40 Una creazione

Perrin sedeva da solo sul ceppo di un albero, gli occhi chiusi e la faccia rivolta verso il cielo scuro. L’accampamento era stato montato, il passaggio chiuso e i rapporti ricevuti. Finalmente aveva tempo per riposare.

Quello era pericoloso. Riposare lo faceva pensare. Pensare riportava a galla ricordi. Ricordi portavano dolore.

Poteva fiutare il mondo nel vento. Strati di odori, che mulinavano assieme. Il campo attorno a lui: persone sudate, spezie per cucinare, saponi per pulire, escrementi di cavallo, emozioni. Le colline attorno a loro: aghi di pino secchi, fango da un torrente, la carcassa di un animale morto. Il mondo al di là: tracce di polvere dalla strada distante, una macchia di lavanda che in qualche modo era sopravvissuta nel mondo morente.

Non c’era polline. Non c’erano lupi. Entrambe le cose a lui sembravano segni terribili.

Provò nausea. Un male fisico, come se il suo stomaco fosse pieno di limacciosa acqua di palude, muschio marcio e pezzi di scarafaggi morti. Voleva urlare. Voleva trovare l’Assassino e ucciderlo, tempestargli la faccia di pugni finché non fosse stata inghiottita nel sangue.

Dei passi si avvicinarono. Faile. «Perrin? Vuoi parlare?»

Lui aprì gli occhi. Avrebbe dovuto piangere, urlare. Ma si sentiva così freddo. Freddo e furibondo. Quelle due cose non andavano bene assieme per lui.

La sua tenda era stata montata lì vicino; i suoi lembi svolazzavano al vento. Nei paraggi, Gaul si reclinò contro un alberello di ericacea. In lontananza, uno dei maniscalchi lavorava fin tardi. Bassi rintocchi nella notte.

«Ho fallito, Faile» mormorò Perrin.

«Hai preso il ter’angreal» disse lei, inginocchiandoglisi accanto. «Hai salvato la gente.»

«Eppure l’Assassino ci ha sconfitto» disse lui con amarezza. «Un branco di cinque di noi assieme non è stato sufficiente per affrontarlo.»

Perrin si era sentito a quel modo quando aveva trovato la sua famiglia morta, uccisa dai Trolloc. Quanti cari gli avrebbe portato via l’Ombra prima che giungesse la fine di tutto questo? Hopper sarebbe dovuto essere al sicuro nel sogno del lupo.

Sciocco cucciolo, sciocco cucciolo.

C’era davvero mai stata una trappola per l’esercito di Perrin? L’onirichiodo dell’Assassino poteva essere stato inteso per uno scopo completamente diverso. Solo una coincidenza.

Non esistono coincidenze per i ta’veren...

Gli occorreva trovare qualcosa da fare per la sua rabbia e il suo dolore. Si alzò, voltandosi, e fu sorpreso di vedere come molte luci brillassero ancora nell’accampamento. Un gruppo di persone attendeva lì vicino, abbastanza distanti da lui che non aveva distinto i loro odori specifici. Alliandre in un abito dorato. Berelain in blu. Entrambe sedevano su delle sedie accanto a un tavolino di legno da viaggio, su cui era posata una lanterna. Elyas sedeva su una roccia accanto a loro, affilando il suo coltello. Una dozzina degli uomini dei Fiumi Gemelli — Wil al’Seen, Jon Ayellin e Grayor Fenn tra loro — erano rannicchiati attorno a una buca per il fuoco, e lo guardavano. Anche Arganda e Gallenne erano lì, parlavano piano.

«Dovrebbero dormire» disse Perrin.

«Sono preoccupati per te» disse Faile. Anche lei odorava di preoccupazione. «E sono preoccupati che li manderai via, ora che i passaggi funzionano di nuovo.»

«Sciocchi» mormorò Perrin. «Sono degli sciocchi a seguirmi. Sciocchi a non nascondersi.»

«Vorresti davvero che lo facessero?» disse Faile, arrabbiata. «Rintanarsi da qualche parte mentre ha luogo l’Ultima Battaglia? Non hai detto tu stesso che ogni uomo sarebbe stato necessario?»

Aveva ragione. Ogni uomo sarebbe stato necessario. Perrin si rese conto che parte della sua frustrazione era dovuta al fatto che non sapeva a cosa fosse sfuggito. Era riuscito a cavarsela, ma da cosa? Per cosa era morto Hopper? Non conoscere il piano del nemico lo faceva sentire cieco.

Si allontanò dal ceppo, diretto verso il punto dove Arganda e Gallenne stavano parlando. «Portatemi la nostra mappa» disse. «Della strada di Jehannah.»

Arganda chiamò Hirshanin e gli disse dove trovarne una. Hirshanin corse via e Perrin iniziò a camminare per l’accampamento. Verso il suono di metallo che colpiva metallo, il maniscalco che lavorava. Perrin sembrava attirato verso di esso. Gli odori del campo turbinavano attorno a lui, il cielo rombava sopra di lui.

Gli altri lo seguirono. Faile, Berelain e Alliandre, gli uomini dei Fiumi Gemelli, Elyas, Gaul. Il gruppo crebbe, con altri uomini dei Fiumi Gemelli che si aggregarono. Nessuno parlò e Perrin li ignorò, finché non arrivò da Aemin che stava lavorando a un’incudine, una delle forge trainate da cavalli del campo, montata accanto a lui e che ardeva di una luce rossa.

Hirshanin raggiunse Perrin mentre arrivava lì, portando la mappa. Perrin la srotolò, tenendola davanti a sé mentre Aemin interrompeva il suo lavoro, odorando di curiosità. «Arganda, Gallenne» disse Perrin. «Ditemi. Se doveste organizzare la migliore imboscata per un gruppo numeroso che si muove lungo questa strada verso Lugard, dove la mettereste?»

«Qui» disse Arganda senza esitazioni, indicando un piano a diverse ore da dove erano stati accampati. «Vedi qui? La strada svolta per seguire un vecchio letto di torrente inaridito. Un esercito che passasse di qui sarebbe completamente esposto a un’imboscata; saresti in grado di attaccarli dalle alture qui e qui.»

