21 Un cancello aperto

«Abbiamo ritenuto meglio» disse Seonid «lasciare che fosse una di noi a fornire il resoconto completo. Ho raccolto informazioni dalle altre per la presentazione.»

Perrin annuì distrattamente. Era seduto sui cuscini nel padiglione delle riunioni, con Faile al suo fianco. Era di nuovo gremito di persone.

«Cairhien è ancora nel caos, naturalmente» iniziò Seonid. La metodica Verde era una donna brusca. Non cattiva o antipatica, ma perfino le interazioni con i suoi Custodi parevano simili a quelle tra un contadino facoltoso e i suoi braccianti. «Il Trono del Sole è rimasto vuoto per troppo tempo. Tutti sanno che il lord Drago ha promesso il trono a Elayne Trakand, ma lei ha dovuto lottare per mettere al sicuro il suo stesso trono. Finalmente ce l’ha fatta, stando ai rapporti.»

Guardò Perrin in attesa di un commento, odorando di soddisfare.

Lui si grattò la barba. Questo era importante ed era necessario che lui prestasse attenzione. Ma la sua mente continuava a essere distolta da pensieri sul suo addestramento nel sogno del lupo.

«Dunque Elayne è regina. Questo deve rendere felice Rand.»

«La reazione del lord Drago è ignota» continuò Seonid, come controllando un’altra voce su un elenco. Le Sapienti non facevano commenti né ponevano domande; sedevano sui loro cuscini in un piccolo capannello, come ribattini su un cardine. Probabilmente le Fanciulle avevano già riferito loro tutto questo.

«Sono ragionevolmente certa che il lord Drago sia nell’Arad Doman» proseguì Seonid. «Diverse dicerie parlano di questo, anche se, ovviamente, ci sono certe voci che lo danno in molti posti. Ma l’Arad Doman ha senso per lui come conquista tattica, e i disordini lì minacciano di destabilizzare le Marche di Confine. Non sono certa se sia vero che ha mandato lì gli Aiel o no.»

«L’ha fatto» disse Edarra semplicemente. Non fornì ulteriori spiegazioni.

«Sì» disse Seonid. «Be’, molte delle voci dicono che sta progettando di incontrare i Seanchan nell’Arad Doman. Sospetto che vorrebbe che i clan lì lo aiutassero.»

Questo riportò alla mente pensieri di Malden. Perrin immaginò damane e Sapienti in guerra, l’Unico Potere che si faceva largo tra file di soldati, con sangue, terra e fuoco che turbinavano nell’aria. Sarebbe stato come i Pozzi di Dumai, solo peggio.

Rabbrividì. Comunque, dalle visioni — e apparvero mentre Seonid parlava — sapeva che Rand era dove lei diceva.

Seonid continuò, parlando di commercio e scorte di cibo a Cairhien.

Perrin si ritrovò a pensare a quello strano muro viola che aveva visto nel sogno del lupo. Continua ad ascoltare. Luce! Era davvero un cattivo governante. Non aveva avuto problemi a correre alla testa dei lupi quando lo avevano lasciato cacciare. Perché non riusciva a fare lo stesso per la sua gente?

«Tear sta radunando truppe» disse Seonid. «Le voci affermano che il lord Drago abbia ordinato a re Darlin di radunare uomini per la guerra. A quanto pare c’è un re a Tear ora, a proposito. Un evento curioso. Alcuni dicono che Darlin marcerà verso l’Arad Doman, anche se altri dicono che sarà verso l’Ultima Battaglia. Altri ancora insistono che al’Thor intenda sconfiggere i Seanchan, prima. Tutte e tre le opzioni sembrano plausibili e io non posso fornire altro senza un viaggio a Tear di persona.» Fissò Perrin, odorando di speranza.

«No» disse Perrin. «Non ancora. Rand non è a Cairhien, ma l’Andor sembra stabile. La cosa più sensata secondo me è andare lì e parlare con Elayne. Lei avrà informazioni per noi.»

Faile odorò preoccupata.

«Lord Aybara,» disse Seonid «pensi che la regina ti accoglierà? Con la bandiera di Manetheren e il tuo titolo di lord che ti sei attribuito...»

Perrin si accigliò. «Entrambi quegli sciocchi stendardi sono stati ammainati ora, ed Elayne vedrà le cose come stanno, una volta che gliele avrò spiegate.»

«E i miei soldati?» disse Alliandre. «Probabilmente vorrai chiedere il permesso prima di muovere delle truppe straniere sul suolo andorano.»

«Tu non verrai» disse Perrin. «L’ho già detto prima, Alliandre. Tu sarai a Jehannah. Ti porteremo lì non appena avremo fatto i conti con i Manti Bianchi.»

«È stata presa una decisione su di loro, dunque?» chiese Arganda, sporgendosi in avanti, impaziente ed eccitato.

«Hanno preteso una battaglia» disse Perrin «E ignorano le mie richieste di ulteriori negoziati. Intendo dar loro uno scontro.»

Iniziarono a parlare di quello, anche se presto divenne una discussione su cosa voleva dire avere un re a Tear. Alla fine, Seonid si schiarì la gola e riportò la conversazione al suo rapporto.

«I Seanchan sono un motivo di grande discussione a Cairhien» disse Seonid. «Sembra che gli invasori si stiano concentrando sul consolidare le loro terre, inclusa l’Altara. Si stanno ancora espandendo nell’Ovest, però, e ci sono battaglie campali sulla Piana di Almoth.»

«Espandendosi verso l’Arad Doman» disse Arganda. «Imperversa una battaglia, lì.»

«Molto probabile» disse Seonid.

«Se l’Ultima Battaglia arriverà,» disse Annoura «allora sarebbe vantaggioso avere un’alleanza con i Seanchan.» Parve pensierosa, le gambe incrociate mentre sedeva sul suo cuscino di seta ricamato giallo e blu.

«Hanno incatenato delle Sapienti» disse Edarra, il suo volto troppo giovane che si incupiva. Odorava di pericolo. Arrabbiata ma fredda, come l’odore di una persona che progettava di uccidere. «Non solo Shaido, che meritano il loro destino. Se esisterà un’alleanza con i Seanchan, terminerà non appena il lavoro del Car’a’carn sarà completato. Molti della mia gente parlano già di una faida di sangue con questi invasori.»

«Dubito che Rand voglia una guerra tra voi» disse Perrin.

