17 Separazioni e un incontro

Il mattino dopo l’attacco del gholam, Mat si svegliò da sogni marci come uova del mese precedente, sentendosi rigido e dolorante. Aveva passato la notte dormendo in una concavità che aveva trovato sotto il carro delle scorte di Aludra. Aveva scelto quel posto a caso, tirando i suoi dadi.

Si arrampicò fuori da sotto il carro, alzandosi in piedi e ruotando la spalla, sentendola schioccare. Dannate ceneri. Una delle cose migliori dell’avere soldi era non dover dormire nei fossi. C’erano mendicanti che passavano notti migliori di questa.

Questo carro odorava di zolfo e polveri. Mat era tentato di sbirciare sotto il telone oliato steso sopra il retro, ma non ci sarebbe stato motivo. Aludra e le sue polveri erano incomprensibili. Fintantoché i draghi avessero svolto il loro compito, a Mat non importava sapere come funzionavano. Be’, non gli importava molto. Non abbastanza da rischiare di irritarla.

Lei non era lì al carro, per fortuna per Mat. Si sarebbe lamentata ancora con lui perché non le aveva procurato un campanaro. Pareva reputarlo il suo messaggero personale. E perfino indisciplinato, che rifiutava di fare il suo lavoro nel modo giusto. Parecchie donne avevano momenti del genere.

Mat attraversò il campo, togliendosi pezzi di paglia dai capelli. Per poco non andò a cercare Lopin per farsi preparare un bagno, finché non si ricordò che Lopin era morto. Dannate ceneri! Pover’uomo.

Pensare al povero Lopin fece piombare Mat in un umore ancora più cupo mentre si dirigeva dove avrebbe trovato un po’ di colazione. Fu Juilin a trovarlo prima. Il basso cacciatore di ladri tarenese indossava il suo cappello conico dalla cima piatta e una giacca blu scuro. «Mat,» disse «è vero? Hai dato il permesso alle Aes Sedai di tornare alla Torre?»

«Non avevano bisogno del mio permesso» disse Mat trasalendo. Se le donne l’avessero sentito dire a quel modo, avrebbero conciato la sua pelle e ne avrebbero fatto del cuoio per selle. «Ho intenzione di dar loro dei cavalli, però.»

«Li hanno già» disse Juilin, guardando in direzione delle linee di picchetti. «Hanno detto che tu gli hai dato il permesso.»

Mat sospirò. Il suo stomaco brontolava, ma il cibo avrebbe dovuto attendere. Si diresse verso i picchetti; si sarebbe dovuto assicurare che le Aes Sedai non partissero con i suoi animali migliori.

«Pensavo che potrei andare con loro» disse Juilin, unendosi a Mat. «Portare Thera a Tar Valon.»

«Puoi andartene quando vuoi» disse Mat. «Io non ti tratterrò qui.» Juilin era un tipo abbastanza a posto. Un po’ rigido a volte. Be’, molto rigido. Juilin poteva far sembrare rilassato un Manto Bianco. Non era il tipo che volevi portare con te a giocare a dadi; avrebbe trascorso la notte guardando torvo chiunque nella taverna e borbottando dei crimini che di sicuro avevano commesso. Ma era affidabile e un buon aiuto quando ti trovavi nei guai.

«Io voglio tornare a Tear» disse Juilin. «Ma i Seanchan sarebbero così vicini, e Thera... La preoccupa. Non le piace molto neanche l’idea di Tar Valon, ma non abbiamo molta scelta e le Aes Sedai hanno promesso che, se fossi andato con loro, mi avrebbero procurato lavoro a Tar Valon.»

«Perciò questo è un addio, allora?» disse Mat, fermandosi e voltandosi verso di lui.

«Per ora» disse Juilin. Esitò, poi gli porse la mano. Mat la prese e la strinse, quindi il cacciatore di ladri si allontanò per radunare le sue cose e la sua donna.

Mat ci pensò su per un momento, poi cambiò idea e si diresse verso la tenda delle cucine. Juilin avrebbe rallentato le Aes Sedai, probabilmente, e lui voleva prendere qualcosa da mangiare.

Poco tempo dopo, arrivò alle linee dei picchetti, sazio e con un involto di stoffa sottobraccio. Naturalmente le Aes Sedai avevano creato un grosso convoglio scompagnato con alcuni dei suoi cavalli migliori. Teslyn e Joline parevano aver deciso di poter requisire alcuni animali da soma e alcuni soldati per caricarli. Mat sospirò ed entrò in mezzo a quella confusione, controllando i cavalli.

Joline sedeva su Moonglow, una giumenta di razza tarenese che era appartenuta a uno degli uomini che Mat aveva perso nel combattimento per sfuggire ai Seanchan. La più riservata Edesina era montata in sella a Firewisp e lanciava occhiate occasionali a due donne in piedi da un lato. Bethamin dalla pelle scura e Seta dai capelli biondi erano ex sul’dam.

Le donne seanchan si sforzavano parecchio di sembrare distaccate mentre il gruppo si radunava. Mat procedette ad ampie falcate verso di loro.

«Altezza,» disse Seta, «è vero? Permetterai a costoro di andare in giro senza di te?»

«Meglio sbarazzarsi di loro» disse Mat, trasalendo per il titolo con cui lei lo aveva chiamato. Dovevano proprio gettare in giro tali parole, come se fossero dei penny di legno? Comunque le due donne seanchan erano cambiate parecchio da quando erano entrate nel gruppo, ma sembravano ancora trovare strano che Mat non desiderasse usare le Aes Sedai come armi. «Volete andare o volete rimanere?»

«Andremo» disse Bethamin con fermezza. Era determinata a imparare, pareva.

«Sì,» disse Seta «anche se a volte penso che potrebbe essere meglio lasciarci semplicemente morire, invece di... Be’, quello che siamo, quello che rappresentiamo significa che siamo un pericolo per l’impero.»

