Gawyn sedeva su una panchina nei giardini del Palazzo di Caemlyn. Erano passate diverse ore da quando aveva mandato via la messaggera di Egwene. Una luna gibbosa era sospesa nel cielo. Dei servitori passavano ogni tanto a vedere se gli servisse qualcosa. Parevano preoccupati per lui.
Gawyn voleva solo guardare il cielo. Erano passate settimane dall’ultima volta che era stato in grado di farlo. L’aria si stava raffreddando, ma lui lasciò la sua giacca appesa sullo schienale della panchina. L’aria aperta gli dava una bella sensazione... diversa, in qualche modo, dalla stessa aria sotto un cielo coperto.
Con l’ultima luce del crepuscolo che svaniva, le stelle brillavano come bambini esitanti, facendo capolino ora che il frastuono del giorno era scemato. Era così bello poterle finalmente vedere di nuovo. Gawyn inspirò a fondo.
Elayne aveva ragione. Buona parte dell’odio di Gawyn per al’Thor proveniva dalla frustrazione. Forse dalla gelosia. Al’Thor stava giocando un ruolo più vicino a quello che Gawyn avrebbe scelto per sé stesso. Governare nazioni, capeggiare eserciti. Guardando le loro vite, chi aveva assunto il ruolo di principe e chi quello di pastore sperduto?
Forse Gawyn resisteva alle richieste di Egwene perché voleva comandare, essere quello che portava a termine le gesta eroiche. Se fosse diventato suo Custode, avrebbe dovuto farsi da parte e aiutare lei a cambiare il mondo. C’era onore nel tenere in vita una persona importante. Un grande onore. Qual era lo scopo delle grandi gesta? Il riconoscimento che portavano o le vite migliori che generavano?
Farsi da parte. Aveva ammirato uomini come Sleete per la loro disponibilità a farlo, ma non li aveva mai compresi. Non davvero. Non posso lasciarla a farlo da sola, pensò. Devo aiutarla. Da dentro la sua ombra.
Perché lui l’amava. Ma anche perché era per il meglio. Se due bardi cercavano di suonare due canzoni diverse allo stesso tempo, facevano entrambi rumore. Ma se uno si faceva indietro per dare armonia alla melodia dell’altro, allora la bellezza poteva essere più grande di quella che ciascuno creava da solo.
E in quel momento, finalmente, comprese. Si alzò in piedi. Non poteva andare da Egwene come un principe. Doveva andare da lei come un Custode. Doveva badare a lei, servirla. Eseguire il suo volere.
Era tempo di tornare.
Mettendosi addosso il mantello, si avviò lungo il sentiero verso il Palazzo. Le serenate iniziali di varie rane dello stagno si interruppero — seguite da schizzi — mentre lui le superava ed entrava nell’edificio. Non dovette camminare molto prima di arrivare alle stanze di sua sorella. Lei sarebbe stata alzata: aveva problemi a dormire, di recente. Nel corso degli ultimi anni, avevano condiviso spesso una conversazione e una tazza di tè caldo prima di andare a letto. Presso le sue porte, però, venne fermato da Birgitte.
Lei gli scoccò un’altra occhiataccia. Sì, non le piaceva essere costretta a fungere da capitano-generale al suo posto. Poteva vederlo ora. Si sentì un po’ impacciato nel dirigersi verso di lei. La donna sollevò una mano. «Non stanotte, principino.»
«Sto partendo per la Torre Bianca» disse lui. «Mi piacerebbe dire addio.»
Fece un passo avanti, ma Birgitte gli mise la mano contro il petto, spingendolo delicatamente all’indietro. «Puoi andare domattina.»
Per poco lui non allungò la mano verso la spada, ma si fermò. Luce! C’era stato un tempo in cui non aveva reagito a questo modo per ogni cosa. Era diventato davvero uno sciocco. «Chiedile se vuole vedermi» disse educatamente. «Per favore.»
«Ho i miei ordini» disse Birgitte. «Inoltre non potrebbe parlarti. Sta dormendo.»
«Sono certo che preferirebbe essere svegliata.»
«Non è quel tipo di sonno» disse Birgitte. Sospirò. «Ha a che fare con faccende da Aes Sedai. Vai a letto. Domattina probabilmente tua sorella avrà notizie per te da parte di Egwene.»
Gawyn si accigliò. Come...
I sogni, si rese conto. Ecco cosa intendevano le Aes Sedai su Egwene che le addestrava a camminare nei loro sogni. «Dunque anche Egwene sta dormendo?»
Birgitte lo squadrò. «Dannate ceneri, probabilmente ho già detto troppo. Fila alle tue stanze.»
Gawyn si allontanò, ma non per andare alle sue stanze.
Aspetterà un momento di debolezza, pensò, ricordando le parole della sul’dam. E quando colpirà, lascerà una tale devastazione che non crederesti mai possa essere causata da un singolo uomo...
Un momento di debolezza.
Schizzò via dalle camere di Elayne, scattando per i corridoi del palazzo fino alla stanza di Viaggio che Elayne aveva allestito. Per fortuna, una donna della Famiglia era in servizio qui, con gli occhi cisposi, ma in attesa, nel caso in cui fosse stato necessario inviare messaggi urgenti. Gawyn non riconosceva la donna dai capelli scuri, ma lei parve riconoscere lui.
Sbadigliò e aprì un passaggio su sua richiesta. Lui lo attraversò di corsa, ritrovandosi sul terreno di Viaggio della Torre Bianca. Il passaggio scomparve proprio dietro di lui. Gawyn trasalì, girandosi con un’imprecazione. Si era quasi chiuso su di lui! Perché mai la donna della Famiglia lo aveva lasciato svanire in modo così brusco e pericoloso? Un attimo prima e gli avrebbe tagliato il piede, o peggio.
Non c’era tempo. Si voltò e continuò a correre.
Egwene, Leane e le Sapienti apparvero in una stanza alla base della Torre, dove un gruppo di donne preoccupate attendeva. Era un posto di guardia che Egwene aveva prestabilito come posizione di ripiego.
