7 Più lieve di una piuma

L’aria pareva più calma di notte, anche se il tuono avvertiva comunque Lan che non tutto andava bene. Nelle sue settimane di viaggio con Bulen, quella tempesta nel cielo sembrava essere diventata più scura.

Dopo aver cavalcato a sud, avevano continuato a est; erano da qualche parte vicino al confine tra Kandor e Saldea, sulla Piana delle Lance. Torreggianti colline erose — dai fianchi ripidi, come fortezze — si elevavano attorno a loro.

Forse avevano mancato il confine. Spesso non c’era nessuna indicazione in queste strade secondarie, e alle montagne non importava quale nazione cercava di rivendicarle.

«Mastro Andra» disse Bulen da dietro. Lan gli aveva comprato un destriero da cavalcare, una giumenta color bianco sporco. Lui conduceva ancora il suo cavallo da soma, Scouter.

Bulen lo raggiunse. Lan insisteva per essere chiamato "Andra". Un seguace era già un problema. Se nessuno avesse saputo chi era, non avrebbero potuto chiedere di venire con lui. Doveva ringraziare Bulen — inavvertitamente — per averlo avvisato di quello che Nynaeve aveva fatto. Per questo aveva un debito nei confronti dell’uomo.

A Bulen piaceva proprio parlare, però.

«Mastro Andra» continuò Bulen. «Se posso suggerirlo, potremmo svoltare a sud al Crocevia di Berndt, sì? Conosco una locanda di transito in quella direzione che serve le quaglie migliori di tutte. Potremmo svoltare di nuovo a est sulla strada verso South Mettler. Una strada molto più semplice. Mio cugino ha una fattoria lungo quella strada — cugino dal lato di mia madre, mastro Andra — e potremmo...»

«Continuiamo in questa direzione» disse Lan.

«Ma South Mettler è una strada di gran lunga migliore!»

«E pertanto anche molto più trafficata, Bulen.»

Bulen sospirò, ma tacque. L’hadori gli stava bene attorno alla testa, e lui si era rivelato sorprendentemente capace con la spada. Lo studente più talentuoso che Lan avesse visto da qualche tempo.

Era buio: la notte giungeva presto qui, per via di quelle montagne. Paragonata alle zone vicino alla Macchia, era anche gelida. Purtroppo la terra qui era piuttosto popolata. In effetti, a circa un’ora dopo il crocevia arrivarono a una locanda, le finestre che ancora brillavano di luce.

Bulen guardò verso di essa bramoso, ma Lan proseguì. Li faceva viaggiare di notte, perlopiù. La cosa migliore per non essere visti.

Un terzetto di uomini sedeva di fronte alla locanda, fumando le proprie pipe al buio. Il fumo pungente si avvolgeva nell’aria, oltre le finestre della locanda. Lan non riservò loro molta considerazione finché — tutti assieme — smisero di fumare. Sganciarono i cavalli dal recinto accanto alla locanda.

Stupendo, pensò Lan. Banditi, che sorvegliavano la strada di notte in cerca di viaggiatori stanchi. Be’, tre uomini non si sarebbero dovuti dimostrare troppo pericolosi. Cavalcarono dietro Lan al trotto. Non avrebbero attaccato finché non si fossero trovati più lontano dalla locanda. Lan allungò una mano per allentare la spada nel suo fodero.

«Mio signore» disse Bulen con apprensione, guardandosi sopra la spalla. «Due di quegli uomini stanno indossando l’hadori

Lan si girò, il mantello che schioccava dietro di lui. I tre uomini si avvicinarono e non si fermarono. Si divisero attorno a lui e Bulen.

Lan li osservò passare. «Andere?» chiamò. «Cosa pensi che tu stia facendo?»

Uno dei tre — un uomo magro e dall’aspetto pericoloso — si guardò sopra la spalla, i suoi lunghi capelli tenuti indietro con l’hadori. Erano passati anni da quando Lan aveva visto Andere. Pareva che avesse abbandonato la sua uniforme kandori, finalmente; stava indossando un mantello nero intenso e sotto degli abiti di cuoio da caccia.

«Ah, Lan» disse Andere mentre tutti e tre gli uomini arrestavano i loro cavalli. «Non ti avevo notato lì.»

