CAPITOLO 11 IL BALLO DEI COMYN

Una volta l'anno, su Darkover, i Comyn, i maggiorenti della città, i signori dei monti, i rappresentanti degli altri mondi e gli ospiti terrestri della Città Commerciale si mescolano tutti insieme, in una grande festa in cui ci si scambia, esteriormente, le massime espressioni di cordialità. Un tempo, la Festa del Solstizio d'Estate era l'occasione per avvicinare tra loro i Comyn e i rappresentanti delle persone comuni e per far scendere in mezzo alla popolazione anche le persone che normalmente ne stanno lontane, come i giovani cadetti aristocratici e le Libere Amazzoni. Nei monti ha ancora il suo tradizionale connotato di licenza sessuale: per un giorno, i vincoli matrimoniali sono sospesi, e i bambini concepiti durante la festa non sono affatto considerati figli illegittimi: anzi, i “figli del solstizio” sono considerati di buon augurio. Adesso la festa che si teneva al Castello era estesa a tutti coloro che si trovavano sul pianeta, e ogni persona con un minimo di importanza poteva farsi invitare dai Comyn; era anche tradizione che la festa si aprisse con il grande ballo.

Per tradizione, era un ballo mascherato, e anch'io mi ero messo una mascherina sugli occhi, ma non avevo cercato di nascondermi. Mi ero fermato in fondo alla sala, a scambiare convenevoli con un paio di funzionari del servizio spaziale terrestre che da tempo lavoravano con Lawton. Non appena la buona educazione me lo consentì, uscii sul balcone e guardai una delle lune che stava spuntando proprio in quel momento.

Dietro di me, la grande sala era piena di gente che indossava costumi ispirati a tutte le epoche di Darkover e a tutte le razze umane o aliene dell'Impero. Derik si era travestito da sacerdote del sole e indossava una lunga tonaca in filo d'oro, Rafe aveva la maschera, la frusta e i guanti con gli artigli di un assassino delle Città Aride.

Nell'angolo riservato tradizionalmente alle giovani donne, Linnell portava solo una mascherina di pagliuzze di vetro che la rendeva perfettamente riconoscibile, e gli occhi le brillavano per la felicità, poiché si sentiva al centro dell'attenzione. Dato che apparteneva ai Comyn, il suo nome era noto a tutti, su Darkover, ma per tutto l'anno frequentava solo i parenti stretti e le poche amicizie permesse a una ragazza della sua condizione sociale. Ora, mascherata, poteva parlare con chiunque volesse, danzare anche con perfetti sconosciuti, e l'emozione della serata era fin troppo forte per lei.

Accanto a lei, mascherata, scorsi anche Kathie. Non mi era venuto in mente che potesse partecipare alla festa, ma non vidi niente di male nella sua presenza. Era protetta dalla barriera mentale, e portandola alla festa le facevamo capire che non era una prigioniera, ma un'ospite importante. Assomigliava a Linnell, certo, ma la gente si sarebbe limitata a giudicarla una giovane aristocratica del clan Aillard.

Quando mi avvicinai, Linnell mi sorrise.

«Lew, sto insegnando alla tua cugina venuta dalla Terra le nostre danze! Non ci crederai, ma non le conosceva.»

Mia cugina. Doveva essere stata un'idea di Callina. Comunque, giustificava il fatto che parlasse il darkovano con un forte accento terrestre.

«Non mi è mai stata insegnata la danza», intervenne Kathie, sorridendo.

«Non ti è mai stata insegnata la danza?» fece Linnell, incredula. «Lew, tu che sei stato laggiù, non c'è nessuno che danzi, sulla Terra?»

«La danza», risposi, in tono asciutto, «costituisce una parte integrante di ogni cultura umana. È un'attività di gruppo che ha analogie funzionali sociali con i movimenti di gruppo degli uccelli e delle scimmie antropoidi, e che come questi svolge una funzione nelle cerimonie di accoppiamento e di scelta del partner. In talune culture umane è anche un modo tradizionale per entrare in una sorta di stupore estatico, e un analogo comportamento si trova in razze non umane come quella darkovana dei chieri, la cui danza in stato di trance esprime la partecipazione all'armonia delle forze naturali. C'è gente che danza sulla Terra come su Megaera, su Proxima e su Vainwal, e in effetti si danza da un capo all'altro della Galassia, a quanto so. Per ulteriori informazioni, corsi di antropologia sull'argomento, anche in registrazione, sono disponibili dove ti pare. Io non sono in vena di conferenze.»