Gallenne annuì. «Sì. Questo è segnato come un posto eccellente dove un gruppo numeroso possa accamparsi. Alla base di quella collina dove la strada svolta. Ma se qualcuno fosse sulle alture e volesse farti del male, potresti non svegliarti al mattino.»

Arganda annuì.

Le alture si elevavano con una sommità piatta a nord della strada; il vecchio alveo del fiume aveva tagliato un percorso ampio e pianeggiante dilavato a sud e a ovest. Potevi far stare un esercito su quelle alture.

«Cosa sono questi?» chiese Perrin, indicando alcuni segni a sud della strada.

«Vecchie rovine» disse Arganda. «Nulla di importante: sono state erose troppo per fornire copertura. In effetti si tratta solo di qualche macigno coperto di muschio.»

Perrin annuì. Qualcosa stava assumendo un senso per lui. «Grady e Neald stanno dormendo?» chiese.

«No» disse Berelain. «Hanno detto che volevano stare svegli, per ogni evenienza. Credo che il tuo umore li abbia spaventati.»

«Mandateli a chiamare» disse Perrin a nessuno in particolare. «Bisogna che uno di loro controlli l’esercito dei Manti Bianchi. Ricordo che qualcuno mi aveva detto che avevano smontato il campo.» Non attese per vedere se l’ordine veniva eseguito. Si avvicinò alla forgia, posando una mano sulla spalla di Aemin. «Riposati un poco, Aemin. Ho bisogno di qualcosa su cui lavorare. Ferri di cavallo, vero?»

L’uomo annuì, sembrando perplesso. Perrin prese il grembiule e i guanti dell’uomo, e Aemin si allontanò. Perrin tirò fuori il proprio martello. Il martello che gli era stato dato a Tear, un martello che era stato usato per uccidere, ma non era stato usato per creare da parecchio tempo.

Il martello poteva essere o un’arma o uno strumento. Perrin aveva una scelta, proprio come chiunque lo seguiva aveva una scelta. Hopper aveva avuto una scelta. Il lupo aveva fatto quella scelta, rischiando in difesa della Luce più di quanto qualunque umano — tranne Perrin — avrebbe mai capito.

Perrin usò le pinze per tirar via dai tizzoni un piccolo pezzo di metallo, poi lo posò sull’incudine. Sollevò il braccio e iniziò a martellare.

Era passato parecchio tempo dall’ultima volta che si era recato in una forgia. In effetti, l’ultima occasione in cui riusciva a ricordare di aver fatto del lavoro concreto in una di esse era a Tear, in quel pacifico giorno quando aveva lasciato da parte le sue responsabilità per breve tempo e aveva lavorato a quella fucina.

Tu sei come un lupo, marito. Faile gli aveva detto quello, riferendosi a quanto diventava concentrato. Quella era una cosa da lupi; potevano conoscere il passato e il futuro, tuttavia mantenere la loro attenzione sulla caccia. Lui poteva fare lo stesso? Permettere a sé stesso di consumarsi quando necessario, tuttavia mantenere l’equilibrio in altre parti della sua vita?

Il lavoro cominciò ad assorbirlo. Il battito ritmico del martello sul metallo. Appiattì il pezzo di ferro, rimettendolo ogni tanto tra i tizzoni e tirandone fuori un altro, lavorando su diversi ferri di cavallo allo stesso tempo. Vicino aveva le misure per le dimensioni di ciò che era necessario. Piegò lentamente il metallo contro il lato dell’incudine, dandogli forma. Le sue braccia iniziarono a sudare, la sua faccia riscaldata dal fuoco e dal lavoro.

Neald e Grady arrivarono, assieme alle Sapienti e a Masuri. Mentre Perrin lavorava, li notò inviare Sulin attraverso un passaggio per controllare i Manti Bianchi. Lei tornò poco tempo dopo, ma ritardò il suo rapporto, dal momento che Perrin era occupato col suo lavoro.

Perrin tenne in alto un ferro di cavallo, poi si accigliò. Questo non era un lavoro abbastanza difficile. Lo calmava, sì, ma oggi voleva qualcosa di più impegnativo. Provava un bisogno di creare, come per riequilibrare la distruzione che aveva visto nel mondo, la distruzione che aveva aiutato a creare. C’erano diversi lunghi pezzi di acciaio non lavorato impilati accanto alla forgia, probabilmente in attesa di essere trasformati in spade per gli ex profughi.

Perrin ne prese diversi e li mise fra i carboni ardenti. Questa forgia non era buona come quella a cui era abituato; anche se aveva un mantice e tre barili per temprare, il vento raffreddava il metallo e i carboni non si riscaldavano quanto avrebbe preferito. Osservò con insoddisfazione.

«Posso aiutarti con quello, lord Perrin» disse Neald da un lato. «Riscaldare il metallo, se vuoi.»

Perrin lo squadrò, poi annuì. Tirò fuori una barra di acciaio, tenendola in alto con le sue pinze. «Voglio un bel giallo-rosso. Non così caldo da diventare bianco, bada.»

Neald annuì. Perrin mise la barra sull’incudine, tirò fuori il suo martello e ricominciò a battere. Neald rimase da un lato, concentrandosi.

Perrin si perse nel lavoro. Forgiare l’acciaio. Tutto il resto svanì. Il ritmo costante dei colpi di martello sul metallo, come il battito del suo cuore. Quel metallo scintillante, caldo e pericoloso. In quella concentrazione, Perrin trovò chiarezza. Il mondo si stava incrinando, rompendosi ogni giorno di più. Aveva bisogno d’aiuto, proprio ora. Una volta che una cosa era andata in frantumi, non potevi rimetterla assieme.

«Neald» disse la voce di Grady. Era urgente, ma distante per Perrin. «Neald, cosa stai facendo?»

«Non lo so» rispose Neald. «Sento che è la cosa giusta.»

Perrin continuava a martellare, sempre più forte. Piegò il metallo, appiattendo pezzi l’uno contro l’altro. Era meraviglioso il modo in cui l’Asha’man lo manteneva proprio alla giusta temperatura. Questo liberava Perrin dal doversi affidare solo a pochi attimi di temperatura perfetta tra un riscaldamento e l’altro.