«Sono certo che no» disse Lan in tono piatto. «E tu, Nazar. Hai riposto il tuo hadori quando eri un ragazzino. Ora ne indossi uno?»

«Posso fare come voglio» disse Nazar. Stava invecchiando — doveva aver passato i settanta — ma portava una spada sulla sella. I suoi capelli si erano incanutiti.

Il terzo uomo, Rakim, non era Malkierano. Aveva gli occhi a mandorla di un Saldeano, e rivolse a Lan una scrollata di spalle, con espressione un po’ imbarazzata.

Lan si portò le dita alla fronte, chiudendo gli occhi mentre i tre cavalcavano avanti. A che stupido gioco stavano giocando? Non importa, pensò Lan, aprendo gli occhi.

Bulen fece per dire qualcosa, ma Lan lo zittì con un’occhiataccia. Svoltò a sud fuori dalla strada, tagliando per una piccola pista consumata.

Non passò molto tempo prima che sentissero un rumore ovattato di zoccoli da dietro. Lan si girò e vide i tre cavalcare dietro di lui. Lan fece arrestare Mandarb, digrignando i denti. «Io non sto innalzando la Gru Dorata!»

«Non abbiamo detto che lo stavi facendo» disse Nazar. I tre si separarono di nuovo attorno a lui, superandolo.

Lan spronò Mandarb in avanti, raggiungendoli. «Allora smettetela di seguirmi.»

«L’ultima volta che ho controllato, eravamo davanti a te» disse Andere.

«Avete svoltato da questa parte per venirmi dietro» li accusò Lan.

«Le strade non sono tue, Lan Mandragoran» disse Andere. Lanciò un’occhiata a Lan, il suo volto in ombra nella notte. «Se non l’hai notato, non sono più il ragazzino che l’Eroe di Salmarna rimproverò così tanto tempo fa. Sono diventato un soldato, e i soldati sono necessari. Perciò cavalcherò da questa parte, se così mi piace.»

«Io ti ordino di voltarti e tornare indietro» disse Lan. «Trova una strada diversa verso est.»

Rakim rise, la sua voce ancora roca dopo tutti questi anni. «Tu non sei più il mio capitano, Lan. Perché mai dovrei obbedire ai tuoi ordini?» Gli altri ridacchiarono.

«Obbediremmo a un re, naturalmente» disse Nazar.

«Sì,» disse Andere «se lui ci desse ordini, forse lo faremmo. Ma non vedo un re qui. A meno che non mi sbagli.»

«Non può esserci nessun re di un popolo caduto» disse Lan. «Nessun re senza un regno.»

«Eppure tu cavalchi» disse Nazar, schioccando le sue redini. «Cavalchi verso la tua morte in una terra che tu affermi non essere nessun regno.»

«È il mio destino.»

I tre scrollarono le spalle, poi si arrestarono davanti a lui.

«Non siate sciocchi» disse Lan, a voce sommessa mentre faceva fermare Mandarb. «Questa strada conduce alla morte.»

«La morte è più lieve di una piuma, Lan Mandragoran» disse Rakim da sopra la spalla. «Se cavalchiamo solo verso la morte, allora il sentiero sarà più facile di quanto avevo pensato!»

Lan digrignò i denti, ma cosa doveva fare? Picchiare tutti e tre fino a far perdere loro i sensi e lasciarli sul ciglio della strada? Spronò Mandarb in avanti.

I due erano diventati cinque.


Galad continuò la sua colazione mattutina, notando che il Figlio Byar era venuto a parlare con lui. Il pasto era cibo semplice: farina d’avena con una manciata di uvetta mischiata dentro. Un pasto semplice per ogni soldato impediva a tutti quanti di provare invidia. Alcuni lord Capitani Comandanti avevano pranzato molto meglio dei loro uomini. Questo non sarebbe andato bene per Galad. Non quando così tante persone al mondo morivano di fame.

Il Figlio Byar attendeva all’interno dei lembi della tenda di Galad, aspettando che lui lo chiamasse. L’uomo scarno e dalle guance infossate indossava il suo mantello bianco e un tabarro sotto la maglia al di sotto.