Poi mi rivolsi a Kathie, in quello che voleva essere il tono di un cugino bene educato.

«E se invece di parlarne», le dissi, «provassimo a farlo?»

Poi spiegai a Kathie, mentre danzavamo: «Naturalmente non potevate sapere che la danza, su Darkover, è una delle principali materie di studio dei ragazzi. Io e Linnell abbiamo imparato non appena siamo stati in grado di camminare. Io ho solo preso il tipo di lezioni che prendono tutti, ma Linnell continua ancora a studiare con un maestro».

Guardai con affetto Linnell, in fondo alla sala, e sorrisi. Dopo qualche istante, tornai a rivolgermi a Kathie.

«Quando studiavo sulla Terra», le dissi, «sono stato alcune volte alle feste da ballo. Vi pare che le danze darkovane siano tanto diverse da quelle?»

Approfittavo dell'occasione per studiare attentamente la ragazza terrestre, chiedendomi perché il “doppio” di Linnell avesse le qualità che ci occorrevano. Kathie, compresi, aveva coraggio, tatto e intelligenza: occorrevano tutt'e tre, per venire a quella festa dopo il trauma di poche ore prima, e recitare la parte che le avevamo tacitamente assegnato. E Kathie aveva un'altra rara qualità. Non pareva accorgersi del fatto che il braccio con cui le stringevo la vita era diverso da quello di tutti gli altri. Ho ballato con le ragazze della Terra, e non è una cosa comune.

In tono discorsivo, Kathie disse: «Com'è cara, vostra cugina Linnell! È come se fosse davvero la mia gemella; le ho voluto bene fin dal primo momento che l'ho vista. Ma Callina mi fa paura. Non voglio dire che non è gentile, perché nessuno potrebbe essere più gentile di lei! Ma mi sembra quasi non umana. Per favore, potremmo smettere di danzare? Sulla Terra, tutti dicono che sono una brava ballerina, ma qui mi sento goffa come un elefante!»

«Probabilmente, non avete mai studiato la danza con la nostra assiduità», commentai.

Del resto, quella era una delle cose che mi avevano colpito, sulla Terra. L'indifferenza con cui si dedicano all'unica attività che ci distingue dai quadrupedi. Donne che non sanno danzare! Come può, un uomo, trovarle belle?

Per caso, ero girato verso l'ingresso, quando le tende si aprirono e Callina Aillard entrò nella sala.

E, almeno per me, tutta la musica si fermò bruscamente.

Avete mai visto il buio dello spazio interstellare punteggiato di singole stelle? Callina era come quello spazio, con un vestito nero trapunto di brillanti costellazioni; anche sui capelli, avvolti in una spessa rete di colore nero, portava alcune gemme brillantissime.

«Com'è bella!» sussurrò Kathie. «Che costume è? Non ho mai visto un vestito simile.»

«Neanch'io», dissi. «Lo avrà inventato lei, a fantasia.»

Tuttavia, era una menzogna. Non riuscivo a capire come una ragazza alla vigilia del matrimonio — anche un matrimonio non voluto — potesse indossare il tradizionale costume della Vendicatrice, la dea degli inferi e della dannazione: la Regina della Notte, Naotalba, figlia della Distruzione e data dagli dèi, contro il suo volere, in moglie del demone Zandru. Che faccia avrebbe fatto Beltran, quando avesse capito che la sua promessa sposa lo vedeva come Zandru? Era difficile trovare un insulto peggiore: peggiore addirittura che vestirsi come il carnefice.

Mi scusai con Kathie e raggiunsi Callina. Dopotutto, aveva accettato il volere dei Comyn; non aveva il diritto di mettere in imbarazzo i suoi famigliari, adesso che mancavano pochi giorni alle nozze.