Il metallo sembrava fluire, quasi come modellato dalla sua sola volontà. Cosa stava facendo? Prese le altre due sbarre dalle fiamme, poi iniziò ad alternare le tre. La prima e più grande la piegò su sé stessa, modellandola, usando un procedimento noto come restringimento in cui ne accresceva la circonferenza. Ne fece una grossa palla, poi vi aggiunse altro acciaio finché non fu quasi delle dimensioni della testa di un uomo. La seconda la tirò, rendendola lunga e sottile, poi la piegò in una stretta verga. L’ultimo pezzo, il più piccolo, lo appiattì.

Inspirò ed espirò, i suoi polmoni che sgobbavano come mantici. Il suo sudore era come le acque per temprare. Le sue braccia erano come l’incudine. Lui era la forgia.

«Sapienti, ho bisogno di un circolo» disse Neald in tono urgente. «Ora. Non discutete! Mi serve!»

Delle scintille iniziarono a volare mentre Perrin martellava. Piogge più grandi a ogni colpo. Perrin percepì qualcosa filtrare da lui, come se ogni colpo infondesse il metallo con la sua stessa forza e anche con le sue sensazioni. Sia preoccupazioni che speranza. Queste fluivano da lui nei tre pezzi non terminati.

Il mondo stava morendo. Lui non poteva salvarlo. Quello era compito di Rand. Perrin voleva solo tornare alla sua vita semplice, giusto?

No. No, lui voleva Faile, voleva complessità. Voleva vita. Non poteva nascondersi, non più di quanto la gente che seguiva lui poteva farlo.

Perrin non voleva la loro fedeltà. Ma ce l’aveva. Come si sarebbe sentito se qualcun altro avesse preso il comando e poi avesse causato la loro morte?

Colpo dopo colpo. Piogge di scintille. Troppe, come se stesse martellando contro un secchio di metallo liquido. Le scintille schizzavano in aria, esplodendo dal suo martello, volando alte come le cime degli alberi e allargandosi di decine di passi. La gente lì ad assistere indietreggiò, tutti tranne gli Asha’man e le Sapienti, che erano radunate attorno a Neald.

Io non voglio comandarli, pensò Perrin. Ma se non lo faccio io, chi lo farà? Se li abbandono e loro muoiono, allora sarà colpa mia.

Perrin ora vide quello che stava facendo, quello che aveva cercato di fare fin dall’inizio. Modellò il pezzo più grosso a forma di mattone. Il pezzo lungo divenne una bacchetta, spessa quanto tre dita. Il pezzo piatto divenne una staffa bloccante, un pezzo di metallo da avvolgere attorno alla testa per unirla al manico.

Un martello. Stava facendo un martello. Queste erano le parti.

Ora comprendeva.

Si impegnò nel suo compito. Colpo dopo colpo. Quei battiti erano così forti. Ogni colpo pareva far tremare il terreno attorno a lui, scuotendo le tende. Perrin esultò. Sapeva cosa stava facendo. Finalmente sapeva cosa stava facendo.

Non aveva chiesto di diventare un capo, ma questo lo assolveva dalle responsabilità? La gente aveva bisogno di lui. Il mondo aveva bisogno di lui. E, con una comprensione che si raffreddava in lui come roccia fusa che assumeva una forma, si rese conto che lui voleva comandare.

Se qualcuno doveva essere lord di questa gente, lui voleva farlo in prima persona. Perché farlo in prima persona era l’unico modo per assicurarsi che fosse fatto nel modo giusto.

Usò il suo scalpello e la bacchetta, modellando un buco attraverso il centro della testa del martello, poi prese il manico e — sollevandolo alto sopra la testa — lo conficcò al suo posto. Prese la staffa e la posò sul martello, poi la modellò. Appena pochi momenti prima, questo procedimento si era nutrito della sua rabbia. Ma ora sembrava tirar fuori la sua fermezza, la sua determinazione.

Il metallo era qualcosa di vivo. Ogni fabbro lo sapeva. Una volta riscaldatolo, mentre lo lavoravi, esso viveva. Prese il martello e lo scalpello e iniziò a forgiare motivi, striature, modifiche. Usò lo scalpello su un pezzetto d’acciaio per dare una forma, poi lo mise in cima al martello.

Con un ruggito, sollevò il proprio un’ultima volta sopra la testa e lo abbatté su quello nuovo, imprimendo l’ornamento sul lato del martello. Un lupo che balzava.

Perrin abbassò i suoi attrezzi. Sull’incudine — che ancora riluceva di un calore interno — c’era un martello stupendo. Un’opera che oltrepassava qualunque cosa lui avesse mai creato o pensato di poter creare. Aveva una testa spessa e poderosa, come un maglio o una mazza, ma la parte posteriore era formata a croce e appiattita. Come un attrezzo da fabbro. Era quattro piedi da cima a fondo, forse di più, dimensioni enormi per un martello di questo tipo.

Il manico era d’acciaio, qualcosa che Perrin non aveva mai visto in un martello prima. Lo raccolse; fu in grado di sollevarlo con una mano, ma a malapena. Era pesante. Solido.

La decorazione era uno schema a reticolo con il lupo che saltava stampigliato su un lato. Assomigliava a Hopper. Perrin lo toccò con un pollice calloso e il metallo si placò. Lo sentiva ancora caldo al tocco, ma non lo bruciò.

Si voltò per guardare e rimase meravigliato dalla folla degli astanti. Gli uomini dei Fiumi Gemelli si trovavano sul davanti, Jori Congar, Azi al’Thone, Wil al’Seen e centinaia d’altri. Ghealdani, Cairhienesi, Andorani, Mayenesi. Tutti osservavano in silenzio. Il terreno attorno a Perrin era annerito per le scintille cadute; gocce di metallo argenteo si erano diffuse attorno a lui come raggi di sole.

Neald crollò in ginocchio annaspando, la sua faccia madida di sudore. Grady e le donne del circolo si misero a sedere, con aria esausta. Tutte e sei le Sapienti si erano unite. Cosa avevano fatto?