«Un anno e un giorno» disse Edarra semplicemente. «Le Sapienti non possono essere prese come gai’shain, ma forse le usanze dei Seanchan sono differenti. A ogni modo, daremo loro un anno e un giorno. Se non libereranno gli Aiel loro prigionieri quando glieli richiederemo dopo tale tempo, conosceranno le nostre lance. Il Car’a’carn non può esigere altro da noi.»

Nel padiglione ci fu silenzio.

«Comunque» disse Seonid, schiarendosi la gola. «Una volta finito con Cairhien, ci siamo incontrate con quelle che erano andate nell’Andor per controllare le voci lì.»

«Aspetta» disse Perrin. «L’Andor?»

«Le Sapienti hanno deciso di mandare lì delle Fanciulle.»

«Questo non era il piano» borbottò Perrin, guardando le Sapienti.

«Tu non ci controlli, Perrin Aybara» disse Edarra con calma.

«Avevamo bisogno di sapere se c’erano ancora Aiel in città o no, e se il Car’a’carn era lì. I tuoi Asha’man hanno obbedito quando abbiamo chiesto loro il passaggio.»

«Qualcuno avrebbe potuto vedere le Fanciulle» bofonchiò Perrin. Be’, lui aveva detto a Grady di creare i passaggi come gli Aiel gli richiedevano, anche se Perrin si era riferito al tempo della partenza e del ritorno. Avrebbe dovuto essere più preciso.

«Be’, non sono state viste.» Seonid suonava esasperata, come una persona che parlava con un bimbo tonto. «Perlomeno da nessuno con cui non avessero intenzione di parlare.» Luce! Era lui oppure Seonid stava cominciando ad assomigliare molto a una Sapiente? Era quello che Seonid e le altre stavano facendo nel campo aiel? Imparare a essere più testarde? Che la Luce li aiutasse tutti.

«A ogni modo,» continuò Seonid «è stato saggio da parte nostra visitare Caemlyn. Non ci si può fidare delle voci, in particolare quando si dice che uno dei Reietti stesse operando nella zona.»

«Uno dei Reietti?» chiese Gallenne. «Nell’Andor?»

Perrin annuì, facendo cenno per avere un’altra tazza di tè riscaldato. «Rand ha detto che si trattava di Rahvin, anche se io mi trovavo nei Fiumi Gemelli quando è avvenuta la battaglia.» I colori turbinarono nella testa di Perrin. «Rahvin si stava spacciando per un nobile del luogo, un uomo di nome Gabral, Gabil o qualcosa del genere. Ha usato la regina — l’ha fatta innamorare di lui o cose così — e poi l’ha uccisa.»

Un vassoio di servizio colpì il terreno con un fragore ovattato.

Tazze di porcellana andarono in frantumi, tè schizzò in aria. Perrin si voltò imprecando e diverse Fanciulle balzarono in piedi, afferrando i coltelli che avevano alla cintura.

Maighdin se ne stava con aria sbalordita, le braccia ai suoi fianchi. Il vassoio caduto giaceva a terra davanti a lei.

«Maighdin!» disse Faile. «Stai bene?»

La cameriera dai capelli color del sole si voltò verso Perrin con espressione confusa. «Se ti compiace, mio signore, vuoi ripetere quello che hai detto?»

«Cosa?» domandò Perrin. «Donna, cosa c’è che non va?»

«Hai detto che uno dei Reietti si era stabilito nell’Andor» disse Maighdin, la voce calma. Gli rivolse un’occhiata intensa come quella che gli avrebbe potuto scoccare qualunque Aes Sedai. «Sei certo di quello che hai sentito?»

Perrin si risistemò sul suo cuscino, grattandosi il mento. «Più che certo. È passato qualche tempo ora, ma so che Rand ne era convinto. Ha combattuto qualcuno con l’Unico Potere nel palazzo dell’Andor.»

«Il suo nome era Gaebril» disse Sulin. «Io ero lì. Il fulmine colpì da un cielo limpido e non ci fu dubbio che si trattasse dell’Unico Potere. Era uno delle Anime dell’Ombra.»

«C’erano alcuni nell’Andor che affermavano che il Car’a’carn avesse parlato di questo» aggiunse Edarra. «Disse che questo Gaebril aveva usato flussi proibiti su abitanti delle terre bagnate nel palazzo, corrompendo le loro menti, facendoli pensare e agire come voleva lui.»

«Maighdin, cosa c’è che non va?» chiese Perrin. «Luce, donna, è morto ora! Non hai nulla da temere.»

«Devo congedarmi» disse Maighdin. Uscì dal padiglione, lasciando il vassoio e la bianca porcellana rotta sparpagliati per terra.

«Penserò io a lei più tardi» disse Faile, imbarazzata. «È sconcertata per aver scoperto di aver vissuto così vicino a uno dei Reietti. Forse ha famiglia a Caemlyn.»

Gli altri annuirono e altri servitori vennero avanti per ripulire la confusione. Perrin si rese conto che non avrebbe avuto altro tè. Sciocco, pensò. Hai vissuto buona parte della tua vita senza essere in grado di avere del tè a comando. Non morirai ora che non puoi averne un’altra tazza agitando la mano.

«Proseguiamo» disse, sistemandosi sui suoi cuscini. Non riusciva mai a sentirsi a proprio agio su quelle dannate cose.

«Il mio rapporto è terminato» disse Seonid, ignorando di proposito il servitore che stava ripulendo dei pezzi di porcellana di fronte a lei.

«Resto della mia decisione precedente» disse Perrin. «Occuparci dei Manti Bianchi è importante. Dopodiché andremo nell’Andor e io parlerò con Elayne. Grady, come ti senti?»

L’Asha’man segnato dalle intemperie alzò lo sguardo da dove era seduto nella sua giubba nera. «Mi sono ristabilito del tutto dalla mia malattia, mio signore, e anche Neald quasi.»

«Sembri ancora stanco» disse Perrin.

«Lo sono,» disse Grady «ma che io sia folgorato, sto meglio di quanto sono stato molti giorni sul campo prima di andare alla Torre Nera.»

«E il momento di iniziare a mandare alcuni di questi profughi a casa loro» disse Perrin. «Con quei circoli puoi tenere un passaggio aperto più a lungo?»

«Non sono proprio sicuro. Essere in un circolo è comunque stancante. Forse ancora di più. Ma posso creare passaggi più grandi con l’aiuto delle donne, larghi abbastanza per farci passare due carri.»

