Rand e Min non si annunciarono quando giunsero a Bandar Eban. Attraversarono il passaggio fino a un vicoletto, sorvegliato da due Fanciulle — Lerian e Heidia — assieme a Naeff, l’alto Asha’man dal mento squadrato.
Le Fanciulle perlustrarono l’imboccatura del vicolo, scrutando la città con sospetto. Rand venne avanti e mise la mano sulla spalla di Heidia, calmando la donna snella, che pareva ansiosa per gli scarsi numeri della scorta di Rand. Lui indossava il suo mantello marrone.
Sopra di loro, le nubi si spezzarono, svanendo sopra la città in risposta all’arrivo di Rand. Min guardò in alto, sentendo il calore brillare sul suo volto. Il vicolo aveva un odore terribile — di rifiuti e spazzatura — ma una brezza calda vi soffiava attraverso, portando via quella puzza.
«Mio lord Drago» disse Naeff. «Non mi piace questo. Dovresti avere una scorta più numerosa. Torniamo indietro e raduniamo...»
«Andrà tutto bene, Naeff» disse Rand. Si voltò verso Min e protese la mano.
Lei la prese, unendosi a lui. Naeff e le Fanciulle avevano ordini di seguirli a distanza; avrebbero attirato l’attenzione. Mentre Min e Rand uscivano su una delle tante passerelle della capitale domanese, lei si portò una mano alla bocca. Era passato poco tempo da quando Rand se n’era andato. Come aveva fatto la città a cambiare così in fretta?
La strada era piena di persone sporche e malate, ammassate lungo i muri, rannicchiate in coperte. Non c’era spazio per muoversi sulle passerelle; Min e Rand dovettero scendere in mezzo al fango per continuare. La gente tossiva e gemeva, e lei si rese conto che quegli odori non erano limitati al vicolo. L’intera città pareva puzzare. Una volta, degli stendardi erano stati appesi a molti di questi edifici, ma erano stati tirati giù e fatti a pezzi come coperte o combustibile.
Parecchi degli edifici avevano finestre rotte, con profughi che intasavano le porte e i pavimenti all’interno. Mentre Min e Rand camminavano, le persone attorno a loro si voltarono a guardare. Alcune parevano farneticanti. Altre sembravano affamate. E pericolose. Molti erano Domanesi, ma parevano esserci altrettante persone dalla carnagione pallida. Profughi dalla Piana di Almoth o dalla Saldea, forse. Min allentò un coltello nella sua manica mentre superavano un gruppo di giovani bellimbusti che oziavano all’imboccatura di un vicolo. Forse Naeff aveva ragione. Questo posto non aveva l’aria di essere sicuro.
«Sono passato attraverso Ebou Dar a questo modo» disse Rand piano. All’improvviso, lei fu conscia del dolore. Una colpa schiacciante, più dolorosa delle ferite al suo fianco. «Questo è stato parte di ciò che mi ha fatto cambiare. La gente a Ebou Dar era felice e ben nutrita. Non aveva questo aspetto. I Seanchan governano meglio di me.»
«Rand, tu non sei responsabile per questo» disse Min. «Non eri qui a...»
Il suo dolore aumentò e Min si rese conto di aver detto la cosa sbagliata. «Sì,» replicò lui piano «non ero qui. Ho abbandonato questa città quando ho visto che non potevo usarla come lo strumento che desideravo che fosse. Mi sono dimenticato, Min. Mi sono dimenticato cosa riguardava tutto questo. Tam aveva proprio ragione. Un uomo deve sapere perché combatte.»
Rand aveva mandato suo padre — assieme a uno degli Asha’man — ai Fiumi Gemelli per preparare e radunare gli uomini per l’Ultima Battaglia.
Rand barcollò mentre camminava, sembrando all’improvviso molto stanco. Si sedette su una vicina cassa. Un ragazzino dalla pelle ramata lo osservò con occhi acuti da una porta lì accanto. Dall’altra parte della strada, una diramazione si staccava dalla via principale. Quella non era affollata di persone: alla sua imboccatura c’erano degli energumeni armati di randelli.
«Si dividono in bande» disse Rand piano, le spalle incurvate. «I ricchi assoldano i forti perché li proteggano, perché caccino via quelli che vengono a cercare la loro ricchezza. Ma non è una ricchezza di oro o gioielli. Si tratta di cibo, ora.»