Mat annuì. «Tuon è una sul’dam» disse.

Le due donne abbassarono lo sguardo.

«Andate con le Aes Sedai» disse Mat. «Vi darò dei cavalli per conto vostro, in modo che non dobbiate dipendere da loro. Imparate a incanalare. Quello sarà più utile che morire. Forse un giorno voi due riuscirete a convincere Tuon della verità. Aiutarmi a trovare un modo per aggiustare tutto questo senza far crollare l’impero.»

Le due donne guardarono verso di lui, tutt’a un tratto più decise e fiduciose. «Sì, altezza» disse Bethamin. «È un buon proposito per noi. Grazie, altezza.»

Seta aveva addirittura le lacrime agli occhi! Luce, cosa pensavano che lui avesse appena promesso loro? Mat si ritirò prima che potessero mettersi altre strane idee nella testa. Donne folgorate. Tuttavia, non riusciva a fare a meno di sentirsi dispiaciuto per loro. Apprendere che potevano incanalare, preoccuparsi di poter essere un pericolo per tutti attorno a loro.

Ecco come si sentiva Rand, pensò Mat. Povero sciocco.

Come sempre, i colori turbinarono quando pensò a Rand. Cercava di non farlo troppo spesso e, prima che potesse scacciare quei colori, colse un’occhiata di Rand che si radeva a un elegante specchio dorato appeso in una stupenda camera da bagno.

Mat diede degli ordini di prendere i cavalli per le sul’dam, poi si diresse verso le Aes Sedai. Thom era arrivato e si avvicinò. «Luce, Mat» disse. «Sembra che tu sia rimasto impigliato in una macchia di puntaspilli e ne sia uscito malaccio.»

Mat si portò una mano ai capelli, che probabilmente erano un vero spettacolo. «Ho superato la notte e le Aes Sedai se ne stanno andando. Ho una mezza idea di mettermi a ballare una giga per questo.»

Thom sbuffò. «Sapevi che quelle due persone sarebbero state qui?»

«Le sul’dam? Lo immaginavo.»

«No, quelle due.» Indicò.

Mat si voltò, accigliandosi nel notare Leilwin e Bayle Domon giungere a cavallo. I loro averi erano arrotolati in groppa alle loro cavalcature. Leilwin — allora nota come Egeanin — era stata una nobildonna seanchan, ma Tuon le aveva tolto il nome. Indossava un abito con gonne divise di un grigio pallido. I suoi corti capelli scuri erano cresciuti e le pendevano sopra le orecchie. Scese di sella e si avviò in direzione di Mat.

«Che io sia folgorato» disse Mat a Thom. «Se riesco a sbarazzarmi anche di lei comincerò quasi a pensare che la vita stia diventando giusta nei miei confronti.»

Domon la seguì mentre si avvicinavano. Lui era suo so’jhin. Oppure... poteva anche essere so’jhin adesso che lei non aveva alcun titolo? Be’, a ogni modo era suo marito. L’Illianese era ampio di vita e forte. Non era male come tipo, tranne quando stava vicino a Leilwin. Ossia sempre.

«Cauthon» disse lei, accostandosi a Mat.

«Leilwin» replicò lui. «Te ne stai andando?»

«Sì.»

Mat sorrise. Si sarebbe davvero messo a ballare!

«Ho sempre avuto intenzione di dirigermi alla Torre Bianca» continuò lei. «Ho maturato quell’idea il giorno in cui ho lasciato Ebou Dar. Se le Aes Sedai se ne stanno andando, andrò con loro. Una nave è sempre saggia a unirsi a un convoglio, quando si presenta la giusta opportunità.»

«Che peccato vederti andar via» mentì Mat, inclinando il suo cappello verso di lei. Leilwin era dura come una quercia centenaria con dei pezzi di ascia conficcati dentro, lasciati da uomini tanto sciocchi da tentare di abbatterla. Se il suo cavallo avesse perso un ferro sulla strada per Tar Valon, probabilmente lei si sarebbe messa l’animale in spalla e lo avrebbe portato per il resto del tragitto.

Ma non le piaceva Mat, nonostante tutto quello che lui aveva fatto per salvarle la pelle. Forse era perché non le aveva lasciato prendere il comando, o forse perché era stata costretta a recitare la parte della sua amante. Be’, nemmeno a lui era piaciuta quella parte. Era stato come impugnare una spada per la lama e fingere che non facesse male.

Anche se era stato divertente guardarla contorcersi.

«Stammi bene, Matrim Cauthon» disse Leilwin. «Non invidio la posizione in cui ti sei messo. Per certi versi, penso che i venti che ti portano possano essere davvero più bruschi di quelli che hanno sospinto me, di recente.» Gli rivolse un cenno col capo, poi si voltò per andarsene.

Domon si avvicinò, posando una mano sul braccio di Mat. «Hai fatto come hai detto. Per la mia vecchia nonna! È stata una corsa piena di scossoni, ma hai fatto come hai detto. I miei ringraziamenti.»

I due si allontanarono. Mat scosse il capo, facendo cenno a Thom e dirigendosi dalle Aes Sedai. «Teslyn» disse Mat. «Edesina. Joline. Tutto a posto?»

«Sì» disse Joline.

«Bene, bene» disse Mat. «Avete abbastanza animali da soma?»

«Basteranno, Cauthon» disse Joline. Poi, celando una smorfia, aggiunse: «Grazie per averceli dati.»

Mat le rivolse un ampio sorriso. Cielo, quanto era divertente sentirla provare a comportarsi in modo rispettoso! Era evidente che si era aspettata che Elayne accogliesse lei e le altre a braccia aperte, non che le mandasse via dal palazzo senza concedere loro udienza.