«Bene. Inizieremo inviando a casa la gente normale. Ogni persona che facciamo tornare dove vive sarà una pietra in meno sulla mia schiena.»

«E se non vogliono andare?» domandò Tam. «Parecchi di loro hanno iniziato l’addestramento, Perrin. Sanno quello che sta per accadere e preferirebbero affrontarlo qui — con te — che rintanarsi nelle loro case.»

Luce! Non c’erano persone in questo campo che volevano tornare dalle loro famiglie? «Di certo ci sono alcuni di loro che vogliono tornare indietro.»

«Alcuni» disse Tam.

«Ricordate,» disse Faile «i deboli e gli anziani sono stati mandati via dagli Aiel.»

Arganda annuì. «Ho esaminato queste truppe. Sempre più gai’shain stanno uscendo dal loro torpore e, quando lo fanno, sono duri. Duri quanto molti soldati che ho conosciuto.»

«Alcuni vorranno controllare come stanno le loro famiglie,» disse Tam «ma solo se permetterai loro di tornare indietro. Possono vedere quel cielo. Sanno cosa sta per accadere.»

«Per ora, rimanderemo indietro quelli che vogliono andare e rimanere nelle loro case» disse Perrin. «Non posso occuparmi degli altri finché non avrò finito con i Manti Bianchi.»

«Eccellente» disse Gallenne con impazienza. «Hai un piano per attaccare?»

«Be’,» disse Perrin «suppongo che se saranno così accomodanti da mettersi in formazione, li ingaggeremo con i miei arcieri e incanalatori e li distruggeremo.»

«Approvo questo piano» disse Gallenne «sempre che i miei uomini possano caricare per occuparsi della marmaglia che rimarrà alla fine.»

«Balwer» disse Perrin. «Scrivi ai Manti Bianchi. Di’ loro che combatteremo e che dovrebbero scegliere un luogo.»

Mentre pronunciava quelle parole, provò una strana riluttanza. Pareva un tale spreco uccidere così tanti che potevano combattere contro l’Ombra. Ma lui non vedeva alcun modo per evitarlo.

Balwer annuì, odorando agguerrito. Cosa avevano fatto i Manti Bianchi a Balwer? Il polveroso segretario era ossessionato da essi.

La riunione si avviò al termine. Perrin si diresse verso il lato aperto della tenda e osservò i gruppi separati allontanarsi, con Alliandre e Arganda che si muovevano verso i rispettivi settori dell’accampamento. Faile camminava accanto a Berelain; stranamente, le due stavano chiacchierando assieme. I loro odori dicevano che erano arrabbiate, ma le loro parole sembravano cordiali. Cosa stavano tramando?

Del vassoio caduto restavano solo poche macchie per terra dentro la tenda. Cosa c’era che non andava con Maighdin? Un comportamento eccentrico come quello era preoccupante; fin troppo spesso quello che seguiva era qualche manifestazione del potere del Tenebroso.

«Mio signore?» chiese una voce, preceduta da un sommesso colpo di tosse. Perrin si voltò, accorgendosi che Balwer stava aspettando dietro di lui. Il segretario se ne stava con le mani serrate davanti a sé, con l’aspetto di una pila di bastoncini che dei bambini avevano vestito con una camicia e una giacca vecchie.

«Sì?» chiese Perrin.

«Mi è capitato di sentire casualmente certe informazioni di, ehm, qualche interesse mentre facevo visita agli studiosi di Cairhien.»

«Hai trovato le scorte, allora?»

«Sì, sì. Sono piuttosto ben rifornito. Un momento, per favore. Credo che sarai interessato a quello che ho udito.»

«Procedi, dunque» disse Perrin, tornando dentro il padiglione. Tutti gli altri se n’erano andati.

Balwer parlò a bassa voce. «Per prima cosa, mio signore, pare che i Figli della Luce siano in combutta con i Seanchan. È risaputo ormai e temo che l’armata davanti a noi sia stata posizionata per...»

«Balwer,» lo interruppe Perrin «so che odi i Manti Bianchi, ma mi hai già riferito questa notizia una mezza dozzina di volte.»

«Sì, ma...»

«Basta con i Manti Bianchi» disse Perrin, sollevando una mano. «A meno che non siano notizie specifiche sull’armata davanti a noi. Hai qualcosa al riguardo?»

«No, mio signore.»

«D’accordo, allora. C’era qualcos’altro che volevi dirmi?»

Balwer non mostrò segni di irritazione, ma Perrin poteva sentire che odorava d’insoddisfazione. La Luce sapeva che i Manti Bianchi avevano molto di cui rispondere, e Perrin non biasimava Balwer per il suo odio, ma diventava stancante.

«Be’, mio signore,» continuò Balwer «azzarderei che i racconti del Drago Rinato che vuole una tregua con i Seanchan sono più di voci vuote. Diverse fonti indicano che ha chiesto a chi li comanda la pace.»

«Ma cosa si è fatto alla mano?» chiese Perrin, scacciando un’altra immagine ancora di Rand dalla sua visuale.

«Quello cos’era, mio signore?»

«Nulla» disse Perrin.

«In aggiunta,» riprese Balwer, infilandosi una mano nella manica «c’è un numero allarmante di questi che circolano fra tagliagole, borseggiatori e malviventi a Cairhien.» Tirò fuori un foglio di carta con sopra uno schizzo del volto di Perrin. La somiglianza era preoccupantemente buona. Perrin prese il foglio, accigliandosi. Su di esso non c’erano parole. Balwer gliene porse un secondo, identico al primo. Ne seguì un terzo, questo con un’immagine di Mat.

«Dove hai preso questi?» domandò Perrin.

«Come ho detto, mio signore,» continuò Balwer «vengono fatti circolare in certi ambienti. A quanto pare vengono promesse ingenti somme di denaro a chiunque possa fornire il tuo cadavere, anche se non sono stato in grado di determinare chi sarebbe a pagarle.»

«E hai scoperto questo mentre facevi visita agli studiosi nella scuola di Rand?» chiese Perrin.

Lo scriba dal volto severo non mostrò alcuna emozione.

«Chi sei tu in realtà, Balwer?»

«Un segretario. Con una certa dose di capacità nel trovare segreti.»

«Una certa dose? Balwer, non ti ho chiesto del tuo passato. Immagino che un uomo meriti di poter ricominciare da capo. Ma ora i Manti Bianchi sono qui e tu hai qualche legame con loro. Ho bisogno di sapere qual è.»