«Rapporto!» pretese Egwene.
«Shevan e Carlinya sono morte, Madre» disse Saerin in tono cupo. La brusca Marrone aveva il fiato corto.
Egwene imprecò. «Cos’è successo?»
«Eravamo nel mezzo del nostro stratagemma, impegnate in una discussione su un falso piano per portare pace nell’Arad Doman, come avevi ordinato. E poi...»
«Fuoco» disse Morvrin con un brivido. «Esploso attraverso le pareti. Donne che incanalavano, diverse con incredibile Potere. Ho visto Alviarin lì. Anche altre.»
«Nynaeve è ancora lassù» aggiunse Brendas.
«Donna testarda» disse Egwene, guardando le tre Sapienti. Quelle annuirono. «Mandate fuori Brendas» disse, indicando la Bianca dagli occhi freddi. «Quando ti svegli, vai a svegliare le altre per metterle fuori pericolo. Lascia Nynaeve, Siuan, Leane e me.»
«Sì, Madre» disse Brendas. Amys fece qualcosa per cui la sua forma sbiadì.
«Voi altre» disse Egwene «andate in qualche posto sicuro. Lontano dalla città.»
«Molto bene, Madre» disse Saerin. Rimase al suo posto, però.
«Cosa?» disse Egwene.
«Io...» Saerin si accigliò. «Non posso andare. C’è qualcosa di strano.»
«Sciocchezze» sbottò Bair. «È...»
«Bair» disse Amys. «Non posso andar via. C’è qualcosa di molto sbagliato.»
«Il cielo è viola» disse Yukiri, guardando fuori da una finestrella. «Luce! Sembra una cupola, che copre la Torre e la città. Quando è successo?»
«C’è qualcosa di molto sbagliato qui» disse Bair. «Dovremmo svegliarci.»
Amys scomparve all’improvviso, facendo sussultare Egwene. Fu di ritorno dopo un momento. «Sono stata in grado di tornare al posto dove eravamo prima, ma non posso lasciare la città. Non mi piace questo, Egwene al’Vere.»
Egwene cercò di mandare sé stessa a Cairhien. Non funzionò. Guardò fuori dalla finestra, sentendosi preoccupata, ma risoluta. Sì, c’era del viola sopra di loro.
«Svegliatevi, se dovete» disse alle Sapienti. «Io combatterò. Una delle Anime dell’Ombra è qui.»
Le Sapienti tacquero. «Andremo con te» disse infine Melaine.
«Bene. Voi altre, andate via da questo posto. Recatevi alla Strada del musicista e rimanete lì finché non vi svegliate. Melaine, Amys, Bair, Leane, noi andremo in un luogo più in alto nella Torre, una stanza con pannelli di legno e un letto a baldacchino, con delle cortine di mussolina attorno. È la mia camera da letto.»
Le Sapienti annuirono ed Egwene si inviò lì. Una lampada era posata sul suo comodino; non ardeva qui nel Tel’aran’rhiod, anche se l’aveva lasciata accesa nel mondo reale. Le Sapienti e Leane apparvero attorno a lei. La mussolina che avvolgeva il letto di Egwene si increspò nella brezza della loro comparsa.
La Torre tremò. Il combattimento continuava.
«State attente» disse Egwene. «Diamo la caccia a nemici pericolosi e loro conoscono questo terreno meglio dì voi.»
«Staremo attente» replicò Bair. «Ho sentito che le Anime dell’Ombra si ritengono dominatori di questo posto. Be’, vedremo.»
«Leane,» disse Egwene «puoi cavartela?» Egwene era stata tentata di mandarla via, ma lei e Siuan avevano trascorso un po’ di tempo nel Tel’aran’rhiod. Di sicuro lei aveva più esperienza di molte altre.
«Terrò la testa bassa, Madre» promise. «Ma di certo saranno in superiorità numerica. Hai bisogno di me.»
«D’accordo» disse Egwene.
Le quattro donne scomparvero in un batter d’occhio. Perché non potevano lasciare la Torre? Era preoccupante, ma anche utile. Avrebbe voluto dire che lei era intrappolata qui.
Ma sperava che lo fosse anche Mesaana.
Cinque colombe si levarono in aria, sparpagliandosi dal bordo del tetto. Perrin si girò. L’Assassino era in piedi dietro di lui, e odorava come pietra.
L’uomo dagli occhi duri alzò lo sguardo verso gli uccelli in fuga. «Tuoi?»
«Come avvertimento» replicò Perrin. «Immaginavo che non ti saresti lasciato ingannare dai gusci di noce per terra.»
«Scaltro» disse l’Assassino.
Dietro di lui si estendeva una città magnifica. Perrin non aveva creduto che potesse esistere una città stupefacente quanto Caemlyn. Ma se c’era qualcosa del genere, era Tar Valon. L’intera città era un’opera d’arte, quasi ogni edificio decorato con archi, guglie, incisioni e ornamenti. Perfino le pietre del selciato parevano disposte in modo artistico.
Gli occhi dell’Assassino guizzarono giù verso la cintura di Perrin. Lì, fissato a un borsello che Perrin aveva creato per tenerlo, c’era il ter’angreal. La punta usciva da sopra, pezzi argentei che si avvolgevano l’uno attorno all’altro in una treccia annodata in modo complesso. Perrin aveva cercato nuovamente di distruggere la cosa col pensiero, ma era stato ricacciato indietro. Attaccarla col suo martello non l’aveva nemmeno piegata. Qualunque cosa fosse, era stata costruita per resistere ad attacchi del genere.
«Ti sei fatto abile» disse l’Assassino. «Avrei dovuto ucciderti mesi fa.»
«Credo che tu abbia tentato» disse Perrin, sollevando il suo martello e appoggiandoselo sulla spalla. «Chi sei in realtà?»
«Un uomo di due mondi, Perrin Aybara. E posseduto da entrambi. Devo riavere l’onirichiodo.»
«Avvicinati e lo distruggerò» disse Perrin.