Joline fissò Mat, le labbra piene premute assieme. «Vorrei averti addomesticato, Cauthon» disse lei. «Ho ancora una mezza idea di tornare un giorno e portare a termine quel lavoro come si deve.»

«Aspetterò col fiato in gola, allora» disse, prendendo il pacchetto avvolto nella stoffa che teneva sottobraccio. Glielo porse.

«Cos’è questo?» chiese lei, non allungando la mano per prenderlo.

Mat agitò l’involto. «Un dono d’addio» disse. «Da dove vengo, non si lascia mai andar via un viaggiatore senza dargli qualcosa per la strada. Sarebbe scortese.»

Con riluttanza, lei lo accettò e sbirciò dentro. Fu evidentemente sorpresa di scoprire che conteneva un insieme di circa dodici panini dolci con zucchero a velo. «Grazie» disse lei accigliandosi.

«Manderò dei soldati con voi» disse Mat. «Riporteranno indietro i miei cavalli una volta che sarete arrivate a Tar Valon.»

Joline aprì la bocca come per lamentarsi, ma poi la richiuse. Che obiezione poteva avanzare?

«Questo sarà accettabile, Cauthon» disse Teslyn, muovendo il suo castrone nero più vicino.

«Darò loro ordini di fare come dite» aggiunse Mat, voltandosi verso di lei. «Così avrete persone da comandare e a cui far montare le vostre tende. Ma c’è una condizione.»

Teslyn sollevò un sopracciglio.

«Voglio che diciate una cosa all’Amyrlin» disse lui. «Se è Egwene, dovrebbe essere facile. Ma perfino se non è lei, glielo direte. La Torre Bianca ha qualcosa di mio ed è quasi il momento che io lo reclami. Non voglio, ma quello che voglio non sembra mai importare un fico secco, di questi tempi. Perciò verrò, e non ho intenzione di essere dannatamente messo alla porta.» Sorrise. «Usate queste stesse parole.»

Teslyn, onore al merito, ridacchiò piano. «Provvederò, anche se dubito che le voci siano vere. Elaida non avrebbe abbandonato l’Amyrlin Seat.»

«Potresti rimanere sorpresa.» Mat lo era stato di sicuro quando aveva scoperto donne che chiamavano Egwene Amyrlin. Non sapeva cosa fosse successo su alla Torre Bianca, ma aveva una sensazione inquietante che le Aes Sedai avessero coinvolto la povera Egwene nei loro complotti in modo tanto completo che lei non sarebbe mai scappata. Aveva una mezza idea di andare lassù lui stesso e vedere se riusciva a tirarla fuori.

Ma aveva altri compiti. Egwene avrebbe dovuto badare a sé stessa per ora. Era una ragazza capace; probabilmente poteva cavarsela senza di lui per un po’.

Thom stava al suo fianco, con aria pensierosa. Non sapeva per certo che Mat aveva suonato il Corno... perlomeno, Mat non glielo aveva mai detto. Cercava di dimenticarsi di quella dannata cosa. Ma Thom probabilmente lo aveva indovinato.

«Be’, suppongo che dovreste andare» disse Mat. «Dov’è Setalle?»

«Lei resterà qui» disse Teslyn. «Ha detto che voleva impedirti di commettere troppi passi falsi.» Lei sollevò un sopracciglio, e Joline e Edesina annuirono con sagacia. Tutte presumevano che Setalle fosse una ex servitrice fuggita dalla Torre Bianca, essendo scappata via da ragazza forse per via di qualche malefatta.

Be’, questo voleva dire che lui non si sarebbe sbarazzato dell’intero gruppo. Comunque, se avesse dovuto sceglierne una perché rimanesse, sarebbe stata comare Anan. Probabilmente voleva trovare un modo per ricongiungersi con suo marito e la sua famiglia, che erano fuggiti da Ebou Dar via nave.

Juilin si accostò conducendo Thera. Quello spaventato fuscello di donna era stata davvero la Panarca di Tarabon? Mat aveva visto topi meno timidi. I soldati di Mat portarono dei cavalli anche per loro due. Tutto sommato, questa spedizione gli stava costando una quarantina di animali e una fila di soldati. Ma ne sarebbe valsa la pena. Inoltre, intendeva recuperare sia uomini che cavalli... assieme a informazioni su cosa stava accadendo davvero a Tar Valon.

Annuì a Vanin. Il corpulento ladro di cavalli non era stato troppo contento quando Mat gli aveva ordinato di andare con loro a Tar Valon e raccogliere informazioni. Mat aveva immaginato che ne sarebbe stato entusiasta, considerando come stravedeva per le Aes Sedai. Be’, sarebbe stato ancor meno felice quando avesse scoperto che c’era anche Juilin; Vanin tendeva ad andarci cauto con il cacciatore di ladri nei paraggi.

Vanin montava un castrone baio. Per quanto ne sapevano le Aes Sedai, lui era un veterano delle Braccia Rosse, nonché uno degli esploratori di Mat, ma nessuno di cui sospettare. Non sembrava molto minaccioso, tranne forse essere un pericolo per una scodella di patate bollite. Poteva essere quello il motivo per cui era così bravo in quello che faceva. A Mat non serviva rubare nessun cavallo, ma i talenti di Vanin potevano essere applicati ad altri compiti.

«Bene,» disse Mat, voltandosi di nuovo verso le Aes Sedai «non vi tratterrò oltre, allora.» Fece un passo indietro, evitando di guardare Joline, che aveva negli occhi un’aria da predatore che gli ricordava fin troppo Tylin. Teslyn salutò con la mano e, cosa curiosa, Edesina gli rivolse un cenno di rispetto col capo. Anche Juilin salutò con la mano lui e Thom, e Mat ricevette un cenno da Leilwin. Quella donna masticava rocce per colazione e chiodi per cena, ma era giusta. Forse lui poteva parlare con Tuon, per farla reintegrare o cose del genere.