Balwer rimase lì in silenzio per un po’. Le pareti alzate del padiglione frusciarono.

«Il mio precedente datore di lavoro era un uomo che rispettavo, mio signore» disse Balwer. «Fu ucciso dai Figli della Luce. Alcuni fra loro potrebbero riconoscermi.»

«Tu eri una spia per questa persona?» chiese Perrin.

Le labbra di Balwer si incurvarono decisamente all’ingiù. Parlò più piano. «Ho semplicemente una mente adatta a ricordare fatti, mio signore.»

«Sì, hai una buona mente per questo. I tuoi servigi mi sono utili, Balwer. Sto solo cercando di dirti che sono lieto che tu sia qui.»

L’uomo odorava di compiacimento. «Se posso dirlo, mio signore, fa davvero piacere lavorare per qualcuno che non vede le mie informazioni semplicemente come un metodo per tradire o compromettere quelli attorno a lui.»

«Be’, comunque sia, probabilmente dovrei cominciare a pagarti meglio» disse Perrin.

Questo diede a Balwer un odore colmo di panico. «Questo non sarà necessario.»

«Potresti domandare salari alti a parecchi lord o mercanti!»

«Uomini meschini privi di importanza» disse Balwer con una contrazione delle dita.

«Sì, ma penso comunque che dovresti essere pagato di più. È semplice buonsenso. Se ingaggi un apprendista fabbro per la tua fucina e non lo paghi abbastanza bene, lui stupirà i tuoi clienti regolari, poi aprirà una nuova fucina dall’altro lato della strada nel momento in cui se lo potrà permettere.»

«Ah, ma tu non capisci, mio signore» disse Balwer. «Il denaro per me non significa nulla. Le informazioni... quelle sono ciò che conta. Fatti e scoperte... sono come pepite d’oro. Potrei dare quell’oro a un comune banchiere per fame delle monete, ma preferisco darlo ai maestri artigiani per creare qualcosa di bello.

«Ti prego, mio signore, lasciami rimanere un semplice segretario. Vedi, uno dei modi più facili per capire se una persona non è quello che sembra è controllare i suoi introiti.» Ridacchiò. «Ho scoperto più di un assassino o di una spia a quel modo, proprio così. Non è necessaria alcuna paga. L’opportunità di lavorare con te è di per sé un pagamento.»

Perrin scrollò le spalle, ma annuì e Balwer si ritirò. Perrin uscì dal padiglione, ficcandosi in tasca i disegni. Lo turbavano. Avrebbe scommesso che queste immagini fossero anche nell’Andor, messe lì dai Reietti.

Per la prima volta si ritrovò a domandarsi se avrebbe avuto bisogno di un esercito per mantenersi al sicuro. Era un pensiero inquietante.


L’ondata di Trolloc bestiali si riversò sopra la cima della collina, sopraffacendo le ultime fortificazioni. Grugnivano e ululavano, mani dalle dita spesse che squarciavano lo scuro suolo saldeano e tenevano strette spade, lance uncinate, martelli, clave e altre armi maligne. Della saliva colava da labbra provviste di zanne su alcuni, mentre su altri dei grandi occhi troppo umani fissavano da dietro perfidi becchi. Le loro armature nere erano decorate di spuntoni.

Gli uomini di Ituralde stavano saldi con lui sul fondo del pendio posteriore della collina. Lui aveva ordinato che l’accampamento inferiore venisse smontato e arretrato finché poteva verso sud lungo la riva del fiume. Nel frattempo, l’esercito si era ritirato dalle fortificazioni. Ituralde odiava cedere terreno elevato, ma essere spinti giù per quella ripida collina durante un assalto sarebbe stato letale. Aveva spazio per arretrare, perciò l’avrebbe usato, ora che le fortificazioni erano perdute.

Posizionò le sue forze proprio alla base della collina, vicino a dove si era trovato una volta l’accampamento inferiore. I soldati domanesi indossavano copricapi d’acciaio e avevano messo le loro picche lunghe quattordici piedi col manico conficcato nel terreno, impugnandole per una maggiore stabilità, le punte d’acciaio inclinate verso la torreggiante ondata di Trolloc. Una posizione difensiva classica: tre file di picchieri e scudieri, picche inclinate verso la sommità del pendio. Quando la prima fila di picche avesse ucciso dei Trolloc, quei soldati avrebbero ripiegato indietro e avrebbero sfoderato le loro armi, lasciando che la seconda fila si facesse avanti per uccidere.

Una ritirata lenta e cauta, fila per fila.

Una doppia fila di arcieri dietro iniziò a scagliare frecce, conficcando una raffica dopo l’altra nella Progenie dell’Ombra, facendo cadere corpi lungo il versante. Quelli rotolarono, alcuni ancora urlanti, sprizzando sangue scuro. Un numero più vasto continuò a scendere, sopra i loro fratelli, cercando di arrivare ai picchieri.

Un Trolloc dalla testa d’aquila morì su una picca di fronte a Ituralde. C’erano schegge lungo i bordi del becco della bestia e la sua testa — su cui spuntavano degli occhi da predatore — era posta su un collo taurino, i bordi delle penne rivestiti da qualche genere di sostanza scura e oleosa. Il mostro strillò mentre moriva, la voce bassa e solo vagamente simile a un uccello, in qualche modo emettendo suoni gutturali nella lingua dei Trolloc.

«Resistete!» urlò Ituralde, voltandosi e facendo trottare il suo cavallo lungo la linea di picchieri. «Mantenete la formazione, che siate folgorati!»

I Trolloc si riversarono giù per la collina, morendo su quelle picche. Sarebbe stata una tregua temporanea. C’erano troppi Trolloc e perfino una linea di picche a triplice rotazione sarebbe stata sopraffatta. Questa era una tattica di rallentamento. Dietro di loro, il resto delle sue truppe iniziava la ritirata. Una volta che le linee si fossero indebolite, gli Asha’man si sarebbero assunti il carico della difesa, guadagnando tempo perché i picchieri potessero ritirarsi.

Se gli Asha’man fossero riusciti a raccogliere abbastanza forze. Lui li aveva fatti sgobbare. Forse troppo. A differenza delle truppe normali, lui non conosceva i loro limiti. Se fossero stati in grado di fermare l’avanzata dei Trolloc, il suo esercito avrebbe ripiegato verso sud. Quella ritirata li avrebbe portati oltre la sicurezza di Maradon, ma a loro non sarebbe stato concesso entrare. Quelli all’interno avevano respinto ogni tentativo di Ituralde di comunicare. «Noi non aiutiamo gli invasori» era stata la risposta ogni volta. Dannati sciocchi.