Tuttavia, quando la raggiunsi, il Reggente Hastur la stava già sgridando. Sentii le sue ultime parole.

«Comportarti come una bambina dispettosa, capricciosa!» diceva.

«Nonno», rispose lei, in tono gelido. «Non puoi chiedermi di mentire, né di sembrare quella che non sono. Questo costume è proprio di mio gusto. Rispecchia il modo in cui sono stata trattata dai Comyn per tutta la vita.»

Rise con amarezza.

«Beltran di Aldaran», disse, «sarebbe disposto a sopportare insulti ancor peggiori di questo, pur di entrare in Consiglio! Lo vedrete!»

Lasciò il Reggente e si girò nella mia direzione. «M'inviti a ballare, Lew?»

Non era una domanda, ma un ordine. Io obbedii, ma la disapprovavo, e glielo lasciai capire. Che vergogna, rovinare così il primo ballo di Linnell!

«Mi spiace per lei», disse Callina, «ma questo vestito rispecchia il modo in cui mi sento. E mi sta bene, no?»

Le stava davvero bene.

«Maledizione, sei troppo bella», le dissi, con la voce roca. «Callina, non ti permetterò di terminare questa farsa!»

La spinsi dietro le tende e mi chinai per baciarla, selvaggiamente, schiacciandole le labbra. Per un momento lei rimase passiva tra le mie braccia, troppo sorpresa per reagire; poi s'irrigidì e mi allontanò con la forza.

«No! No!» disse.

Abbassai le braccia e la fissai, mentre la mia faccia si faceva sempre più rossa per la furia.

«Non ti comportavi così, questa notte!» la accusai.

Callina mi sembrava sul punto di piangere.

«Non potresti risparmiarmi tutto questo?» chiese.

«Hai mai pensato che c'erano delle cose che tu avresti potuto risparmiarmi?» le dissi. «Addio, comynara Callina; auguro a Beltran ogni gioia dal suo matrimonio.»

Sentii che cercava di prendermi per il gomito, ma, con uno strattone, mi liberai e mi allontanai.

Attraversai la sala, con inquietudine. C'era qualcosa che mi dava un leggero fastidio: come un disturbo telepatico, come se qualcuno, pochi istanti prima, avesse tentato di impossessarsi della mia volontà.

Aldaran aveva preso a danzare con Callina; con perfidia, mi augurai che cercasse di baciarla. Dov'erano Lerrys e Dyan? Erano in costume, irriconoscibili. In quella sala avrebbe potuto esserci metà della colonia terrestre, e io non l'avrei mai saputo.

In un angolo, Rafe Scott chiacchierava con Derik; questi era rosso in viso e, nel salutarmi, aveva la voce spessa e incespicava sulle parole.

«'Sera, Lew», mi disse, con il tono degli ubriachi.

«Derik», gli chiesi, «per caso hai visto Regis Hastur? Sai che costume abbia?»

«Non lo so», mi rispose. «Io sono Derik, se mi cerchi, e non so altro. Faccio già abbastanza fatica a ricordarmelo. Perché non provi a essere Derik anche tu?»

«Proprio un bello spettacolo», dissi. «Derik, cerca di ricordare chi sei! Esci fuori, cerca di farti passare l'ebbrezza. Non ti rendi conto dello spettacolo che dai ai terrestri!»

«Sei tu, che dimentichi chi sei», mi rispose. «Quello che faccio io, non ti riguarda. E, poi, non sono ubriaco.»

«Ah, Linnell sarà fiera di te!» ironizzai.

«Quella ragazzina è arrabbiata con me», disse, lasciando da parte la collera e parlando in tono di autocommiserazione. «Non vuole neppure danzare con me.»

«E chi sarebbe disposta a farlo?» risposi io, piantando saldamente i piedi in terra per resistere alla tentazione di prenderlo a calci.