Non essere uno sciocco, pensò, salutando Bayle Domon. Per prima cosa avrai bisogno di convincere Tuon a non renderti da’covale.

Era quasi convinto che lei intendesse fare di lui il suo servitore, marito o no. Pensare a quello lo fece sudare attorno al colletto.

Non passò molto tempo prima che la polvere che sollevavano per la strada li oscurasse. Thom si accostò a Mat, osservando i cavalieri. «Panini dolci?»

«E una tradizione tra noi, gente dei Fiumi Gemelli.»

«Non ho mai sentito di questa tradizione.»

«È poco nota.»

«Ah, capisco. E cos’hai fatto a quei panini?»

«Spruzzolia» disse Mat. «Le farà diventare la bocca blu per una settimana, forse due. E lei non condividerà quei panini dolci con nessuno, eccetto forse i suoi Custodi. Joline va matta per quelle cose. Deve averne mangiati sei o sette sacchetti da quando siamo arrivati a Caemlyn.»

«Buono» disse Thom, lisciandosi i baffi con le nocche. «Infantile, però.»

«Sto cercando di tornare alle radici» disse Mat. «Sai, ricatturare parte della mia giovinezza perduta.»

«Hai a malapena venti inverni!»

«Certo, ma ho vissuto parecchio quando ero più giovane. Andiamo. Comare Anan rimarrà, e questo mi dà un’idea.»


«Hai bisogno di raderti, Matrim Cauthon.» Comare Anan incrociò le braccia squadrandolo.

Lui sollevò una mano per toccarsi la faccia. Era stato sempre Lopin a farlo, ogni mattina. Quell’uomo diventava imbronciato come un cane nella pioggia quando Mat non gli lasciava fare certe cose, anche se di recente si era lasciato crescere la barba per evitare di essere notato. Gli prudeva ancora come una vecchia crosta.

Aveva trovato Setalle presso le tende delle provviste, a sovrintendere al pasto di mezzogiorno. Dei soldati della Banda se ne stavano accovacciati a tagliare verdure e bollire fagioli con l’espressione furtiva di uomini a cui erano state date istruzioni precise. Non c’era bisogno di Setalle qui: i cuochi della Banda erano sempre stati in grado di preparare i pasti senza di lei. Ma a una donna non piaceva nulla più di trovare degli uomini che si stavano rilassando e dar loro ordini. Inoltre, Setalle era una ex locandiera e — cosa singolare — una ex Aes Sedai. Mat la trovava spesso a sovrintendere a cose che non avevano bisogno di alcuna supervisione.

Non per la prima volta, desiderò che Tuon stesse ancora viaggiando con lui. Di solito Setalle aveva preso le parti di Tuon, ma stare con la Figlia delle Nove Lune l’aveva tenuta spesso occupata. Nulla era più pericoloso per la sanità mentale di un uomo che una donna con troppo tempo a disposizione.

Setalle indossava ancora abiti nello stile di Ebou Dar, che Mat trovava piacevole, considerando la scollatura vertiginosa. Quel genere di abbigliamento funzionava particolarmente bene su una donna prosperosa come Setalle. Non che lui ci facesse caso. Aveva grossi anelli dorati alle orecchie, un portamento solenne e del grigio fra i capelli. Il prezioso coltello nuziale che portava attorno al collo sembrava una sorta di avvertimento, dal modo in cui era annidato in quella scollatura. Non che Mat facesse caso nemmeno a quello.

«Mi sono fatto crescere la barba di proposito» disse Mat in risposta. «Voglio...»

«La tua giacca è sporca» disse lei, annuendo a un soldato che le portò delle cipolle che aveva sbucciato. Lui le versò impacciato dentro una pentola, non guardando Mat. «E i tuoi capelli sono un disastro. Sembra che tu abbia partecipato a una rissa, e non è ancora mezzogiorno.»

«Sto bene» disse Mat. «Mi darò una ripulita più tardi. Non sei andata con le Aes Sedai.»

«Ciascun passo verso Tar Valon mi porterebbe più lontano da dove devo essere. Ho bisogno di mandare notizie a mio marito. Quando ci siamo separati, non sospettavo che sarei finita addirittura nell’Andor.»

«Sto pensando che presto qui potrei ottenere accesso a qualcuno in grado di creare passaggi» disse Mat. «E...» Si accigliò quando un altro gruppo di soldati si avvicinò, portando delle piccole quaglie che avevano cacciato. I soldati parevano vergognarsi per quella magra cacciagione.

Setalle ordinò loro di spennare gli uccelli senza rivolgere a Mat nemmeno uno sguardo. Luce, doveva farla uscire dal suo campo. Le cose qui non sarebbero tornate alla normalità finché non se ne fossero andate tutte.

«Non guardarmi a quel modo, lord Mat» disse Setalle. «Noram è andato in città per vedere che tipo di provviste riusciva a trovare. Ho notato che, senza il cuoco in persona qui a pungolare gli uomini, i pasti non vengono preparati a una velocità ragionevole. Non a tutti noi piace pranzare quando il sole sta tramontando.»

«Io non ho detto niente» replicò Mat, mantenendo il proprio tono pacato. Fece un cenno col capo da una parte. «Possiamo parlare un momento?»

Setalle esitò, poi annuì e si allontanò dagli altri con lui. «Cosa sta succedendo davvero?» disse lei piano. «Pare che tu abbia dormito sotto un covone di fieno.»

«Ho dormito sotto un carro, in effetti. E la mia tenda è macchiata di sangue. Non ho proprio molta voglia di andar lì a cambiarmi d’abito ora.»

Il suo sguardo si attenuò. «Capisco la tua perdita. Ma questa non è una scusa per andare in giro con l’aria di aver vissuto in un vicolo. Avrai bisogno di ingaggiare un altro servitore.»

