CAPITOLO 16

I

Jackson si avvicinò all’amsir. Giaceva dov’era caduto, con il primo dardo di Jackson che affiorava appena dal petto. Vi furono un fruscio, un tremito; si accasciò, e i tessuti si separarono. I minuscoli insetti metallici uscirono dalle fibre, e ognuno si portò via un pezzetto d’erba morta. Altri schizzarono su e si unirono ai primi. Le ali dell’amsir scomparvero, il corpo si appiatti. Il cranio si srotolò, e gli exteroaffettori scavanti corsero via con i componenti, in un’orda di paglia e di metallo che conservava ancora grossolanamente i contorni di un amsir, affrettandosi sull’erba per ritornare alle stoppie e rendere gli elementi al terreno. Uno sciame ronzante rosicchiò il giavellotto e i dardi; Jackson gettò nel mezzo il bastone da lancio, e anche quello venne divorato.

Il gruppo arrivò sulla cresta. Avevano tutti i volti accaldati, gli occhi scintillanti. Dancer corse verso Jackson: e subito tutti gli altri l’imitarono. Lo raggiunsero, ridendo, entusiasti. Jackson fissava le stoppie, dove limpide gocciole d’acqua si stavano formando sugli steli recisi.

Kringle passò il braccio intorno alle spalle di Jackson. «Magnifico!», esclamò. «Grandioso!».

«Sei stato formidabile!», ansimò Durstine. «Incredibile!».

Si affollavano intorno a lui, e i loro corpi erano caldi. «Non ti piacerebbe vederlo?», chiese Pall.

«Sì! Dovrebbe proprio vederlo!», riconobbe Jimmy, e tutti gli altri lo ripeterono, sorridendo e ridendo, imponendogli quella specie di festa.

Comp disse: «Ecco…».

Gli exteroaffettori gli si posarono come farfalle sugli occhi e sugli orecchi. Gli sfiorarono le palme delle mani e il ventre.

«Devi semplicemente mettermi in fase con i settori appropriati del tuo sistema nervoso centrale», spiegò Comp. «Rilassati. Molti preferiscono sedere o sdraiarsi, ma non è necessario».

Erano tutti intorno a lui. A Jackson non era mai accaduta una cosa simile; tutti irradiavano almeno novantotto virgola sei gradi Fahrenheit. A quella temperatura creavano ogni sorta di gamma d’evaporazione sulle superfici dei loro corpi, e nessuno di loro era isolato, e non lo era neppure lui. Ogni sorta di effluvi si volatilizzava, nelle immediate vicinanze dei suoi ricettori olfattivi e delle componenti termoestetiche del suo organismo. Si lasciò cadere sull’erba, abbracciandosi le ginocchia. Gli altri si lasciarono andare insieme a lui, circondandolo, sorridendo incoraggianti, guardandolo. Chiuse gli occhi. «Così va bene», disse Comp. «Ecco, si comincia…».

II

Apparve il deserto, in dissolvenza. Prima vi fu un’inquadratura in campo lungo dei due crateri e delle due Spine, visti dall’alto. L’orlo del pianeta s’incurvava, quasi senza diffusione, contro lo spazio pieno di stelle. Poi la visuale si concentrò sempre di più sul cratere umano, fino a mostrare un campo medio del deserto all’alba, rossopurpureo, tutto dune ondulate e investito dalla luce cruda del mattino. La soggettiva si concentrò ancora di più, fino a mostrare soltanto un campo piatto, indistinto e granulare di colore desertico. Restò così per un attimo; e poi la zampa bianca di un amsir si abbassò fulminea nel mezzo, spinta nella corsa in mezzo ai granuli, li disperse, si rialzò altrettanto fulmineamente e avanzò, uscì di campo e sparì, lasciando sulla sabbia un’orma, con gli orli che cominciarono a sgretolarsi e a fluire. Un granello rifletteva scintillando la luce, e l’attenzione di Jackson lo seguì mentre slittava lungo il fianco dell’impronta. Non aveva ancora toccato il fondo quando, con un thump-thump!, due piedi umani passarono correndo da destra a sinistra, cancellando l’impronta dell’amsir e lasciando le proprie.