Mi allontanai da lui per cercare il Vecchio Hastur, che aveva un'autorità superiore alla mia e che sarebbe riuscito a farsi obbedire da Derik. Era già abbastanza brutto avere una Reggenza in momenti così difficili, ma che l'erede designato dovesse fare pubblicamente la figura dell'idiota, davanti a mezzo pianeta e agli ospiti di altri mondi…!

Scrutai in mezzo alla confusione di costumi, alla ricerca del Vecchio Hastur. Un ospite in particolare mi colpì, e riconobbi subito il costume: avevo già visto la figura di Arlecchino nei vecchi disegni della Terra. Con i calzoni e la casacca a rombi multicolori, la faccia mascherata e un berrettuccio a punta, in quel momento mi parve qualcosa di orribile. Non per il costume, che a suo modo faceva soltanto ridere, ma quell'uomo aveva su di sé un'atmosfera che…

Oh, maledizione, pensai, irritato con me stesso. Cominciavo ad avere le allucinazioni?

«Vero. Non piace neanche a me», disse Regis, con voce pacata, al mio fianco. «E non mi piace l'atmosfera di questa sala… e di questa festa.» Tacque per un istante, poi proseguì: «Sono andato da mio nonno, oggi, e gli ho chiesto di aprire il mio laran.»

Io gli strinsi il braccio, senza parlare. Ogni Comyn, prima o poi, deve sottoporsi al doloroso procedimento di farsi imprimere nella mente le conoscenze di famiglia.

«Adesso, le cose sono diverse», disse lentamente. «O sono diverso io. Adesso so che cos'è la Dote degli Hastur, e perché in tante persone della mia famiglia è un carattere recessivo. Purtroppo, in me, non è recessivo come in mio nonno.»

Non risposi. Sapevo che avrebbe finito per accettarla, ma per il momento, quella forza, quella nuova dimensione dei suoi poteri — qualunque fosse — era ancora una dolorosa ferita nel suo cervello.

«Ti ricordi della Dote degli Alton e di quella degli Hastur?» mi chiese. «Quanto possono resistere le tue barriere? Qui potrebbe succedere il finimondo, lo sai.»

«In un affollamento come questo, le mie barriere non valgono molto», risposi.

Tuttavia, capivo che cosa intendesse dire. La Dote degli Hastur e quella degli Alton sono opposte tra loro, come due magneti della stessa polarità, che non si possono portare in contatto. Io non conoscevo la natura della Dote degli Hastur, ma da tempo immemorabile occorreva adottare grandissime precauzioni, perché un Hastur e un Alton potessero lavorare insieme in un Cerchio di matrici o in altri lavori.

Finché Regis era stato solo un Hastur latente, con la sua Dote non attiva, io potevo unirmi in rapporto mentale con lui; potevo perfino entrare a forza nella sua mente. Ma un Hastur adulto, come lui era adesso, poteva allontanare da sé la mia mente con la violenza dell'esplosione di un fulmine. Se volevamo comunicarci qualche pensiero, io e Regis potevamo ancora farlo — la normale telepatia non c'entra, con le varie Doti — ma probabilmente non saremmo potuti entrare in rapporto per lavorare insieme.

Con riluttanza, cominciai a pormi delle domande. Io ero entrato nella mente di Regis con la forza; che l'avesse fatto per proteggersi da analoghi tentativi? Non si fidava più di me?

Tuttavia, prima che potessi chiederglielo, le luci vennero spente e la cupola venne aperta: la stanza venne avvolta dalla luce della luna, che era allo zenit. «Aah!» mormorò la folla, nel vedere come le pareti di cristallo sfaccettato moltiplicavano quei pallidi raggi. Sentii che qualcuno mi sfiorava; quando mi girai, vidi Diana Ridenow.

Il suo costume — una tuta di qualche tessuto che scintillava di verde, d'azzurro e di bianco ai raggi lunari — era così aderente che sembrava semplicemente dipinto sul suo corpo, e i suoi capelli, che adesso parevano d'argento come i raggi lunari, luccicavano come gioielli. Quando mosse la testa, si levò il tintinnio di tanti campanellini d'argento.

«Allora?» mi chiese. «Sono abbastanza bella per te?»