L’Assassino sbuffò, avanzando. «Non ne hai la forza, ragazzo. Nemmeno io possiedo la forza per riuscirci.» I suoi occhi guizzarono inconsciamente sopra la spalla di Perrin. Verso cosa?
Montedrago, pensò Perrin. Dev’essersi preoccupato che stessi venendo da questa parte per gettarcelo dentro.
Quella era dunque un’indicazione di un modo in cui Perrin poteva distruggere il ter’angreal? Oppure l’Assassino stava cercando di sviarlo?
«Non costringermi, ragazzo» disse l’Assassino, spada e coltello che apparivano nelle sue mani mentre avanzava. «Ho già ucciso quattro lupi oggi. Dammi il chiodo.»
Quattro? Ma lui aveva ucciso solo quello che Perrin aveva visto. Sta cercando di pungolarmi.
«Pensi che crederò che non mi ucciderai, se te lo darò?» disse Perrin. «Se te lo dessi, dovresti tornare a rimetterlo a Ghealdan. Sai che ti seguirei semplicemente lì.» Perrin scosse il capo. «Uno di noi deve morire, e questo è quanto.»
L’Assassino esitò, poi sorrise. «Luc ti odia, lo sai. Ti odia profondamente.»
«E tu no?» chiese Perrin, accigliandosi.
«Non più di quanto il lupo odia il cervo.»
«Tu non sei un lupo» disse Perrin, ringhiando piano.
L’Assassino scrollò le spalle. «Facciamola finita con questo, allora.» Scattò avanti.
Gawyn entrò di gran carriera nella Torre Bianca; gli uomini di guardia ebbero a malapena il tempo di rivolgergli il saluto. Lui scattò oltre lampade su sostegni con specchi. Solo una su due era accesa, per risparmiare olio. Mentre raggiungeva una rampa per salire, udì dei passi dietro di sé.
La sua spada sibilò mentre la sfoderava, ruotando. Mazone e Celark si arrestarono. Gli ex Cuccioli indossavano"uniformi della Guardia della Torre ora. Avrebbero cercato di fermarlo? Chi sapeva che genere di ordini Egwene aveva lasciato?
Quelli gli rivolsero il saluto.
«Uomini?» disse Gawyn. «Cosa state facendo?»
«Signore» disse Celark, il volto magro in ombra nella luce discontinua. «Quando un ufficiale corre con un’espressione come quella in faccia, non chiedi se ha bisogno di aiuto. Lo segui e basta!»
Gawyn sorrise. «Andiamo.» Corse su per le rampe, seguito dai due uomini, le spade pronte.
Gli alloggi di Egwene erano piuttosto in alto e il cuore di Gawyn stava palpitando — il respiro affannoso — quando raggiunsero il suo piano. Si affrettarono lungo tre corridoi; poi Gawyn alzò la mano. Lanciò un’occhiata alle vicine rientranze in ombra. Alcune di essere erano abbastanza profonde da nascondere un Coltello del Sangue?
Non puoi avere luce senza ombra...
Sbirciò attorno all’angolo verso la porta di Egwene; si trovava praticamente nella stessa posizione dove era stato quando aveva rovinato i suoi piani in precedenza. Stava facendo la stessa cosa ora? Le sue due guardie si fermarono a poca distanza dietro di lui, attendendo il suo ordine.
Sì. Stava facendo la stessa cosa di prima. Eppure era cambiato qualcosa. Lui si sarebbe assicurato che Egwene fosse protetta così da permetterle di fare grandi cose. Sarebbe stato nella sua ombra e ne sarebbe andato fiero. Avrebbe fatto come lei chiedeva... ma l’avrebbe tenuta al sicuro a ogni costo.
Perché era ciò che un Custode faceva.
Scivolò avanti, facendo cenno ai suoi uomini di seguire. L’oscurità in quella alcova in ombra non sembrava respingere la sua attenzione come nell’occasione precedente. Un buon segno. Si fermò presso la porta e provò ad aprirla con cautela. Non era chiusa a chiave. Trasse un profondo respiro, poi scivolò dentro.
Non scattò nessun allarme; nessuna trappola lo prese e lo scagliò in giro. Alcune lampade erano accese alle pareti. A un debole rumore, alzò lo sguardo. Lassù era appesa una cameriera della Torre, che si dibatteva con gli occhi sgranati e la bocca imbavagliata da un flusso invisibile di Aria.
Gawyn imprecò, scattando per la stanza, e spalancò la porta della camera da letto di Egwene. Il suo letto, con un lato contro la parete opposta, era drappeggiato con cortine di mussolina e una lampada ardeva sul comodino accanto a esso. Gawyn attraversò la stanza fino ad arrivare da lei, scostando le tende. Stava dormendo? Oppure...
Protese una mano verso il suo collo, ma un debole tonfo alle sue spalle lo fece ruotare, descrivendo un arco con la sua spada e bloccando il colpo diretto alla sua schiena. Non una, ma due forme oscure indistinte balzarono dalle ombre. Riservò un’occhiata a Egwene; non c’era sangue, ma non riusciva a distinguere se stava respirando o no. Il suo ingresso aveva interrotto gli assassini in tempo?
Non c’era tempo per controllare. Si mise in 'boccioli di mela al vento’ e iniziò a urlare. I suoi uomini arrivarono alla soglia, poi si bloccarono lì, stupefatti.
«Chiamate altro aiuto!» disse Gawyn. «Andate!»
Lo scuro Mazone si voltò per obbedire mentre Celark, con espressione determinata, balzò nello scontro.
I Coltelli del Sangue erano indistinti e ondulati. Gawyn riuscì a scivolare in 'gatto su sabbia calda’ per metterli alla prova, ma ogni colpo centrò solo l’aria. I suoi occhi gli facevano già male dal cercare di seguire le figure.
Celark attaccò da dietro, ma fu inefficace quanto Gawyn.
Gawyn digrignò i denti, combattendo con le spalle contro il letto. Doveva tenerli lontano da Egwene, abbastanza da far arrivare gli aiuti. Se solo...