«Rand» disse Min, abbassandosi su un ginocchio accanto a lui. «Tu non puoi...»
«So che devo andare avanti,» disse Rand «ma fa male sapere le cose che ho fatto, Min. Trasformandomi in acciaio, ho spinto via tutte queste emozioni. Permettendo a me stesso di provarle di nuovo, di ridere di nuovo, mi sono aperto anche ai miei fallimenti.»
«Rand, vedo la luce del sole attorno a te.»
Lui alzò lo sguardo su Min, poi lanciò un’occhiata al cielo.
«Non quella luce» sussurrò Min. «Una visione. Vedo nubi scure, spinte via dal calore della luce del sole. Vedo te, una brillante spada bianca tenuta in mano, brandita contro una nera, impugnata da un’oscurità senza volto. Vedo alberi che tornano verdi e portano frutto. Vedo un campo, i raccolti sani e abbondanti.» Esitò. «Vedo i Fiumi Gemelli, Rand. Vedo una locanda con il marchio della Zanna del Drago inciso sulla sua porta. Non è più un simbolo di oscurità o odio. È un segno di vittoria e di speranza.»
Lui la guardò.
Min colse qualcosa con la coda dell’occhio. Si voltò verso le persone sedute per strada e restò a bocca aperta. Ognuno di loro aveva un’immagine sopra di sé. Era sorprendente vedere così tante immagini tutte assieme, che avvampavano luminose sopra le teste dei malati, dei deboli e degli abbandonati.
«Vedo un’ascia d’argento sopra la testa di quell’uomo» disse, indicando un mendicante barbuto appoggiato contro un muro, il mento abbassato contro il petto. «Lui sarà un condottiero nell’Ultima Battaglia. Quella donna là — quella imbronciata nelle ombre — verrà addestrata dalla Torre Bianca e diventerà Aes Sedai. Posso vedere la Fiamma di Tar Valon accanto a lei, e so cosa significa. Quell’uomo laggiù che sembra un semplice bullo di strada? Lui le salverà la vita. So che non sembra, ma combatterà. Tutti quanti lo faranno. Posso vederlo.»
Min guardò Rand e gli prese la mano. «Tu sarai forte, Rand. Tu farai questo. Tu li guiderai. Lo so.»
«Tu hai visto questo?» chiese lui. «In una visione?»
Lei scosse il capo. «Non ne ho bisogno. Io credo in te.»
«Io ti ho quasi ucciso» sussurrò lui. «Quando mi guardi, tu vedi un assassino. Senti la mia mano alla tua gola.»
«Cosa? Certo che no! Rand, guardami negli occhi. Puoi percepirmi attraverso il legame. Senti una traccia di esitazione o di paura da me?»
Lui cercò i suoi occhi con i propri, così profondi. Lei non si ritrasse. Poteva incontrare gli occhi di questo pastore.
Rand si mise più dritto. «Oh, Min. Cosa farei senza di te?»
Lei sbuffò. «Hai re e capi aiel che ti seguono. Aes Sedai, Asha’man e ta’veren. Sono certa che te la caveresti.»
«No» disse Rand. «Tu sei più vitale di tutti loro. Tu mi ricordi chi sono. Inoltre, tu pensi con più chiarezza di molti di quelli che si considerano miei consiglieri. Tu potresti essere una regina, se lo volessi.»
«E tutto quello che voglio sei tu, stupido babbeo.»
«Grazie.» Lui esitò. «Anche se potrei cavarmela anche senza così tanti insulti.»
«La vita è dura, non è così?»
Lui sorrise. Poi si alzò, prendendo un respiro profondo. La sua colpa era ancora lì, ma riusciva a sopportarla ora, così come sopportava il dolore. Lì vicino i profughi ripresero animo. Rand si voltò verso il derelitto barbuto che Min aveva indicato prima; l’uomo era seduto con i piedi nel fango.
«Tu,» disse l’uomo a Rand «tu sei lui. Il Drago Rinato.»
«Sì» disse Rand. «Eri un soldato?»