Galad alla fine mise da parte il suo cucchiaio e annuì a Byar. Il soldato si diresse verso il tavolo e attese, ancora sull’attenti. Non c’erano mobili elaborati nella tenda di Galad. La sua spada — la spada di Valda — era posata sul semplice tavolo dietro la sua scodella di legno, appena sguainata. Gli aironi sulla lama facevano capolino da sotto il fodero, e l’acciaio lucidato rifletteva la forma di Byar.

«Parla» disse Galad.

«Ho altre notizie sull’esercito, mio lord Capitano Comandante» disse Byar. «Sono vicino a dove i prigionieri hanno detto che si sarebbero trovati, a pochi giorni da noi.»

Galad annuì. «Sventolano la bandiera di Ghealdan?»

«Accanto a quella di Mayene.» La fiamma dello zelo scintillò negli occhi di Byar. «E la testa di lupo, anche se i rapporti dicono che l’hanno ammainata ieri. Occhidoro è qui. I nostri esploratori ne sono certi.»

«Ha davvero ucciso il padre di Bornhald?»

«Sì, mio lord Capitano Comandante. Ho una certa familiarità con questa creatura. Lui e le sue truppe provengono da un posto chiamato i Fiumi Gemelli.»

«I Fiumi Gemelli?» disse Galad. «Curioso quanto spesso sento parlare di quel posto, di questi tempi. Non è da lì che viene al’Thor?»

«Così si dice» replicò Byar.

Galad si sfregò il mento. «Coltivano buon tabacco lì, Figlio Byar, ma non ho mai sentito dire che coltivassero anche eserciti.»

«È un posto oscuro, mio lord Capitano Comandante. Il Figlio Bornhald e io abbiamo trascorso un po’ di tempo lì l’anno scorso; pullula di Amici delle Tenebre.»

Galad sospirò. «Suoni proprio come un Inquisitore.»

«Mio lord Capitano Comandante,» continuò Byar con fervore «mio signore, ti prego di credermi. Non sto semplicemente facendo supposizioni. Questo è diverso.»

Galad si accigliò. Poi fece un gesto verso l’altro sgabello accanto al suo tavolo. Byar lo occupò.

«Spiegati» disse Galad. «E dimmi tutto ciò che sai su questo Perrin Occhidoro.»


Perrin riusciva a ricordare un tempo in cui semplici colazioni di pane e formaggio lo avevano soddisfatto. Non era più così. Forse era dovuto alla sua relazione con i lupi, o forse i suoi gusti erano cambiati col tempo. Questi giorni bramava carne, in particolare al mattino. Non poteva sempre averla, e questo andava bene. Ma in generale non doveva chiederla.

Questo era il caso di oggi. Si era alzato, si era lavato la faccia, e aveva trovato una servitrice che era entrata con un grosso taglio di prosciutto, fumante e succulento. Niente fagioli, niente verdure. Niente intingoli. Solo il prosciutto, strofinato col sale e scottato sopra il fuoco, con un paio di uova bollite. La servitrice aveva messo tutto sul tavolo, poi si era ritirata.

Perrin si asciugò le mani, attraversando il tappeto della sua tenda e inalando l’aroma del prosciutto. Parte di lui sentiva che avrebbe dovuto farlo portar via, ma non poteva. Non quando era proprio lì. Si sedette, prese forchetta e coltello e tagliò.

«Non capisco come fai a mangiare quello per colazione» osservò Faile, lasciando la camera per lavarsi della loro tenda e asciugandosi le mani con un panno. La loro grossa tenda era divisa in parecchie parti da delle cortine. Lei indossava uno dei suoi vestiti grigi non appariscenti. Era accentuato da una robusta cintura nera: Faile aveva mandato via tutte le cinture dorate, a prescindere da quanto fossero eleganti. Lui si era proposto di trovargliene una che fosse più di suo gradimento e lei era sembrata avere la nausea.

«È cibo» disse Perrin.

«Questo lo vedo» replicò lei con uno sbuffo, guardandosi allo specchio. «Cosa pensi che credessi che fosse? Una roccia?»

«Volevo dire» rispose Perrin tra un boccone e l’altro «che il cibo è cibo. Perché dovrei preoccuparmi di cosa mangio per colazione e cosa mangio per un pasto diverso?»

