33 Una buona zuppa

La zuppa di Siuan era sorprendentemente buona.

Ne prese un altro sorso, sollevando un sopracciglio. Era semplice — brodo e verdure, pezzi di pollo — ma quando buona parte del cibo sapeva di raffermo nella migliore delle ipotesi, questo pareva un miracolo. Provò il biscotto. Niente larve? Delizioso!

Nynaeve aveva appena finito di parlare, la sua stessa scodella fumante davanti a lei. Appena innalzata, aveva contratto i giuramenti quello stesso giorno. Si trovavano nello studio dell’Amyrlin, le imposte aperte e che lasciavano entrare una luce dorata, nuovi tappeti verdi e oro sul pavimento.

In silenzio, Siuan si rimproverò per essersi fatta distrarre dalla zuppa. Il resoconto di Nynaeve richiedeva considerazione. Aveva parlato del tempo trascorso con al’Thor e, nello specifico, di eventi come la purificazione. Naturalmente Siuan aveva sentito i rapporti secondo cui saidin era stato ripulito: un Asha’man aveva visitato l’accampamento durante la divisione. Lei era rimasta scettica, ma non si poteva negarlo ora.

«Bene,» disse l’Amyrlin «sono molto lieta per questa spiegazione più esauriente, Nynaeve. Anche se il fatto che saidin sia stato ripulito rende davvero meno inquietante pensare ad Asha’man e Aes Sedai che si vincolano a vicenda. Vorrei che Rand fosse stato disposto a parlarmene durante il nostro incontro.» Lo disse pacatamente, anche se Siuan sapeva che lei vedeva con favore uomini che vincolavano donne quanto un capitano guardava un incendio nella sua stiva.

«Suppongo» disse Nynaeve, incurvando le labbra all’ingiù. «Se ha importanza, Rand non approvava che gli uomini vincolassero delle donne.»

«Non importa se approvava o meno» disse Egwene. «Gli Asha’man sono una sua responsabilità.»

«Come le Aes Sedai che lo hanno incatenato e picchiato sono una tua responsabilità, Madre?» chiese Nynaeve.

«Ereditata da Elaida, forse» disse Egwene, gli occhi che si stringevano giusto un poco.

Ha fatto bene a riportare indietro Nynaeve, pensò Siuan, prendendo un sorso di zuppa. Prende le parti di al’Thor troppo spesso per stare tranquilli.

Nynaeve sospirò, prendendo il cucchiaio per iniziare la sua zuppa. «Non lo intendevo come una sfida Madre. Voglio solo mostrare come lui pensa. Luce! Io non ho approvato molto di quello che ha fatto, in particolare di recente. Ma riesco a capire come ci è arrivato.»

«Lui è cambiato, però» disse Siuan pensierosa. «L’hai detto tu stessa.»

«Sì» disse Nynaeve. «Gli Aiel dicono che ha abbracciato la morte.»

«L’ho sentito anch’io da loro» disse Egwene. «Ma ho guardato nei suoi occhi ed è cambiato qualcos’altro, qualcosa di inspiegabile. L’uomo che ho visto...»

«Non sembrava tipo da distruggere Collina di Natrin?» Siuan rabbrividì a quel pensiero.

«L’uomo che ho visto non avrebbe avuto bisogno di distruggere un posto del genere» disse Egwene «Quelli all’interno l’avrebbero seguito e basta. Si sarebbero piegati ai suoi voleri. Perché lui era

Le tre tacquero.

Egwene scosse il capo e prese un sorso della sua zuppa. Fece una pausa, poi sorrise. «Be’, vedo che la zuppa è buona. Forse le cose non vanno male come pensavo.»

«Gli ingredienti sono arrivati da Caemlyn» osservò Nynaeve. «Ho sentito le servitrici parlarne.»

«Oh.»

Altro silenzio.

«Madre» disse Siuan, parlando con cautela. «Le donne sono ancora preoccupate per le morti nella Torre.»

«Sono d’accordo, Madre» disse Nynaeve. «Le Sorelle si fissano a vicenda con diffidenza. Mi preoccupa»

«Dovreste averlo visto prima, tutte e due» disse Egwene.

«Durante il regno di Elaida.»

«Se era peggio di così,» disse Nynaeve «sono lieta di non averlo visto.» Abbassò lo sguardo al suo anello Del Gran Serpente. Lo faceva spesso, di recente. Come un pescatore con una barca nuova guardava spesso il porto e sorrideva. Nonostante tutte le sue lamentele sull’essere Aes Sedai e malgrado il fatto che indossasse quell’anello da parecchio tempo ormai, era evidentemente soddisfatta di aver superato la prova e pronunciato i giuramenti.

«È stato terribile» disse Egwene. «E non ho intenzione di tornare a quello. Siuan, il piano dev’essere messo in moto.»

Siuan fece una smorfia. «Ho insegnato alle altre. Ma non penso che questa sia una buona idea, Madre. Sono a malapena addestrate.»

«Di che si tratta?» chiese Nynaeve.

«Aes Sedai» disse Egwene. «Attentamente selezionate e a cui sono stati dati dei ter’angreal del sogno. Siuan sta mostrando loro come funziona il Tel’aran’rhiod

«Madre, quel posto è pericoloso.»

Egwene prese un altro sorso di zuppa. «Credo di saperlo più di molti altri. Ma è necessario: dobbiamo attirare gli assassini a un confronto. Organizzerò un incontro 'segreto’ fra le mie Aes Sedai più leali, nel Mondo dei Sogni, e forse lascerò indizi che altre persone importanti parteciperanno. Siuan, hai contattato le Cercavento

«Sì» disse Siuan. «Anche se vogliono sapere cosa darai loro per acconsentire a incontrarsi con te.»

«Il prestito dei ter’angreal del sogno sarà sufficiente» disse Egwene in tono asciutto. «Non tutto dev’essere un accordo.»

«Per loro è spesso così» disse Nynaeve. «Ma non è questo il punto. Stai portando delle Cercavento a questo incontro per adescare Mesaana?»

«Non esattamente» disse Egwene. «Vedrò le Cercavento allo stesso tempo, in un posto diverso. E anche alcune Sapienti. Abbastanza per far capire a Mesaana — supponendo che abbia spie che controllano gli altri gruppi di donne in grado di incanalare — che lei vuole davvero spiarci nel Tel’aran’rhiod quel giorno.