Mat si accigliò. «Non ne ho mai avuto bisogno. Posso prendermi cura di me stesso. Ascolta, ho un favore da chiederti. Voglio che badi a Olver per un poco.»

«A quale scopo?»

«Quella cosa potrebbe tornare indietro» disse Mat. «E potrebbe provare a fargli del male. Inoltre, a breve andrò via con Thom. Potrei tornare. Dovrei tornare. Ma in caso contrario, io... Be’, preferirei che lui non restasse da solo.»

Lei lo esaminò. «Non sarebbe da solo. Gli uomini nell’accampamento paiono nutrire molto affetto per il bambino.»

«Certo, ma non mi piacciono le cose che gli stanno insegnando. Al ragazzo servono esempi migliori di quella marmaglia.»

Lei parve divertita da questo per qualche ragione. «Ho già cominciato a insegnargli a leggere. Suppongo di poter badare a lui per un po’, se necessario.»

«Grandioso. Stupendo.» Mat emise un sospiro di sollievo. Le donne erano sempre felici di avere un’opportunità per educare un ragazzo quando era giovane; Mat pensava che ritenessero di poterlo istruire a non diventare un uomo, se si fossero sforzate abbastanza. «Ti darò del denaro. Puoi andare in città e trovare una locanda.»

«Sono stata in città» disse Setalle. «Ogni locanda lì dentro sembra già stipata fino alle pareti.»

«Troverò un posto per te» promise Mat. «Solo tieni Olver al sicuro. Quando giungerà il momento e avrò qualcuno per creare dei passaggi, farò in modo di mandarti a Illian in modo che tu possa trovare tuo marito.»

«Un accordo» disse Setalle. Esitò, lanciando un’occhiata verso nord. «Le... altre sono andate, allora.»

«Sì.» E tanti saluti.

Lei annuì, sembrando piena di rimpianto. Forse non si era messa a dare ordini agli uomini per il pranzo perché era stata offesa dal vederli rilassarsi. Forse stava cercando qualcosa con cui tenersi occupata.

«Sono spiacente» disse Mat. «Per qualunque cosa ti sia capitata.»

«Il passato è passato» replicò lei. «E ho bisogno di lasciar perdere. Non avrei mai dovuto chiedere di vedere l’oggetto che indossi. Queste ultime settimane mi hanno fatto dimenticare me stessa.»

Mat annuì, congedandosi da lei, poi andò in cerca di Olver. E poi si sarebbe davvero dovuto occupare di cambiarsi la giacca. E che fosse folgorato, si sarebbe anche rasato. Gli uomini che lo stavano cercando potevano dannatamente ucciderlo, se volevano. Una gola tagliata sarebbe stata meglio di questo prurito.


Elayne passeggiava per il Giardino dell’Alba del palazzo. Questo giardino più raccolto era sempre stato un luogo preferito di sua madre, posto in cima al tetto dell’ala orientale del palazzo. Era bordato da un ovale in muratura bianca, con un muro più grande e curvo sul fondo.

Elayne aveva una visuale completa della città sottostante. Negli anni passati, le erano piaciuti i giardini inferiori proprio perché erano un ritiro. Era in quei giardini che aveva incontrato Rand per la prima volta. Si premette una mano contro la pancia. Anche se si sentiva enorme, la gravidanza stava appena cominciando a essere evidente. Purtroppo aveva dovuto commissionare un nuovo corredo di abiti. Probabilmente avrebbe dovuto farlo ancora nei prossimi mesi. Che seccatura.

Continuò a camminare per il giardino sul tetto. Saltasù rosa e stelle mattutine bianche sbocciavano in vasi. I boccioli non erano tanto grandi quanto sarebbero dovuti essere e stavano già avvizzendo. I giardinieri si lamentavano che non c’era nulla da fare. Fuori nella città, erbe ed erbacce stavano morendo a chiazze, e quella trapunta mescolata di campi e colture pareva tanto marrone da essere deprimente.

Sta arrivando, pensò Elayne. Continuò per la sua strada, percorrendo un sentiero fatto di erba primaverile, curata e tenuta bassa. Gli sforzi dei giardinieri non erano privi di risultati. L’erba qui era perlopiù verde e l’aria odorava delle rose che si intrecciavano su per i lati del muro. Avevano delle chiazze nere su di esse, ma erano sbocciate.

Un torrentello gorgogliante scorreva nel mezzo del giardino, fiancheggiato da pietre di fiume attentamente allineate. Quel torrentello scorreva solo quando lei era lì in visita: l’acqua doveva essere portata su fino alla cisterna.

Elayne si soffermò a un altro punto di osservazione. Una regina non poteva scegliere di rimanere appartata come un erede al trono. Birgitte si accostò a lei. Incrociò le braccia sopra il petto rosso della sua giacca, fissando Elayne.

«Cosa c’è?» chiese Elayne.

«Sei in piena vista» disse Birgitte. «Chiunque laggiù abbia un arco e una buona mira potrebbe far ripiombare la nazione in una guerra per la Successione.»

Elayne roteò gli occhi. «Sono al sicuro, Birgitte. Non mi accadrà nulla.»

«Oh, be’, mi scuso» disse Birgitte in tono piatto. «I Reietti girano indisturbati e arrabbiati con te, l’Ajah Nera è sicuramente furiosa che tu abbia catturato i suoi agenti e hai umiliato svariati nobili che hanno cercato di sottrarti il trono. È evidente che non corri il minimo pericolo. Filerò via a prendere il pranzo, allora.»

«Potresti anche farlo» sbottò Elayne. «Perché io sono al sicuro. Min ha avuto una visione. I miei bambini nasceranno sani. Min non si sbaglia mai, Birgitte.»

«Min ha detto che i tuoi bambini sarebbero stati forti e sani» disse Birgitte. «Non che tu saresti stata in salute quando fossero arrivati.»

