Il culmine dei potere dei Comyn, due o tre secoli fa, la Sala dei Cristalli doveva essere parsa piccola, per tutti coloro che potevano vantare il loro diritto ereditario. Dalle pareti trasparenti si diffondeva una serena luce azzurra, in cui, di tanto in tanto, guizzava un lampo verde, rosso, giallo. Durante il giorno sembrava di trovarsi al centro dell'arcobaleno; di sera pareva un luogo fuori del mondo, una nave di cristallo che veleggiava sui venti dello spazio.
Laggiù io ero stato presentato ai Comyn, quando avevo cinque anni, ma ero troppo robusto e scuro di capelli per essere un vero Comyn. Eppure, anche se ero così giovane, ricordavo ancora il dibattito, e il vecchio Duvic Elhalyn che diceva: «Kennard Alton, perdi il tuo tempo e insulti questo sacro luogo, se credi di poter portare in Consiglio i tuoi bastardi mezza-casta!»
E ricordavo che mio padre si era voltato verso di lui, con rabbia e mi aveva sollevato tra le braccia, in piena vista dei Comyn.
«Guardate il bambino, e rimangiatevi le vostre parole!» aveva detto, e il vecchio Elhalyn non aveva più parlato. Nessuno osava sfidare mio padre una seconda volta.
Non che quella sfuriata di mio padre fosse servita a molto. Mezza-casta ero, e bastardo ero rimasto; sarei sempre rimasto un estraneo. Esattamente come il bambino che era stato per ore a sorbirsi il lungo cerimoniale incomprensibile, col braccio che gli faceva male dove l'avevano tatuato con la matrice per dimostrare la sua appartenenza alle Famiglie.
Mi guardai il polso. Avevo ancora il tatuaggio, poco al di sopra del punto dove mi avevano dovuto tagliare la mano.
«A che cosa pensi?» mi chiese Derik.
«Oh, scusami», dissi io, sorpreso. «Mi hai chiesto qualcosa? Pensavo a quando sono entrato per la prima volta in questa sala. In quegli anni c'era molta più gente.»
Derik rise.
«Allora», disse, «è tempo che tu metta al mondo qualche nuovo Alton da mandare in Consiglio!»
L'idea non mi dispiaceva. Le mie terre, fertili vallate verdi a qualche giorno di viaggio da Thendara, avevano bisogno di me. Guardai Gallina: sedeva accanto a Linnell, su una poltrona capace di accogliere almeno sei ragazze come loro. Derik mi lasciò per andare a parlare con Linnell: vidi che la ragazza gli sorrideva, felice, e che anche il viso sottile e aggraziato del principe si illuminava. Non era veramente sciocco come molti lo giudicavano, Derik; più che altro, come tanti giovani Comyn, non credeva nelle proprie responsabilità.
Non aveva una sufficiente forza di volontà per Linnell, ma lei lo amava…
Incrociai lo sguardo con quello di Diana Ridenow, che arrossì con stizza e abbassò gli occhi. Dai prismi dell'ingresso fece la sua comparsa Dyan Ardais, e io lo guardai con sospetto, perché la morte di Marjus non era ancora chiara, per me. Soltanto Dyan, finché non l'avevo detto in Consiglio, sapeva che la matrice di Sharra era in mano mia. Mio fratello Marjus, finché io ero lontano da Darkover, era solo un ragazzo, senza potere e disprezzato dai Comyn per il suo sangue straniero. E anch'io, da solo, ero privo di potere. Ma io e Marjus, messi insieme, costituivamo un avversario non disprezzabile, una minaccia per la sua ambizione.
Il duello con Kadarin rientrava nella contesa tra me e lui, e Kadarin aveva onestamente registrato le sue intenzioni. Non avrebbe ucciso Marjus, e in effetti non aveva ucciso neanche me: si era limitato a ferirmi, perché voleva uccidermi con la spada, non con un'arma proibita.
Quanto agli uomini delle foreste, tutti sapevano che rubavano, ma avrebbero rischiato di uccidere un Alton, anche se solo per sbaglio? La vendetta era sempre stata rapida e terribile… o almeno lo era stata quando i Comyn erano ancora degni di questo nome. All'improvviso, decisi di entrare in contatto con la mente di Dyan. Lui se ne accorse e, aggrottando la fronte, alzò tutte le sue barriere, ma io non raccolsi la sfida, anche se sarei stato in grado di entrargli nella mente a viva forza. Non era ancora il momento.