«Perché è strano» disse lei, allacciandosi una cordicella con una piccola pietra azzurra. Si osservò allo specchio, poi si voltò, le maniche ampie del suo abito di taglio saldeano che frusciavano. Si soffermò accanto al piatto di Perrin, facendo una smorfia. «Io vado a fare colazione con Alliandre. Mandami a chiamare se ci sono notizie.»

Lui annuì, inghiottendo un boccone. Perché una persona avrebbe dovuto mangiare carne a mezzogiorno, ma rifiutarla per colazione? Non aveva senso.

Perrin aveva deciso di rimanere accampato accanto alla strada di Jehannah. Cos’altro doveva fare, con un esercito di Manti Bianchi proprio davanti, tra lui e Lugard? Ai suoi esploratori occorreva tempo per valutare il pericolo. Aveva passato molto tempo a pensare alle strane visioni che aveva avuto, i lupi che cacciavano delle pecore verso una bestia e Faile che camminava verso un precipizio. Non era stato in grado di trarre un senso da esse, ma potevano avere qualcosa a che fare con i Manti Bianchi? La loro apparizione lo turbava più di quanto volesse ammettere, ma serbava una minuscola speranza che si sarebbero dimostrati insignificanti e non lo avrebbero rallentato troppo.

«Perrin Aybara» chiamò una voce dall’esterno della sua tenda. «Mi dai il permesso di entrare?»

«Entra pure, Gaul» disse lui. «La mia ombra è tua.»

L’alto Aiel entrò. «Grazie, Perrin Aybara» disse, lanciando un’occhiata al prosciutto. «Ha l’aria di un banchetto. Stai festeggiando?»

«Nulla a parte la colazione.»

«Una grande vittoria» disse Gaul, ridendo.

Perrin scosse il capo. Umorismo aiel. Aveva smesso di cercare di capirlo. Gaul si sistemò per terra e Perrin sospirò tra sé prima di raccogliere il suo piatto e spostarsi per sedersi sul tappeto di fronte a Gaul. Perrin mise il pasto in grembo e continuò a mangiare.

«Non devi sederti sul pavimento a causa mia» disse Gaul.

«Non lo sto facendo perché devo, Gaul.»

Gaul annuì.

Perrin staccò un altro morso. Questo sarebbe stato molto più semplice se avesse afferrato quella cosa tutta intera tra le dita e avesse iniziato a strapparne via dei pezzi. Mangiare era più semplice per i lupi. Posate. A che servivano?

Pensieri del genere lo facevano esitare. Lui non era un lupo e non voleva pensare come uno di essi. Forse avrebbe dovuto iniziare a mangiare della frutta come colazione vera e propria, come diceva Faile. Si accigliò, tornando alla sua carne.

«Abbiamo combattuto dei Trolloc nei Fiumi Gemelli» disse Byar, abbassando la voce. La farina d’avena di Galad si raffreddava, dimenticata sul tavolo. «Diverse dozzine di uomini nel nostro accampamento possono confermarlo. Io ho ucciso diverse di quelle bestie con la mia stessa spada.»

«Trolloc nei Fiumi Gemelli?» disse Galad. «Ma sono a centinaia di leghe dalle Marche di Confine!»

«Comunque erano lì» disse Byar. «Il lord Capitano Comandante Niall deve averlo sospettato. Fummo mandati in quel luogo su suo ordine. Sai che Pedron Niall non si sarebbe fatto spaventare per nulla.»

«Sì, sono d’accordo. Ma i Fiumi Gemelli?»

«Sono pieni di Amici delle Tenebre» disse Byar. «Bornhald ti ha detto di Occhidoro. Nei Fiumi Gemelli, questo Perrin Aybara stava innalzando la bandiera dell’antico Manetheren e radunando un esercito tra i contadini. Soldati addestrati possono farsi beffe di contadini arruolati a forza, ma metti insieme abbastanza di loro e possono essere un pericolo. Alcuni sono esperti col bastone o l’arco.»

«Ne sono al corrente» disse Galad in tono piatto, ricordando una lezione particolarmente imbarazzante che gli era stata impartita una volta.