«Io...» Gli occhi dell’uomo divennero distanti. «Un’altra vita. Ero nella Guardia del re. Prima che fosse preso, prima che fossimo cooptati da lady Chadmar, poi sciolti.» La fatica pareva trasudargli dagli occhi mentre pensava ai giorni passati.
«Eccellente» disse Rand. «Dobbiamo rimettere in piedi questa città, capitano.»
«Capitano?» disse l’uomo. «Ma io...» Inclinò il capo. Poi si alzò in piedi e si diede una ripulita. Tutt’a un tratto aveva un’aria militare attorno a sé, malgrado gli abiti sdruciti e la barba incolta. «Be’, suppongo che tu abbia ragione. Ma non penso che sarà facile. La gente sta morendo di fame.»
«Di quello me ne occuperò io» disse Rand. «Ho bisogno che raduni i tuoi soldati.»
«Non vedo molti degli altri ragazzi qui... No, aspetta. Ci sono Votabek e Recibord.» Fece cenno a un paio di tipi duri che Min aveva notato prima. Quelli esitarono, poi si avvicinarono.
«Durnham?» chiese uno di loro. «Che succede?»
«È tempo che l’illegalità in questa città abbia termine» disse Durnham. «Organizzeremo le cose e la ripuliremo. Il lord Drago è tornato.»
Uno di loro sputò da una parte. Era un uomo corpulento con ricci capelli neri, carnagione domanese e baffi sottili. «Che sia folgorato. Ci ha abbandonato. Io...» Si interruppe quando vide Rand.
«Mi dispiace» disse Rand, incontrando gli occhi dell’uomo. «Vi ho deluso. Non lo farò di nuovo.»
L’uomo lanciò un’occhiata al suo compagno, il quale si strinse nelle spalle. «Lain non ci pagherà mai. Tanto vale vedere cosa possiamo fare qui.»
«Naeff» chiamò Rand, facendo cenno all’Asha’man di venire avanti. Lui e le Fanciulle si avvicinarono dal punto in cui stavano in osservazione. «Crea un passaggio per la Pietra. Voglio armi, armature e uniformi.»
«Lo farò immediatamente» disse Naeff. «Le faremo portare ai soldati...»
«No» disse Rand. «Fa’ passare l’equipaggiamento dentro questo edificio qui. Sgombrerò un punto per il passaggio all’interno. Ma non deve venire nessun soldato.» Rand alzò gli occhi, guardando la strada. «Bandar Eban ha sofferto abbastanza sotto il giogo di stranieri. Oggi non conoscerà la mano di un conquistatore.»
Min indietreggiò e osservò meravigliata. I tre soldati si affrettarono nell’edificio e mandarono via i monelli di strada. Quando Rand li vide, chiese loro di fare da messaggeri e svolgere commissioni. Quelli acconsentirono. Tutti acconsentivano a Rand quando prendevano il tempo di guardarlo.
Forse un altro avrebbe potuto ritenerla una qualche forma di Coercizione, ma Min vide le loro facce cambiare, la speranza tornare come uno scintillio nei loro occhi. Vide qualcosa in Rand di cui si potevano fidare. Qualcosa, perlomeno, di cui speravano di potersi fidare.
I tre soldati mandarono alcuni dei giovani messaggeri e messaggere a prendere altri ex soldati. Naeff creò il suo passaggio. In pochi minuti, i primi tre soldati uscirono dall’edificio indossando corazze argentee e indumenti verdi semplici e puliti. Gli uomini si erano pettinati le barbe e i capelli e avevano trovato dell’acqua per lavarsi la faccia. Era bastato quello perché smettessero di sembrare mendicanti e diventassero soldati. Puzzavano un poco, ma erano comunque soldati.
La donna che Min aveva notato prima — quella che era certa potesse imparare a incanalare — si avvicinò per parlare con Rand. Dopo un po’ lei annuì e presto aveva radunato donne e uomini per riempire secchi dal pozzo. Min si accigliò finché non vide che cominciavano a lavare facce e mani di quelli che si accostavano.
La gente iniziò a radunarsi attorno. Alcuni curiosi, altri ostili, altri ancora semplicemente catturati dal flusso. La donna e la sua squadra iniziarono a smistarli e metterli al lavoro. Alcuni a cercare i feriti o i malati, altri a prendere spade e uniformi. Un’altra donna cominciò a interrogare i ragazzini, scoprendo dov’erano i loro genitori, se ne avevano.