Intanto, il Reggente Hastur ci richiamava all'ordine del giorno. Naturalmente, si trattava di una formalità, di un semplice riguardo per coloro che erano stati malati o assenti. La ragione stava nel fatto che la cerimonia di chiusura delle sessioni del Consiglio non si poteva tenere se non erano presenti tutti coloro che avevano diritto di partecipare: perciò ci si assicurava che nessuno si lamentasse di non aver potuto esporre le sue ragioni. In teoria, io avrei potuto tenerli lì per tutto il tempo che avessi voluto — io o qualsiasi altro membro — semplicemente rifiutando il mio assenso. In realtà, se l'avessi fatto, avrebbero cominciato a discutere di minuzie e di questioni formali, per impedirmi di parlare, e alla fine avrei dovuto cedere per stanchezza e si sarebbero affrettati a chiudere la sessione. Chiusi i lavori, la legge mi proibiva di rimettere in discussione le decisioni prese. Avevo già visto applicare molte volte quella tecnica ostruzionistica.
Infatti, come se temesse un mio intervento, Lerrys Ridenow si affrettò a far segno che voleva parlare. Si guardò attorno con aria minacciosa, e il Reggente gli diede la parola, senza guardare me.
«Comyn», disse Lerrys, «mi rivolgo a voi per una questione personale.»
Vidi che Diana stringeva i pugni. Stentavo a credere che Lerrys avesse davvero l'intenzione di tirar fuori la cosa in Consiglio, e che venisse a chiedermi soddisfazione, dopo tanto tempo, di una cosa che era successa su un altro pianeta.
Poi mi accorsi che Lerrys non guardava me, ma Derik.
«Miei signori, in momenti come questi, in cui il solco tra i Comyn e gli altri poteri di Darkover si sta approfondendo, il nostro futuro signore dovrebbe prendere una moglie non appartenente al Consiglio, in modo da portarci forti alleanze. Anche Linnell Aillard potrebbe utilizzare il suo matrimonio per far venire tra noi qualche uomo adatto a far parte dei Comyn.»
Lo guardai a occhi sgranati. Certo, io e Diana ci eravamo evitati una pubblica reprimenda, ma la proposta di Lerrys Ridenow era qualcosa di altrettanto grave. Linnell era pallida per la sorpresa, e Callina si era alzata in piedi e lo guardava con occhi fiammeggianti.
«Linnell è affidata alla mia custodia!» esclamò. «Il suo matrimonio non riguarda il Consiglio!»
Dyan ne approfittò subito per farle fare una brutta figura.
«Come?» chiese. «Una Guardiana dei Comyn osa discutere il volere del Consiglio?»
«Non quando riguarda me!» esclamò Callina, con aria di sfida. «Ma, quando riguarda Linnell, sì!»
Sapevo che Lerrys aveva parlato solo per impedirmi di intervenire, ma non potevo guardare l'espressione spaventata di Linnell senza intervenire.
«Idioti!» esclamai con ira «Sì, anche tu, Reggente! Avete astutamente approvato la cosa in Consiglio mentre ero fuori di me, e…»
«Dal suo profondo disprezzo per le normali procedure», disse Lerrys, languido, «ho l'impressione che Lew Alton sia tuttora fuori di sé.»
«Allora, sarebbe stato meglio che lo foste stati anche voi», gridai, voltandomi verso di lui. «Questo Consiglio è una buffonata, e adesso è sceso fino a diventare un'osteria dove tutti litigano! Siamo qui, come tanti perdigiorno nella piazza del mercato, a parlare di matrimoni! Pensate che una diga si possa riparare con gli stuzzicadenti?»
Tutti mi ascoltavano, ma io m'interruppi perché mi sentivo stringere alla gola. Che cosa mi stava succedendo?
La faccia di Gallina sembrava tremolare davanti a me, in uno sfarfallio di tutti i colori. O erano i miei occhi? Ma lei riprese il discorso dal punto in cui l'avevo interrotto.
«Certo», disse. «Qui ci sentiamo talmente al sicuro da poter perdere il nostro tempo in queste sciocchezze! I terrestri si appropriano della nostra gente migliore, e trasformano Thendara in una puzzolente, oscena Città Commerciale, ma noi stiamo qui a discutere, e i giovani delle nostre Famiglie pensano solo ad andare a divertirsi sugli altri pianeti…» fissò gelidamente Diana Ridenow, «…noi stiamo qui, nella Sala dei Cristalli, a combinare matrimoni. E la matrice di Sharra è caduta in mano a Kadarin!