«Tu e Siuan terrete una riunione nel Consiglio della Torre, ma sarà un’esca per attirare Mesaana o i suoi servi fuori dai loro nascondigli. Con protezioni — e alcune Sorelle che osservano da posti appartati — saremo in grado di farle cadere in trappola. Siuan mi comunicherà non appena la trappola sarà scattata.»

Nynaeve si accigliò. «E un buon piano, tranne per una cosa. Non mi piace che tu sia in pericolo, Madre. Lasciami guidare questo scontro. Posso farcela.»

Egwene studiò Nynaeve, e Siuan vide qualcosa della vera Egwene. Ponderata. Audace, ma accorta. Vide anche la fatica di Egwene, il peso della responsabilità. Siuan conosceva bene quella sensazione.

«Ammetto che la tua preoccupazione è valida» disse Egwene. «Fin da quando mi sono lasciata catturare dalle seguaci di Elaida fuori da Tar Valon, mi sono chiesta se fossi diventata coinvolta troppo direttamente, troppo a rischio.»

«Esattamente» disse Nynaeve.

«Comunque,» disse Egwene «resta il semplice fatto che tra noi io sono la più esperta nel Tel’aran’rhiod. Voi due siete abili, vero, ma io ho più esperienza. In questo caso, non sono solo colei che guida le Aes Sedai: sono uno strumento che la Torre Bianca deve usare.» Esitò. «Io ho sognato questo, Nynaeve. Se non sconfiggiamo Mesaana qui, tutto potrebbe essere perduto. Tutto sarà perduto. Non è il momento di tenere da parte nessuno dei nostri strumenti, per quanto prezioso.»

Nynaeve allungò una mano verso la sua treccia, ma ora le arrivava solo alle spalle. Digrignò i denti per quello. «Il tuo punto potrebbe essere valido. Ma non mi piace.»

«Le camminatrici del sogno aiel» disse Siuan. «Madre, hai detto che ti incontrerai con loro. Potrebbero essere disposte ad aiutare? Mi sentirei molto meglio se sapessi che loro sono nei paraggi a tenerti d’occhio, nel caso dovessi combattere.»

«Sì» disse Egwene. «Un buon suggerimento. Le contatterò prima che ci incontriamo e farò loro la richiesta, per ogni evenienza.»

«Madre» disse Nynaeve. «Forse Rand...»

«Questa è una faccenda della Torre, Nynaeve» disse Egwene. «La gestiremo noi.»

«Molto bene.»

«Ora,» continuò Egwene «abbiamo bisogno di capire come diffondere le giuste voci in modo che Mesaana non riuscirà a resistere a venire ad ascoltare...»


Perrin colpì l’incubo correndo. L’aria si piegò attorno a lui e le case della città — stavolta quelle dalla sommità piatta di Cairhien — scomparvero. La strada divenne soffice sotto i suoi piedi, poi liquida.

Finì schizzando nell’oceano. Di nuovo acqua?, pensò con irritazione.

Fulmini rosso intenso crepitavano nel cielo, gettando ondate di luce insanguinata per il mare. Ciascuna vampata rivelava creature in ombra in agguato sotto le onde. Cose enormi, malvagie e sinuose nella balenante luce rossa.

Della gente era aggrappata al relitto di quella che un tempo era stata una nave, urlando di terrore e gridando in cerca dei propri cari. Uomini su assi rotte, donne che cercavano di tenere i loro bambini sopra il pelo dell’acqua mentre onde torreggianti si infrangevano su di loro, corpi morti che galleggiavano come sacchi di grano.

Le cose sotto le onde colpirono, ghermendo persone dalla superficie e trascinandole nelle profondità con schizzi di pinne e scintillanti denti affilati. Presto l’acqua stava gorgogliando di rosso che non proveniva dai fulmini.

Chi aveva sognato questo incubo in particolare aveva un’immaginazione decisamente contorta.

Perrin rifiutò di lasciarsi attirare dentro. Soppresse la sua paura e non nuotò verso una di quelle assi. Non è reale. Non è reale. Non è reale.

Malgrado la sua comprensione, parte di lui sapeva che sarebbe morto in queste acque. Queste acque terribili e insanguinate. I gemiti degli altri lo assalirono e lui agognava provare ad aiutarli. Non erano reali, lo sapeva. Solo prodotti della sua immaginazione. Ma era difficile.

Perrin iniziò a sollevarsi dall’acqua, le onde che tornavano a solidificarsi. Ma poi urlò quando qualcosa gli sfiorò la gamba. Un fulmine crepitò, spezzando l’aria. Una donna accanto a lui scivolò sotto le onde, strattonata da fauci invisibili. In preda al panico, Perrin tutt’a un tratto fu di nuovo in acqua, in un batter d’occhio, galleggiando in un posto completamente diverso, con un braccio gettato sopra un pezzo di relitto.

Questo accadeva a volte. Se vacillava per un momento — se permetteva a sé stesso di vedere l’incubo come reale — lo trascinava dentro e lo spostava perfino, inserendolo nel suo terribile mosaico. Qualcosa si mosse nell’acqua vicino e lui si allontanò con un sussulto tra gli schizzi. Una delle onde crebbe e lo sollevò in aria.

Non è reale. Non è reale. Non è reale.

Le acque erano così fredde. Qualcosa gli toccò di nuovo la gamba e lui urlò, poi tossì nell’inghiottire una boccata di acqua salata.

NON È REALE!

Era a Cairhien, a leghe dall’oceano. Questa era una strada. Pietre dure sotto di lui. La fragranza di pane sfornato che proveniva da un vicino panificio. La strada fiancheggiata da piccoli alberi di frassino dal tronco esile.

Con un urlo fragoroso, si aggrappò a questa consapevolezza mentre le persone attorno a lui si reggevano ai loro relitti. Perrin strinse le mani a pugno, concentrandosi sulla realtà.

C’erano strade lastricate sotto i suoi piedi. Non onde. Non acqua. Non denti e pinne. Lentamente, si sollevò di nuovo dall’oceano. Ne uscì fuori e posò il suo piede sulla superficie, sentendola solida sotto il suo stivale. L’altro piede seguì. Si ritrovò su un piccolo cerchio di pietre galleggiante.

Qualcosa di enorme emerse dalle acque alla sua sinistra, una bestia massiccia in parte pesce e in parte mostro, con fauci così ampie che un uomo poteva camminarci dentro stando eretto. I denti erano grandi quanto la mano di Perrin e scintillavano sgocciolando sangue.

Non era reale.