Cercai di rispondere in modo non impegnativo, evitando il suo sorriso malizioso.

«Devo dire che è un miglioramento, rispetto ai tuoi soliti calzoni per andare a cavallo», ammisi.

Lei rise e infilò la mano sotto il mio braccio. Una mano piccola, ma robusta.

«Balli con me, Lew? È un secain.»

Indicò l'orchestra, e solo allora notai che aveva attaccato il ritmo sempre uguale, caratteristico di quella danza.

Il secain è una danza barbara, violenta, non una promenade in cui i danzatori si fanno la riverenza e si tengono per la punta delle dita. L'anno prima, io e Diana avevamo scandalizzato gli zerbinotti, le vedove nubili e le zitelle di ogni sesso ed età, ballandolo sulla luna da diporto di Vainwal, ma non avrei voluto ballarlo nel Castello dei Comyn. La pista era quasi vuota, dopo le prime note, perché le donne di Thendara sono troppo pudiche, per quell'antico e scatenato ballo delle Terre Aride.

Eppure, io ero in debito nei riguardi di Diana.

Per la media darkovana, Diana non era una ballerina particolarmente esperta. Ma era eccitata e piena di foga; continuò a sorridermi con aria stuzzicante, e io, irritato per quel suo sorrisino che dava l'impressione di sapere sempre ogni cosa, continuai a farla girare su se stessa, in un senso e nell'altro, senza pietà. Un'altra donna avrebbe urlato di smettere, ma lei, quando si fermò, si mise a ridere: come sempre, si faceva beffe della mia forza. Sotto la mia mano, scattava come una molla di acciaio temperato.

Nell'ultima figura, la strinsi più di quanto non avrebbe chiesto la danza, ma eravamo giunti a conoscere bene quella sensazione di essere in accordo, corpo e mente, più che in qualsiasi intimità fisica. Il ritmo del secain mi martellava nel sangue, e la musica pulsava nei miei sensi; quando si levò l'ultimo accordo di piatti e di tamburi, la strinsi a me e la baciai.

Il silenzio, dopo il ritmo della musica, fu come una doccia fredda. Diana si staccò da me e insieme uscimmo dalla sala.

«Mi sono chiesta una cosa», disse lei, con il tono di una bambina dispettosa. «Quando Hastur ti ha parlato di una tua figlia, ti sei chiesto se fosse mia?»

Aggrottai la fronte, irritato. Quella domanda era troppo vicina alla verità, e mi metteva a disagio. Lei rise, ma senza allegria.

«Grazie. Non è mia, se l'informazione ti può essere utile. Lew», mi chiese, «vuoi davvero Callina?»

Non era una cosa che intendessi discutere con lei.

«Perché? T'importa?» chiesi.

«Non molto», rispose. Il tono, però, non era molto convincente. «Ma penso che tu sia uno sciocco. Dopotutto, non è una donna…»

Queste parole mi sorpresero. Diana non si era mai comportata così. Con ira, dissi: «Lo è come lo sei tu!»

«Detto da te», commentò lei, «fa ridere.»

«Diana», la minacciai, «se intendi fare una scenata, proverò molto gusto a tirarti il collo.»

«Oh lo so!» ribatté lei, mettendosi a ridere in modo isterico. «Ed è proprio quello che mi piace, di te! La tua soluzione per tutti i problemi! Uccidere qualcuno. Tirare qualche collo! Ma so una cosa, con certezza: Callina è finita, e Ashara dovrà rassegnarsi a rimanere senza la sua pedina!»

«Di che diavolo parli?» chiesi io.

Diana rideva ancora, istericamente.

«Lo vedrai!» disse. «Potevi essere tu, e avresti risparmiato loro il fastidio! Tu e i tuoi sciocchi scrupoli! Invece hai ingannato te stesso, e soprattutto Callina! O forse dovrei dire che, rifiutandoti, hai fatto il gioco di Ashara.»

Le afferrai il braccio con la stessa presa che avevo usato su Regis e la feci girare su se stessa. Le strinsi il polso finché non si lamentò del dolore.