«Avete avuto la dimostrazione, pochi giorni fa, degli antichi poteri dei Comyn, ma che cosa avete fatto? Avete lasciato uccidere Marjus Alton e ferire Lew. Proprio i due che avreste dovuto proteggere con tutte le forze! Chi di voi può rispondere della vita di Marjus? Chi di voi oserebbe prendere il suo posto?»
Prima che qualcuno facesse in tempo a rispondere, intervenni io.
«I terrestri ci hanno lasciato ancora una piccola parte del nostro potere di governarci, e noi ci balocchiamo nel nostro angolino come bambini che litigano per il loro castello di sabbia! Una volta, la gente comune odiava i terrestri, ma oggi odia noi! Da qualche parte, o addirittura dal nulla, potrebbe sorgere un capopopolo, e allora tutto questo odio divamperebbe come una fiammata! Mentre ero sulla Terra, sentivo definire Darkover come l'anello più debole dell'Impero Terrestre. Potremmo essere il primo anello a infrangere la catena della schiavitù, ma che cosa stiamo facendo?»
Mi dovetti interrompere perché ero senza fiato. Per prima cosa, mi accorsi che io e Callina eravamo in contatto mentale, e per seconda cosa che anche quel debole contatto superficiale consumava tutte le mie energie.
Le trasmisi un comando disperato: Interrompi il contatto! Che cosa le era venuto in mente? Io non ero in grado di mantenere quel contatto in presenza di un attenuatore! Lei, senza capire, continuò ad afferrarsi alla mia mente, e io le inviai una piccola scarica mentale, per staccarla da me. Ero talmente debole da non poter più stare in piedi. Mi afferrai ai braccioli della poltrona e mi sedetti, ma non riuscii a staccarmi da quello spietato contatto mentale. Ma era davvero Callina?
Nella sala era sceso il silenzio. Vidi che Diana era pallida e tesa. Lerrys chiese, quasi senza fiato: «Che cosa è successo agli attenuatori?»
Il Reggente Hastur si alzò, si appoggiò al tavolo e fece per parlare; poi sollevò lo sguardo e rimase a bocca aperta.
Anche Callina s'immobilizzò.
Sentii che il pavimento dondolava sotto i miei piedi, come per il terremoto, e che non voleva più fermarsi. E sopra di noi c'era una sorta di miraggio, una distorsione dell'aria.
Diana lanciò un grido.
«Il segno della morte!» mormorò qualcuno, e tutti coloro che erano nella sala rimasero senza parole.
Fissai anch'io il segno che bruciava nell'aria, come un geroglifico di fiamma vivente, e mi sentii raggelare, sentii che tutte le forze mi abbandonavano. Sapevo che cos'era — una distorsione spaziale locale: lo spazio tra noi e chissà quale universo primevo era sottoposto a una tensione insopportabile, e si contorceva e fiammeggiava — ma anche la mia mente era presa da un analogo tormento, ed era piombata in un panico primevo. Per questo, fin da tempi immemorabili quel segno significava morte e distruzione, corpi e menti votati alla rovina.
«Strega! Demonio!» imprecò Dyan. In pochi passi raggiunse Callina, la afferrò per le spalle e la sollevò di peso, portandola via dal suo posto; poi la spinse lontano, nel centro della sala.
Ma il giovane Regis, grazie a qualche sua sensibilità sovrumana, correva già verso Callina: riuscì ad afferrarla prima che cadesse a terra. Nell'assistere a quella scena, l'orrore che mi aveva immobilizzato si spezzò bruscamente; e io mi voltai verso Dyan.
Finalmente, quell'uomo mi aveva fornito la scusa per attaccarlo! Chi osava mettere le mani su una Guardiana perdeva automaticamente ogni diritto.
La furia con cui investii l'Ardais lo colse alla sprovvista. La Dote degli Alton, anche in presenza di un attenuatore, può essere un'esperienza molto spiacevole. In pochi istanti, la sua mente fu in balia della mia, senza protezione, e io cominciai a colpirla con crudeli onde di pensiero. E lo feci con grandissima soddisfazione, devo ammetterlo. Aspettavo quel momento fin da quando mi aveva letto nella mente, sulla navetta per Thendara. Gemendo, Dyan scivolò a terra e prese a boccheggiare.
Le lettere di fiamma si spensero e sparirono. La sala ritornò alla normalità.
Callina era pallida, tremava, e doveva appoggiarsi a Regis. Io ero ancora chino su Dyan: era assolutamente inerme e mi sarebbe stato facile ucciderlo. Ma Derik mi prese per — le spalle e mi tirò indietro.