La creatura esplose in nebbia. Lo spruzzo colpì Perrin, poi si asciugò immediatamente. Attorno a lui, l’incubo si piegò, con una bolla di realtà che si estendeva da lui. Aria scura, onde fredde, persone urlanti correvano assieme come vernice umida.

Non c’erano fulmini: lui non li vedeva illuminargli le palpebre. Non c’erano tuoni: non riusciva a sentirne il fragore. Non c’erano onde, non nel mezzo di Cairhien, nell’entroterra.

Perrin spalancò gli occhi e l’intero incubo andò in pezzi, svanendo come una pellicola di gelo esposta al sole di primavera. Gli edifici ricomparvero, la strada tornò, le onde arretrarono. Il cielo tornò alla nera tempesta ribollente. Fulmini bianchi e lucenti balenavano nelle sue profondità, ma non c’erano tuoni.

Hopper sedeva sulla strada a poca distanza. Perrin si diresse verso il lupo. Avrebbe potuto balzare lì immediatamente, certo, ma non gli piaceva l’idea di fare tutto facilmente. Quello gli sarebbe mancato quando fosse tornato nel mondo reale.

Tu diventi forte, Giovane Toro, trasmise Hopper con approvazione.

«Mi occorre ancora troppo tempo» disse Perrin, lanciando un’occhiata sopra la spalla. «Ogni volta che entro, mi servono alcuni minuti per riprendere il controllo. Devo essere più veloce. In una battaglia con l’Assassino, pochi minuti potrebbero essere come un’eternità.»

Lui non sarà forte come questi.

«Sarà comunque abbastanza forte» disse Perrin. «Ha avuto anni per imparare a controllare il sogno del lupo. Io ho iniziato solo da poco.»

Hopper rise. Giovane Toro, tu hai iniziato la prima volta che sei venuto qui.

«Sì, ma ho iniziato ad addestrarmi solo poche settimane fa.»

Hopper continuò a ridere. Aveva ragione, in un certo senso. Perrin aveva trascorso due anni preparandosi, visitando il sogno del lupo di notte. Ma gli occorreva ancora imparare più che poteva. Per certi versi, era lieto per il ritardo prima del processo.

Ma non poteva tardare troppo. L’Ultima Caccia era su di loro. Molti dei lupi stavano correndo a nord; Perrin poteva percepirli passare. Correre verso la Macchia, verso le Marche di Confine. Si stavano muovendo sia nel mondo reale che nel sogno del lupo, ma quelli qui non traslavano lì direttamente. Correvano, come branchi.

Poteva capire che Hopper bramasse unirsi a loro. Però rimaneva indietro, come facevano altri.

«Andiamo» disse Perrin. «Troviamo un altro incubo.»


La Parata di Rose era in fiore.

Era incredibile. Poche altre piante erano fiorite in questa estate terribile e quelle che lo avevano fatto erano avvizzite. Ma la Parata di Rose era in fiore e con veemenza, centinaia di esplosioni rosse che si contorcevano attorno alle strutture del giardino. Insetti voraci ronzavano di fiore in fiore, come se ogni ape in città fosse venuta qui a nutrirsi.

Gawyn si tenne a distanza dagli insetti, ma l’odore di rose era così diffuso che si sentiva immerso in esso. Una volta terminata la passeggiata, i suoi vestiti probabilmente avrebbero profumato a quel modo per ore.

Elayne stava parlando con diversi consiglieri vicino a una delle panche accanto a un piccolo stagno ricoperto di ninfee. Stava mostrando la sua gravidanza e pareva raggiante. I suoi capelli dorati riflettevano la luce del sole come la superficie di uno specchio; in cima a quei capelli, la Corona di Rose dell’Andor pareva quasi ordinaria, a paragone.

Spesso aveva molto da fare, in questi giorni. Gawyn aveva udito rapporti sommessi sulle armi che stava costruendo, quelle che pensava potessero essere potenti quanto damane prigioniere. I campanari a Caemlyn stavano lavorando giorno e notte, a quello che lui aveva sentito. Caemlyn si stava preparando per la guerra e la città ferveva di attività. Elayne non aveva spesso tempo per lui, anche se Gawyn era lieto per quello che riusciva a riservargli.

Gli sorrise mentre lui si avvicinava, poi fece cenno ai suoi attendenti di allontanarsi per il momento. Si diresse verso di lui e gli diede un bacio affettuoso sulla guancia. «Sembri pensieroso.»

«Una mia frequente malattia, negli ultimi tempi» disse lui. «Sembri turbata.»

«Una mia frequente malattia, negli ultimi tempi» ribatté lei. «C’è sempre troppo da fare e mai abbastanza tempo per farlo.»

«Se hai bisogno di...»

«No» disse lei, prendendogli il braccio. «Ho bisogno di parlare con te. E mi è stato detto che una passeggiata per i giardini una volta al giorno farà bene alla mia costituzione.»

Gawyn sorrise, inalando gli odori di rose e fango attorno allo stagno. Gli odori della vita. Alzò lo sguardo verso il cielo mentre camminavano. «Non riesco a credere quanta luce solare vediamo qui. Mi ero quasi convinto che quella perpetua oscurità fosse qualcosa di innaturale.»

«Oh, probabilmente lo è» disse lei con disinvoltura. «Una settimana fa la coltre di nubi nell’Andor si è infranta attorno a Caemlyn, ma da nessun’altra parte.»

«Ma... come?»

Lei sorrise. «Rand. Qualcosa che ha fatto. Era in cima a Montedrago, penso. E poi...»

Tutt’a un tratto il giorno parve più buio. «Al’Thor di nuovo» proruppe Gawyn. «Mi segue perfino qui.»

«Perfino qui?» disse lei divertita. «Credo che questi giardini siano il posto dove lo incontrammo la prima volta.»

Gawyn non rispose a questo. Guardò verso nord, controllando il cielo in quella direzione. Sinistre nubi scure erano sospese lì. «È lui il padre, vero?»

«Se lo fosse,» disse Elayne imperturbabile «allora sarebbe prudente nascondere quel fatto, giusto? I figli del Drago Rinato saranno dei bersagli.»

Gawyn provò un senso di nausea. L’aveva sospettato nel momento in cui aveva scoperto la gravidanza. «Che io sia folgorato» disse. «Elayne, come hai potuto? Dopo quello che ha fatto a nostra madre!»