Bene, i Trolloc probabilmente si sarebbero disposti in formazione attorno a Maradon per un assedio prolungato, dando a Ituralde e ai suoi uomini il tempo per ritirarsi fino a una postazione più difendibile.

«Resistete!» urlò di nuovo Ituralde, cavalcando oltre una zona dove la pressione dei Trolloc stava iniziando a mostrare dei risultati. In cima a una delle fortificazioni sulla collina era in agguato un branco di Trolloc dalla testa di lupo, cauti mentre i loro compagni caricavano giù prima di loro. «Arcieri!» disse Ituralde, indicando.

Una salva di frecce seguì, crivellando i Trolloc dalla testa di lupo, o "Menti" come i Fautori del Drago nell’esercito di Ituralde avevano cominciato a chiamarli. I Trolloc avevano le loro bande e la loro organizzazione, ma i suoi uomini spesso si riferivano ai singoli a seconda delle fattezze che mostravano. "Corna" per capre, "Becchi" per falchi, "Braccia" per orsi. Quelli con le teste di lupo erano spesso tra i più intelligenti; alcuni Saldeani affermavano di averli sentiti parlare la lingua umana per contrattare o ingannare i loro avversari.

Ituralde sapeva molto sui Trolloc ora. Era necessario conoscere il tuo nemico. Purtroppo, esisteva una gran varietà nell’intelligenza e nella personalità dei Trolloc. E c’erano molti Trolloc che condividevano caratteristiche fisiche da vari gruppi. Ituralde giurava di aver visto un abominio distorto con le penne di un falco ma le corna di una capra.

I Trolloc in cima alla fortificazione cercarono di togliersi dalla traiettoria delle frecce. Un grosso gruppo di bestie massicce lì dietro li spinse giù per la collina con un ruggito. Di solito i Trolloc erano esseri codardi, a meno che non fossero affamati, ma se venivano frustati fino a raggiungere la frenesia combattevano bene.

I Fade avrebbero seguito questa ondata iniziale. Una volta che gli arcieri avessero terminato le frecce e che i Trolloc avessero ammorbidito gli uomini lì sotto. Ituralde temeva il momento in cui sarebbe accaduto.

Luce, pensò. Spero che riusciremo a correre più veloci di loro.

Gli Asha’man attendevano in lontananza il suo ordine. Lui desiderava averli più vicini. Ma non poteva rischiarlo. Erano una risorsa troppo importante per perderla a causa di una freccia vagante.

C’era da sperare che le file anteriori dei Trolloc sarebbero state colpite in modo severo dai picchieri, con le loro carcasse contorte e ammassate contro le picche, e che i Trolloc dietro sarebbero inciampati e caduti contro i loro stessi resti insanguinati. I Saldeani rimasti di Ituralde avrebbero cavalcato come una forza di rallentamento contro quelli che fossero riusciti a superare le bordate degli Asha’man. Allora i picchieri avrebbero dovuto poter indietreggiare e seguire il resto dell’esercito nella ritirata. Una volta superata Maradon, avrebbero potuto usare dei passaggi per arretrare fino alla posizione successiva da lui scelta, un valico boscoso a circa dieci leghe a sud.

I suoi uomini avrebbero dovuto poter scappare. In teoria. Luce, quanto odiava essere costretto a comandare una ritirata troppo rapida come questa.

Resta saldo, disse a sé stesso, continuando a cavalcare e urlando l’ordine di resistere: era importante che udissero la sua voce. Quel ragazzo è il Drago Rinato. Manterrà le sue promesse.

«Mio signore» chiamò una voce. La scorta di Ituralde si separò per lasciar avvicinare un giovane a cavallo, senza fiato. «Mio signore, si tratta del tenente Lidrin!»

«È caduto?» domandò Ituralde.

«No, mio signore. Lui è...» Il ragazzo si guardò sopra la spalla. Nella linea di picche lì vicino, i soldati stavano premendo avanti verso l’ondata di Trolloc, invece di ripiegare.

«Per la Luce, che sta facendo?» disse Ituralde, spronando Dawnweave in movimento. Il castrone bianco galoppò avanti, con la scorta di Ituralde e il giovane messaggero che si univano a lui in un fragore di zoccoli.

Poteva sentire le urla di Lidrin malgrado il frastuono del campo di battaglia. Il giovane ufficiale domanese si trovava esposto di fronte alla linea di picche, attaccando i Trolloc con spada e scudo, lanciando grida di guerra. Gli uomini di Lidrin si erano fatti strada tra i ranghi per difenderlo, lasciando i picchieri confusi e disorientati.

«Lidrin, pazzo.» Ituralde strattonò le redini e arrestò il suo cavallo.

«Venite!» tuonò Lidrin, sollevando la sua spada in alto davanti ai Trolloc. Rise fragorosamente, la voce mezza folle, la faccia schizzata di sangue. «Venite! Vi affronterò tutti! La mia spada ha sete!»

«Lidrin!» gridò Ituralde. «Lidrin!»

L’uomo si guardò sopra la spalla. I suoi occhi erano sgranati con una folle specie di allegria. Ituralde l’aveva vista in precedenza, negli occhi di soldati che combattevano troppo a lungo, con troppa foga. «Stiamo per morire, Rodel» disse Lidrin. «In questo modo li poterò con me! Uno o due almeno! Unisciti a me!»

«Lidrin, torna qui e...»

L’uomo lo ignorò, voltandosi e tirando avanti.

«Riportate qui i suoi uomini» urlò Ituralde con un gesto. «Serrate i ranghi delle picche! Presto. Non possiamo...»

I Trolloc si riversarono in avanti. Lidrin cadde in uno spruzzo di sangue, ridendo. I suoi uomini erano incalzati con troppa forza e si divisero nel mezzo. I picchieri si ridisposero, ma un pugno di Trolloc si schiantò contro di loro. Alcuni Trolloc caddero.

La maggior parte no.

Le creature più vicine stridettero e ulularono nel vedere un varco nelle difese. Vennero scavalcando i corpi alla base della collina, gettandosi contro i picchieri.

Ituralde imprecò, poi spronò Dawnweave in avanti. In guerra, così come nell’agricoltura, a volte dovevi farti avanti ed entrare nel fango fino al ginocchio. Urlò mentre impattava contro i Trolloc. La sua scorta cavalcò attorno a lui, chiudendo il varco. L’aria divenne una tempesta tremenda di metallo su metallo e grugniti di dolore.

