollò le spalle.

Black aveva notato il giavellotto sulle spalle di White, sotto il corpo dell’amsir. Se lo fece scorrere tra le mani. «Ti ha attaccato con questo, vero?».

«Uh-uh».

Black alzò di scatto lo sguardo, sotto la fronte china. «Ha detto niente?».

«Non molto».

«Cos’ha detto?».

«Che mi aveva preso, credo. Ero troppo occupato. E mi ha chiamato “diavolo bagnato”».

«Nient’altro?».

«No. Poi l’ho ucciso».

Black si chinò a esaminare il collo dell’amsir. Tastò gli orli della ferita inferta dal dardo. «Bel lavoro. Lo hai preso pulito».

«Be’, è così che mi ha insegnato Black Jackson».

«Ragazzo?».

«Sì?».

«È una bella sensazione, no?». Black Jackson sorrideva. Lo sapesse o no, in quel momento aveva l’aria di ricordare, non di godersi il presente. E sembrava che dovesse sforzarsi per ricordare. «Uscire, catturare il primo amsir… Scoprire quanto sei forte e resistente».

«Vuoi dire che per te è stata una bella sensazione, quando l’hai fatto tu».

«Be’, sì. Sì, ragazzo. Ricordo che…».

«Io sono forte e resistente, Black?».

«Non ti capisco».

«Voglio dire, tu sei contento di quello che io ho scoperto. Sai che cosa ho scoperto?».

«Be’, sicuro. Io… Senti, io non me la sono presa con nessuno, perché a me non avevano detto che gli amsir erano armati di lancia e sapevano parlare!».

White Jackson aveva continuato a pensarci dal momento in cui il primo grido era uscito dalla bocca dell’amsir. Ma non aveva mai visto suo fratello comportarsi così. Scrutò Black con la stessa attenzione con cui aveva scrutato l’amsir che era fuggito dopo il fallimento dell’imboscata ma non aveva cercato veramente di distanziarlo. «Pensavo che magari potremmo parlarne un po’». Stava pensando, in realtà, a un giavellotto che aveva almeno la stessa portata del dardo di un Honor, a un amsir che non si era messo a distanza di sicurezza per colpirlo da lontano, e non si era fermato a combattere fino a quando era stato pronto.

«Il fatto è che non era necessario dirtelo, vero? Lo hai ucciso comunque, giusto?». Black aveva piantato il giavellotto con la punta nella sabbia, accanto al suo piede, e vi si appoggiava. Così sembrava una specie di bastone, non un’arma. «E ti avevo detto che erano furbi. Ricordi?», aggiunse, come per un ripensamento.

«Uh-uh». White tenne più stretto il suo amsir. Credeva che fosse così perché aveva la stupida sensazione che Black potesse tentare di portarglielo via. Credeva di avere quella stupida sensazione perché all’improvviso s’era reso conto che Black non gli avrebbe reso il giavellotto. Attese che Black dicesse qualcosa. Era Black, evidentemente, a sapere cosa sarebbe accaduto, adesso.

«Be’, non è qualcosa andare in caccia di una bestia tanto forte e tornare portandola sulle spalle?».

«Sì, è qualcosa».

Black serrava e allentava le grosse dita intorno all’asta del giavellotto. L’acuminata punta metallica scricchiolò, affondando ancora di più nella sabbia. «Ti dà la sensazione di essere un uomo, giusto?».

«Mi dà una sensazione. Ero già un uomo prima di andare là fuori».

Black gli batté leggermente, goffamente, con il pugno chiuso, questa volta sulla spalla ferita. Non poteva vedere che era ferita. «Sei sempre stato un duro. Non hai mai ceduto d’una spanna. Mi avresti conciato male come avresti fatto con uno dei ragazzi con cui ti azzuffavi. Se non fossi stato tuo fratello, voglio dire… E più grande e grosso di te, credo».

Non era così che White si era visto attraverso gli occhi del fratello. E quello non era il discorso che si era aspettato. Gli insegnava sul conto di Black assai più che sul conto della caccia agli amsir, e lui non voleva imparare altro, sul conto del fratello. Si era sempre accontentato di quel che aveva creduto fino a quel momento.

«Black, sta arrivando la prima luce», disse sottovoce White. «Devo andare a sedermi vicino alla Spina. A metà mattina, verrà l’Anziano Honor a vedere il mio amsir, vedrà che è vero, mi riconoscerà Honor, mi taglierà i capelli e chiamerà un vincitore per radermi. Sarai tu, immagino. Sarà una giornata piena per tutti e due. Perché, per il momento, non ci accontentiamo di dire che sono un Honor compiuto, e non lasciamo che impari altri trucchi del mestiere con il passare del tempo?».

Una spanna del giavellotto, ormai, era sepolta nella sabbia. White pensò che Black doveva affondarlo solo per poco più di un braccio, prima di farlo sparire completamente. «No, senti, ragazzo, potrebbe essere stato qualcun altro ad aspettarti qui. La prima volta, viene sempre qualcuno a incontrarci. È… Diavolo, tu capisci che è necessario. Ma poteva essere Red Filson o Black Harrison o uno di quegli altri che stanno sempre intorno all’Anziano. Non era detto che dovessi essere io. Però io ti ho addestrato, nello stesso modo in cui ero stato addestrato io. È lo stesso per tutti. E quando torni indietro, capisci l’utilità di…».