«E in che altro modo potrebbero arrivare?»

«Ho visto persone colpite alla testa così forte che non sono mai state più le stesse, ragazza» disse Birgitte. «Alcune vivono per anni, ma non pronunciano mai più una parola e devono essere nutrite con brodo e vivere con una padella. Potresti perdere un braccio o due e partorire comunque figli sani. E la gente attorno a te? Non pensi al pericolo che potresti causare loro?»

«Sono addolorata per Vandene e Sareitha» disse Elayne. «E per quegli uomini che hanno perso la vita per salvarmi. Non osare insinuare che non provo alcuna responsabilità per loro! Ma una regina deve essere disposta ad accettare il fardello che altri muoiano in suo nome. Ne abbiamo discusso, Birgitte. Abbiamo deciso che non c’era modo per cui potessi sapere che Chesmal e le altre sarebbero arrivate come hanno fatto.»

«Abbiamo deciso» disse Birgitte a denti stretti «che discutere ulteriormente non serviva a nulla. Ma voglio che tu tenga a mente che esistono parecchie cose che potrebbero ancora andare storte.»

«Non accadrà» disse Elayne, facendo spaziare lo sguardo sulla città. «I miei bambini saranno al sicuro, e questo significa che lo sarò anch’io. Almeno fino alla loro nascita.»

Birgitte esalò un sospiro di esasperazione. «Sciocca, ostinata...» Si interruppe quando una delle vicine donne della Guardia agitò la mano per attirare la loro attenzione. Due della Famiglia uscirono sul tetto. Elayne aveva chiesto loro di venire a incontrarsi con lei.

Birgitte prese posizione accanto a uno dei bassi ciliegi, le braccia conserte. Le due donne della Famiglia portavano vestiti privi di fronzoli, Sumeko in giallo e Alise in blu. Alise era la più bassa delle due, con del grigio che le striava i capelli castani, ed era più debole nel Potere, perciò non aveva rallentato il suo invecchiamento quanto Sumeko.

Entrambe le donne avevano assunto un passo più deciso di recente. Nessun’altra donna della Famiglia era scomparsa o era stata uccisa; Careane era stata dietro gli omicidi fin dall’inizio. Un membro della Nera, che si nascondeva fra loro. Luce, il solo pensarci facevaaccapponare la pelle di Elayne!

«Maestà» disse Alise con una riverenza. Parlava con voce calma e pacata e un lieve accento tarabonese.

«Maestà» disse anche Sumeko, imitando la riverenza della sua compagna. Le due erano deferenti, molto più nei confronti di Elayne che verso altre Aes Sedai, di questi tempi. Nynaeve aveva dato alla Famiglia in generale un po’ di nerbo nei confronti delle Aes Sedai e della Torre Bianca, anche se a Elayne non era mai sembrato che Alise ne avesse bisogno.

Durante l’assedio, Elayne aveva iniziato a considerare gli atteggiamenti delle donne della Famiglia con irritazione. Di recente, però, si era interrogata. Le erano state estremamente utili. Fino a che punto questa loro nuova audacia le avrebbe spinte?

Elayne annuì a ciascuna della Famiglia a turno, poi fece un gesto verso un terzetto di sedie che erano state poste all’ombra dei ricurvi alberi di ciliegio. Le tre si misero a sedere, con il torrentello che serpeggiava per il suo percorso studiato alla loro sinistra. C’era tè alla menta. Le altre due presero una tazza ciascuna, ma furono attente ad aggiungere una generosa quantità di miele. Senza di esso, di questi tempi il tè aveva un sapore orribile.

«Come sta la Famiglia?» chiese Elayne.

Le due donne si lanciarono un’occhiata. Dannazione. Elayne si stava comportando in modo troppo formale con loro. Sapevano che c’era qualcosa in ballo.

«Stiamo bene, maestà» disse Alise. «Pare che la paura stia lasciando molte delle donne. Perlomeno quelle che hanno avuto abbastanza buonsenso da provarla. Suppongo che quelle che non l’hanno provata siano state quelle che si sono allontanate per conto loro e si sono ritrovate morte.»

«È anche bello non dover trascorrere così tanto tempo a Guarire» osservò Sumeko. «Stava diventando molto spossante. Così tanti feriti, giorno dopo giorno.» Fece una smorfia.

Alise era fatta di una pasta più forte. Sorseggiò il proprio tè, il volto mite. Non calmo e bloccato come una Aes Sedai. Pensieroso e caldo, tuttavia riservato. Era un vantaggio di queste donne rispetto alle Aes Sedai: potevano essere viste senza altrettanto sospetto, dal momento che non erano legate direttamente alla Torre Bianca. Ma non avevano nemmeno la sua autorità.

«Potete percepire che ho qualcosa da chiedervi» disse Elayne, incontrando gli occhi di Alise.

«Possiamo?» chiese Sumeko, suonando sorpresa. Forse Elayne le aveva riconosciuto troppi meriti.

Alise annuì in maniera matronale. «Ci hai chiesto molto nel corso della nostra permanenza qui, maestà. Non più di quanto pensavo che avessi diritto a chiedere. Finora.»

«Ho cercato di accogliervi a Caemlyn» disse Elayne. «Dal momento che mi rendo conto che non potrete più tornare a casa, non mentre i Seanchan controllano Ebou Dar.»

«Questo è vero» convenne Alise. «Ma difficilmente si può definire Ebou Dar la nostra casa. Era semplicemente un posto dove ci ritrovavamo. Non tanto una casa quanto una necessità. Molte di noi entravano e uscivano a rotazione dalla città comunque, per evitare di essere notate.»

«Avete riflettuto su dove starete ora?»

«Andremo a Tar Valon» si affrettò a dire Sumeko. «Nynaeve Sedai ha detto...»