L’inquadratura si spostò, e Jackson vide un Honor nudo che correva, e davanti a lui, la forma ondeggiante di un amsir.

Poi un taglio, e l’amsir correva diritto verso l’obiettivo, sogghignando.

Un altro stacco, e adesso c’era Jackson che correva; per la prima volta Jackson poté essere sicuro che era proprio lui e non un pezzo di repertorio, perché vide la cicatrice sulla spalla e il profilo della faccia, la testa senza calotta. Le labbra erano raggricciate. I denti erano bianchi e lucidi; un lato della faccia, contratto, poi gli occhi si spalancarono… Ogni poro, ogni delicato peluzzo biondo che spuntava sugli zigomi, al di sopra della barba. Lo stacco, questa volta, mostrò un campo medio dei due, dall’alto. Jackson correva, con la testa girata per guardare indietro. Poi ci fu un’inquadratura dei suoi piedi che si bloccavano sulla sabbia, lottando per trovare una presa.

E l’amsir che frenava a mezz’aria, cambiando direzione.

Adesso, il primo tiro di Jackson. Il dardo sbattuto sul bastone da lancio. C’era un bellissimo studio al rallentatore dei muscoli che lavoravano ritmicamente. Lui era ripreso di spalle, mentre ritrovava l’equilibrio dopo essersi arrestato, e si accingeva al lancio. Quando il braccio fluì verso l’alto, con il dardo inserito nel bastone, il movimento della ripresa cominciò ad accelerare, fino a quando il dardo si portò in linea con l’amsir e Jackson lo lanciò: e allora il movimento divenne più veloce del normale. I muscoli del braccio destro e dello stomaco vibrarono di forza quando scagliò il dardo, e il dardo saettò nell’aria e affondò nel petto dell’amsir. Fu così rapido che l’uccellaccio non cominciò neppure a tentare la schivata se non quando era già stato colpito.

L’amsir restò librato per un secondo, mortalmente, indifeso. L’inquadratura balzò intorno a Jackson, in una giostra; lui poté vedere ogni movimento dei piedi e delle gambe, ogni torsione del busto, la tensione della mano sinistra lasciata ricadere di colpo, il movimento fluido del braccio destro. Ci fu un primissimo piano del secondo dardo nel bastone che guizzava all’indietro, attraverso l’orizzonte, sotto l’orizzonte, e poi guizzò di nuovo in avanti, come se il dardo fosse immobile e il mondo roteasse. Poi il mondo si arrestò, e il dardo volò via. Vi fu un’inquadratura in mezzo campo lungo dell’amsir che veniva colpito dal secondo dardo e si spezzava l’ala… E quindi la scena venne vista in primissimo piano, riflessa nella pupilla dilatata e nell’iride senza fondo dell’occhio sinistro di Jackson. La musica in sottofondo, costruita sul suono del respiro forzato di Jackson in un crescendo di percussioni, s’interruppe. Scatto sulla testa dell’amsir che urtava la sabbia, inquadratura in campo medio che mostra la spalla di Jackson. SUONO: La Frattura del Collo (l’inquadratura resta in campo lungo, il suono è estremamente vicino).

Vi fu un campo medio di Jackson, ritto, con il bastone vuoto che gli penzolava in mano, le spalle afflosciate; si tergeva la faccia e traeva un profondo respiro. L’inquadratura si spostò all’indietro e verso l’alto: un campo lungo, carrellando all’indietro, di Jackson che guardava l’amsir accasciato al suolo, sempre più piccolo mentre la carrellata all’indietro continuava fino a far riapparire l’orizzonte del pianeta. La telecamera panoramicò sulle stelle, verso il sole, si riempì di una luce bianca e ardente, e poi tutto sparì, con uno scroscio di percussioni.