Dawnweave sbuffò e danzò mentre Ituralde menava fendenti con la sua spada. Al cavallo non piaceva essere così vicino alla Progenie dell’Ombra, ma era ben addestrato, un dono da parte di uno degli uomini di Bashere. Lui aveva affermato che un generale nelle Marche di Confine aveva bisogno di un animale che avesse combattuto i Trolloc in precedenza. Ituralde benediceva quel soldato ora.

Il combattimento era brutale. I ranghi anteriori di picchieri e quelli dietro cominciarono a incurvarsi. Ituralde udì brevemente la voce di Ankaer che prendeva il comando, urlando agli uomini di ritornare in fila. Suonava frenetico. Quello era un brutto segno.

Ituralde attaccò, eseguendo 'l’airone sul ceppo’ — una forma con la spada a cavallo — e colpendo un Trolloc dalla testa di toro alla gola. Uno spruzzo di fetido sangue brunastro schizzò fuori e la creatura cadde all’indietro contro un mostro dalla testa di cinghiale. Un grande stendardo rosso che rappresentava un teschio di capra con un fuoco che bruciava dietro di esso si levava in cima alla collina. Il simbolo della Banda Ghob’hlin.

Ituralde fece voltare il suo cavallo, danzando via da un pericoloso colpo d’ascia, poi spronò il suo destriero in avanti, conficcando la sua spada nel fianco del Trolloc. Attorno a lui, Whelbom e Lehynen — due dei suoi uomini migliori — morirono mentre difendevano il suo lato. Che la Luce bruciasse i Trolloc!

L’intera linea si andava sfaldando. Lui e i suoi uomini erano troppo pochi, ma la maggior parte delle sue forze si era già ritirata. No, no, no!, pensò Ituralde, cercando di districarsi dalla battaglia e di assumere il comando. Ma se avesse indietreggiato, i Trolloc avrebbero fatto breccia.

Avrebbe dovuto rischiarlo. Era pronto per problemi come questo.

Una tromba suonò la ritirata.

Ituralde rimase immobile, ascoltando con orrore quel suono terrificante diffondersi per il campo di battaglia. I corni non avrebbero dovuto suonare a meno che lui o un membro della sua scorta non avessero dato l’ordine personalmente! Era troppo presto, fin troppo presto.

Alcuni degli altri trombettieri udirono il richiamo e lo replicarono, anche se altri non lo fecero. Potevano vedere che era fin troppo presto. Purtroppo, quello fu peggio. Volle dire che metà dei picchieri iniziò a ripiegare mentre l’altra metà mantenne la propria posizione.

Le linee attorno a Ituralde si infransero, con uomini che si sparpagliavano mentre i Trolloc sciamavano su di loro. Era un disastro, uno dei peggiori a cui Ituralde avesse mai partecipato. Si sentiva le dita prive di vigore.

Se cadiamo, la Progenie dell’Ombra distruggerà l’Arad Doman.

Ituralde ruggì, strattonando le redini del suo cavallo e galoppando via dall’ondata di Trolloc. I membri rimasti della sua scorta lo seguirono.

«Helmke e Cutaris» gridò Ituralde a due dei suoi uomini, dei Domanesi robusti e dagli arti lunghi. «Andate dalla cavalleria di Durhem e dite loro di attaccare il centro non appena appare un varco! Kappre, va’ dalla cavalleria di Alin. Ordinagli di attaccare i Trolloc sul fianco orientale. Sorrentin, va’ da quegli Asha’man! Voglio che i Trolloc brucino!»

I cavalieri si allontanarono al galoppo. Ituralde si diresse a ovest, verso il punto in cui i picchieri stavano ancora tenendo. Iniziò a radunare una delle file posteriori e a portarla nella parte sporgente. Quasi riuscì a farlo funzionare. Ma poi giunsero i Myrddraal, scivolando tra i ranghi dei Trolloc come serpenti, colpendo con viscida rapidità, e uno stormo di Draghkar calò.

Ituralde si ritrovò a combattere per la propria vita.

Attorno a lui, il campo di battaglia era un caos terribile: file distrutte, Trolloc che vagavano liberamente in cerca di uccisioni facili, Myrddraal che invece cercavano di indirizzarli ad attaccare i pochi picchieri ancora in formazione.

Fuochi volarono nell’aria mentre gli Asha’man miravano ai Trolloc, ma le loro fiamme erano più piccole, più deboli di quanto erano state giorni prima. Uomini urlavano, armi cozzavano e bestie ruggivano nel fumo sotto un cielo di nubi troppo nere.

Ituralde stava respirando a fatica. Le sue guardie erano cadute. Perlomeno aveva visto Staven e Rett morire. E gli altri? Non li vedeva. Così tanti morti. Così tanti. C’era sudore nei suoi occhi.

Luce, pensò. Almeno abbiamo dato loro un combattimento. Li abbiamo trattenuti più a lungo di quanto avessi pensato possibile.

C’erano colonne di fumo a nord. Be’, una cosa era andata bene: l’Asha’man Tymoth aveva fatto il suo lavoro. La seconda serie di macchine d’assedio stava bruciando. Alcuni ufficiali avevano definito follia mandar via uno dei suoi Asha’man, ma un incanalatore in più non avrebbe fatto alcuna differenza in questo disastro. E quando i Trolloc avessero attaccato Maradon, la mancanza di quelle catapulte avrebbe fatto una differenza enorme.

Dawnweave cadde. Il giavellotto di un Trolloc che aveva avuto come bersaglio Ituralde aveva colpito basso. Il cavallo urlò con l’arma conficcata nel collo, il sangue che pulsava giù per la sua pelle schiumante di sudore. Ituralde aveva perso altri cavalli in precedenza e sapeva di rotolare da un lato, ma stavolta era troppo sbilanciato. Udì la sua gamba spezzarsi mentre colpiva il suolo.

Strinse i denti, determinato a non morire lì disteso, e si costrinse a mettersi in una posizione seduta. Lasciò cadere la sua spada — nonostante avesse il marchio dell’airone — e sollevò una picca rotta e gettata via in un movimento fluido, conficcandola attraverso il petto di un Trolloc in avvicinamento. Sangue scuro e maleodorante ricoprì il manico, schizzando giù sulle mani di Ituralde mentre il Trolloc urlava e moriva.