Entrambe le figure si contorsero all’improvviso, colpendo Celark all’unisono. L’uomo ebbe a malapena il tempo di imprecare prima che una spada lo raggiungesse al collo e sangue vivido sprizzasse fuori. Gawyn urlò di nuovo, mettendosi in 'lucertola nel pruno’, colpendo gli assassini alle spalle.
Di nuovo, i suoi attacchi mancarono. Pareva che lo facessero solo di poco. Celark crollò sul pavimento con un gorgoglio, il suo sangue che rifletteva la luce delle lanterne, e Gawyn non poteva farsi avanti per difenderlo. Non senza lasciare esposta Egwene.
Uno degli assassini si voltò di nuovo verso Gawyn mentre l’altro decapitava Celark, con un fendente che — nonostante le ombre — parve molto simile a "il fiume scava sotto la riva". Gawyn fece un passo indietro, cercando di distogliere lo sguardo dall’uomo caduto. Difendere. Doveva solo difendere finché non fosse giunto aiuto. Si mosse lentamente di lato.
I Seanchan erano cauti; sapevano che aveva combattuto uno di loro in precedenza. Ma avevano un vantaggio così forte. Gawyn non era certo di poter resistere contro due di loro.
Sì che resisterai, si disse con severità. Se fallisci, Egwene morirà.
Era forse un guizzo di movimento quello nell’altra stanza? Poteva essere giunto aiuto? Gawyn provò un impeto di speranza e si mosse di lato. Da lì riuscì a vedere il corpo di Mazone a terra, sanguinante.
Una terza figura in ombra scivolò nella stanza e si chiuse la porta alle spalle, mettendo il chiavistello. Ecco perché gli altri due avevano esitato. Avevano voluto attendere l’arrivo del loro compagno.
I tre attaccarono assieme.
Perrin lasciò libero il lupo.
Per una volta, non si preoccupò di quali effetti avrebbe avuto su di lui. Lasciò semplicemente che fosse lui e, mentre combatteva, il mondo parve diventare giusto attorno a lui.
Forse era perché si piegava al suo volere.
Giovane Toro balzò da un tetto a Tar Valon, con possenti zampe posteriori che lo facevano saltare in aria e il borsello del ter’angreal legato alla schiena. Si librò sopra una strada e atterrò su un bianco tetto di marmo con gruppi di statue ai margini. Rotolò, rialzandosi come un uomo — il ter’angreal legato in vita — e colpendo con il martello.
L’Assassino scomparve appena prima che l’arma lo centrasse, poi ricomparve accanto a Perrin. Perrin svanì mentre l’Assassino attaccava, poi riapparve appena a sinistra. Continuarono così, girando l’uno attorno all’altro, ciascuno che scompariva e poi appariva di nuovo, sforzandosi di mettere a segno un colpo.
Perrin si gettò fuori dal ciclo, mandandosi a un posto accanto a una delle grandi statue del tetto, un generale dall’aria pomposa. Attaccò, schiantando il suo martello contro di essa, amplificando la potenza del colpo. Pezzi di statua esplosero verso l’Assassino. L’uccisore di lupi apparve, aspettandosi di trovare Perrin accanto a lui. Invece fu investito da una tempesta di pietra e polvere.
L’Assassino urlò, con frammenti di pietra che gli scalfivano la pelle. Immediatamente il suo mantello divenne resistente come acciaio, facendo rimbalzare pezzi di pietra. Lo scagliò all’indietro e l’intero edificio iniziò a tremare. Perrin imprecò e balzò via dal tetto mentre questo crollava.
Perrin si librò, diventando un lupo prima di atterrare su un tetto vicino. L’Assassino comparve di fronte a lui, l’arco teso. Giovane Toro ringhiò, immaginando il vento soffiare, ma l’Assassino non tirò. Rimase semplicemente lì, come se...
Come se fosse solo una statua.
Perrin imprecò, ruotando mentre una freccia gli schizzava vicino, mancandolo solo di poco alla vita. Il vero Assassino si trovava a poca distanza; svanì, lasciando la statua sorprendentemente dettagliata che aveva creato per distrarre Perrin.
Perrin prese un respiro profondo e fece lasciare al sudore la sua fronte. L’Assassino poteva giungere su di lui da qualunque direzione. Si mise un muro alle spalle e si alzò con cautela, esaminando il tetto. Sopra di lui la cupola tremolò. Ci si era abituato: si muoveva con lui.
Ma lui non si stava muovendo.
Abbassò lo sguardo in preda al panico. Il borsello non c’era più: la freccia che l’Assassino aveva scagliato l’aveva tagliato via. Perrin scattò avanti fino al bordo del tetto. Sotto, l’Assassino correva per la strada, il borsello in mano.
Un lupo balzò da un vicolo, andando a sbattere contro l’Assassino, gettandolo a terra. Hopper.
Perrin fu lì in un momento, all’attacco. L’Assassino imprecò, scomparendo da sotto Hopper e ricomparendo al termine della strada. Iniziò a fuggire, lasciando un’immagine indistinta dietro di sé.
Perrin lo seguì e Hopper si unì a lui. Come mi hai trovato?, trasmise Perrin.
Siete due cuccioli stupidi, trasmise Hopper. Fate molto baccano. Come gatti che soffiano. Facili da trovare.
Perrin non aveva mostrato di proposito a Hopper dove si trovava. Dopo aver visto Danza Quercia morire... be’, questo era il combattimento di Perrin. Ora che il ter’angreal era stato portato via da Ghealdan e la sua gente stava scappando, non voleva rischiare le vite di altri lupi.
Non che Hopper se ne sarebbe andato se lui gli avesse detto di farlo. Ringhiando di nuovo, Perrin si precipitò dietro l’Assassino, col lupo al suo fianco.
Egwene si accucciò accanto alla parete del corridoio, col sudore che le colava dalla fronte. Dalla parte opposta rispetto a lei, delle gocce fuse di roccia si raffreddavano dopo un’esplosione infuocata.