«Sono certa che ci sarà un posto per alcune di voi!» la interruppe Elayne. «Quelle che desiderano diventare Aes Sedai. Egwene sarà lieta di dare una seconda opportunità a ogni donna della Famiglia che desideri riprovare a ottenere lo scialle. Ma il resto di voi?»

«Ne abbiamo parlato» disse Alise con cautela, stringendo gli occhi. «Diventeremo associate alla Torre, un posto dove le Aes Sedai possano ritirarsi.»

«Di certo non vi trasferirete a Tar Valon, però. A cosa servirebbe che la Famiglia sia un posto per ritirarsi dalla politica delle Aes Sedai se sono così vicino alla Torre Bianca?»

«Presumevamo che saremmo rimaste qui» disse Alise.

«È quello che presumevo anch’io» disse Elayne attentamente. «Ma le supposizioni sono deboli. Voglio darvi delle promesse, invece. Dopotutto, se dovete rimanere a Caemlyn, non vedo ragione per non offrirvi il sostegno diretto della Corona.»

«A quale prezzo?» chiese Alise. Sumeko stava osservando con un cipiglio confuso.

«Non sarà molto» disse Elayne. «In effetti, non sarà affatto un prezzo. Un favore occasionale, come quello che avete fatto alla Corona in passato.»

Il giardino rimase immobile. Deboli richiami dalla città sottostante si levarono nell’aria e i rami tremolarono al vento, lasciando cadere foglie brune tra Elayne e la Famiglia.

«Questo suona pericoloso» disse Alise, prendendo un sorso del suo tè. «Di certo non stai suggerendo che organizziamo una Torre Biancarivale qui a Caemlyn.»

«Nulla del genere» si affrettò a dire Elayne. «Io stessa sono Aes Sedai, dopotutto. Ed Egwene ha detto che avrebbe lasciato continuare la Famiglia come prima, sempre che accettino la sua autorità.»

«Non sono certa che vogliamo 'continuare come prima’» disse Alise. «La Torre Bianca ci ha lasciato a vivere le nostre vite nel terrore di essere scoperte. Ma per tutto il tempo ci stavano usando. Più ci riflettiamo, meno la cosa ci... diverte.»

«Parla per te, Alise» disse Sumeko. «Io intendo essere sottoposta alla prova e tornare alla Torre. Bada, io mi unirò alla Gialla, bada a quello che dico.»

«Forse, ma non ammetteranno me» disse Alise. «Sono troppo debole nel Potere. Non accetterò qualche mezza misura, costretta a prostrarmi e inchinarmi ogni volta che una Sorella viene a chiedermi di lavarle i vestiti. Ma non smetterò nemmeno di incanalare. Io noncederò. Egwene Sedai ha parlato di lasciar continuare la Famiglia, ma se lo facciamo, saremo in grado di utilizzare l’Unico Potere apertamente?»

«Suppongo che lo sareste» disse Elayne. «Molto di tutto questo è stato un’idea di Egwene. Di sicuro non manderebbe le Aes Sedai in ritiro da voi se a loro fosse proibito incanalare. No, i giorni di donne fuori dalla Torre che incanalavano in segreto sono passati. Le Cercavento, le Sapienti aiel, hanno dimostrato che i tempi devono cambiare.»

«Forse» disse Alise. «Ma rendere i vostri servigi alla Corona dell’Andor è una faccenda molto diversa.»

«Ci assicureremmo di non entrare in competizione con gli interessi della Torre» disse Elayne. «E voi accettereste l’autorità dell’Amyrlin. Allora qual è il problema? Le Aes Sedai forniscono servigi a monarchi di ogni terra.»

Alise sorseggiò il suo tè. «La tua offerta è degna di attenzione. Ma dipende dalla natura dei favori richiesti dalla Corona dell’Andor.»

«Io vi chiederei solo due cose» disse Elayne. «Viaggiare e Guarire. Non c’è bisogno che entriate nei nostri conflitti, non c’è bisogno che prendiate parte alla nostra politica. Acconsentite semplicemente a Guarire la mia gente che sta male e ad assegnare un gruppo di donne ogni giorno a creare passaggi quando la Corona lo desidera.»

«Questo suona ancora molto simile alla vostra Torre Bianca» disse Alise. Sumeko stava aggrottando la fronte.

«No, no» disse Elayne. «La Torre Bianca significa autorità, politica. Voi sareste qualcosa di completamente diverso. Immaginate un posto a Caemlyn dove chiunque potrebbe venire per ricevere Guarigione, gratuitamente. Immaginate una città senza malattie. Immaginate un mondo dove il cibo può arrivare istantaneamente da coloro che ne hanno bisogno.»

«E una regina che può mandare truppe ovunque le occorre» disse Alise. «I cui soldati possono combattere un giorno e poi non essere più feriti il successivo. Una regina che può ottenere un discreto profitto nel far pagare ai mercanti per l’accesso ai suoi passaggi.» Prese un sorso del suo tè.

«Sì» ammise Elayne. Anche se non era certa di come avrebbe fatto a convincere Egwene a lasciarle fare quella parte.

«Vorremo la metà» disse Alise. «La metà di tutto quello che farai pagare per Viaggiare o Guarire.»

«La Guarigione è gratuita» disse Elayne con fermezza. «Per chiunque verrà, a prescindere dal ceto sociale. La gente verrà curata in ordine di severità del malanno, non in ordine di rango.»

«Potrei essere d’accordo con questo» disse Alise.

Sumeko si voltò verso di lei, gli occhi sgranati. «Non puoi parlare per noi. Tu stessa mi hai rinfacciato che il Circolo della Maglia è dissolto, ora che abbiamo lasciato Ebou Dar. Inoltre, secondo la Regola...»

«Io parlo solo per me stessa, Sumeko» disse Alise. «E per quelle che si uniranno a me. La Famiglia come la conoscevamo non esiste più. Eravamo dominate dalla nostra necessità di rimanere segrete, e ora questa è venuta meno.»