«Se torni indietro».

«Tu? Diavolo, lo sapevo che tu saresti tornato!».

«Sicuro».

«Be’, pensavo che avessi buone probabilità». Black rigirò il giavellotto. White non riusciva a capire se stava davvero cercando di seppellirlo o se era così preso dalle sue parole da dimenticare quel che facevano le sue mani. Una caratteristica simile poteva costare la vita a un Honor. White dovette concludere che era molto rara. «Buone probabilità», ripeté ostinatamente Black.

«Sta bene», disse White umettandosi le labbra, screpolate dagli orli della ferita inferta al petto dell’amsir.

«Ascolta, ragazzo, diventare adulti non significa soltanto farsi tagliare i capelli!». White notò che si stava arrabbiando, come avveniva quando qualcuno rifiutava di credere alle calotte. «Credi che possiamo permettere che un branco di ragazzini, anche figli di Honor, se ne vada in giro a raccontare ai contadini che cosa occorre per diventare un Honor? Credi che quei contadini non siano tutti convinti che anche loro potrebbero diventare Honor, se ne avessero il tempo? Credi che non faccia nessuna differenza per un Honor, quando accetta da un contadino un pezzo di pane, sapere che quello non potrebbe mai diventarlo?».

«Perché lui, invece, è un Honor che è tornato indietro vivo la prima volta».

«Esatto. Adesso cominci a capire. Non è quel che ti è stato insegnato… È quel che sei a fare di te un Honor!». Black guardò orgoglioso il fratello, un uomo che poteva considerare suo pari. Svelse il giavellotto dalla sabbia e lo brandì. «Perché tu hai affrontato questo!».

Sì, e animali che parlavano, e calotte che non funzionavano, e fratelli che impiegavano anni per prepararti alla notte in cui ti avrebbero atteso sulla via del ritorno. White Jackson guardò lo sciocco poderoso che l’aveva allevato. Non sapeva se doveva bere quella storia perché lui era tanto stupido da crederla, o perché Black era tanto stupido da crederla. In ogni caso, Black non era l’uomo che White aveva immaginato, quindi, come poteva lui vantarsi della propria intelligenza?

«Sta bene. Ho capìto».

Black lo guardò di sottecchi, nel grigiore del cielo. «Sei sicuro, ragazzo?». Lo supplicava di dargli le risposte di prammatica. Faceva il burbero e il duro, ma lo supplicava. White intuì che a modo suo Black gli voleva bene, e adesso si godeva il premio di tutti gli anni in cui aveva preparato il dono più grande che sapesse dare. «Intendo, non dirai niente di diverso, no? Voglio che tu sia ben sicuro di non spifferare nulla alla gente prima di averne parlato con l’Anziano. Tante volte, l’Honor Anziano riesce a spiegare tutto in un minuto o due. Lo spiega molto meglio di quanto possa farlo io», ammise.

White scrollò la testa. «Starò al gioco, come tutti gli Honor. Racconterò di avergli teso un’imboscata e di aver sostenuto una lotta tremenda e di aver vinto, ecco tutto».

«Sei sicuro?».

«Certo che sono sicuro».

Black cominciò a sospirare di sollievo, ma adesso White era arrabbiato con lui e non si decideva a lasciar perdere.

«Adesso, di’ all’Honor Anziano una cosa da parte mia. Digli che voglio sapere di un giavellotto metallico, che persino un amsir può lanciare più lontano di quanto io possa scagliare un dardo. Diavolo, un umano potrebbe lanciarlo per otto dozzine di braccia e cogliere un bersaglio: e quanti ne abbiamo nascosti? Voglio sapere perché la mia calotta ha smesso di funzionare, quando ero dietro una roccia. Voglio sapere tutto degli amsir che parlano. Digli da parte mia che secondo me è scemo, se ha lasciato che mio fratello venisse qui a parlarmi. Sei così sconvolto che io potrei farti fuori… anche se non mi fossi aspettato che tu tentassi di far fuori me». E concluse, lentamente: «Hai capito bene l’ultima parte, Black? Io sì. Ho capìto benissimo, la faccenda di un Honor, qui fuori, con le armi ma senza calotta. Ci sono solo due o tre cose che un Honor potrebbe uccidere qui fuori, con quell’arsenale. E una è un povero stupido Honor che cerca di tornare indietro, trascinandosi, con ferite da giavellotto che non si potrebbero spiegare, e l’altra è un giovane Honor che non vuole star zitto a proposito degli altri esseri con cui dividiamo la Creazione. Adesso vai a portare quel giavellotto dove tenete tutti gli altri. Non me ne andrò in giro a buttare all’aria i segreti degli Honor, soprattutto adesso che sono uno di loro; ma lasciami in pace finché mi sarà passata».

Si girò di scatto, e il suo amsir gli sferragliò alle spalle: puzzava come l’inferno. Si rendeva conto di essere molto ingenuo a offrire a Black tanti validi pretesti per scagliare il giavellotto in nome dei suoi principi. Ma ogni volta che White si infuriava e non lo lasciava vedere, per giorni e giorni piangeva di rabbia, silenziosamente, dentro di sé. Pensò che, se avesse continuato ad allontanarsi dal fratello che gli voleva tanto bene, avrebbe avuto una buona possibilità di cavarsela.

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