Min si sedette sulla cassa dove prima si era seduto Rand. In un’ora, aveva un gruppo di cinquecento soldati, guidati dal capitano Durnham e dai suoi due tenenti. Molti di quei cinquecento continuavano a lanciare occhiate ai propri abiti puliti e alle corazze scintillanti come stupiti.
Rand parlò con molti di loro, scusandosi direttamente. Mentre stava parlando con una donna, la folla lì dietro iniziò a mescolarsi e muoversi. Rand si voltò e vide un uomo anziano avvicinarsi, la sua pelle rotta da terribili lesioni. La folla si tenne a distanza.
«Naeff» chiamò Rand.
«Mio signore?»
«Porta qui le Aes Sedai» disse Rand. «C’è gente che ha bisogno della Guarigione.» La donna che aveva messo la gente a riempire secchi d’acqua guidò il vecchio da un lato.
«Mio signore» disse il capitano Durnham, avvicinandosi. Min sbatté le palpebre. L’uomo aveva trovato un rasoio da qualche parte e si era rasato la barba. Rivelando un mento forte. Aveva lasciato dei baffi domanesi. Quattro uomini lo seguivano come scorta.
«Ci servirà più spazio, mio signore» disse Durnham. «Quell’edificio che hai scelto trabocca e stanno arrivando sempre più persone, a riempire la strada.»
«Cosa suggerisci?» chiese Rand.
«I moli» rispose Durnham. «Sono controllati da uno dei mercanti cittadini. Scommetto che possiamo trovare dei magazzini quasi vuoti da usare. Quelli una volta contenevano cibo, ma, be’, non ne resta più.»
«E il mercante che controlla quel posto?» chiese Rand.
«Mio signore,» disse il capitano Durnham «nulla di cui non puoi occuparti.»
Rand sorrise, poi fece cenno a Durnham di fare strada. Rand tese la mano a Min.
«Rand,» disse lei, unendosi a lui «avranno bisogno di cibo.»
«Sì» convenne lui. Guardò verso sud, verso i moli vicini. «Lo troveremo lì.»
«Non sarà già stato mangiato?»
Rand non rispose. Si unirono alla guardia cittadina di nuova formazione, camminando alla testa di un’armata in verde e argento. Dietro di loro sfilava una calca sempre più numerosa di profughi speranzosi.
L’enorme porto di Bandar Eban era uno dei più impressionanti al mondo. Era disposto come una mezzaluna alla base della città. Min rimase sorpresa nel vedere quante navi si trovavano lì, perlopiù vascelli del Popolo del Mare.
Giusto, pensò Min. Rand ha detto loro di portare cibo alla città.
Ma si era guastato. Quando Rand aveva lasciato la città , aveva ricevuto la notizia che tutto il cibo su quelle navi era caduto preda del tocco del Tenebroso.
Qualcuno aveva disposto dei blocchi alla base della strada. Altre strade fino al porto parevano ugualmente interdette. Soldati in uniforme fecero capolino nervosi da dietro la barricata mentre l’armata di Rand si avvicinava.
«Fermi là!» chiamò una voce. «Noi non...»
Rand sollevò la mano, poi la agitò con noncuranza. La barricata — formata da mobili e assi di legno — rombò, poi scivolò da un lato con uno stridore di legno. Da dietro, uomini lanciarono urla, precipitandosi via.
Rand lasciò la barricata crollata al lato della strada. Avanzò, e Min poteva avvertire pace dentro di lui. Un gruppo di uomini dall’aspetto lacero con dei randelli in mano stava sulla strada, gli occhi strabuzzati. Rand scelse uno di fronte. «Chi è che impedisce alla mia gente l’accesso al porto e cerca di ammassare cibo per sé stesso? Voglio... parlare con questa persona.»
«Mio lord Drago?» chiese una voce sorpresa.
Min lanciò un’occhiata di lato. Un uomo alto e magro con una giacca rossa domanese si precipitò verso di loro dai moli. La sua camicia una volta era stata elegante e increspata, ma ora era sguaiata e trasandata. Pareva esausto.
Come si chiamava?, pensò Min. Iralin. Proprio così. Capitano del porto.