Perrin si sentiva esausto, come se tutta la sua forza e le sue emozioni fossero state forgiate nel metallo. Ma non poteva riposare. «Wil. Settimane fa ti ho dato un ordine. Bruciare gli stendardi con raffigurata la testa di lupo. Hai obbedito? Li hai bruciati tutti quanti?»

Wil al’Seen incontrò i suoi occhi, poi abbassò lo sguardo, imbarazzato. «Lord Perrin, ho tentato. Ma... Luce, non ho potuto farlo. Ne ho tenuto uno. Quello che avevo aiutato a cucire.»

«Vallo a prendere, Wil» disse Perrin. La sua stessa voce suonava come acciaio.

Wil corse, odorando di paura. Tornò poco dopo, portando un tessuto piegato, bianco con un bordo rosso. Perrin lo prese, poi lo tenne in una mano riverente, il martello nell’altra. Guardò la folla. Faile era lì, le mani serrate davanti a lei. Odorava di speranza. Lei poteva vedere dentro di lui. Lei sapeva.

«Ho cercato di mandarvi via» annunciò Perrin alla folla. «Voi non volevate andare. Dovete sapere questo. Io ho delle manchevolezze. Se marciamo in guerra, non sarò in grado di proteggervi tutti. Commetterò errori.»

Passò in rassegna la folla, incontrando gli occhi di quelli che si trovavano lì. Ciascun uomo o donna che lui guardava annuiva in silenzio. Niente rimpianti, niente esitazioni. Annuivano.

Perrin prese un respiro profondo. «Se è questo che desiderate, io accetterò i vostri giuramenti. Io vi guiderò.»

Quelli lo acclamarono. Un enorme boato di eccitazione. «Occhidoro! Occhidoro il lupo! All’Ultima Battaglia! Tai’shar Manetheren

«Wil!» tuonò Perrin, tenendo sollevato lo stendardo. «Innalza questo stendardo. Non ammainatelo di nuovo finché l’Ultima battaglia non sarà vinta. Io marcio sotto il segno del lupo. Voialtri, svegliate il campo. Fate preparare ogni soldato a combattere. Abbiamo un altro compito stanotte!»

Il giovane prese lo stendardo e lo spiegò, con Jori e Azi che si univano a lui e lo reggevano in modo che non toccasse terra. Lo sollevarono alto, correndo a prendere un’asta. Il gruppo si separò, con uomini che correvano di qua e di là a chiamare gli altri.

Perrin prese Faile per mano mentre lei gli si avvicinava. Odorava di soddisfazione. «Ci siamo, allora?»

«Basta lamentele» promise lui. «Non mi piace. Ma non mi piace nemmeno uccidere. Farò quello che va fatto.» Abbassò lo sguardo verso l’incudine, annerita dal suo lavoro. Il suo vecchio martello, ora logoro e ammaccato, giaceva sopra di essa. Lasciarlo lo rattristava, ma aveva preso la sua decisione.

«Cos’hai fatto, Neald?» chiese quando l’Asha’man — ancora con l’aspetto pallido — si rialzò barcollando. Perrin sollevò il nuovo martello, mostrando quell’opera magnifica.

«Non lo so, mio signore» disse Neald. «È solo... be’, come ho detto. Sentivo che era la cosa giusta. Ho visto cosa fare, come mettere i flussi nel metallo stesso. Pareva attirarli dentro, come un oceano che inghiotte l’acqua di un torrente.» Arrossì, come se pensasse che fosse una metafora stupida.

«Suona bene» disse Perrin. «Occorre un nome, a questo martello. Conosci molto della Lingua Antica?»

«No, mio signore.»

Perrin guardò il lupo impresso sul lato. «Qualcuno sa come si dice 'colui che si libra’?»

«Io... io non...»

«Mah’alleinir» disse Berelain, avvicinandosi dal punto dove era stata a guardare.

«Mah’alleinir» ripete Perrin. «Suona bene. Sulin? Che notizie sui Manti Bianchi?»

«Hanno montato il campo, Perrin Aybara» rispose la Fanciulla.

«Mostrami» disse, facendo un gesto verso la mappa di Arganda.

Lei indicò l’ubicazione: un pezzo di terra sul lato di una collina, con alture che correvano a nord di esso, la strada che arrivava da nordest, curvando a sud delle alture — seguendo l’antico letto del fiume — e poi piegava a sud dove raggiungeva il campo presso la collina. Da lì, la strada si dirigeva verso Lugard, ma l’accampamento era protetto dal vento su due lati. Era un luogo perfetto per accamparsi, ma anche per un’imboscata. Quello che Arganda e Gallenne avevano evidenziato.

Perrin guardò quel passaggio e il luogo dell’accampamento, pensando a quello che era successo nelle ultime settimane. Abbiamo incontrato dei viaggiatori... hanno detto che a nord il fango aveva reso il terreno quasi completamente impraticabile per i carri...

Un gregge di pecore, che correva davanti al branco per finire nelle fauci di una bestia. Faile e gli altri, che camminavano verso un dirupo. Luce!

«Grady, Neald» disse Perrin. «Mi servirà un altro passaggio. Potete farcela?»

«Penso di sì» disse Neald. «Dacci solo qualche minuto per riprendere fiato.»

«Molto bene. Posizionatelo qui.» Perrin indicò le alture sopra il campo dei Manti Bianchi. «Gaul!» Come al solito l’Aiel attendeva lì vicino. Arrivò con ampie falcate. «Voglio che tu vada a parlare con Dannil, Arganda, Gallenne. Voglio che l’intero esercito attraversi il passaggio il più rapidamente possibile, ma devono farlo in silenzio. Ci muoveremo nel modo più furtivo possibile per un esercito di queste dimensioni.»

Gaul annuì, correndo via. Gallenne era ancora nei paraggi. Gaul iniziò parlando con lui.

Faile osservò Perrin, odorando di curiosità e un po’ di ansia. «Cosa hai in mente, marito?»

«È tempo che io comandi» disse Perrin. Diede un’ultima occhiata al suo vecchio martello e posò le dita sul suo manico. Poi sollevò Mah’alleinir, se lo mise sulla spalla e si allontanò, i piedi che scrocchiavano su gocce di acciaio indurito.