«Quell’uomo, questo Perrin Aybara» proseguì Byar. «Lui è Progenie dell’Ombra, chiaro come il sole. Lo chiamano Occhidoro perché i suoi occhi sono dorati, una tonalità che nessuna persona ha mai conosciuto. Eravamo certi che fosse Aybara a portare lì i Trolloc, e che li usasse per costringere la gente dei Fiumi Gemelli a unirsi al suo esercito. Alla fine ci ha cacciato via da lì. E ora è qui, davanti a noi.»

Una coincidenza o qualcosa di più?

Era evidente che Byar stava pensando la stessa cosa. «Mio lord Capitano Comandante, forse avrei dovuto menzionare questo prima, ma i Fiumi Gemelli non sono stati la mia prima esperienza con questa creatura chiamata Aybara. Lui uccise due dei Figli su una strada dimenticata nell’Andor circa due anni fa. Io stavo viaggiando col padre di Bornhald. Incontrammo Aybara in un campo lontano dalla strada principale. Stava correndo con i lupi come un selvaggio! Uccise due uomini prima che potessimo soggiogarlo, poi fuggì nella notte dopo che lo avevamo catturato. Mio signore, stava per essere impiccato.»

«Ci sono altri che possono confermare questo?» chiese Galad.

«Il Figlio Oratar può. E il Figlio Bornhald può confermare quello che abbiamo visto nei Fiumi Gemelli. Occhidoro era anche a Falme. Solo per quello che ha fatto li dovrebbe essere portato davanti alla giustizia. È evidente. La Luce ce lo ha consegnato.»


«Sei certo che la nostra gente sia tra i Manti Bianchi?» domandò Perrin.

«Non ho potuto vedere facce,» disse Gaul «ma gli occhi di Elyas Machera sono molto acuti. Dice di essere certo di aver visto Basel Gill.»

Perrin annuì. Gli occhi dorati di Elyas sarebbero stati buoni quanto i suoi.

«Sulin e i suoi esploratori hanno rapporti simili» disse Gaul, accettando una tazza di birra versata dalla caraffa di Perrin. «L’esercito dei Manti Bianchi ha un grosso numero di carri, proprio come quelli che abbiamo mandato avanti. Lei lo ha scoperto al mattino presto, ma mi ha chiesto di riferirti queste notizie una volta che ti fossi svegliato, poiché sa che gli abitanti delle terre bagnate sono irritabili quando vengono disturbati di mattina.»

Era evidente che Gaul non aveva idea che la sua poteva suonare come un’offesa. Perrin era un abitante delle terre bagnate. Gli abitanti delle terre bagnate erano irritabili, almeno a parere degli Aiel. Così Gaul stava affermando un fatto assodato.

Perrin scosse il capo, provando un uovo. Troppo cotto, ma mangiabile. «Sulin ha notato qualcuno che ha riconosciuto?»

«No, anche se ha visto alcuni gai’shain» disse Gaul. «Comunque, Sulin è una Fanciulla, perciò probabilmente dovremmo mandare qualcuno per confermare quello che ha detto... qualcuno che non esiga l’opportunità di lavare i nostri indumenti intimi.»

«Problemi con Bain e Chiad?» chiese Perrin.

Gaul fece una smorfia. «Lo giuro, quelle donne mi faranno perdere la testa. Quale uomo ci si dovrebbe aspettare che patisca cose del genere? Sarebbe quasi meglio avere l’Accecatore in persona come gai’shain piuttosto che quelle due.»

Perrin ridacchiò.

«A ogni modo, i prigionieri sembrano illesi e in salute. Il rapporto non è finito. Una delle Fanciulle ha visto una bandiera piuttosto particolare sventolare sull’accampamento, così l’ha copiata per il tuo segretario, Sebban Balwer. Lui dice che significa che il lord Capitano Comandante in persona cavalca con questo esercito.»

Perrin abbassò lo sguardo verso l’ultimo pezzo di prosciutto.

Queste non erano buone notizie. Lui non aveva mai incontrato il lord Capitano Comandante, ma aveva incontrato uno dei lord Capitani dei Manti Bianchi una volta. Era stata la notte in cui Hopper era morto, una notte che aveva tormentato Perrin per due anni.

Era stata la notte in cui lui aveva ucciso per la prima volta.