Il corridoio della Torre rimase immobile. Poche lampade tremolavano alla parete. Attraverso la finestra, Egwene poteva vedere il cielo violetto. Combatteva da quelle che sembravano ore, anche se probabilmente era passata solo una quindicina di minuti. Aveva perso di vista le Sapienti.
Iniziò a strisciare avanti, usando il flusso contro orecchie indiscrete per rendere silenziosi i propri passi finché non raggiunse un angolo e vi sbirciò attorno. Buio in entrambe le direzioni. Egwene strisciò in avanti, muovendosi in modo cauto e risoluto. La Torre era il suo dominio. Si sentiva invasa, proprio come quando erano giunti i Seanchan. Comunque, questo scontro si stava dimostrando molto diverso dal ricacciare indietro i Seanchan. Allora il nemico era stato audace, facile da individuare.
Una debole luce apparve sotto una soglia più avanti. Si spostò dentro la stanza, preparando dei flussi. Lì c’erano due donne, che parlavano in sussurri, una che teneva in mano un globo di luce. Evanellein e Mestra, due delle Sorelle Nere che erano fuggite dalla Torre Bianca.
Egwene scagliò una palla di fuoco che distrusse Mestra in un inferno ardente. Evanellein guaì ed Egwene usò un trucco che Nynaeve le aveva insegnato: immaginò che Evanellein fosse stupida, incapace di pensare e di reagire.
Gli occhi della donna divennero vitrei e la sua bocca si aprì.
Il pensiero era più rapido dei flussi. Egwene esitò. Ora cosa? Ucciderla mentre era indifesa? Le si strinse lo stomaco al pensiero. Potrei prenderla prigioniera. Andare...
Qualcuno apparve nella stanza con lei. La nuova arrivata era vestita di nero, un abito stupendo con rifiniture argentee. L’oscurità turbinava attorno a lei, fatta di nastri roteanti di stoffa, la sua gonna che si increspava. L’effetto era innaturale e impressionante, possibile solo qui nel Tel’aran’rhiod.
Egwene guardò negli occhi della donna. Grandi e azzurri, posti in un volto angoloso con capelli neri lunghi fino al mento. C’era un potere in quegli occhi ed Egwene seppe immediatamente cosa si trovava di fronte. Perché combattere? Lei non poteva...
Percepì la propria mente cambiare, diventare arrendevole. Vi si oppose con un impeto di panico e, in un momento di chiarezza, si spedì via.
Egwene apparve nelle sue stanze, poi si sollevò la mano alla testa, mettendosi a sedere sul letto. Luce, quanto era forte quella donna.
Qualcosa risuonò dietro di lei; qualcuno che compariva nella stanza. Egwene balzò in piedi, preparando dei flussi. Lì c’era Nynaeve, gli occhi sgranati dalla furia. La donna protese le mani in avanti, formando dei flussi, ma si bloccò.
«Ai giardini» disse Egwene, non fidandosi dei propri alloggi. Non sarebbe dovuta venire qui: Mesaana avrebbe conosciuto questo posto.
Nynaeve annuì ed Egwene scomparve, riapparendo nei giardini inferiori della Torre. La strana cupola viola si estendeva in cielo. Cos’era quella cosa e come aveva fatto Mesaana a portarla qui? Nynaeve apparve un momento dopo.
«Sono ancora lassù» bisbigliò Nynaeve. «Ho appena visto Alviarin.»
«Io ho visto Mesaana» disse Egwene. «Mi ha quasi preso.»
«Luce! Stai bene?»
Egwene annuì. «Mestra è morta. Ho visto anche Evanellein.»
«È nero come una tomba lassù» mormorò Nynaeve. «Penso che l’abbiano reso loro così. Non dovrebbero essere in grado di incanalare così bene con quelle copie imperfette. Siuan e Leane stanno bene: le ho viste poco fa, che si spalleggiavano a vicenda. Appena prima, io sono riuscita a colpire Notori con una vampata di Fuoco. E morta.»
«Bene. L’Ajah Nera ha rubato diciannove ter’angreal. Questo potrebbe darci una stima di quante Sorelle Nere ci troviamo davanti. O, dal momento che sono in grado di incanalare con tanta forza, forse no.» Lei, Siuan, Nynaeve, Leane e le tre Sapienti erano in inferiorità numerica, ma l’Ajah Nera non pareva avere molta esperienza col Tel’aran’rhiod.
«Hai visto le Sapienti?»
«Sono lassù.»
Nynaeve fece una smorfia. «Pare che si stiano divertendo.»
«È probabile» disse Egwene. «Voglio che tu e io andiamo assieme. Compariremo alle intersezioni, schiena contro schiena, e le esamineremo rapidamente in cerca di luce o persone. Se vedi una Nera, colpisci. Se qualcuno vede te, di’ "Vai" e balzeremo di nuovo qui.»
Nynaeve annuì.
«La prima intersezione è quella fuori dal mio alloggio» disse Egwene. «Corridoio sul lato sud. La inonderò di luce; tu sta’ pronta. Da lì, balzeremo giù di un corridoio, accanto alla porta per la rampa di servizio. Quindi proseguiremo così verso il basso.»
Nynaeve annuì bruscamente.
Il mondo svanì attorno a Egwene. Lei comparve nel corridoio e pensò immediatamente a quel posto illuminato, imponendo la sua volontà su di esso. La luce inondò l’intero spazio. Una donna dal volto tondo era accucciata vicino al lato del muro, vestita di bianco. Sedore, una delle Sorelle Nere.
Sedore si girò, l’espressione adirata e flussi che balzavano su attorno a lei. Egwene agì più rapidamente, creando una colonna di fuoco appena prima che Sedore lasciasse andare la propria. Niente flussi da parte di Egwene. Solo il fuoco.
Egwene vide la Nera strabuzzare gli occhi mentre il fuoco ruggiva attorno a lei. Sedore strillò, ma quell’urlo si interruppe quando il calore la consumò. Il suo corpo bruciato crollò a terra fumante.
Egwene esalò un sospiro di sollievo. «Nessuno dalla tua parte?»