«Lui non le ha fatto nulla» disse Elayne. «Posso presentare testimone su testimone che lo confermerà, Gawyn. Nostra madre è scomparsa prima che Rand liberasse Caemlyn.» C’era uno sguardo affettuoso nei suoi occhi mentre parlava di lui. «Gli sta succedendo qualcosa. Riesco a sentirlo, lo percepisco cambiare. Ripulire. Ricaccia indietro le nuvole e fa sbocciare le rose.»

Gawyn sollevò un sopracciglio. Lei pensava che le rose fiorissero grazie ad al’Thor? Be’, l’amore poteva far pensare strane cose a una persona, e quando l’uomo di cui lei parlava era il Drago Rinato forse ci si poteva aspettare qualche irrazionalità.

Si avvicinarono al piccolo molo dello stagno. Gawyn riusciva a ricordarsi di aver nuotato qui da bambino e poi aver preso uno scappellotto per questo. Non da sua madre, da Galad... anche se la madre di Gawyn gli aveva rivolto un’occhiata severa e delusa. Non aveva mai detto a nessuno che stava nuotando lì dentro solo perché Elayne ce l’aveva spinto.

«Non lo dimenticherai mai, vero?» chiese Elayne.

«Cosa?» domandò lui.

«Stavi pensando alla volta in cui sei scivolato nello stagno durante l’incontro di nostra madre con la Casata Farah.»

«Scivolato? Tu mi hai spinto.»

«Non ho fatto nulla del genere» disse Elayne con sussiego. «Ti stavi mettendo in mostra, stando in equilibrio sui pali.»

«E tu hai fatto muovere il molo.»

«Ci sono salita sopra» disse Elayne. «In modo energico. Sono una persona vigorosa. Ho una falcata energica.»

«Una falcata... Questa è una menzogna bella e buona!»

«No, sto semplicemente affermando la verità in modo creativo. Sono Aes Sedai ora. È un nostro talento. Ora, hai intenzione di farmi fare un giro in barca sullo stagno o no?»

«Io... Un giro in barca? Quando è uscito fuori questo?»

«Proprio ora. Non stavi ascoltando?»

Gawyn scosse una testa confusa. «D’accordo.» Dietro di loro, diverse donne della Guardia assunsero le loro posizioni. Erano sempre vicine, spesso guidate dall’alta donna che si credeva un’immagine di Birgitte dalle storie. E forse assomigliava a Birgitte in quello; si faceva chiamare con lo stesso nome, comunque, e serviva come capitano-generale.

Alle guardie si univa un gruppo sempre più numeroso di attendenti e messaggeri. L’Ultima Battaglia si avvicinava e l’Andor si preparava... e, purtroppo, molti di quei preparativi richiedevano la diretta attenzione di Elayne. Anche se Gawyn aveva sentito una storia curiosa su Elayne che era stata portata in cima alle mura cittadine sul suo letto circa una settimana prima. Finora non era riuscito a costringerla a dire se fosse vero o no.

Gawyn fece cenno a Birgitte, che gli rivolse un’occhiataccia mentre lui conduceva Elayne verso la piccola barca a remi dello stagno. «Prometto di non gettarcela dentro» urlò Gawyn. Poi, sottovoce: «Anche se potrei remare 'con energia’ e farci ribaltare.»

«Oh, zitto» disse Elayne, accomodandosi. «L’acqua dello stagno non farebbe bene ai bambini.»

«A questo proposito» disse Gawyn, spingendo via la barca con la punta del piede, poi salendoci. Il natante ondeggiò in modo precario finché lui non si sedette. «Non dovresti passeggiare per la tua 'costituzione’?»

«Dirò a Melfane che avevo bisogno di cogliere l’opportunità per far ravvedere il mio fratello miscredente. Puoi farla franca con ogni genere di cose se dai a qualcuno una bella ramanzina.»

«È questo che avrò? Una ramanzina?»

«Non necessariamente.» La voce di Elayne era cupa. Gawyn mise i remi negli scalmi e li fece scivolare nell’acqua. Lo stagno non era grande, a malapena abbastanza per giustificare una barca, ma c’era una serenità nell’essere sull’acqua, in mezzo a ninfee e farfalle.

«Gawyn,» disse Elayne «perché sei venuto a Caemlyn?»

«È casa mia» disse. «Perché non sarei dovuto venire qui?»

«Mi preoccupavo per te durante l’assedio. Avrei potuto avvalermi di te nel combattimento. Ma sei rimasto lontano.»

«L’ho spiegato, Elayne! Ero invischiato nella politica della Torre Bianca, per non parlare delle nevi invernali. Mi brucia non aver potuto aiutare, ma quelle donne avevano le loro dita su di me.»

«Io stessa sono una di 'quelle donne’, sai.» Sollevò la mano, l’anello del Gran Serpente che le circondava il dito.

«Tu sei diversa» disse Gawyn. «Comunque hai ragione. Sarei dovuto essere qui. Non so quali altre scuse ti aspetti da me, però.»

«Non mi aspetto delle scuse» disse Elayne. «Oh, Gawyn, non ti stavo rimproverando. Anche se di sicuro mi saresti stato utile, ce l’abbiamo fatta. Ero anche preoccupata che rimanessi diviso tra difendere la Torre e proteggere Egwene. Pare che anche quello si sia risolto. Perciò ti chiedo. Perché sei venuto qui ora? Egwene non ha bisogno di te?»

«A quanto pare no» disse Gawyn, muovendo la barca all’indietro. Un enorme salice frondoso cresceva dal lato dello stagno qui, i suoi rami che pendevano come trecce sospese sopra l’acqua. Gawyn sollevò i remi fuori da quelle fronde e la barca si fermò.

«Bene» disse Elayne. «Non pretenderò di estorcerti altro su questo... perlomeno non ora. Sei sempre il benvenuto qui, Gawyn. Ti renderei capitano-generale, se lo chiedessi, ma non credo che tu lo voglia.»

«Cosa te lo fa dire?»

«Be’, hai passato la maggior parte del tuo tempo qui a deprimerti in giro per questi giardini.»

«Non mi stavo deprimendo. Stavo riflettendo.»

«Ah, sì. Vedo che anche tu hai imparato a dire la verità in modo creativo.»

Lui sbuffò piano.

«Gawyn, non hai trascorso del tempo con nessuno dei tuoi amici o conoscenti al palazzo. Non hai assunto il ruolo di un principe o di un capitano-generale. Invece... rifletti e basta.»