«Di che altro hai bisogno?» Byar si sporse più vicino, gli occhi infossati accesi dal fervore. «Abbiamo testimoni che hanno visto quest’uomo assassinare due dei nostri! Lo lasciamo marciare via, come se fosse innocente?»

«No» disse Galad. «No, per la Luce. Se quello che dici è vero, non possiamo non occuparci di quest’uomo. Il nostro dovere è portare giustizia a coloro che hanno subito un torto.»

Byar sorrise con aria impaziente. «I prigionieri hanno rivelato che la regina di Ghealdan ha giurato fedeltà a lui.»

«Questo potrebbe rappresentare un problema.»

«Un’opportunità. Forse Ghealdan è precisamente quello di cui i Figli hanno bisogno. Una nuova casa, un posto per ricostruire. Tu parli dell’Andor, mio lord Capitano Comandante, ma per quanto ci tollereranno? Parli dell’Ultima Battaglia, ma potrebbero mancare ancora mesi. E se liberassimo un’intera nazione dalla stretta di un terribile Amico delle Tenebre? Di certo la regina — o il suo successore — si sentirebbe in debito con noi.»

«Sempre che riusciamo a sconfiggere questo Aybara.»

«Possiamo. Le nostre forze sono meno numerose delle sue, ma molti dei suoi soldati sono contadini.»

«Contadini che, come hai fatto notare, possono essere pericolosi» disse Galad. «Non dovrebbero essere sottovalutati.»

«Sì, ma so che possiamo sconfiggerli. Possono essere pericolosi, sì, ma si spezzeranno di fronte alla potenza dei Figli. Questa volta, finalmente, Occhidoro non sarà in grado di nascondersi dietro alle piccole fortificazioni del suo villaggio o ai suoi alleati straccioni. Niente più scuse.»


Questo faceva parte del suo essere ta’veren? Perrin non riusciva a sfuggire a quella notte, anni prima? Mise da parte il suo piatto, nauseato.

«Stai bene, Perrin Aybara?» disse Gaul.

«Sto solo pensando.» I Manti Bianchi non l’avrebbero lasciato in pace, e il Disegno — che fosse folgorato! — avrebbe continuato a intrecciarsi sul suo cammino finché non si fosse occupato di loro.

«Quanto è grande il loro esercito?» chiese Perrin.

«Ci sono ventimila soldati fra loro» rispose Gaul. «Ci sono diverse migliaia di altri che probabilmente non hanno mai impugnato una lancia.»

Servitori e civili al seguito. Gaul tratteneva il divertimento dalla sua voce, ma Perrin poteva fiutarlo su di lui. Tra gli Aiel, quasi ogni uomo — tutti tranne i fabbri — avrebbe imbracciato una lancia se fossero stati attaccati. Il fatto che molti abitanti delle terre bagnate non fossero capaci di difendersi da sé confondeva o faceva infuriare gli Aiel.

«La loro forza è numerosa,» continuò Gaul «ma la nostra lo è di più. E loro non hanno algai’d’siswai né Asha’man, né incanalatrici di nessun tipo, se le notizie di Sebban Balwer non sono errate. Pare sapere molto di questi Manti Bianchi.»

«Ha ragione. I Manti Bianchi odiano le Aes Sedai e pensano che chiunque usi l’Unico Potere sia un Amico delle Tenebre.»


«Muoviamo contro di lui, allora?» chiese Byar.

Galad si alzò in piedi. «Non abbiamo altra scelta. La Luce lo ha consegnato nelle nostre mani. Ma abbiamo bisogno di più informazioni. Forse dovrei andare da questo Aybara e fargli sapere che abbiamo i suoi alleati, poi chiedere al suo esercito di incontrarsi con noi sul campo di battaglia. Preferirei attirarlo fuori per poter usare la mia cavalleria.»


«Cosa vuoi, Perrin Aybara?» chiese Gaul.

Cosa voleva? Desiderava essere in grado di rispondere a quella domanda.

«Manda altri esploratori» disse Perrin. «Trovaci un posto migliore dove accamparci. Vorremo intavolare delle trattative, ma non c’è alcun modo sotto la Luce che io lasci Gill e gli altri nelle mani dei Manti Bianchi. Daremo ai Figli una possibilità di restituirci la nostra gente. Se non lo faranno... be’, allora vedremo.»

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