L’attrezzo che si era lasciato dietro era il martello di un semplice fabbro. Quella persona sarebbe stata sempre parte di Perrin, ma non poteva più permettersi di lasciare che fosse quella a guidare.

D’ora in poi, avrebbe portato il martello di un re.


Faile fece scorrere le dita sull’incudine mentre Perrin si allontanava, dando a gran voce ulteriori ordini di preparare l’esercito.

Perrin si rendeva conto di come era apparso, in piedi in mezzo a quella pioggia di scintille, ciascun colpo del suo martello che faceva pulsare e avvampare come vivo l’acciaio davanti a lui? I suoi occhi dorati avevano sfavillato con la stessa lucentezza dell’acciaio; ciascun rintocco del martello era stato quasi assordante.

«Sono passati molti secoli da quando questa terra ha visto la creazione di un’arma forgiata con il Potere» disse Berelain. Parecchi altri si erano allontanati per eseguire gli ordini di Perrin e le due donne erano sole, tranne per Gallenne in piedi lì vicino a studiare la mappa mentre si grattava il mento. «Quello che il giovane uomo ha appena mostrato è un Talento potente. Sarà utile. L’esercito di Perrin avrà armi forgiate col Potere a rafforzarlo.»

«Il processo pare molto estenuante» disse Faile. «Perfino se Neald può ripetere quello che ha fatto, dubito che gli faremo costruire molte armi.»

«Ogni piccolo vantaggio aiuta» disse Berelain. «Questo esercito che tuo marito ha forgiato sarà qualcosa di incredibile. Questa è opera del suo essere ta’veren. Raduna uomini e loro imparano con velocità e perizia incredibile.»

«Forse» disse Faile, camminando lentamente attorno all’incudine, tenendo i suoi occhi su Berelain, che vi girò attorno nell’altra direzione. A cosa stava giocando Berelain qui?

«Allora dobbiamo parlare con lui» disse Berelain. «Distoglierlo da questa linea d’azione.»

«Questa linea d’azione?» chiese Faile, sinceramente confusa.

Berelain si fermò, i suoi occhi accesi di qualcosa. Sembrava tesa.

È preoccupata, pensò Faile. Profondamente preoccupata per qualcosa.

«Lord Perrin non deve attaccare i Manti Bianchi» disse Berelain. «Ti prego, devi aiutarmi a persuaderlo.»

«Lui non ha intenzione di attaccarli» disse Faile. Ne era ragionevolmente certa.

«Sta predisponendo un’imboscata perfetta» disse Berelain. «Asha’man a usare l’Unico Potere. Arcieri dei Fiumi Gemelli per tirare dalle alture giù sul campo dei Figli. Cavalleria per travolgerli e spazzarli via dopo.» Esitò, all’apparenza addolorata. «Li ha ingannati alla perfezione. Ha detto loro che se sia lui che Damodred fossero sopravvissuti all’Ultima Battaglia, lui si sarebbe sottomesso alla punizione. Ma Perrin ha intenzione di accertarsi che i Manti Bianchi non raggiungano l’Ultima Battaglia. In questo modo può mantenere il suo giuramento, ma anche evitare di consegnarsi.»

Faile scosse il capo. «Lui non lo farebbe mai, Berelain.»

«Puoi esserne certa?» chiese Berelain. «Assolutamente certa?»

Faile esitò. Perrin era cambiato, di recente. Molti dei cambiamenti erano buoni, così come la sua decisione di accettare finalmente il comando. E l’imboscata di cui Berelain parlava avrebbe avuto una sorta di senso perfetto e spietato.

Ma era anche sbagliato. Terribilmente sbagliato. Perrin non l’avrebbe mai fatto, a prescindere da quanto fosse cambiato. Di questo Faile poteva essere certa.

«Sì» disse. «Dare una promessa a Galad, poi massacrare i Manti Bianchi in questo modo lacererebbe Perrin. Lui non pensa a quel modo. Non accadrà.»

«Spero che tu abbia ragione» disse Berelain. «Avevo sperato che potessimo raggiungere qualche sorta di accomodamento con il loro comandante prima di partire...»

Un Manto Bianco. Luce! Berelain non avrebbe potuto scegliere uno dei nobili nel campo a cui rivolgere le sue attenzioni? Uno che non fosse sposato? «Non sei molto brava nello scegliere gli uomini, vero, Berelain?» Le parole le uscirono fuori così.

Berelain si voltò di nuovo verso Faile, gli occhi sgranati per lo stupore o la rabbia. «Allora Perrin?»

«Non sarebbe stato per niente adatto a te» disse Faile tirando su col naso. «Lo hai mostrato stanotte, per via di quello di cui lo ritieni capace.»

«L’essere adatto è irrilevante. Io sono stata promessa a lui.»

«Da chi?»

«Dal lord Drago» rispose Berelain.

«Cosa?»

«Sono andata dal Drago Rinato nella Pietra di Tear» disse. «Ma lui non mi ha voluto... si è perfino incollerito per i miei approcci. Mi sono resa conto che lui, il Drago Rinato, intendeva sposare una nobildonna di rango molto più alto, probabilmente Elayne Trakand. Ha senso: non può prendere ogni regno con la spada: alcuni verranno a lui tramite alleanze. L’Andor è molto potente, è governato da una donna e sarebbe vantaggioso da detenere tramite matrimonio.»

«Perrin dice che Rand non pensa a quel modo, Berelain» disse Faile. «Non è così calcolatore. Sono incline a crederlo anch’io, da quello che so di lui.»

«E tu dici lo stesso di Perrin. Vorresti farmi credere che sono tutti così sempliciotti. Senza un po’ di sale in zucca.»

«Non ho detto questo.»