«Che cosa stai facendo? Sei impazzito?» mi gridò.
A volte, in occasione di un contatto fisico, si riesce a leggere tutta la mente di una persona. E quel che lessi in Derik, in quell'istante, mi scosse profondamente. Derik era un debole, lo sapevo, ma non mi sarei mai aspettato di trovare nella sua mente una così grande confusione. Non riuscii a sopportarla neppure per quell'istante, e mi tirai indietro, rinunciando anche all'attacco contro Dyan.
In tono severo, il Reggente Hastur ordinò: «Nel nome di Aldones! Cerchiamo di non litigare tra noi, almeno!»
Dyan si alzò faticosamente e indietreggiò. Io non riuscivo ancora a muovermi, anche se non avevo intenzione di oppormi al Reggente. Il Vecchio Hastur fissò severamente Callina.
«Una cosa molto grave, comynara Callina», disse.
«Grave, certamente. Ma soltanto la mia azione?» Si staccò dal braccio con cui Regis la teneva. Poi comprese. «Oh, capisco. Accusi me di quella… manifestazione?»
«Chi altri?» gridò Diana. «Ha un'aria tanto innocente, ma lei e Ashara…»
Callina la guardò con ira.
«Saresti disposta a raccontare al Consiglio, comynara Diana Ridenow, tutta la tua vita? Anche tu hai cercato Ashara, in passato.»
Diana lanciò un'occhiata nella mia direzione. Poi, con l'aria di chi scopre improvvisamente di essere stata abbandonata, si gettò tra le braccia del fratello Lerrys e tuffò la testa contro la sua spalla.
Callina affrontò con grande dignità il Consiglio.
«Non c'è bisogno che mi difenda dalle accuse che mi hai mosse per il tuo sciocco panico, Diana. E quanto a te, Dyan Ardais, non mi aspetto di essere trattata con cortesia da un par tuo, ma ti avverto che, se mi toccherai ancora, lo farai a tuo rischio. Che tutti sentano, e che Ardais faccia attenzione a non toccarmi nemmeno con un dito: sono una Guardiana. E nessun uomo sopravvivrà fino a potermi offendere la terza volta.»
Si diresse verso la porta, e finché le tende non si furono chiuse alle sue spalle, nella sala regnò il silenzio.
Poi Dyan rise, con cattiveria.
«In sei anni non sei affatto cambiato, Lew Alton», disse. «Conservi sempre la tua passione per le streghe. Ti fai avanti qui in Consiglio, quando credi di dover difendere la nostra strega, proprio come quando hai gettato al vento tutto il tuo onore di Comyn per una sgualdrina dei monti, la sorella di Kadarin, ansiosa di attirare nel suo letto un membro delle Famiglie…»
Non riuscì a dire altro.
«Per tutti gli inferni di Zandru!» esclamai. «Era mia moglie, e tu non sei neppure degno di pronunciare il suo nome!»
Così dicendo, schiaffeggiai quella sua bocca sorridente. Lui gridò e fece un passo indietro, e, veloce come il fulmine, infilò la mano nella camicia…
Ma anche Regis fu veloce come il fulmine, e gli afferrò la mano, prima che riuscisse a portarla alle labbra. Gli tolse dalle dita il piccolo, mortale oggetto, e lo scagliò a terra, con disgusto.
«Una cerbottana al veleno… nella Sala dei Cristalli! E proprio un momento fa ci parlavi di onore, Dyan Ardais?»
I due Hastur tennero fermo Dyan. Uno dei fratelli Ridenow mi tratteneva per il braccio, ma non c'era bisogno che lo facesse.
Ne avevo abbastanza.
Girai la schiena a tutti e mi allontanai.
Sarei soffocato per il disgusto, se mi fossi fermato anche un solo istante di più.
Senza curarmi di dove mi portassero i miei passi, salii le scale che conducevano alla torre del Castello dei Comyn. In un certo senso, lo sforzo puramente fisico di salire, una dopo l'altra, tante rampe di scale, mi dava una sorta di amaro sollievo. Avanzavo a testa china, dolorante, ma avevo bisogno di sfogarmi in qualche modo.
Perché diavolo non ero rimasto sulla Terra?
Quel maledetto segno! Metà dei Comyn l'aveva preso per un'apparizione sovrannaturale, un avvertimento di pericolo. E avvertiva di un pericolo, certo, ma non era niente di sovrannaturale. Era pura meccanica delle matrici, ma mi allarmava più di qualunque spettro.