Sumeko rimase in silenzio.

«Tu intendi unirti alle Aes Sedai, amica mia» disse Alise, posandole una mano sul braccio. «Ma non accetteranno me, né io accetterò loro. Ho bisogno di qualcos’altro, e anche altre di noi avranno la stessa esigenza.»

«Ma legarvi alla Corona dell’Andor...»

«Noi ci leghiamo alla Torre Bianca» disse Alise. «Ma viviamo a Caemlyn. Entrambe hanno i loro benefici. Noi non siamo abbastanza forti da stare per conto nostro. L’Andor è un posto buono come un altro. Ha il favore della Torre Bianca e il favore del Drago Rinato. Soprattutto è qui, e qui siamo noi.»

«Potete riorganizzarvi» disse Elayne, sempre più eccitata. «La Regola può essere riformulata. Potete decidere di lasciare che le donne della Famiglia si sposino ora, se desiderate. Penso che sarebbe per il meglio.»

«Perché?» chiese Alise.

«Perché darà loro dei legami» spiegò Elayne. «Questo le renderà una minaccia minore per la Torre Bianca. Aiuterà a differenziarvi. E qualcosa che poche donne nella Torre Bianca fanno, e vi dà l’opportunità di rendere la Famiglia un’opzione più allettante.»

Alise annuì, pensierosa; pareva che Sumeko si stesse lasciando convincere. A Elayne dispiaceva ammettere che non le sarebbe mancata quella donna quando se ne fosse andata. Elayne intendeva spingerle a decidere un nuovo modo in cui scegliere i loro capi. Sarebbe stato molto più comodo se avesse potuto lavorare con qualcuna come Alise invece che con quella che sarebbe stata la più vecchia tra loro.

«Sono ancora preoccupata per l’Amyrlin» disse Alise. «Le Aes Sedai non fanno pagare per i loro servizi. Cosa dirà se cominceremo a farlo?»

«Parlerò io con Egwene» ripeté Elayne. «Sono certa di poterla convincere che la Famiglia e l’Andor non costituiscono una minaccia per lei.»

Almeno sperava. C’era una possibilità per qualcosa di incredibile nella Famiglia, un’opportunità per l’Andor di avere accesso costante e poco dispendioso ai passaggi. Questo l’avrebbe messa quasi allo stesso livello dei Seanchan.

Parlò con le donne ancora per un po’, assicurandosi che avessero l’impressione che stava riservando loro la dovuta attenzione. Alla fine le congedò, ma si ritrovò a soffermarsi nel giardino, in piedi tra due vasi che contenevano campanule blu, con i loro grappoli di minuscoli boccioli a calice che pendevano e si agitavano nella brezza. Cercò di non guardare il vaso accanto a esse, che era vuoto. Le campanule lì erano fiorite del colore del sangue e avevano davvero sanguinato qualcosa di rosso quando erano state tagliate. I giardinieri le avevano estirpate.

I Seanchan sarebbero arrivati per conquistare l’Andor, prima o poi. Per allora, gli eserciti di Rand probabilmente sarebbero stati indeboliti e spezzati dal combattimento, e forse il loro condottiero sarebbe morto. Di nuovo, le faceva stringere il cuore pensare a questo, ma non poteva rifuggire dalla verità.

L’Andor sarebbe stato un tesoro per i Seanchan. Le miniere e le ricche terre del suo regno li avrebbero allettati, così come la prossimità a Tar Valon. Oltre a quello, Elayne sospettava che coloro che affermavano di essere i successori di Artur Hawkwing non sarebbero mai stati soddisfatti finché non avessero avuto tutto quello che un tempo era appartenuto al loro antenato.

Elayne fece spaziare lo sguardo sulla sua nazione. La sua nazione. Piena di coloro che confidavano in lei perché li proteggesse e li difendesse. Molti di coloro che avevano sostenuto la sua rivendicazione al trono avevano avuto poca fiducia in lei. Ma lei era la loro opzione migliore, la loro unica opzione. Avrebbe mostrato loro la saggezza di quella scelta.

Assicurarsi la Famiglia sarebbe stato un passo. Presto o tardi i Seanchan sarebbero stati in grado di Viaggiare. Tutto quello di cui avevano bisogno era catturare una donna che conoscesse i flussi e presto tutte quante le damane con forza sufficiente sarebbero state capaci di creare i portali. Anche a Elayne serviva avervi accesso.

Quello che non aveva, però, erano Incanalatrici da usare in battaglia. Sapeva di non poter chiedere questo alla Famiglia. Non vi avrebbero mai acconsentito, né lo avrebbe fatto Egwene. Né Elayne stessa. Costringere una donna a usare l’Unico Potere come arma non l’avrebbe resa migliore dei Seanchan stessi.

Purtroppo Elayne conosceva molto bene la distruzione che delle donne che utilizzassero l’Unico Potere erano in grado di causare. Era stata legata in un carro mentre Birgitte guidava l’attacco contro quelle dell’Ajah Nera che l’avevano rapita qui a Caemlyn, ma aveva visto le conseguenze. Centinaia di morti, altre centinaia di feriti, uomini bruciati via dal Disegno a dozzine. Cadaveri fumanti, contorti.

Aveva bisogno di qualcosa. Un vantaggio contro i Seanchan. Qualcosa per equilibrare le loro incanalatrici in combattimento. L’unica cosa a cui riusciva a pensare era la Torre Nera. Era sul suolo dell’Andor. Aveva detto loro che li considerava parte della sua nazione, ma finora non si era spinta più in là di mandare squadre di ispezione.

Cosa sarebbe successo a loro se Rand fosse morto? Lei osava forse rivendicarli? Osava aspettare che lo facesse qualcun altro?

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