Gawyn fece spaziare lo sguardo per lo stagno. «Non trascorro tempo con gli altri perché tutto ciò che vogliono è sapere perché non ero qui per l’assedio. Continuano a chiedere quando assumerò il mio posto qui e guiderò le tue armate.»

«Va tutto bene, Gawyn. Non devi essere capitano-generale, e posso sopravvivere con il mio Primo Principe della Spada assente, se devo. Anche se lo ammetto, Birgitte è piuttosto innervosita con te perché non sei diventato capitano-generale.»

«È quella la ragione delle occhiatacce?»

«Sì. Ma le passerà: è davvero brava nel suo lavoro. E se c’è qualcuno che voglio che tu protegga, quella è Egwene. Lei ti merita.»

«E se io avessi deciso di non volerla?»

Elayne allungò una mano, posandogliela sul braccio. Il suo viso — incorniciato da capelli dorati e con quella corona dello stesso colore — parve crucciato. «Oh, Gawyn. Cosa ti è successo?»

Lui scosse il capo. «Bryne pensa che fossi troppo abituato al successo e che non abbia saputo come reagire quando le cose hanno cominciato ad andare storte per me.»

«E tu cosa pensi?»

«Penso che sia un bene per me essere qui» disse Gawyn, prendendo un profondo respiro. Alcune donne stavano passeggiando lungo il sentiero attorno allo stagno, guidate da una con vividi capelli rossi striati di bianco. Dimana era una qualche sorta di studentessa mancata nella Torre Bianca. Gawyn non era del tutto certo della natura della Famiglia e della loro relazione con Elayne.

«Essere qui» disse «mi ha ricordato la mia vita di prima. E stato particolarmente liberatorio essere affrancato dalle Aes Sedai. Per un po’, ero certo che per me fosse necessario stare con Egwene. Quando lasciai i Cuccioli per precipitarmi da lei, mi sembrò la scelta migliore che avessi mai fatto. Eppure pare che lei sia andata oltre l’aver bisogno di me. E così preoccupata di essere forte, di essere l’Amyrlin, che non ha spazio per nessuno che non si inchini a ogni suo capriccio.»

«Dubito che sia così male come dici, Gawyn. Egwene... be’, lei deve mostrare una facciata forte. Per via della sua giovinezza e per il modo in cui è stata innalzata. Ma non è arrogante. Non più di quanto sia necessario.»

Elayne intinse le dita nell’acqua, spaventando un pesce schienadoro. «Mi sono sentita come deve sentirsi lei. Ciò che lei vuole è qualcuno che si inchini e si prostri a lei, ma scommetto che ciò che vuole davvero — ciò di cui ha davvero bisogno — è qualcuno di cui potersi fidare completamente. Qualcuno a cui può assegnare dei compiti e poi non preoccuparsi di come vengono gestiti. Lei dispone di enormi risorse. Ricchezza, truppe, fortificazioni, servitori. Ma esiste una sola lei, così se tutto richiede la sua diretta attenzione, è come se non avesse alcuna risorsa.»

«Io...»

«Tu dici di amarla» continuò Elayne. «Mi hai detto di essere devoto a lei, che moriresti per lei. Be’, Egwene ha eserciti pieni di quel genere di persone, proprio come me. Quello che è davvero unico è qualcuno che fa ciò che gli dico. Meglio ancora, qualcuno che fa quello che sa che gli direi, se ne avessi l’opportunità.»

«Non sono certo di poter essere quell’uomo» disse Gawyn.

«Perché no? Di tutti gli uomini pronti a sostenere una donna di Potere, avrei pensato che saresti stato tu.»

«È diverso con Egwene. Non so spiegare perché.»

«Be’, se desideri sposare una Amyrlin, allora devi fare questa scelta.»

Elayne aveva ragione. Lo frustrava, ma aveva ragione. «Ora basta con questo» disse. «Noto che l’argomento si è spostato da al’Thor.»

«Perché non c’era altro da dire su di lui.»

«Tu devi stargli lontano, Elayne. E pericoloso.»

Elayne agitò la mano. «Saidin è ripulito.»

«Ovvio che lui lo direbbe.»

«Tu lo odi» disse Elayne. «Posso sentirlo nella tua voce. Questo non riguarda nostra madre, giusto?»

Gawyn esitò. Lei era diventata così brava nell’indirizzare una conversazione. Era la regina in lei oppure la Aes Sedai? Quasi fece virare di nuovo la barca verso il molo. Ma questa era Elayne. Luce, era bello parlare con qualcuno che lo capiva davvero.

«Perché odio al’Thor?» disse Gawyn. «Be’, riguarda nostra madre. Ma non solo lei. Odio quello che lui è diventato.»

«Il Drago Rinato?»

«Un tiranno.»

«Tu non lo sai, Gawyn.»

«È un pastore. Che diritto ha di abbattere troni, di cambiare il mondo come sta facendo?»

«In particolare mentre tu eri rintanato in un villaggio?» Lui le aveva raccontato buona parte di quello che gli era successo negli ultimi mesi. «Mentre lui conquistava nazioni, tu eri costretto a uccidere i tuoi amici, per poi essere inviato verso la morte dalla tua Amyrlin.»

«Esattamente.»

«Dunque si tratta di gelosia» disse Elayne piano.

«No. Sciocchezze. Io...»

«Cosa faresti, Gawyn?» chiese Elayne. «Lo sfideresti a duello?»

«Forse.»

«E cosa accadrebbe se tu vincessi e lo trafiggessi come hai detto di voler fare? Ci condanneresti tutti per soddisfare la tua passione momentanea?»

Lui non ebbe risposte a questo.

«Non si tratta solo di gelosia, Gawyn» disse Elayne, prendendogli i remi. «È egoismo. Noi non possiamo permetterci di essere poco lungimiranti ora.» Elayne iniziò a remare nonostante le sue proteste.

«Questo» disse lui «dalla donna che ha assalito personalmente l’Ajah Nera?»

Elayne arrossì. Gawyn riuscì a capire che lei desiderava che lui non avesse mai scoperto quel fatto. «Era necessario. E inoltre ho detto "noi!" Tu e io abbiamo questo problema. Birgitte continua a dirmi che devo imparare a essere più moderata. Be’, tu dovrai imparare la stessa cosa, per il bene di Egwene. E lei ha bisogno di te, Gawyn. Può non rendersene conto; può essere convinta di dover reggere il mondo tutto da sola. Si sbaglia.»