Si trattava di una matrice-trappola: una delle vecchie matrici illegali, basate sullo stesso principio del velo di energia che impedisce di entrare nelle Torri a chi non appartiene alle Famiglie. A parte la distorsione spaziale, che serviva ad alimentarla, la matrice che avevo visto operava direttamente sull'inconscio, destando memorie razziali, paure ataviche, timori irrazionali, allo scopo di far regredire a uno stadio bestiale, ferino, le persone che ne venivano colpite.
Chi poteva avere costruito una matrice del genere?
Io sarei stato capace di farlo, ma non ero stato io. Callina? Nessuna Guardiana si sarebbe sognata di profanare la sua carica con un simile aggeggio. Lerrys? Avrebbe potuto vederlo come una sorta di scherzo perverso, ma non mi pareva che avesse l'addestramento necessario. Dyan? No, aveva subito l'effetto della matrice-trappola. Diana, Regis, Derik? Sospettare di loro era assurdo. Alla stessa stregua avrei potuto sospettare del Reggente o della mia piccola Linnell.
E Dyan? Non potevo neppure avere il piacere di ucciderlo in un duello.
Anche con una mano sola, non avevo paura di lui: dopotutto, Dyan aveva vent'anni più di me! Ma non perché io legga nella mente del mio avversario, come certi telepatici dei racconti popolari, e riesca dunque a scoprire in anticipo i suoi colpi di scherma. Per leggere nella mente di un'altra persona occorre tranquillità, concentrazione. Nessuno di noi — neppure il Figlio di Aldones, il dio Hastur — riuscirebbe a duellare così.
Ma ora, anche se lo avessi affrontato ad armi pari, davanti a cento testimoni, tutti mi avrebbero giudicato un assassino. Dopo quello che gli avevo fatto nella Sala dei Cristalli, e dopo quello che mi avevano visto fare a Kadarin. In realtà, il bandito era l'unica persona che potessi bloccare in quel modo, durante un duello. Io e Kadarin, un tempo, eravamo stati in rapporto attraverso la matrice di Sharra, e ciascuno di noi — benché la cosa ci garbasse poco — aveva una sorta di avamposto nella mente dell'altro.
Ma Dyan non lo sapeva.
E non sapeva che Kadarin, ormai, si era preso la sua vendetta.
Sei anni di viaggi sui pianeti dell'Impero mi avevano guarito, per quanto possibile. Non ero più il giovane che, in preda al dolore, aveva lasciato il pianeta sei anni prima. E non ero il giovane idealista che aveva visto in Kadarin la speranza di conciliare le sue due nature, o che aveva scorto, in una ragazza dagli occhi color ambra, tutto quel che poteva desiderare al mondo.
Almeno, avevo creduto di non esserlo più. Ma al primo colpo, tutte le mie difese erano crollate. Che fare, adesso?
Ero finito su un balcone che sporgeva da una delle pareti del Castello. Sotto di me, il terreno si stendeva come una carta geografica dipinta con i marroni cupi, i rossi e gli ocra del pomeriggio. Di fianco a me s'innalzavano le pareti iridescenti del Castello, che, alla luce del sole, assumevano un colore di fuoco, un colore di sangue.
Il sole di sangue. Così i terrestri chiamano il sole di Darkover. Un nome giusto, per loro e per noi.
E sopra di me, sul monte, s'innalzava la Torre, che si teneva arrogantemente in disparte dal castello e dalla città. La guardai con timore. Non pensavo che Ashara, per vecchia che fosse, rimanesse in disparte, limitandosi ad assistere, anche davanti alla distruzione dei Comyn.
Qualcuno mi chiamò per nome, e io mi girai. Dietro di me, scorsi Regis Hastur.
«Ho un messaggio per te», mi disse. E aggiunse: «Ma preferisco non riferirtelo.»
Nonostante la mia delusione, riuscii a sorridergli.
«Non dirmelo, allora. Di che cosa si tratta?»
«Mio nonno mi ha mandato a cercarti per farti ritornare nella Sala. In realtà, volevo una scusa per uscire anch'io.»
«Dovrei ringraziarti», dissi, «per avere strappato di mano a Dyan la cerbottana al veleno. In questo momento, però, penso che vi sareste risparmiati molti futuri guai se gliel'avessi lasciata usare.»
«Intendi sfidarlo a duello?» mi chiese.
«Non posso», risposi. «Sai che cosa dicono degli Alton.»
Regis si appoggiò alla ringhiera.
«Vuoi che combatta io, per procura?» mi propose. «Sai che sarebbe perfettamente legale.»