«Smettila! Sei il solito bruto, mi stai spaccando il braccio! Maledizione, Lew, non lo dico per scherzo, mi fai male

«Meriti di soffrire», le dissi, selvaggiamente. «Dovresti essere presa a bastonate! Che cosa vogliono fare a Callina? Dimmelo, oppure, ti giuro, Diana, non ho mai usato la mia Dote su una donna, ma te lo strapperò dal cervello, se sarò costretto!»

«Non puoi!» Adesso eravamo a faccia a faccia, e la nostra furia era tale che ci pareva non esistesse altro. «Non te ne ricordi?»

«Maledizione!» Era vero, e la mia ira non fece che aumentare. Di tutte le persone che esistevano al mondo, soltanto Diana era completamente protetta, nei miei riguardi. E questo per ciò che c'era stato tra noi su Vainwal. Ed era necessario che lo fosse.

Ci sono cose che nessun uomo, e nessun lettore del pensiero, può controllare. Quel tipo di contatto, nei momenti di intimità, è una di esse. E Diana era una Ridenow, e perciò era ipersensibile. Per proteggerla, le avevo dato alcune difese contro di me. Non potevo prendere nulla, dalla sua mente, che lei stessa non fosse disposta a darmi. Mi era impossibile. Avrei potuto toglierle la barriera, ma l'avrei uccisa. Impossibile fare in altro modo.

Imprecai, perché non potevo fare niente. Diana mi abbracciò e mi fissò negli occhi.

«Sei davvero un cieco e uno scioccone!» mormorò, in tono seducente. «Non riesci a vedere quello che hai davanti agli occhi, e adesso ti getteresti di petto, come prima, e rovineresti tutto. Non puoi fidarti di quello che ti dico?»

Era addosso a me, e il contatto mi faceva girare la testa. Non appena me ne resi conto, la spinsi via, sgarbatamente.

«Con queste moine», la avvertii, «non otterrai niente.»

Aggrottò la fronte.

«Va bene, allora», disse. «Circola una voce… una voce a cui tutti prestano fede… che soltanto una vergine può avere certi particolari poteri di Gallina. E c'è anche, diciamo, una fazione convinta che tutto andrebbe meglio se Callàia dovesse perdere quei certi poteri. E siccome la tua condotta è stata irreprensibile, c'era un solo modo di porre rimedio alla situazione…»

La fissai a occhi sgranati, e solo allora cominciai a rendermi conto del significato delle sue parole. Violentare Callina per impedirle di fare la Guardiana. Avevano tentato di toglierle i poteri di Guardiana facendole sposare Aldaran, ma lei si era espressa chiaramente: il suo non sarebbe stato un vero matrimonio. E Aldaran non avrebbe insistito sulla consumazione delle nozze, perché mirava solo al seggio in Consiglio. Non potendo contare su Aldaran, avevano provato con me, quando Lerrys aveva cercato di convincermi a sposarla clandestinamente. Non potendo servirsi di me, ora avevano trovato un uomo disposto a violentarla. Era una cosa orribile! E c'era un uomo, su tutto il pianeta, che avrebbe osato…

«Diana, se questa è la tua idea di una barzelletta sconcia…»

«Sì, è una barzelletta», rispose lei, «ma riguarda Ashara.»

S'interruppe, con aria grave.

«Lew, devi fidarti di me», disse poi. «Non posso spiegarti come stanno in realtà le cose, ma non devi interferire. Callina non è come credi, niente affatto. Lei non è…»

Le diedi uno schiaffo, forte, e lei barcollò.

«Questo», le dissi con ira, «era già da un bel po' che te lo meritavi.»

All'improvviso comparve Regis Hastur. Mi lesse nei pensieri e impallidì.

«Callina!» esclamò.

Diana ci fissava a bocca aperta, massaggiandosi la guancia su cui le avevo dato lo schiaffo; ora si gettò su di me.

«Aspetta!» mi implorò. «Aspetta! Non capisci…»

La allontanai da noi, con un'imprecazione. Regis si mantenne al mio fianco, e alla fine ansimò: «Chi potrebbe osare? Ricorda, è una Guardiana… chi oserebbe toccarla?»