La barca andò a sbattere contro il molo. Elayne tolse i remi dagli scalmi e protese una mano. Gawyn si arrampicò fuori, poi la aiutò a salire sul pontile. Lei afferrò la sua mano con affetto. «Lo risolverai» disse. «Ti libero da qualunque responsabilità di essere il mio capitano-generale. Per ora non nominerò un altro Primo Principe della Spada, ma puoi mantenere quel titolo con compiti in sospeso. Finché compari per l’occasionale funzione di stato, non devi preoccuparti che ti possa essere richiesto nient’altro. Lo renderò pubblico immediatamente, adducendo la necessità che tu ti occupi di altri lavori per l’avvento dell’Ultima Battaglia.»

«Io... Grazie» disse, anche se non era certo di sentirlo. Suonava troppo simile all’insistenza di Egwene che non c’era bisogno che lui montasse la guardia alla sua porta.

Elayne gli strinse di nuovo la mano, poi si voltò e si diresse dagli attendenti. Gawyn la osservò parlare con loro in tono calmo. Pareva diventare più regale ogni giorno che passava; era come vedere un fiore sbocciare. Desiderava essere stato a Caemlyn per aver visto tutto quel processo dall’inizio.

Si ritrovò a sorridere mentre si voltava per proseguire lungo la Parata di Rose. I suoi rimpianti avevano problemi a sopraffarlo davanti a una sana dose del caratteristico ottimismo di Elayne. Solo lei poteva chiamare un uomo geloso e farlo sentire bene per questo.

Passò attraverso zaffate di profumo, sentendosi il sole sul collo. Camminò dove lui e Galad avevano giocato da bambini e pensò a sua madre che passeggiava per questi giardini con Bryne. Si ricordò le sue attente istruzioni quando lui faceva un passo falso, poi i suoi sorrisi quando si comportava come avrebbe dovuto fare un principe. Quei sorrisi erano sembrati come il sorgere del sole.

Questo posto era lei. Lei continuava a vivere, in Caemlyn, in Elayne — che le assomigliava ogni momento di più — nella sicurezza e nella forza della gente dell’Andor. Gawyn si fermò accanto allo stagno, nello stesso punto in cui Galad lo aveva salvato da l’affogare da bambino.

Forse Elayne aveva ragione. Forse al’Thor non aveva avuto nulla a che fare con la morte di Morgase. E anche in tal caso, Gawyn non l’avrebbe mai dimostrato. Ma non aveva importanza. Rand al’Thor era già condannato a morire all’Ultima Battaglia. Perciò perché continuare a odiare quell’uomo?

«Lei ha ragione» sussurrò Gawyn, osservando i calabroni danzare sopra la superficie dell’acqua. «Abbiamo finito, al’Thor. D’ora in poi, non m’importa nulla di te.»

Si sentiva come se un enorme peso si fosse sollevato dalle sue spalle. Gawyn esalò un lungo sospiro rilassato. Solo ora che Elayne l’aveva lasciato libero si rendeva conto di quanta colpa aveva provato per la sua assenza dall’Andor. Anche quella era svanita ora.

Tempo di concentrarsi su Egwene. Si ficcò una mano in tasca, tirando fuori il coltello dell’assassino, e lo tenne alla luce del sole, esaminando quelle pietre rosse. Lui aveva un obbligo di proteggere Egwene. Supponendo che lei inveisse contro di lui, lo odiasse e lo esiliasse, non ne sarebbe valsa la pena se fosse riuscito a salvarle la vita?

«Per la tomba di mia madre» disse bruscamente una voce da dietro. «Dove hai preso quello?»

Gawyn si girò. Le donne che aveva notato prima si trovavano dietro di lui sul sentiero. Le guidava Dimana, i suoi capelli striati di bianco, il volto con rughe attorno agli occhi. Utilizzare il Potere non avrebbe dovuto fermare quei segni di invecchiamento?

C’erano due persone con lei. Una era una giovane donna grassoccia dai capelli neri, l’altra una donna robusta di mezza età. La seconda era quella che aveva parlato; aveva grandi occhi dall’aria innocente. E pareva inorridita.

«Cos’è quello, Marille?» chiese Dimana.

«Quel coltello» disse Marille, indicando la mano di Gawyn. «Marille ne ha già visto uno così.»

«Io l’ho già visto» la corresse Dimana. «Sei una persona e non una cosa.»

«Sì, Dimana. Molte scuse, Dimana. Marille... Io non commetterò più quell’errore, Dimana.»

Gawyn sollevò un sopracciglio. Cosa c’era che non andava in questa donna?

«Perdonala, mio signore» disse Dimana. «Marille ha trascorso parecchio tempo come damane e ha difficoltà a adattarsi.»

«Sei Seanchan?» disse Gawyn. Ma certo. Avrei dovuto notarlo dall’accento.

Marille annuì con vigore. Una ex damane. Gawyn provò un brivido. Era stata addestrata a uccidere con il Potere. La terza donna rimase in silenzio, osservando con occhi incuriositi. Non pareva altrettanto sottomessa.

«Dovremmo procedere» disse Dimana. «Non è bene che lei veda cose che le ricordano Seanchan. Vieni, Marille. Quello non è che un oggetto che lord Trakand ha vinto in battaglia, sospetto.»

«No, aspetta» disse Gawyn, sollevando una mano. «Riconosci questa lama?»

Marille guardò verso Dimana, come chiedendo il permesso di rispondere. La donna della Famiglia annuì con aria sofferente.

«È un Coltello del Sangue, mio signore» disse Marille. «Tu non l’hai vinto in battaglia, poiché gli uomini non sconfiggono i Coltelli del Sangue. Sono inarrestabili. Cadono solo quando il loro stesso sangue si rivolta contro di loro.»

Gawyn si accigliò. Che sciocchezza era questa? «Dunque questa è un’arma seanchan?»

«Sì, mio signore» disse Marille. «Portata dai Coltelli del Sangue.»

«Pensavo avessi detto che questo era un Coltello di Sangue.»

«Lo è, ma lo è anche colui che lo porta. Ammantato nella notte, mandato dalla volontà dell’imperatrice — che possa vivere per sempre — per abbattere i suoi nemici e morire nel suo nome e nella sua gloria.» Marille abbassò gli occhi ancora di più. «Marille parla troppo. Lei è spiacente.»

«Io sono spiacente» disse Dimana, una traccia di esasperazione nel suo tono.

«Io sono spiacente» ripete Marille.