«Iralin?» chiese Rand. «Cosa sta succedendo qui? Cos’hai fatto?»
«Cos’ho fatto io?» domandò l’uomo. «Ho cercato di impedire che tutti si avventassero su quelle navi per prendere il cibo guasto! Chiunque lo mangi si ammala e muore. La gente non vuole ascoltare. Diversi gruppi hanno cercato di fare irruzione ai moli per il cibo, così ho deciso di non lasciare che si uccidessero mangiandolo.»
La voce dell’uomo non era mai stata arrabbiata prima. Min lo ricordava come un tipo pacifico.
«Lady Chadmar è fuggita un’ora dopo che te ne sei andato» continuò Iralin. «Gli altri membri del Consiglio dei Mercanti sono fuggiti entro un giorno. Quel dannato Popolo del Mare afferma che non se ne andranno finché non avranno scaricato le loro mercanzie, oppure finché non li pagherò per fare qualcos’altro. Così aspetto che la città muoia di fame, mangi quel cibo e muoia, oppure insorga in un’altra rivolta di fiamme e morte. Ecco cos’ho fatto qui. E tu cos’hai fatto, lord Drago?»
Rand chiuse gli occhi e sospirò. Non si scusò con Iralin come aveva fatto con gli altri; forse capiva che non avrebbe significato nulla.
Min guardò torvo Iralin. «Lui ha dei fardelli sulle spalle, mercante. Non può badare a ogni...»
«È tutto a posto, Min» disse Rand, posandole la mano sul braccio e aprendo gli occhi. «Non è più di quanto mi meriti, Iralin. Prima che lasciassi la città, mi dicesti che il cibo su quelle navi si era guastato. Hai controllato ogni barile e sacco?»
«Ne ho controllati abbastanza» disse Iralin, ancora ostile. «Se apri cento sacchi e trovi la stessa cosa in ognuno, capisci cosa c’è dietro. Mia moglie ha cercato di elaborare un metodo sicuro per setacciare il grano marcio da quello buono. Sempre che ce ne sia di buono.»
Rand iniziò ad avviarsi verso le navi. Iralin lo seguì con espressione confusa, forse perché Rand non gli aveva urlato contro. Min si unì a loro. Rand si avvicinò a un vascello del Popolo del Mare alla fonda, ormeggiato con funi. Un gruppo del Popolo del Mare oziava lì sopra.
«Voglio parlare con la vostra Maestra delle Vele» chiamò Rand.
«Sono io» disse una del Popolo del Mare, una donna con del bianco fra i neri capelli lisci e un disegno di tatuaggi sulla sua mano destra. «Milis din Shalada Tre Stelle.»
«Ho stipulato un accordo» gridò Rand «per consegnare del cibo qui.»
«Quello non vuole che venga consegnato» disse Milis, indicando col capo Iralin. «Non ci permette di scaricare; dice che, se lo facciamo, ci farà attaccare dai suoi arcieri.»
«Non ero in grado di tenere indietro la gente» disse Iralin. «Ho dovuto spargere la voce in città che il Popolo del Mare stava tenendo in ostaggio il cibo.»
«Vedi cosa ci tocca subire per te?» disse Milis a Rand. «Inizio a interrogarmi sul nostro Accordo con te, Rand al’Thor.»
«Neghi che io sia il Coramoor?» domandò Rand, incontrando i suoi occhi. Lei pareva avere problemi a distogliere lo sguardo.
«No» disse Milis. «No, immagino di no. Vorrai salire a bordo della Cresta Bianca, suppongo.»
«Se posso.»
«Sali, dunque» disse lei.
Una volta che la passerella fu al suo posto, Rand la attraversò, seguito da Min con Naeff e le due Fanciulle. Dopo un momento venne anche Iralin, seguito dal capitano e alcuni dei suoi soldati.
Milis li guidò al centro della tolda, dove un portello e una scala conducevano nella stiva della nave. Rand scese per primo, muovendosi in modo goffo dato che aveva una mano sola. Poi venne Min.
Sotto, la luce filtrava attraverso fenditure nel ponte, illuminando sacchi e sacchi di grano. L’aria aveva un odore denso e polveroso.
«Saremo lieti di liberarci di questo carico» disse Milis, la successiva a scendere. «Sta uccidendo i ratti.»