C’erano tuoni nell’aria. Quello non era strano: spesso provenivano dei tuoni da queste nubi, il più delle volte paurosamente disgiunti dai lampi.

Ituralde si tirò su con uno strattone, spingendo il Trolloc da una parte facendo leva con la picca. Poi un Myrddraal lo vide.

Ituralde protese la mano verso la sua spada, digrignando i denti, ma sapeva di aver appena visto il suo assassino. Una di quelle cose poteva uccidere una dozzina di uomini. Affrontarla con una gamba rotta...

Cercò di rimettersi in piedi comunque. Fallì, cadendo all’indietro e imprecando. Sollevò la sua spada, pronto a morire mentre la cosa scivolava in avanti, i movimenti come liquido.

Una dozzina di frecce si conficcarono nel Fade.

Ituralde sbatte le palpebre mentre la creatura barcollava. Il tuono stava diventando più forte. Ituralde si puntellò per rialzarsi e rimase sorpreso nel vedere migliaia di cavalieri che non conosceva caricare in formazione attraverso le file dei Trolloc, spazzando via le creature davanti a loro.

Il Drago Rinato! È venuto!

Ma no. Questi uomini sventolavano la bandiera della Saldea. Si guardò indietro. I cancelli di Maradon erano aperti e agli stanchi sopravvissuti di Ituralde veniva concesso di zoppicare dentro. Del fuoco stava volando dalle merlature: ai suoi Asha’man era stato consentito di salire in cima per ottenere una posizione da cui dominare il campo di battaglia.

Un drappello di venti cavalieri si staccò e travolse il Myrddraal, calpestandolo. L’ultimo uomo del gruppo balzò giù di sella e abbatté la creatura con un’ascia a una mano. Per tutto il campo di battaglia i Trolloc venivano travolti o infilzati da frecce e lance.

Non sarebbe durata. Sempre più Trolloc si stavano riversando attraverso le precedenti fortificazioni di Ituralde, procedendo a balzi giù per il pendio. Ma la tregua data dai Saldeani sarebbe stata sufficiente, con quei cancelli aperti e gli Asha’man che scagliavano una distruzione dirompente. I resti dell’armata di Ituralde stavano fuggendo al sicuro nella città. Fu orgoglioso di vedere Barettal e Connel — gli ultimi della sua scorta — arrancare per il campo verso di lui a piedi, i loro destrieri senza dubbio morti, le loro uniformi macchiate di sangue.

Ituralde fece scivolare la sua spada nel fodero e strappò via il giavellotto dal collo di Dawnweave. Sostenendosi con quello, riuscì a mettersi in piedi. Un cavaliere si staccò dalla truppa saldeana e trotterellò verso di lui, un uomo con un volto magro, il naso adunco e un paio di nere sopracciglia cespugliose. Portava una barba corta e spuntata, e sollevò una spada ricoperta di sangue verso Ituralde. «Tu vivi.»

«Proprio così» disse Ituralde mentre le sue due guardie arrivavano. «Tu comandi questa armata?»

«Per ora» disse l’uomo. «Sono Yoeli. Puoi cavalcare?»

«Meglio che restare qui.»

Yoeli allungò una mano e tirò Ituralde in sella dietro di lui. La gamba di Ituralde protestò con una vampata di dolore, ma non c’era tempo per aspettare una barella.

Altri due cavalieri fecero montare sulle loro selle le guardie di Ituralde e presto i tre stavano cavalcando al galoppo verso la città.

«Che siate benedetti» disse Ituralde. «Vi ci è voluto parecchio, però.»

«Lo so.» La voce di Yoeli suonava stranamente cupa. «Spero che tu valga questo, invasore, poiché le mie azioni quest’oggi probabilmente mi costeranno la vita.»

«Cosa?»

L’uomo non replicò. Si limitò a portare Ituralde su zoccoli tonanti al sicuro nella città... sempre che si potesse considerare sicura, considerando che adesso era assediata da un esercito di diverse centinaia di migliaia di Progenie dell’Ombra.


Morgase uscì fuori dall’accampamento. Nessuno la fermò, anche se qualcuno le rivolse delle strane occhiate. Superò il margine boscoso a nord. Gli alberi erano nodoquerce, distanziati per lasciare spazio ai loro grandi rami estesi. Lei si mosse sotto di essi, inalando a fondo l’aria umida.

Gaebril era stato uno dei Reietti.

Alla fine trovò un luogo dove un torrentello montano riempiva una fenditura tra due rocce e creava una polla limpida e immobile. Le alte rocce attorno a essa si assiepavano come un antico trono spezzato costruito per un gigante alto quindici spanne.

Gli alberi sopra di lei erano frondosi, anche se molti parevano malaticci. Un banco di nubi più rade venne soffiato via, permettendo a dita di luce solare di arrivare laggiù dal cielo coperto. Quella luce frammentaria brillò in raggi attraverso l’acqua limpida, creando chiazze luminose sul fondo della polla. Dei pesciolini guizzarono fra quelle chiazze, come esaminando la luce.

Morgase girò attorno alla polla, poi si sistemò in cima a un macigno piatto. Poteva sentire i suoni dell’accampamento in lontananza. Gente che chiamava, pali che venivano conficcati nel terreno, carretti che sbatacchiavano sui sentieri.

Morgase fissò dentro la polla. C’era qualcosa di più odioso di essere resi una pedina di qualcun altro? Di essere costretti a danzare legati ai suoi fili come una marionetta? Quando era giovane, si era abituata a inchinarsi davanti ai capricci degli altri. Quello era stato l’unico modo in cui aveva potuto stabilizzare il suo governo.

Taringail aveva cercato di manipolarla. Per la verità, c’era riuscito buona parte del tempo. C’erano stati anche altri. Così tanti che l’avevano spinta da questa o da quella parte. Lei aveva passato dieci anni ad assecondare qualunque fazione fosse la più forte. Alla fine era stata in grado di portare avanti le proprie manovre. Quando Taringail era morto durante una caccia, molti avevano sussurrato che la sua scomparsa l’aveva liberata, ma quelli vicini a lei avevano saputo che lei aveva già compiuto grandi passi per comprometterne l’autorità.

Riusciva a ricordare il giorno stesso in cui aveva cacciato via gli ultimi di quelli che avevano presunto di essere il vero potere dietro il trono. Nel suo cuore quello era il giorno in cui era diventata davvero regina. Aveva giurato che non avrebbe mai permesso a nessun altro di manipolarla ancora.