«Eppure ti avvali delle stesse vecchie obiezioni. Stancante. Be’, io mi sono resa conto di quello che il lord Drago sottintendeva, così ho rivolto le mie attenzioni verso uno dei suoi attendenti più stretti. Forse lui non me li ha 'promessi’. È stata una pessima scelta di termini. Ma sapevo che sarebbe stato compiaciuto se mi fossi unita a uno dei suoi alleati e amici più stretti. In effetti, sospetto che desiderasse che lo facessi: dopotutto il lord Drago ha messo me e Perrin assieme per questa missione. Non poteva essere schietto su quello che desiderava, però, per non offendere Perrin.»

Faile esitò. Da un lato, quello che Berelain diceva erano pure sciocchezze... ma d’altro canto era in grado di vedere quello che la donna poteva aver visto. O forse quello che desiderava vedere. Per lei separare una moglie e un marito non era nulla di immorale. Era politica. E, logicamente, Rand probabilmente avrebbe dovuto voler legare a sé nazioni tramite legami matrimoniali con quelli più vicini a lui.

Questo non cambiava il fatto che né lui né Perrin considerassero le materie sentimentali in tal modo.

«Ho lasciato perdere Perrin» disse Berelain. «In questo mantengo la mia promessa. Ma mi lascia in una situazione difficile. Ho pensato per molto tempo che una connessione con il Drago Rinato è l’unica speranza di Mayene per mantenere l’indipendenza negli anni a venire.»

«Il matrimonio non riguarda solo ottenere vantaggi politici» disse Faile.

«Eppure i vantaggi sono così ovvi che non possono essere ignorati.»

«E questo Manto Bianco?» chiese Faile.

«Fratellastro della regina dell’Andor» disse Berelain, arrossendo un poco. «Se il lord Drago intende sposare Elayne Trakand, questo mi darà un collegamento a lui.»

Era molto più di quello; Faile poteva vederlo in come Berelain si comportava, nell’espressione che aveva quando parlava di Galad Damodred. Ma se voleva razionalizzare una motivazione politica per questo, Faile non aveva motivo di dissuaderla, fintantoché avesse aiutato a distrarla da Perrin.

«Ho fatto come hai chiesto» disse Berelain. «E così ora domando il tuo aiuto. Se pare che stia per attaccarli, ti prego di unirti a me nel cercare di dissuaderlo. Assieme forse possiamo farcela.»

«Molto bene» disse Faile.


Perrin cavalcava alla testa di un esercito che si sentiva unificato per la prima volta. La bandiera di Mayene, la bandiera di Ghealdan, gli stendardi delle Casate nobiliari tra i profughi. Perfino alcuni stendardi che i ragazzi avevano fatto per rappresentare le parti dei Fiumi Gemelli. Sopra tutti questi sventolava la testa di lupo.

Lord Perrin. Non ci si sarebbe mai abituato, ma forse era una buona cosa.

Fece trottare Stepper oltre il lato del passaggio aperto mentre le sue truppe gli marciavano davanti, rivolgendogli il saluto. Erano illuminati da torce per ora. C’era da sperare che più tardi gli incanalatori riuscissero a illuminare il campo di battaglia.

Un uomo si accostò a Stepper e Perrin fiutò pelli animali, terriccio e sangue di coniglio. Elyas era andato a caccia mentre attendeva che l’esercito si radunasse. Ci voleva un cacciatore dalla vista acuta per catturare conigli di notte. Elyas diceva che era una sfida migliore.

«Una volta mi dicesti qualcosa, Elyas» disse Perrin. «Mi dicesti che se mai fosse arrivata a piacermi l’ascia, avrei dovuto gettarla via.»

«Proprio così.»

«Penso che questo si applichi anche al comando. Gli uomini che non vogliono titoli dovrebbero essere quelli che li hanno, pare. Finché tengo a mente questo, penso di potermi comportare bene.»

Elyas ridacchiò. «Lo stendardo fa una bella figura, appeso lassù.»

«È adatto a me. Lo è sempre stato. Ero io a non essere sempre adatto a esso.»

«Pensieri profondi per un fabbro.»

«Forse.» Perrin tirò fuori dalla sua tasca il rompicapo del fabbro, quello che aveva trovato a Malden. Ancora non era riuscito a separare i pezzi. «Non ti è mai sembrato strano che i fabbri sembrino gente tanto semplice, eppure siano quelli che costruiscono tutti questi maledetti rompicapi che sono così difficili da risolvere?»

«Non ci ho mai pensato a questo modo. Allora sei uno di noi, finalmente?»

«No» disse Perrin, mettendo via il rompicapo. «Io sono quello che sono. Finalmente.» Non era certo di cosa fosse cambiato in lui. Ma forse cercare di rifletterci su troppo era stato il problema fin dall’inizio.

Sapeva di aver trovato il suo equilibrio. Non sarebbe mai diventato come Noam, l’uomo che si era perduto per il lupo. E quello era sufficiente.

Perrin ed Elyas attesero per un po’, osservando l’esercito passare. Questi passaggi più grandi rendevano molto più facile Viaggiare; tutti gli uomini e le donne in grado di combattere li avrebbero attraversati in meno di un’ora. Gli uomini sollevarono le mani verso Perrin, odorando di fierezza. Il suo legame con i lupi non li spaventava; in effetti, sembravano meno preoccupati ora che ne conoscevano i dettagli. Prima c’erano state congetture. Domande. Ora potevano cominciare a sentirsi a proprio agio con la verità. E andarne orgogliosi. Il loro lord non era un uomo comune. Era qualcosa di speciale.

«Mi occorre andar via, Perrin» disse Elyas. «Stanotte, se posso.»

«Lo so. L’Ultima Caccia è cominciata. Va’ con loro, Elyas. Ci incontreremo nel Nord.»

L’attempato Custode posò una mano sulla spalla di Perrin. «Se non ci vediamo lì, forse ci incontreremo nel sogno, amico mio.»

«Questo è il sogno» disse Perrin con un sorriso. «E noi ci incontreremo di nuovo. Ti troverò, se sarai con i lupi. Caccia bene, Lungo Dente.»

«Caccia bene, Giovane Toro.»

Elyas scomparve nell’oscurità a malapena con un fruscio.

Perrin abbassò la mano verso il martello caldo al suo fianco. Aveva pensato che quella responsabilità sarebbe stata un altro peso su di lui. Eppure, ora che la accettava, si sentiva effettivamente più leggero.