«Dunque questi... Coltelli del Sangue» disse Gawyn. «Sono assassini seanchan?» Provò un brivido intenso. Potevano aver lasciato indietro delle truppe suicide per uccidere le Aes Sedai? Sì. Aveva senso. L’assassino non era uno dei Reietti.

«Sì, mio signore» disse Marille. «Ho visto uno dei coltelli appeso nella stanza degli alloggi della mia padrona; era appartenuto a suo fratello, che lo aveva portato con onore finché il suo sangue non si era rivoltato contro di lui.»

«La sua famiglia?»

«No, il suo sangue.» Marille si fece ancora più piccola.

«Parlami di loro» disse Gawyn in tono urgente.

«Ammantati nella notte,» disse Marille «mandati dalla volontà dell’imperatrice — che possa vivere per sempre — per abbattere i suoi nemici e morire...»

«Sì, sì» disse Gawyn. «Questo l’hai già detto. Che metodi usano? Come fanno a nascondersi così bene? Cosa sai di come questo assassino colpisce?»

Marille si faceva sempre più piccola a ogni domanda e iniziò a piagnucolare.

«Lord Trakand» disse Dimana. «Contieniti.»

«Marille non sa molto» disse la damane. «Marille è spiacente. Per favore, puniscila per non aver ascoltato meglio.»

Gawyn si tirò indietro. I Seanchan trattavano le loro damane peggio di animali. A Marille non sarebbe stato detto nulla di specifico su ciò che questi Coltelli del Sangue potevano fare. «Dove avete preso queste damane?» chiese Gawyn. «È stato catturato qualche soldato seanchan? Ho bisogno di parlare con uno di loro; un ufficiale, preferibilmente.»

Dimana increspò le labbra. «Queste sono state prese nell’Altara, e solo le damane ci sono state mandate.»

«Dimana» disse l’altra donna. Non aveva un accento seanchan. «E le sul’dam? Kaisea era del basso Sangue.»

Dimana si accigliò. «Kaisea è... inaffidabile.»

«Per favore» disse Gawyn. «Questo potrebbe salvare delle vite.»

«Molto bene» disse Dimana. «Aspetta qui. Tornerò con lei.» Prese le due donne con sé e si diresse verso il palazzo, lasciando Gawyn ad aspettare in preda all’ansia. Pochi minuti dopo, Dimana tornò, seguita da una donna alta che indossava un abito grigio pallido senza cintura o ricamo. I suoi lunghi capelli neri erano acconciati in una treccia e sembrava determinata a rimanere precisamente un passo dietro Dimana, una cosa che infastidiva la donna della Famiglia, che pareva cercare di tenere d’occhio la donna.

Raggiunsero Gawyn e la sul’dam — incredibile a dirsi — si mise in ginocchio e si prostrò a terra, la testa che toccava il suolo. C’era una fluida eleganza in quell’inchino. Per qualche motivo, fece sentire Gawyn come se lo stesse prendendo in giro.

«Lord Trakand,» disse Dimana «questa è Kaisea. O, almeno, è così che insiste che la chiamiamo ora.»

«Kaisea è una brava servitrice» disse la donna in tono placido.

«Alzati» disse Gawyn. «Cosa stai facendo?»

«A Kaisea è stato detto che sei il fratello della regina; voi siete il Sangue di questo regno e io sono una umile damane

«Damane? Tu sei una sul’dam

«Non più» disse la donna. «Mi deve essere messo il collare, Sommo Signore. Provvederai tu? Kaisea è pericolosa.»

Dimana annuì da una parte, indicando che avrebbero dovuto parlare in privato. Gawyn si allontanò assieme a lei lungo la parata di Rose, lasciando Kaisea prostrata a terra.

«È una sul’dam?» chiese Gawyn. «O è una damane

«Tutte le sul’dam possono essere addestrate a incanalare» spiegò Dimana. «Elayne pensa che questo fatto metterà a repentaglio la loro intera cultura una volta rivelato, perciò ci ha fatto concentrare sull’insegnare alle sul’dam come accedere ai loro poteri. Molte rifiutano di ammettere di poter vedere i flussi, ma alcune sono state sincere con noi. Fino all’ultima, hanno insistito che dovevano essere rese damane

Dimana annuì verso Kaisea. «Questa è la più problematica. Pensiamo che stia lavorando di proposito per imparare i flussi in modo da poter creare un "incidente" e usare il nostro stesso ragionamento contro di noi: se fa qualcosa di violento con l’Unico Potere, può affermare che eravamo in errore nel lasciarla libera.»

Una donna che poteva essere addestrata a uccidere con l’Unico Potere, che non era legata dai Tre Giuramenti e che era determinata a dimostrare di essere pericolosa? Gawyn rabbrividì.

«La teniamo sotto radice biforcuta la maggior parte dei giorni» disse Dimana. «Non ti dico questo per preoccuparti, ma per avvertirti che quello che dice e fa può non essere affidabile.»

Gawyn annuì. «Grazie.»

Dimana lo ricondusse indietro e la sul’dam rimase per terra. «Come può servirti Kaisea, Sommo Signore?» Le sue azioni sembravano una parodia del servilismo di Marille. Quella che all’inizio Gawyn aveva scambiato per una presa in giro non lo era affatto: invece si trattava degli sforzi imperfetti di una persona di nobili natali che ne imitava una umile.

«Hai mai visto uno di questi prima?» chiese Gawyn in tono noncurante, tirando fuori il Coltello del Sangue.

Kaisea annaspò. «Dove hai trovato quello? Chi te l’ha dato?» Si fece piccola quasi immediatamente, come rendendosi conto di essere uscita dal ruolo che aveva assunto.

«Un assassino ha tentato di uccidermi con questo» disse Gawyn. «Abbiamo combattuto ed è scappato.»

«Questo è impossibile, Sommo Signore» disse la donna seanchan, la sua voce più controllata.

«Perché dici questo?»

«Perché se avessi combattuto uno dei Coltelli del Sangue, Sommo Signore, saresti morto. Sono gli assassini più esperti di tutto l’impero. Combattono nel modo più spietato perché sono già morti.»

«Truppe suicide.» Gawyn annuì. «Hai qualche informazione su di loro?» L’espressione di Kaisea divenne combattuta.

«Se ti faccio mettere al guinzaglio?» chiese Gawyn. «Mi risponderai allora?»

«Mio signore!» disse Dimana. «La regina non lo permetterebbe mai!»