E poi, anni dopo, era arrivato Gaebril. Dopo quello, Valda, che era stato peggio. Almeno con Gaebril non si era resa conto di cosa stava accadendo. Quello aveva anestetizzato le ferite.

Un rumore di passi su ramoscelli caduti annunciò una visita. La luce da sopra si affievolì e le nubi più rade procedettero. I raggi di luce svanirono e i pesciolini si sparpagliarono.

I passi si fermarono accanto alla sua pietra. «Me ne vado» disse la voce di Tallanvor. «Aybara ha dato il permesso ai suoi Asha’man di creare passaggi, iniziando con alcune delle città distanti. Andrò a Tear. Gira voce che lì ci sia di nuovo un re. Sta radunando un esercito per combattere nell’Ultima Battaglia. Voglio essere con loro.»

Morgase alzò lo sguardo, fissando davanti attraverso gli alberi. Non era davvero una foresta. «Dicono che sei stato determinato quanto Occhidoro» disse lei piano. «Che non ti riposavi, che ti prendevi a malapena il tempo per mangiare, che trascorrevi ogni momento cercando un modo per liberarmi.»

Tallanvor non disse nulla.

«Non ho mai avuto un uomo che facesse questo per me» continuò lei. «Taringail mi vedeva come una pedina, Thom come una bellezza da cacciare e sedurre, e Gareth come una regina da servire. Ma nessuno di loro ha fatto di me la sua intera vita, il suo cuore. Penso che Thom e Gareth mi amassero, ma come una cosa da tenere con sé e a cui badare, e poi lasciarla andare. Non penso che tu mi avresti mai lasciata andare.»

«Non lo farò» disse Tallanvor piano.

«Vai a Tear. Eppure hai detto che non te ne saresti mai andato.»

«Il mio cuore resta qui» disse lui. «So bene cosa vuol dire amare da lontano, Morgase. L’ho fatto per anni prima che questo folle viaggio cominciasse, e lo farò per anni ancora. Il mio cuore è un traditore. Forse qualche Trolloc mi farà un favore e me lo strapperà dal petto.»

«Così amaro» sussurrò lei.

«Hai messo ampiamente in chiaro che le mie attenzioni sono indesiderate. Una regina e un semplice uomo della Guardia. Pura follia.»

«Non più una regina» disse lei.

«Non di nome, Morgase. Solo negli atteggiamenti.»

Una foglia cadde da sopra e finì nella polla. Con il margine lobato e un verde brillante, avrebbe dovuto poter vivere ancora a lungo.

«Sai qual è la parte peggiore di questo?» chiese Tallanvor. «E la speranza. La speranza che mi permetto di provare. Viaggiare con te, proteggerti... pensavo che forse avresti capito. Che forse te ne sarebbe importato. E ti saresti dimenticata di lui

«Lui?»

«Gaebril» sbottò Tallanvor. «Riesco a vedere che pensi ancora a lui. Perfino dopo tutto quello che ti ha fatto. Io lascio il mio cuore qui, ma tu hai lasciato il tuo a Caemlyn.» Con la coda dell’occhio, lei poté vederlo voltarsi. «Qualunque cosa tu abbia visto in lui, io non ce l’ho. Sono solo un semplice, comune, idiota uomo della guardia che non sa dire le parole giuste. Tu ti struggevi per Gaebril e lui non faceva altro che ignorarti. È questo l’amore. Dannate ceneri, io ho fatto proprio la stessa cosa con te.»

Lei non disse nulla.

«Bene,» proseguì lui «ecco perché devo andare. Ora sei al sicuro e questo è tutto ciò che importa. La Luce mi aiuti, ma è tutto quello che ancora mi importa!»

Fece per allontanarsi, i suoi piedi che calpestavano i rametti.

«Gaebril era uno dei Reietti» disse lei.

Lo scrocchiare di ramoscelli si interruppe.

«In realtà era Rahvin» continuò lei. «Ha preso il controllo dell’Andor tramite l’uso dell’Unico Potere, costringendo la gente a fare come diceva.»

Tallanvor sibilò, i rametti che riprendevano a scrocchiare mentre si riaffrettava verso di lei. «Ne sei sicura?»

«Sicura? No. Ma ha senso. Non possiamo ignorare quello che sta succedendo nel mondo, Tallanvor. Il tempo, il modo in cui il cibo si guasta in un attimo, i movimenti di questo Rand al’Thor. Non è un falso Drago. I Reietti devono essere di nuovo in libertà.

«Tu cosa faresti se fossi uno di loro? Raduneresti un esercito e conquisteresti? Oppure entreresti semplicemente in un palazzo e prenderesti la regina come tua consorte? Corromperesti la sua mente in modo che ti lasciasse fare quello che desideri. Otterresti le risorse di un’intera nazione, tutto con uno sforzo minimo. Soltanto alzare un dito...»

Morgase sollevò la testa e guardò in lontananza. Verso nord. Verso l’Andor. «La chiamano Coercizione. Un flusso oscuro e malvagio che annulla la volontà di chi lo subisce. Io non dovrei conoscere la sua esistenza.

«Tu dici che penso a lui. E vero. Penso a lui e lo odio. Odio me stessa per quello che gli ho permesso di fare. E una parte del mio cuore sa che, se lui comparisse qui e pretendesse qualcosa da me, io gliela darei. Non riuscirei a farne a meno. Ma questa cosa che provo per lui — questa cosa che fonde il mio desiderio e il mio odio come due ciocche in una treccia — non è amore.»

Morgase si voltò e guardò Tallanvor. «Conosco l’amore, Tallanvor, e Gaebril non l’ha mai avuto da me. Dubito che una creatura come lui possa comprendere l’amore.»

Tallanvor incontrò gli occhi di Morgase. I suoi erano grigio scuro, teneri e puri. «Donna, tu mi dai di nuovo quell’enorme speranza. Sta’ attenta a ciò che giace ai tuoi piedi.»

«Ho bisogno di tempo per pensare. Ti asterresti per il momento dall’andare a Tear?»

Lui si inchinò. «Morgase, se vuoi qualunque cosa da me — qualunque cosa — tutto quello che devi fare è chiedere. Pensavo di averlo messo in chiaro. Toglierò il mio nome dalla lista.»

Tallanvor si ritirò. Morgase lo guardò, la sua mente una tempesta malgrado l’immobilità degli alberi e della polla davanti a lei.

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