Perrin Aybara era solo un uomo, ma Perrin Occhidoro era un simbolo creato dalla gente che lo seguiva. Perrin non aveva una scelta su quello; tutto quello che poteva fare era comandare al meglio delle sue possibilità. Se non l’avesse fatto, il simbolo non sarebbe svanito. Semplicemente le persone avrebbero perso Perrin stesso. Com’era successo al povero Aram.

Mi dispiace, amico mio, pensò Perrin. Ho deluso te più di tutti.

Non c’era scopo nel guardarsi indietro a quel modo. Doveva semplicemente andare avanti e fare meglio. «Io sono Perrin Occhidoro,» disse «l’uomo che sa parlare ai lupi. E mi piace essere questa persona.»

Diede di sprone a Stepper e attraversò il passaggio. Purtroppo Perrin Occhidoro aveva qualcuno da uccidere quella notte.


Galad si svegliò non appena sentì frusciare il lembo della sua tenda. Scacciò via i rimasugli del suo sogno — una cosa sciocca, di lui che cenava con una bella donna dai capelli scuri, con labbra perfette e occhi intelligenti — e allungò la mano verso la sua spada.

«Galad!» sibilò una voce. Era Trom.

«Cosa c’è che non va?» chiese Galad, la mano ancora sulla spada.

«Avevi ragione» disse Trom.

«Su cosa?»

«L’esercito di Aybara è tornato. Galad, sono sulle alture proprio sopra di noi! Li abbiamo scorti solo per caso: i nostri uomini stavano sorvegliando lungo la strada, come ci hai detto.»

Galad imprecò, si mise a sedere e allungò la mano verso i suoi indumenti intimi. «Come sono arrivati lassù senza che li vedessimo?»

«Poteri oscuri, Galad. Byar aveva ragione. Ho visto quanto rapidamente si è svuotato il loro campo.»

Gli esploratori erano tornati un’ora prima. Avevano trovato l’accampamento di Aybara misteriosamente vuoto, come se fosse stato popolato di fantasmi. Nessuno li aveva visti allontanarsi lungo la strada.

Ora questo. Galad si vestì in fretta. «Sveglia gli uomini. Vedi se riesci a farlo in silenzio. Sei stato saggio a non portare nessuna luce: quello avrebbe potuto allertare il nemico. Fai indossare agli uomini l’armatura dentro le loro tende.»

«Sì, mio lord Capitano Comandante» disse Trom. La sua usata fu accompagnata da un fruscio.

Galad si sbrigò a vestirsi. Cos’ho fatto? A ogni passo del cammino era stato fiducioso nelle sue scelte, eppure ecco dove lo avevano condotto. Aybara posizionato per attaccare e gli uomini di Galad addormentati. Fin da quando Morgase era tornata, Galad aveva avvertito il proprio mondo crollare. Non gli era più chiaro quello che era giusto, non come era stato una volta. La strada davanti a lui pareva annebbiata.

Dovremmo arrenderci, pensò, mettendo il mantello al suo posto sopra la cotta di maglia. Ma no. I Figli della Luce non cedono mai agli Amici delle Tenebre. Come ho potuto pensarlo?

Dovevano morire combattendo. Ma cosa avrebbero ottenuto? La fine dei Figli, morti prima dell’inizio dell’Ultima Battaglia?

I lembi della sua tenda frusciarono di nuovo e lui sguainò la spada, pronto a colpire.

«Galad» disse Byar. «Ci hai ucciso.» Tutto il rispetto era scomparso dalla sua voce.

Quell’accusa irritò Galad. «Quelli che camminano nella Luce non devono prendere responsabilità per le azioni di coloro che seguono l’Ombra.» Una citazione da Lothair Mantelar. «Io ho agito con onore.»

«Avresti dovuto attaccare invece di dedicarti a quel ridicolo 'processo’.»

«Saremmo stati massacrati. Lui aveva Aes Sedai, Aiel, uomini in grado di incanalare, più soldati di noi e poteri che non comprendiamo.»

«La Luce ci avrebbe protetto!»

«E se ciò è vero, ci proteggerà ora» disse Galad, la sua fiducia che si andava rafforzando.

«No» disse Byar, la sua voce un sussurro arrabbiato. «Noi ci siamo cacciati in questa situazione. Se cadremo, sarà meritato.» Se ne andò tra un frusciare di lembi.

Galad rimase immobile per un momento, poi si allacciò la spada. Recriminazione e pentimento avrebbero atteso. Doveva trovare un modo per sopravvivere a questa giornata. Sempre che esistesse un modo.

Contrastare la loro imboscata con una nostra, pensò. Far stare gli uomini nelle loro tende fino all’inizio dell’attacco, poi sorprendere Aybara precipitandoci fuori in forze e...

No. Aybara avrebbe cominciato con le frecce, facendo piovere morte sulle tende. Sarebbe stata la maniera migliore per sfruttare il suo terreno più elevato e i suoi archi lunghi.

La cosa migliore era far indossare agli uomini le loro armature, poi farli uscire dalle loro tende tutti assieme a un segnale e correre ai loro cavalli. Gli Amadiciani potevano formare un muro di picche alla base delle alture. Aybara poteva rischiare di lanciare una carica di cavalleria giù per il pendio ripido che conduceva all’altura, ma dei picchieri potevano sventare quella manovra.

Gli arcieri sarebbero stati comunque un problema. Degli scudi avrebbero aiutato. Un poco. Trasse un profondo respiro, poi incedette nella notte per dare gli ordini.


«Una volta cominciata la battaglia,» disse Perrin «voglio che voi tre vi ritiriate al sicuro. Non cercherò di rimandarvi nell’Andor; so che non andreste. Ma non dovrete partecipare allo scontro. Restate dietro le linee di battaglia e assieme alla retroguardia.»

Faile gli lanciò un’occhiata. Lui sedeva in sella, gli occhi avanti. Si trovavano in cima alle alture, le ultime truppe del suo esercito che uscivano dai passaggi posizionati dietro. Jori Congar teneva una lanterna schermata per Perrin. Diffondeva nella zona una luce molto debole.