«Glielo chiederò» disse Gawyn. «Non posso promettere che verrai messa al guinzaglio, Kaisea, ma posso promettere che intercederò per te presso la regina.»

«Tu sei potente e forte, Sommo Signore» disse Kaisea. «E davvero saggio. Se farai questo, Kaisea ti risponderà.»

Dimana guardò torvo Gawyn.

«Parla» disse alla sul’dam.

«I Coltelli del Sangue non vivono a lungo» disse Kaisea. «Una volta che viene assegnato loro un compito, non riposano. L’imperatrice — che possa vivere per sempre — concede loro delle capacità, degli anelli ter’angreal che li rendono grandi guerrieri.»

«Quelli rendono indistinte le loro forme» disse Gawyn. «Quando sono vicino a un’ombra.»

«Sì» disse Kaisea, suonando sorpresa che lui lo sapesse. «Non possono essere sconfitti. Ma alla fine il loro stesso sangue li ucciderà.»

«Il loro stesso sangue?»

«Sono avvelenati dal loro servizio. Una volta che è stato dato loro un incarico, spesso non durano più di poche settimane. Al massimo sopravvivono un mese.»

Gawyn tenne in alto il coltello, turbato. «Perciò basta che aspettiamo che muoiano.»

Kaisea rise. «Questo non accadrà. Prima di morire, adempieranno il loro compito.»

«Questo sta uccidendo le persone lentamente» disse Gawyn. «Una ogni pochi giorni. Una manciata, finora.»

«Prove» disse Kaisea. «Per saggiare punti di forza e di debolezza, imparando dove possono colpire senza essere visti. Se solo pochi sono morti, allora non avete ancora visto il pieno potere di un Coltello del Sangue. Loro non lasciano una manciata di morti, ma dozzine.»

«A meno che io non lo fermi» disse Gawyn. «Quali sono i suoi punti deboli?»

Kaisea rise di nuovo. «Punti deboli? Sommo Signore, non ho forse detto che sono i guerrieri migliori di Seanchan, potenziati e aiutati dal favore dell’imperatrice, che possa vivere per sempre?»

«D’accordo. Allora cosa sai del ter’angreal? Aiuta l’assassino quando è nelle ombre? Come posso impedirgli di funzionare? Forse accendere un gran numero di torce?»

«Non puoi avere luce senza ombra, Sommo Signore» disse la donna. «Crea più luce e creerai più ombre.»

«Dev’esserci un modo.»

«Kaisea è certa che, se ce n’è uno, tu lo troverai, Sommo Signore.» La risposta aveva in sé un tono tronfio. «Se Kaisea può asserirlo, Sommo Signore? Considerati fortunato di essere sopravvissuto a uno scontro con un Coltello del Sangue. Lui o lei non doveva avere te come suo bersaglio. Sarebbe prudente nasconderti finché non sarà passato un mese. Permetti all’imperatrice — che possa vivere per sempre — di portare a termine la sua volontà e benedici i presagi che ti hanno dato sufficiente preavviso per fuggire e vivere.»

«Basta così» disse Dimana. «Confido che tu abbia quello che volevi, lord Trakand?»

«Sì, grazie» disse Gawyn, turbato. Notò a malapena quando Kaisea si alzò e la donna della Famiglia la condusse via.

Considerati fortunato di essere sopravvissuto... non dovevi essere il suo vero bersaglio...

Gawyn soppesò il coltello da lancio fra le sue mani. Il bersaglio era Egwene, ovvio. Per quale altro motivo i Seanchan avrebbero speso un’arma tanto potente? Forse pensavano che la sua morte avrebbe abbattuto la Torre Bianca.

Egwene doveva essere avvisata. Pure se questo l’avesse fatta arrabbiare con lui, pure se avesse sfidato quello che voleva, lui doveva portarle questa informazione. Poteva, salvarle la vita.

Era ancora lì in piedi — riflettendo su come avvicinare Egwene — quando una servitrice in rosso e bianco lo trovò. Portava un vassoio con sopra una busta sigillata. «Mio signore Gawyn?»

«Cos’è questo?» domandò Gawyn, prendendo la lettera e usando il Coltello del Sangue per tagliarla lungo la parte superiore.

«Da Tar Valon» disse la servitrice con un inchino. «È arrivato attraverso un passaggio.»

Gawyn spiegò lo spesso foglio di carta all’interno. Riconobbe la scrittura di Silviana.

Gawyn Trakand, l’Amyrlin è stata profondamente scontenta nello scoprire la tua partenza. Non ti era mai stato indicato di lasciare la città. Mi ha chiesto di inviare questa missiva, spiegandoti che ti è stato concesso ampio tempo per oziare a Caemlyn. La tua presenza è richiesta a Tar Valon e il tuo ritorno dovrà avvenire in tutta fretta.

Gawyn lesse la lettera, poi la rilesse. Egwene gli urlava contro per aver sconvolto i suoi piani, giungendo quasi a cacciarlo fuori dalla Torre, ed era scontenta di scoprire che lui aveva lasciato la città? Cosa si aspettava che facesse? Per poco non si mise a ridere.

«Mio signore?» chiese la servitrice. «Vorresti mandare una risposta?» C’erano carta e penna sul vassoio. «Hanno lasciato intendere che se ne sarebbero aspettata una.»

«Mandale questa» disse Gawyn, gettando il Coltello del Sangue sul vassoio. Si sentiva arrabbiato, tutt’a un tratto, e tutti i pensieri di tornare fuggirono dalla sua mente. Donna folgorata!

«E dille» aggiunse dopo averci pensato su un momento «che l’assassino è Seanchan e porta un ter’angreal speciale che lo rende difficile da vedere nelle ombre. Meglio far accendere ulteriori luci. Gli altri omicidi erano prove per valutare le sue difese. Lei era il vero bersaglio. Sottolinea che l’assassino è molto, molto pericoloso, ma non la persona che pensava lei. Se le servono prove, può parlare con alcune delle Seanchan qui a Caemlyn.»

La servitrice parve perplessa, ma quando lui non aggiunse altro, la donna si ritirò.

Gawyn cercò di raffreddare la propria rabbia. Non sarebbe tornato indietro, non ora. Non quando sarebbe sembrato come se stesse tornando strisciando a un suo ordine. Lei aveva i suoi "attenti piani e trappole". Aveva detto di non aver bisogno di lui. Avrebbe dovuto fare a meno di lui per un po’, allora.

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