Mi fermai.

«Dyan», dissi poi, tranquillamente. «Che cosa ha detto, in Consiglio? Che nessuno sarebbe sopravvissuto per toccarla la terza volta. Se quella era la prima…»

Eravamo in contatto mentale superficiale. Lo toccai per fermarlo, e lui mi guardò con una smorfia; la sua mente si ritirò, come quando si abbassa la mano tesa.

«Lo pensavo anch'io», dissi. «Quando ci tocchiamo, c'è qualcosa che ci sottrae la nostra forza. Hanno introdotto nel castello una matrice-trappola, ottavo o nono livello, del tipo che assorbe energia vitale…»

Mentre lo dicevo, rimasi a bocca aperta.

«Sharra!» esclamai.

«Lew, stiamo alimentando quella maledetta matrice?»

«Mi auguro di no», risposi. «Puoi entrare in contatto con Callina?»

Mi accorsi che Regis, quasi meccanicamente, cercava di mettersi in contatto con lei, e mi affrettai ad alzare le barriere.

«Non farlo!» esclamai.

Quel contatto mi causava un tormento incredibile; eppure dovevo sopportarlo almeno ancora una volta, pericolo o no.

«Regis», proseguii, «quando te lo dico, collegati con me… per un millesimo di secondo. Però, non entrare in rapporto! Se tu lo facessi, il contatto ci brucerebbe tutt'e due! Ricorda che tu sei Hastur e io Alton!»

Regis inghiottì a vuoto.

«È meglio che il contatto lo faccia tu», disse. «Io non riesco ancora a controllarlo.»

Per un istante, allora, entrammo in contatto, per scrutare l'intera folla. Non durò neppure un centesimo di secondo, ma fu sufficiente per allontanarci l'uno dall'altro come se fossimo stati colpiti dal fulmine. Se fosse durato un decimo di secondo, avrebbe consumato ogni scintilla d'energia contenuta nei nostri corpi. Colui che controllava la matrice-trappola doveva avere visto un lampo, come quando un'astronave viene rivelata su uno schermo radar.

Ma trovai quello che cercavo. In qualche punto del castello, c'era una matrice-trappola — questa volta non era Sharra! — che era puntata, con un'intensità incredibile, sull'anello più debole dei Comyn: Derik Elhalyn.

E io, che l'avevo creduto semplicemente ubriaco!

La voce spessa, male articolata; l'irritante confusione nei ragionamenti: tutti segni che denunciavano chiaramente la presenza di una matrice non autorizzata. E chiunque la manovrava era insieme un pervertito e un sadico, perché intendeva far violentare Callina dall'innamorato di Linnell!

Cercai di entrare in contatto con Callina, ma incontrai soltanto il vuoto. È orribile sentire soltanto un posto vuoto nel meccanismo fluido dello spazio, dove in precedenza c'era una mente viva. Neppure la morte pareva capace di cancellare una persona così completamente.

Regis mi guardò. Era teso e disperato.

«Lew, se l'ha toccata…» mormorò.

«Non agitarti», risposi io, pensando a quel che era successo a Lerrys Ridenow quando era venuto a trovarmi con la sua proposta. «Derik non lo sa; non saprà mai quello che ha fatto sotto l'effetto della matrice. Senti, ho bisogno del tuo aiuto. Voglio entrare nella mente di Derik per annullare l'effetto della matrice-trappola.»

Per la prima volta nella mia vita non rimpiansi di avere la Dote degli Alton e di poter imporre con la forza un rapporto mentale… e di poter entrare in una matrice senza la mezza dozzina di strumenti che sarebbe stata necessaria a un normale tecnico delle Torri.

«Quelle cose sono infernali, Regis», continuai. «Perciò, quando io l'avrò sollevata, tu dovrai cercare di spezzarla. Ma non sfiorare né me né Derik, perché potremmo morire tutt'e tre.»