«No» disse Nynaeve. «Chi è che hai colpito?»
«Sedore.»
«Davvero?» disse Nynaeve, voltandosi. Era stata un’Adunante per la Gialla.
Egwene sorrise. «Prossimo corridoio.»
Saltarono e ripeterono la loro strategia, inondando il corridoio di luce. Non c’era nessuno lì, così procedettero. I due corridoi successivi erano vuoti. Egwene era sul punto di andare quando una voce sibilò: «Sciocca bambina! Il tuo schema è ovvio.»
Egwene si girò. «Dove...»
Si interruppe quando vide Bair. L’attempata Sapiente aveva cambiato i suoi abiti e perfino la sua stessa pelle per confondersi col bianco della parete e delle piastrelle. Era praticamente invisibile, accucciata in un’alcova.
«Non dovresti...» iniziò Bair.
Una parete accanto a loro esplose all’infuori, gettando in aria pezzi di roccia. Al di là c’erano sei donne, ed esse rilasciarono flussi di Fuoco.
Pareva che il tempo del sotterfugio fosse terminato.
Perrin giunse in cima al muro che circondava i terreni della Torre Bianca, atterrando con un tonfo. La stranezza del sogno del lupo continuava: ora non fiutava solo odori strani, ma udiva anche suoni strani. Un frastuono dall’interno della Torre.
Balzò dietro l’ Assassino, che attraversò i terreni, poi corse su per l’esterno della Torre stessa. Perrin lo seguì, correndo nell’aria. L’Assassino conservò il suo distacco, il borsello con il ter’angreal legato alla sua cintura.
Perrin creò un arco lungo. Lo tese, fermandosi sul posto, in piedi sul lato della Torre. Scagliò, ma l’ammazzalupi balzò su, poi cadde dentro la Torre attraverso una finestra. La freccia lo mancò.
Perrin balzò fino alla finestra, poi vi si tuffò dentro, con Hopper che saltava dentro dietro di lui, lasciandosi alle spalle un’immagine indistinta. Entrarono in una camera da letto con broccati blu. La porta si chiuse sbattendo e Perrin si precipitò dietro l’Assassino. Non si curò di aprire la porta; la mandò in pezzi col suo martello.
L’Assassino corse lungo un corridoio.
Inseguilo, trasmise Perrin a Hopper. Io gli taglierò la strada.
Il lupo corse avanti, dietro l’Assassino. Perrin corse sulla destra, poi tagliò lungo un corridoio. Si mosse rapidamente, le pareti che gli passavano accanto veloci.
Superò un corridoio che pareva pieno di persone. Fu così sorpreso che si fermò di colpo, con il corridoio che sobbalzava attorno a lui.
Erano Aes Sedai, e stavano combattendo. Il corridoio era illuminato, con lingue di fiamma che volavano da un’estremità all’altra. I suoni che aveva udito prima non erano stati un’illusione. E, pensò, sì...
«Egwene?» chiese Perrin.
Lei era premuta contro il muro lì vicino, e guardava assorta lungo il corridoio. Quando Perrin parlò, si girò verso di lui, le mani che si sollevavano. Perrin avvertì qualcosa afferrarlo. La sua mente reagì all’istante, però, spingendo via l’aria.
Egwene trasalì quando non riuscì a ghermirlo.
Lui venne avanti. «Egwene, tu non dovresti essere qui. Questo posto è pericoloso.»
«Perrin?»
«Non so come tu sia arrivata qui» disse Perrin. «Ma devi andartene. Per favore.»
«Come hai fatto a fermarmi?» domandò lei. «Cosa stai facendo qui? Sei stato con Rand? Dimmi dov’è.»
Parlava con tale autorità ora. Sembrava quasi una persona diversa, più vecchia di decenni rispetto alla ragazza che lui aveva conosciuto. Perrin aprì la bocca per replicare, ma Egwene lo interruppe.
«Non ho tempo per questo» disse lei. «Mi dispiace, Perrin. Tornerò per te.» Sollevò una mano e lui percepì le cose cambiare attorno a sé. Apparvero delle corde, e lo legarono.
Perrin abbassò lo sguardo, divertito. Le corde scivolarono via nel momento in cui pensò che erano troppo lente.
Egwene sbatté le palpebre, osservandole cadere a terra. «Come...»
Qualcuno fece irruzione fuori da una stanza vicina, una donna alta e dal collo esile con capelli corvini, con indosso un lucido vestito bianco. Sorrise, sollevando le mani, e una luce apparve di fronte a lei.
Perrin non aveva bisogno di sapere cosa stesse facendo. Lui era un lupo; lui era il dominatore di questo posto. I flussi erano insignificanti. Immaginò l’attacco della donna che lo mancava; lui sapeva che sarebbe stato così.
Una barra di luce incandescente schizzò dalla donna. Perrin sollevò una mano davanti a sé ed Egwene. La luce svanì, come fermata dal suo palmo.
Egwene si voltò e il muro sopra la donna esplose in una pioggia di pietre. Un pezzo colpì brutalmente la donna alla testa, scaraventandola a terra. Luce, probabilmente era morta, dopo un colpo del genere.
Egwene odorava di stupore. Si girò verso di lui. «Fuoco malefico? Tu hai fermato il fuoco malefico? Nulla dovrebbe essere in grado di farlo.»
«È solo un flusso» disse Perrin, protendendo la mente verso Hopper. Dov’era l’Assassino?
«Non è solo un flusso, Perrin, è...»
«Sono spiacente, Egwene» disse lui. «Parlerò con te più tardi. Sta’ attenta in questo posto. Probabilmente sai già di doverlo essere, ma fallo comunque. È più pericoloso di quanto pensi.»
Lui si voltò e corse, lasciando Egwene a borbottare. Pareva che fosse riuscita a diventare una Aes Sedai. Era un bene: se lo meritava.
Hopper?, inviò. Dove sei?
La sua unica riposta fu una trasmissione improvvisa e terrificante di dolore.