III

Erano tutti attorno a lui; aprì gli occhi, e quelli gli stavano quasi seduti addosso, maledettamente vicini, lo toccavano, sorridevano, ridevano, dicevano: «Non te l’avevamo detto? Grande! Assolutamente grande!».

Kringle disse: «Non avevo idea che fosse così. Non è mai veramente possibile raggiungere una comprensione intellettuale di un ambiente del tutto alieno. Sta bene ricevere una serie di fatti che il cervello deve assimilare, ma quando vuoi comunicare l’immediatezza di una situazione devi colpirli alle viscere. L’unico modo per riuscirci. E non mi vergogno di ammetterlo: sono molto colpito».

Vixen disse, senza fiato: «Mi sembra che sia cambiata tutta la mia vita». Gli si era aggrappata al braccio. Bene, la gente non credeva mai a una cosa se prima non la toccava.

«Ehi, Comp», disse Jackson, «perché non ho capito questa faccenda? Doveva essere una caccia all’amsir?».

«Non… oh, sì, capisco. Stai parlando del montaggio e della regia. Avrei dovuto prevederlo. Sì, immagino che nella versione definitiva appaia molto diverso dalla sensazione che ti dà mentre compi l’azione. Ma devi renderti conto che quel che provi tu è il risultato dell’esperienza, mentre per loro è fatto tutto di apparenze. Sarebbe sciapo come acqua di fosso, se io presentassi semplicemente un documentario dell’azione con un’inquadratura fissa. No, per dare a costoro la sensazione di ciò che è realmente, è necessario usare una considerevole abilità nel disporre i dettagli dell’azione in modo che sia significativa. Ed è significativa. Guarda come reagiscono!».

«Una versione piena di fondali truccati e di inquadrature che saltano e girano all’impazzata?».

«Per loro è necessario, perché possano sentirlo. Credimi, questa realizzazione ha richiesto molta abilità e intuizione, e nessuno degli effetti è stato scelto alla leggera. Jackson, tutto quello che dovevi fare tu era reagire naturalmente. A me è toccato ricostruire tutto da zero».

«Immagino che questo includa anche il modo idiota in cui ho ucciso quel falso amsir».

«Se ti riferisci alle reazioni torpide dell’amsir al momento cruciale, devi tenere presente che i tuoi riflessi e le tue capacità non sono ancora coordinati alle proprietà fisiche di questo ambiente. Non potevamo mostrare l’amsir che ti inseguiva e ti uccideva, vero?», lo rimproverò Comp.

Jackson scrollò la testa. Gli altri gli ronzavano intorno eccitati, ascoltavano gli exteroaffettori, si esaltavano per qualcosa di nuovo.

«Cosa gli stai dicendo adesso, mentre parli con me?».

«Oh, c’è stata una reazione mondiale a questa attualità. Sto trasmettendo un gran numero di differite a individui che hanno ricevuto la segnalazione dagli spettatori della diretta. A questo punto, il totale è del cinquanta per cento e sale ancora. Con questa trasmissione, sei diventato un grande argomento di conversazione».

Pall gli prese le mani. Le brillavano gli occhi. «Jackson, Jackson, secondo me è magnifico! Sai che cosa faranno?».

«Temo di no». Jackson lo disse gentilmente.

«Tutti vogliono conoscerti! Ci sarà un… oh, scusami, una festa di caccia!».

Jackson si girò verso Kringle. «Che cosa?».

Anche a Kringle brillavano gli occhi. «Guarda!». Agitò il braccio e il clamore delle esclamazioni degli altri si attenuò in un brusio di fondo. «Cosa ne dite? Vogliamo una Spina?».

«Sì!».

«Comp…», disse Kringle.

Oh, quel loro odore dolce, appassionato!