La sua offerta mi colpì, ma cercai di non fargli vedere quanto fossi commosso.
«Grazie», dissi, «ma faresti meglio a tenerti lontano dal nostro conflitto.»
«Troppo tardi, ormai», rispose. «Ci sono dentro fino al collo.»
Gli chiesi, d'impulso: «Conoscevi bene mio fratello Marjus?»
«Adesso vorrei poter dire di sì», rispose, con una smorfia. «Ma purtroppo no, non l'ho mai conosciuto bene.»
«Qualcuno lo conosceva?»
«Non credo. Anche se lui e Lerrys erano amici, in un certo senso.»
Con il tacco, tracciò qualche segno sulla polvere, sovrappensiero. Dopo un attimo, li lisciò con la punta dello stivale.
«Ho trascorso qualche giorno nel castello dei Ridenow, prima di venire al Consiglio, e…» S'interruppe. Poi riprese, dopo qualche istante: «È una cosa difficile, l'ho sentita per caso, e l'unica cosa onorevole che potessi fare è stata quella di promettergli di non ripeterla. Ma il ragazzo è morto, ora, e penso che tu abbia il diritto di conoscere l'accaduto.»
Non dissi nulla. Non avevo il diritto di chiedere a un Hastur di violare la sua parola. Aspettai che fosse lui a decidere. Alla fine, mi fissò negli occhi.
«È stato Lerrys», disse, «a suggerire l'alleanza con Aldaran, e fu lo stesso Marjus a recarsi al Castello di Aldaran come ambasciatore. Credi che Beltran avrebbe avuto l'insolenza di chiedere in moglie una Guardiana se non gliene fosse stata offerta la possibilità?»
Avrei dovuto pensarci. Qualcuno doveva avere detto a Beltran che una simile offerta sarebbe stata presa in considerazione. Ma Regis aveva violato una promessa per dirmi semplicemente che mio fratello si era prestato come intermediario in un piccolo intrigo che poteva anche passare per tradimento?
«Non capisci?» mi chiese Regis. «Perché Callina? Perché una Guardiana? Perché non Diana, o Linnell, o mia sorella Javanne, o un'altra qualsiasi comynara? Beltran non avrebbe mosso obiezioni. In effetti, gli sarebbe andata bene una donna qualsiasi, purché potesse dargli il diritto di entrare in Consiglio. Ascolta, conosci la legge? Quella che dice: “Una Guardiana deve rimanere vergine, altrimenti perde il diritto di lavorare con gli schermi”?»
«Superstizioni», dissi, alzando le spalle.
«Superstizioni o no, il Consiglio le rispetta», rispose Regis. «Il fatto è un altro: con questo matrimonio si lanciano due frecce con un arco solo. Con un colpo solo, Beltran si allea al Consiglio e Callina viene allontanata in un modo sicuro, legale.»
«Comincio a capire», dissi. «Dyan e tutto il resto.»
Dopotutto, mi dicevo, c'era una cosa che a Dyan piaceva ancor meno che la presenza in Consiglio di un Alton adulto: una Guardiana Comyn poteva costituire, per lui, una minaccia ancora maggiore.
«Ma prima di celebrare quel matrimonio», conclusi, «dovranno passare sul mio corpo.»
Regis capì subito che cosa intendessi dire.
«Allora», mi disse, «sposala tu stesso, Lew, e immediatamente! Fallo in modo illegale, nella Zona Terrestre.»
Gli rivolsi un sorriso ironico e gli mostrai il mio braccio mutilato. Non avrei potuto sposarmi, secondo la legge di Darkover, finché Kadarin fosse vissuto. Una faida irrisolta passa davanti a ogni altro impegno personale, ma in effetti, come diceva Regis, per la legge terrestre potevamo sposarci.
Scossi la testa, gravemente.
«Non accetterà mai», dissi.
«Se Marjus fosse vivo!» esclamò Regis, e io mi commossi per la sincerità delle sue parole; il primo onesto rimpianto che avessi udito, anche se tutti mi avevano fatto le condoglianze. Mi commosse ancor di più per il fatto che non accennò al suo dolore personale, ma si limitò a esprimere la sua opinione.
«I Comyn avevano tanto bisogno di lui», disse. «Lew, non potresti usare un altro lettore del pensiero… per esempio me… per costituire un punto focale di quel tipo?»
«Non lo so», risposi, «ma probabilmente la risposta è no. E preferirei non fare la prova. Tu sei un Hastur, e probabilmente non corri un rischio personale, ma non sarebbe un'esperienza gradevole.» Poi aggiunsi, con severità: «Adesso, dimmi quello che volevi dirmi fin dal primo momento!»