«Per come la vedo io, dovreste apprezzare questo» disse Min.
«Una nave senza ratti è come un oceano senza tempeste» disse Milis. «Ci lamentiamo di entrambi, ma il mio equipaggio borbotta ogni volta che trova uno di quei parassiti morti.»
Lì vicino c’erano diversi sacchi di grano aperti, rivoltati di lato, a versare il loro contenuto scuro sul pavimento. Iralin aveva parlato di cercare di setacciare quello cattivo da quello buono, ma Min non ne vedeva di buono. Solo chicchi raggrinziti e scoloriti.
Rand fissò i sacchi aperti mentre Iralin scendeva nella stiva. Il capitano Durnham fu l’ultimo a scendere con i suoi uomini.
«Ormai nulla resta buono» disse Iralin. «Non è solo il grano. La gente ha portato con sé le scorte invernali dalle fattorie. Tutte andate. Moriremo, e questo è quanto. Non arriveremo alla dannata Ultima Battaglia. Noi...»
«Pace, Iralin» disse Rand piano. «Non è così male come pensi.» Venne avanti e strattonò via il nodo in cima a un sacco. Quello cadde su un fianco e versò dell’orzo dorato per il pavimento della stiva, senza nemmeno un granello scuro. L’orzo sembrava appena raccolto, ciascun chicco grosso e pieno.
Milis annaspò. «Cosa gli hai fatto?»
«Nulla» disse Rand. «Hai solo aperto i sacchi sbagliati. Gli altri sono tutti buoni.»
«Soltanto...» disse Iralin. «Ci è capitato di aprire l’esatto numero di sacchi guasti senza trovarne uno di quelli buoni? Questo è ridicolo.»
«Non ridicolo» disse Rand, posando la mano sulla spalla di Iralin. «Semplicemente improbabile. Hai agito bene qui, Iralin. Sono spiacente di averti lasciato in una situazione tanto difficile. Ti proporrò al Consiglio dei Mercanti.»
Iralin rimase a bocca aperta.
Da un lato, il capitano Durnham aprì un altro sacco. «Questo è buono.»
«Anche questo» disse uno dei suoi uomini.
«Qui ci sono patate» disse un altro soldato accanto a un barile.
«Sembrano buone come qualunque abbia mai mangiato. Meglio, in effetti. Non secche come ti aspetteresti dagli avanzi dell’inverno.»
«Spargete la notizia» disse Rand ai soldati. «Radunate gli uomini per organizzare la distribuzione in uno dei magazzini. Voglio che questo grano sia ben sorvegliato; Iralin è stato saggio a preoccuparsi che la gente sarebbe accorsa ai moli. Non date via grano non cucinato: quello farebbe sì che la gente iniziasse ad accumularlo e barattarlo. Avremo bisogno di calderoni e fuochi per cuocerne una parte. Spostate il resto nei magazzini. Muovetevi, ora.»
«Sì, signore!» disse il capitano Durnham.
«Le persone che ho radunato finora aiuteranno» disse Rand. «Non ruberanno il grano: possiamo fidarci di loro. Fategli scaricare le navi e bruciare il grano guasto. Dovrebbero esserci migliaia di sacchi ancora buoni.»
Rand guardò verso Min. «Vieni. Ho bisogno di organizzare le Aes Sedai per la Guarigione.» Rand esitò, guardando lo sconcertato Iralin. «Lord Iralin, sei sovrintendente della città per ora, e Durnham è il tuo comandante. Presto avrete truppe sufficienti per ripristinare l’ordine.»
«Sovrintendente della città...» disse Iralin. «Puoi farlo?»
Rand sorrise. «Qualcuno deve. Sbrigati col tuo lavoro: c’è molto da fare. Posso rimanere qui solo il tempo sufficiente perché tu stabilizzi le cose. Un giorno o giù di lì.»
Rand si voltò per risalire la scala.
«Un giorno?» disse Iralin, ancora lì nella stiva con Min. «Per stabilizzare le cose? Non possiamo farlo in così poco tempo. Giusto?»
«Penso che resterai sorpreso da lui, lord Iralin» disse Min, afferrando la scala e iniziando ad arrampicarsi. «Io lo sono, ogni giorno.»