Una dozzina di ronzii tremolò tutto intorno all’orizzonte. Jackson si voltò a guardare. C’erano baluginii intorno alle bianche case basse sotto gli alberi. Gli alberi scintillarono, e poi sparirono insieme alle case in una nebbia argentea, e l’aria fremette dei suoni del volo. Jackson continuò a girare su se stesso, guardando. Kringle ridacchiò.

L’erba fremeva dovunque, come se qualcuno, nascosto sotto un letto, avesse alzato le mani cominciando a tirare la coperta.

«Dovrò spostarti per qualche minuto», disse Comp. «Se vuoi salire a bordo…».

Durstine gli tirò la mano. «Da questa parte».

Non tutti gli exteroaffettori di Comp in quell’aria si occupavano degli alberi e delle case bianche. Mentre Jackson voltava la schiena, alcuni avevano creato un’intelaiatura di metallo, travature e supporti inclinati e incurvati da ogni parte, dai quali si estendevano tendoni e baldacchini, nastri e nappe che ondeggiavano con grazia, fontane che buttavano getti colorati di vasca in vasca, digradando, con l’accompagnamento di una musica delicata e tintinnante. Era tutta una sfera di nicchie e di angoletti multiformi, e tuttavia abbastanza aperta perché i membri del gruppo potessero chiamarsi l’un l’altro e scambiarsi risate e rumoreggiare al suo interno. Durstine lo trascinò all’interno, e la sfera si sollevò, si staccò dalla superficie della prateria, deviando lateralmente nel guadagnare quota, fino a quando furono a cento metri nell’aria, chi sdraiato, chi in movimento, e tutti scherzavano e mormoravano eccitati. Una brezza gradevole spirava attraverso la struttura. Gli spruzzi delle fontane, di tanto in tanto, solleticavano Jackson. Il visetto di Pall si affacciò tra due foglie metalliche curvilinee da una parte più interna della sfera. La ragazza arricciò il naso e agitò una mano.

E intanto Comp creava una Spina per la festa.

La sfera andava languidamente alla deriva su torrenti chiassosi di exteroaffettori. Turbinavano nell’aria, si precipitavano da tutte le direzioni, convergendo. Quando s’incontravano, alcuni volteggiavano formando chiazze secondarie, altri salivano ruggendo in marosi lampeggianti, e minuscoli sprazzi che sembravano di spuma partivano dalla sommità, quando consegnavano il loro carico e riprendevano il volo per andare a prendere qualcosa d’altro. La struttura della sfera vibrava a quel rombo di cascata: e innumerevoli parti, foglie e fiori, cominciarono a tintinnare in contrappunto alla musica delle fontane.

«Guarda! Guarda!», mormorò Durstine, passandogli il braccio sulle spalle, e ripiegando l’avambraccio sul bicipite di lui. La voce gli alitava nell’orecchio.

IV

Gli exteroaffettori si ritirarono dalla pianura sottostante. Soltanto un fitto ammasso conico, del diametro di trenta metri, aleggiava nell’aria sopra la piana: e poi anch’esso si svolse a spirale dal basso. Via via che gli exteroaffettori si scostavano, Jackson vide che stavano ultimando la parte superiore della Spina. Già, a terra, in un gaio, svolazzante cerchio, i padiglioni a strisce, tutti decorati, cingevano la Spina, tra una pista erbosa e campi bellissimi delimitati da verdi siepi tagliate geometricamente. Jackson guardò di nuovo, e vide che la Spina era completa: alta, diritta, scintillante, con le bandiere sulle antenne.

«È magnifica», disse Jackson.

La nube scese sull’erba fra la Spina e i padiglioni, e tutti corsero via, a bere alle fontane. Le fontane erano disposte tutto intorno alla base della Spina, dove Jackson ricordava i rubinetti. Pall stava china, con i capelli che le ricadevano a incorniciarle le guance in due brevi bande scolpite, e beveva l’acqua nelle mani giunte, là dove Jackson ricordava Petra Jovans.

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