«Il segno della morte», balbettò. Poi venne preso dal panico. «Non volevo, non intendevo…»
Avrei potuto raccogliere tutte le sue confidenze, se avessi avuto la pazienza di aspettare. Invece, feci una cosa di cui mi vergogno ancora. Con la mano buona, lo afferrai per il polso, e con una rapida torsione — una mossa che avevo imparato sulla Terra — lo spinsi contro la ringhiera. Lui fece per attaccarmi, ma, dopo un istante, lessi i suoi pensieri.
Non posso lottare con un uomo senza una mano.
Quel pensiero mi irritò ancor di più. In un istante di collera, proiettai la mia mente sulla sua e gli imposi un rapporto mentale; entrai nella sua mente senza alcun ritegno: con una rapida ricerca, presi quello che mi serviva, poi mi ritirai.
Pallido e tremante, Regis si lasciò scivolare contro la ringhiera. E io, con in bocca l'amaro di quel che avevo fatto, gli girai la schiena.
Poi, per giustificare a me stesso quello che avevo fatto, gli parlai con durezza.
«Allora sei stato tu a creare quel segno! Tu… un Hastur!»
Regis si girò verso di me, tremante di collera.
«Ti spaccherei la faccia per quello che hai fatto, se tu non fossi…» disse. «Perché l'hai fatto?»
«Ho saputo quel che dovevo sapere», risposi io, in modo sgarbato.
«Oh, certo», mormorò lui.
Poi, con la furia negli occhi e la voce incrinata, aggiunse: «È quello, che mi ha spaventato. E che mi ha spinto a cercarti. Sei un Alton, pensavo che potessi spiegarmelo.
«Nella Sala del Consiglio», proseguì, «qualcosa si è impossessato di me. Io non conosco la meccanica delle matrici, lo avrai certamente visto nella mia mente. Non so come ho fatto, né perché. Ho solo superato l'impossibilità e tracciato il segno. Pensavo di poterne parlare con te, chiederti…»
La sua voce si spezzò. Ansimava come un bambino e tremava.
Dopo qualche momento, riprese: «Certo. Sono ancora atterrito. E potrei ucciderti per quello che hai fatto. Ma non ho un altro a cui chiedere aiuto.» Inghiottì a vuoto. «Quello che hai fatto, comunque, l'hai fatto apertamente. Posso sopportarlo. Quel che non posso sopportare è il timore che la cosa si ripeta.»
Incapace di rispondere, e pieno di vergogna, mi allontanai. Pensavo che Regis, il quale mi aveva trattato con amicizia, aveva ricevuto lo stesso trattamento che, poco prima, avevo riservato al mio peggiore nemico. Non sarei riuscito a guardarlo in faccia.
Dopo qualche istante, lui mi seguì.
«Lew», riprese, «dicevo che faremmo meglio a dimenticare tutto. Non possiamo permetterci di lottare tra noi. Non ci hai pensato? Ci troviamo tutt'e due nella stessa situazione: tutt'e due facciamo cose che non faremmo mai volontariamente.»
Tutt'e due sapevamo che non era la stessa cosa, ma potei girarmi verso di lui e tornare a guardarlo in faccia.
«Perché l'ho fatto, Lew?» mi chiese. «Puoi dirmi qualcosa?»
«Non perdere la testa», gli dissi. «Tutti abbiamo paura. Anch'io. Ma ci deve essere una spiegazione.»
M'interruppi, cercando di ricordare quanto sapevo delle Doti delle varie Famiglie. Oggi è difficile trovarle in forma pura, dopo secoli di matrimoni tra le varie Famiglie, ma Regis era fisicamente vicino alla forma Hastur pura; probabilmente lo era anche dal punto di vista mentale.
«La Dote degli Hastur, qualunque sia», continuai, «è latente in te. Forse, inconsciamente, sapevi di dover interrompere il Consiglio, e l'hai fatto in quel modo drastico.» E aggiunsi, in tono dubitativo: «Se non fosse successo… quello che è successo, potrei offrirmi di esplorarti la mente. Ma, ora, non credo che tu ti fidi di me.»
«Probabilmente, no», rispose. «Mi dispiace.»
«Non c'è bisogno che ti scusi», risposi io, sgarbatamente. «Anch'io non mi fido più di me, dopo quello che è successo. Ma una qualsiasi delle Guardiane, Ashara o Callina, potrebbe sondarti la mente e cercare di scoprirlo.»