«Certo, mio signore» disse Berelain in tono amabile.

«Allora avrò i vostri giuramenti su questo» disse Perrin, gli occhi ancora in avanti, «Il tuo e di Alliandre, Berelain. A Faile, lo chiederò semplicemente e spererò.»

«Hai il mio giuramento, mio signore» disse Alliandre.

La voce di Perrin era così decisa, e questo preoccupava Faile. Berelain poteva avere ragione? Aveva intenzione di attaccare i Manti Bianchi? Quelli erano un elemento imprevedibile, nonostante professassero di voler combattere nell’Ultima Battaglia. Potevano arrecare più danni che aiuto. Alliandre era la vassalla di Perrin e i Manti Bianchi erano nel suo regno. Chi sapeva quali danni avrebbero potuto causare prima di andarsene? Oltre a quello, c’era la spada futura del giudizio di Galad.

«Mio signore» disse Berelain, suonando preoccupata. «Per favore, non fare questo.»

«Sto solo facendo quello che devo» disse Perrin, guardando lungo la strada che correva verso Jehannah. Quella non era la direzione dei Manti Bianchi. Loro si trovavano appena a sud della posizione di Perrin.

«Perrin» disse Faile, lanciando un’occhiata a Berelain. «Cosa stai...»

All’improvviso un uomo emerse dalle ombre, non facendo alcun rumore malgrado il sottobosco secco. «Perrin Aybara» disse Gaul. «I Manti Bianchi sanno che siamo qui.»

«Ne sei certo?» chiese Perrin. Non pareva allarmato.

«Stanno cercando di non farcene accorgere,» disse Gaul «ma io posso vederlo. Le Fanciulle sono d’accordo. Si stanno preparando per la battaglia, gli stallieri stanno togliendo le pastoie ai cavalli, le guardie si stanno muovendo da una tenda all’altra.»

Perrin annuì. Spronò Stepper in avanti attraverso la boscaglia, cavalcando proprio fino al bordo delle alture. Faile mosse Daylight dietro di lui e Berelain le rimase vicino.

Il terreno digradava bruscamente verso l’antico letto del fiume che fiancheggiava la strada sottostante. La strada correva dalla direzione di Jehannah fino a passare alla base di queste alture ed effettuare una svolta in direzione di Lugard. Proprio sulla curva c’era la concavità, protetta contro la collina, dove i Manti Bianchi avevano disposto il loro cerchio di tende.

Le nuvole erano rade, e permettevano alla pallida luce della luna di ammantare la terra in un bianco argenteo. Una bassa nebbia si stava accumulando, restando principalmente nel letto del fiume, densa e fitta. Perrin esaminò lo scenario; aveva una visuale chiara della strada in entrambe le direzioni. All’improvviso da sotto risuonarono delle urla, con uomini che si precipitavano fuori dalle tende dei Manti Bianchi e scattavano verso le linee dei cavalli. Delle torce si accesero con un guizzo.

«Arcieri avanti!» gridò Perrin.

Gli uomini dei Fiumi Gemelli si precipitarono fino al bordo della loro posizione elevata.

«Fanteria, pronti dietro gli arcieri!» urlò Perrin. «Arganda, sul fianco sinistro. Gallenne, su quello destro! Vi chiamerò se avrò bisogno che spazziate per noi.» Si voltò verso la fanteria, perlopiù ex profughi. «Mantenete una formazione serrata, ragazzi. Tenete i vostri scudi su e il vostro braccio della lancia piegato. Arcieri, incoccate!»

Faile si accorse che stava iniziando a sudare. Questo era sbagliato. Di certo Perrin non aveva intenzione di...

Lui ancora non stava guardando verso i Manti Bianchi sotto di loro. Stava fissando il letto del fiume dall’altra parte, forse a un centinaio di iarde oltre le alture, che terminavano in un ripido strapiombo a causa dell’erosione dell’antico corso d’acqua. Pareva che Perrin stesse vedendo qualcosa che il resto di loro non vedeva. E, con quei suoi occhi dorati, forse stava facendo proprio quello.

«Mio signore» disse Berelain, accostando il suo cavallo a quello di Perrin, il suo tono disperato. «Se devi attaccare, potresti risparmiare il comandante dei Manti Bianchi? Potrebbe essere utile per ragioni politiche.»

«Di cosa stai parlando?» disse Perrin. «L’intero motivo per cui sono qui è tenere in vita Damodred.»

«Tu... cosa?» domandò Berelain.

«Mio signore!» esclamò Grady all’improvviso, cavalcando vicino a lui. «Percepisco qualcuno incanalare

«Cos’è quello, lì?» urlò Jori Congar, indicando. «Qualcosa nella nebbia. E...»

Faile strinse gli occhi. Lì, proprio sotto l’esercito in quello che era stato l’alveo del fiume, delle figure iniziarono a sollevarsi come dal terreno. Creature informi con teste e corpi di animali, alte una volta e mezzo Perrin, che impugnavano armi brutali. C’erano figure agili e senza occhi che si muovevano tra di loro.

La nebbia fluì attorno a loro mentre avanzavano, lasciandosi alle spalle scie di caligine. Le creature continuarono ad apparire. A dozzine. A centinaia. A migliaia.

Un intero esercito di Trolloc e Myrddraal.

«Grady, Neald!» urlò Perrin. «Luce!»

Brillanti globi bianchi apparvero nell’aria e rimasero sospesi lì. Sempre più Trolloc si sollevavano dalla nebbia, come se fosse quella a generarli, ma parvero confusi dalle luci. Alzarono lo sguardo, stringendo gli occhi e schermandoli.

Perrin grugnì. «Che ne dite di questo? Non erano pronti per noi; pensavano che avrebbero avuto vita facile con i Manti Bianchi.» Si voltò, abbassando lo sguardo verso le file di soldati sorpresi. «Be’, uomini, volevate seguirmi all’Ultima Battaglia. Ne avremo un assaggio proprio qui! Arcieri, scagliate! Rimandiamo quella Progenie dell’Ombra alla fossa che l’ha generata!»

Sollevò il suo martello appena forgiato e la battaglia cominciò.

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