Gawyn combatteva per la propria vita contro tre ombre viventi di oscurità e acciaio.
Lo costrinsero a utilizzare fino in fondo tutta la sua capacità, lasciandolo sanguinante una dozzina di volte su braccia e gambe. Lui usò "il ciclone imperversa" e questo difese i suoi punti vitali. A malapena.
Gocce di sangue macchiavano la mussolina delle cortine del letto di Egwene. Se i suoi avversari l’avevano già uccisa, allora fingevano per bene di continuare a minacciarla.
Gawyn si stava indebolendo e stancando. I suoi stivali lasciavano orme insanguinate dove li posava. Non riusciva a sentire il dolore. Le sue parate stavano diventando lente. In un momento o due lo avrebbero abbattuto.
Non giunse nessun aiuto, anche se la sua voce era roca per aver urlato. Sciocco!, pensò. Devi passare più tempo a pensare e meno a gettarti dritto nel pericolo!
Avrebbe dovuto mettere in allerta l’intera Torre.
L’unica ragione per cui era vivo era che i tre stavano combattendo in modo accorto, stancandolo. Una volta che lui fosse caduto, quella sul’dam aveva indicato che avrebbero imperversato per la Torre Bianca. Avrebbero colto le Aes Sedai del tutto di sorpresa. Questa notte poteva essere un disastro maggiore di quanto lo era stato l’originario attacco dei Seanchan.
I tre avanzarono.
No!, pensò Gawyn mentre uno di loro tentava "il fiume scava sotto la riva". Balzò in avanti, schivando due lame, agitando la sua arma. Cosa sorprendente, colpì davvero e una voce risuonò urlando nella stanza. Sangue sprizzò per terra e una forma ombrosa cadde.
Le altre due borbottarono maledizioni e ogni finta per spossarlo scomparve. Lo attaccarono con le armi che lampeggiavano nel mezzo della nebbia scura. Esausto, Gawyn subì un altro colpo alla spalla, il sangue che gli sgocciolava lungo il braccio sotto la giacca.
Ombre. Come poteva sperare un uomo di combattere contro le ombre? Era impossibile!
Dove c’è luce, dev’esserci ombra...
Gli venne in mente un ultimo pensiero disperato. Con un urlo, balzò da un lato e strattonò via un cuscino dal letto di Egwene. Le lame fendettero l’aria attorno a lui mentre ruotava e sbatteva il cuscino sulla lanterna, soffocandola.
Facendo piombare la stanza nell’oscurità. Niente luce. Niente ombre.
Parità.
L’oscurità appianò tutto quanto e, nella notte, non si potevano vedere colori. Lui non poteva vedere il sangue sulle sue braccia, non poteva vedere le ombre nere dei suoi nemici o il biancore del letto di Egwene. Ma poteva sentire gli uomini muoversi.
Sollevò la sua arma per un colpo disperato, usando "il colibrì bacia la rosa", prevedendo dove si sarebbero mossi i Coltelli del Sangue. Non era più distratto dalle loro figure indistinte e il suo colpo andò a segno, affondando nella carne.
Si torse, strattonando via la lama. La stanza piombò nel silenzio, tranne per la caduta dell’uomo che aveva colpito. Gawyn trattenne il fiato, il battito del suo cuore che gli risuonava nelle orecchie. Dov’era l’ultimo assassino?
Nessuna luce entrava dalla stanza accanto; Celark era caduto vicino alla porta, bloccando la luce da sotto.
Gawyn si sentiva traballante ora. Aveva perso troppo sangue. Se avesse avuto qualcosa da lanciare per creare un diversivo... ma no. Muoversi avrebbe fatto frusciare i vestiti, lo avrebbe tradito.
Così, stringendo i denti, batté il piede e sollevò la sua lama a protezione del collo, pregando la Luce che l’attacco giungesse basso.
Lo fece, tagliando in profondità nel suo fianco. Lui lo subì con un grugnito, ma reagì immediatamente con tutto quello che aveva. La sua spada sibilò e, con un breve strattone, tagliò a dovere. Seguì un tonfo: una testa decapitata che rimbalzava contro il muro, seguita dal rumore di un cadavere che colpiva terra.
Gawyn si afflosciò contro il letto, il sangue che gli sgorgava dal fianco. Stava perdendo conoscenza, anche se era difficile distinguerlo nella stanza buia.
Allungò la mano verso dove si ricordava che fosse quella di Egwene, ma era troppo debole per trovarla.
Colpì il pavimento un attimo dopo. Il suo ultimo pensiero fu che non sapeva ancora se lei era morta oppure no.
«Suprema Signora,» disse Katerine, inginocchiandosi davanti a Mesaana «non riusciamo a trovare la cosa che hai descritto. Metà delle nostre donne la sta cercando mentre l’altra metà combatte i vermi che oppongono resistenza. Ma non è da nessuna parte!»
Mesaana incrociò le braccia sotto i seni mentre analizzava la situazione. Con un pensiero sbrigativo, sferzò la schiena di Katerine con linee di Aria. Il fallimento andava sempre punito. La coerenza era la chiave in ogni forma di addestramento.
La Torre Bianca rimbombava sopra di lei, anche se era al sicuro qui. Aveva imposto la propria volontà su questa zona, creando una nuova stanza più in basso dei sotterranei, intagliata come una sacca nella roccia. Era evidente che le bambine che combattevano di sopra si ritenevano esperte in questo posto, ma erano pur sempre bambine. Lei era venuta nel Tel’aran’rhiod per un secolo prima di essere imprigionata.
La Torre rimbombò di nuovo. Lei rifletté attentamente sulla sua situazione. In qualche modo, le Aes Sedai avevano trovato un onirichiodo. Come avevano individuato un tesoro del genere? Mesaana era quasi altrettanto interessata nell’ottenere il controllo su di esso quanto lo era nel dominare l’Amyrlin bambina, Egwene al’Vere. La capacità di impedire passaggi nei tuoi luoghi di rifugio... Be’, era uno strumento vitale, in particolare quando avesse deciso di muovere contro gli altri Prescelti. Era più efficace delle protezioni, difendendo i sogni di qualcuno da qualunque intrusione, e fermava tutte le forme di Viaggiare dentro o fuori dalla zona, tranne per quelli a cui era consentito.