«Ashara…» mormorò, guardando pensosamente la Torre sulla montagna. «Non so. Potrebbe essere.»
Ci appoggiammo alla ringhiera e guardammo in direzione della valle, che ormai perdeva i dettagli a causa del buio, con il calar della notte. L'aria venne improvvisamente scossa da un rumore di tuono, e un ago d'argento attraversò il cielo, seguito da una coda di cometa di vapori arroventati, per poi sparire.
«Il razzo postale», commentai, «dalla Zona Terrestre.»
«Terra e Darkover», disse qualcuno, dietro di noi. «La forza irresistibile e l'oggetto inamovibile.»
Il Reggente Hastur ci raggiunse sul balcone.
«Lo so, lo so», disse. «A voi, giovani Alton, non piace ricevere ordini. Francamente, neanche a me piace darli; sono troppo vecchio.»
Sorrise a Regis.
«Ti ho mandato via», gli disse, «per impedirti di finire nei guai insieme a Lew. Ma avrei preferito che tu fossi riuscito a mantenere la calma, Lew Alton!»
«Io dovevo mantenere la calma!»
La palese ingiustizia dell'accusa mi lasciò senza fiato.
«Lo so, lo so, sei stato provocato», disse il Reggente. «Ma se avessi controllato la tua giusta collera…» pronunciò con ironia le due ultime parole, «…Dyan si sarebbe trovato chiaramente nel torto. Invece, sei stato il primo a infrangere l'immunità dei Comyn, e questo è grave. Dyan giura che ti farà esiliare.»
Con un sorriso, gli ricordai la legge.
«Non può farlo», dissi. «La legge richiede che sieda in Consiglio almeno un erede, dotato di laran, per ciascuna Famiglia. Altrimenti, perché ti saresti preso la briga di farmi ritornare? Io sono l'ultimo Alton vivente e non ho figli. Neppure Dyan può cambiare la legge in quel modo.»
Hastur mi guardò con irritazione.
«Allora», disse, «credi di poter infrangere tutte le nostre leggi, di essere insostituibile? Rifletti bene, Lew, perché Dyan dice di avere trovato una tua figlia.»
«Mia?» feci io, con rabbia. «È una sporca menzogna! Per sei anni sono stato fuori del pianeta, e prima ero un meccanico delle matrici, con quello che comporta. E tutti sanno che sono sempre vissuto da solo.»
Mentalmente mi autorizzai a trascurare l'unica deroga. Se Diana avesse messo al mondo una mia figlia, dopo quel che era successo tra noi a Vainwal, l'avrei saputo. Saputo? Sarei stato ucciso dai suoi fratelli!
Il Reggente mi guardò con scetticismo.
«Certo, certo. Lo so. Ma prima di allora? Eri già in grado di avere un figlio, vero, prima di entrare nella Torre? Quella bambina è una Alton, Lew.»
Regis aggiunse, parlando piano: «Tuo padre non è mai stato un recluso. E Marjus… quanti anni aveva? Non potrebbe avere avuto un figlio, senza saperlo?»
Riflettei su quelle affermazioni. Mi pareva improbabile che esistesse una mia figlia. Non era del tutto impossibile, ricordando certi esperimenti sessuali della mia giovinezza, ma era difficile che fosse successo.
D'altra parte, nessuna donna di Darkover avrebbe osato sostenere che io, o i mei parenti, eravamo il padre, a meno di non esserne certa. È inutile mentire a un lettore del pensiero.
«E se chiedessi a Dyan di dimostrarmelo?» domandai. «Di farmi vedere la bambina, di dimostrarmi la sua paternità, di darle il mio posto in Consiglio, di mandarmi in esilio? Che lo faccia. Non sono stato io, a voler ritornare su Darkover. Supponiamo che gli dica di fare quello che vuole?»
«Allora», disse il Reggente, con gravità, «saremmo di nuovo al punto di partenza.»
Mi posò la mano sul braccio.
«Lew, ho lottato per farti ritornare, e questo perché tuo padre era mio amico e perché noi Hastur siamo in minoranza, in Consiglio. Ritenevo che i Comyn avessero bisogno di te. E poco fa, quando li hai sgridati per i loro litigi — “bambini che giocano”, li hai definiti — mi hai dato grandi speranze. Non farmi vergognare di me infrangendo la legge ogni momento!»
Chinai la testa, pentito.
«Cercherò di non farlo», dissi infine, in tono di sconfitta. «Ma, per la Spada di Aldones, avrei preferito rimanermene sugli altri pianeti.»