Comunque, con l’onirichiodo posizionato, anche lei non poteva spostare questa battaglia con le bambine lì sopra a un luogo più adatto e selezionato attentamente. Irritante. Ma no, non avrebbe permesso a sé stessa di diventare emotiva riguardo alla situazione.
«Torna di sopra e concentra tutto sul catturare la donna Egwene al’Vere» disse Mesaana. «Lei saprà dov’è il congegno.» Sì, questo ora le era chiaro. Avrebbe ottenuto due vittorie con una singola azione.
«Sì... Padrona...» Katerine era ancora rannicchiata, con cinghie d’Aria che la percuotevano sulla schiena. Ah, sì. Mesaana dissipò il flusso con un gesto brusco. Mentre lo faceva, le venne in mente un’idea.
«Aspetta qui un momento» disse a Katerine. «Metterò su di te un flusso...»
Perrin apparve proprio sulla cima della Torre Bianca.
L’Assassino teneva Hopper per la collottola. Il lupo aveva una freccia conficcata nel fianco; del sangue gli colava lungo la zampa. Il vento soffiava sopra la roccia, prendendo il sangue e schizzandolo sopra le pietre.
«Hopper!» Perrin fece un passo avanti. Poteva percepire la mente di Hopper, anche se era debole.
L’Assassino tenne su il lupo, sollevandolo facilmente. Alzò un coltello.
«No» disse Perrin. «Hai quello che vuoi. Vattene e basta.»
«E cos’era che hai detto prima?» chiese l’Assassino. «Che sapevi dove sarei andato e mi avresti seguito? L’onirichiodo è troppo facile da individuare da questo lato.»
Gettò con noncuranza il lupo giù dal lato della Torre.
«No!» urlò Perrin. Balzò verso il lato, ma l’Assassino comparve accanto a lui, afferrandolo e alzando il suo pugnale. Il balzo li sbatte entrambi giù dal lato della Torre, con lo stomaco di Perrin che sussultava mentre cadevano.
Cercò di mandare via sé stesso, ma l’Assassino lo teneva stretto e lui cercava con tutte le sue forze di mantenerli dov’erano. Tremolarono per un momento, ma continuarono a cadere.
L’Assassino era così forte. Aveva un odore sbagliato, come di stantio e di sangue di lupo. Il suo coltello cercò la gola di Perrin e il meglio che lui poté fare fu sollevare il braccio per bloccarlo, pensando che la sua camicia fosse dura come l’acciaio.
L’Assassino premette più forte. Perrin provò un istante di debolezza, la ferita sul suo petto che pulsava mentre lui e l’Assassino precipitavano. Il coltello tagliò la manica di Perrin e si conficcò nel suo avambraccio.
Perrin urlò. Il vento era così fragoroso. Erano passati solo pochi secondi. L’Assassino strattonò via il pugnale.
Hopper!
Perrin ruggì e scalciò contro l’Assassino, spingendolo via, spezzando la sua stretta. Col braccio che gli bruciava, si rigirò in aria. Il terreno precipitò verso di loro. Lui desiderò essere in un altro posto e apparve appena sotto Hopper, prendendo il lupo e rovinando a terra. Le sue ginocchia si incurvarono e il terreno attorno a lui andò in frantumi. Ma posò Hopper sano e salvo.
Una freccia dall’impennaggio nero sibilò dal cielo e trafisse la schiena di Hopper, passando attraverso il lupo e colpendo Perrin alla coscia, che era piegata al ginocchio proprio sotto il lupo.
Perrin urlò, sentendo il proprio dolore misto a un’improvvisa ondata di agonia proveniente da Hopper. La mente del lupo stava svanendo.
«No!» trasmise Perrin gli occhi umidi di lacrime.
Giovane Toro, trasmise Hopper.
Perrin cercò di mandar via sé stesso, ma la sua mente era confusa. Presto sarebbe caduta un’altra freccia. Lo sapeva. Riuscì a rotolare via mentre colpiva il terreno, ma la sua gamba non funzionava più e Hopper era così pesante. Perrin si gettò a terra, lasciando cadere il lupo e rotolando.
L’Assassino atterrò a poca distanza, con il lungo arco nero e maligno in mano. «Addio, Aybara.» L’Assassino sollevò il suo arco. «Pare che ucciderò cinque lupi oggi.»
Perrin sollevò lo sguardo verso la freccia. Tutto era indistinto.
Non posso lasciare Faile. Non posso lasciare Hopper.
Non lo farò!
Quando l’Assassino scoccò, disperatamente Perrin si immaginò forte, non debole. Sentì il suo cuore divenire di nuovo in salute, le sue vene riempirsi di energia. Urlò, la testa che si schiariva abbastanza per farlo svanire e apparire in piedi dietro l’Assassino.
Colpì col suo martello.
L’Assassino si voltò con indifferenza e bloccò col suo braccio, che era dotato di una forza enorme. Perrin cadde su un ginocchio, il dolore nella sua gamba ancora lì. Annaspò.
«Non puoi guarirti» disse l’Assassino. «Esistono modi, ma semplicemente immaginarti di star bene non funziona. Pare che tu abbia capito come reintegrare il tuo sangue, però, che è utile.»
Perrin fiutò qualcosa. Terrore. Era quello che provava lui stesso?
No. No, ecco. Dietro l’Assassino c’era una porta aperta per la Torre Bianca. Dentro era nero. Non solo ombra, nero. Perrin aveva fatto abbastanza esercizio con Hopper per riconoscere cos’era.
Un incubo.
Mentre l’Assassino apriva la bocca per dire qualcosa, Perrin ringhiò e scagliò tutto il suo peso in avanti, andando a sbattere contro l’Assassino. La sua gamba urlò di dolore.
Ruzzolarono direttamente nel nero dell’incubo.