Era un rischio disperato. Nessuna persona sana di mente si sognerebbe di entrare in una mente controllata da una matrice-trappola: è come entrare in una strada buia, piena di belve feroci pronte ad assalirti. Io avrei dovuto abbassare tutte le mie barriere, e fare affidamento su un Hastur inesperto nell'uso dei propri poteri, che avrebbe potuto uccidermi con un contatto sbagliato.

Ogni mio istinto gridava di no, ma io protesi la mia mente e mi concentrai su Derik.

E notai che, come mi aspettavo, era la stessa mente che aveva controllato Lerrys.

Derik, come un uomo che sente il taglio del bisturi attraverso i fumi di un'anestesia incompleta, si divincolò per cercare di fuggire, ma non lo lasciai muoversi e infilai la mia forza come un cuneo, tra la mente e la matrice che la bloccava.

Dietro, come un uomo che osservasse in uno specchio una luce che non osava guardare direttamente, c'era Regis; aveva afferrato la forza estranea e la spezzava, un filo alla volta, mente io sollevavo, maglia dopo maglia, la rete telepatica dal cervello di Derik.

Adesso però la matrice cercava di impadronirsi anche di me. Come un uomo che osserva su uno schermo due astronavi che si combattono, adesso l'operatore della matrice proibita osservava il duello fra noi tre, e forse era già pronto con un'altra arma. La fretta e la necessità mi costringevano a non badare alle sofferenze che davo a Derik; sapevo però che se Derik fosse stato in sé, mi avrebbe ringraziato di quello che facevo.

Mentre abbattevo una barriera dopo l'altra, qualcosa si opponeva a me: una grottesca parodia del vero Derik. Tuttavia, fui io a vincere. Sentii il nemico tremare e svanire come una nuvoletta di vapore consumata dal sole. La costrizione era sparita, la matrice-trappola era stata distrutta, e Derik, almeno, era libero.

Mi ritirai.

Regis si appoggiava contro una colonna ed era pallidissimo. Mi rivolsi a lui.

«Sei riuscito», gli chiesi, «a capire chi la controllasse?»

«Nessuna traccia», rispose lui. «Quando la matrice si è spezzata, ho sentito la presenza di Callina. Poi…» aggrottò la fronte, «… è scomparsa di nuovo e l'unica presenza che ho sentito è stata quella di Ashara! Perché proprio Ashara?»

Non lo sapevo. Ma se Ashara era desta e vigile avrebbe protetto Callina.

Ci eravamo rivelati, io e Regis; avevamo perso forza vitale, ma per il momento, forse, eravamo al sicuro. La mia principale preoccupazione, in quel momento, era per Regis. Io ero abituato a usare quei poteri, e conoscevo i miei limiti di resistenza. Lui no. A meno che non imparasse a usarli con maggiore cautela, il prossimo passo sarebbero stati l'esaurimento nervoso e il collasso.

Cercai di avvertirlo, ma Regis alzò le spalle.

«Non preoccuparti per me», disse. «Chi c'è con Linnell?»

Mi voltai per vedere se intendesse parlare di Kathie o dell'uomo con il costume da Arlecchino che mi aveva tanto turbato. Accanto a loro, però, c'era adesso un'altra figura mascherata: un uomo con una lunga tonaca e il cappuccio alzato, che gli coprivano completamente la faccia e il corpo.

Ma c'era qualcosa, in quell'uomo, che mi fece venire in mente, con un presentimento orribile, l'inferno che avevo trovato nella mente di Derik. Un'altra vittima… oppure l'uomo che controllava la matrice? Dovetti fare un grande sforzo di volontà per non correre fino a lui e non allontanarlo con la forza da Linnell.

Mi avviai verso di loro, camminando normalmente. Linnell mi vide.

«Lew», mi chiese, «dove eri?»

«Fuori», risposi concisamente. «A guardar sorgere la luna.»

Linnell alzò timidamente la testa per guardarmi. Era profondamente turbata.

«Che cosa c'è, chiya?» Per la forza dell'abitudine, mi veniva facile chiamarla con quel nomignolo infantile.

«Lew, chi è realmente Kathie? Quando sono vicina a lei, mi sento terribilmente strana. Non si tratta solo del fatto che assomiglia a me, ma del fatto che la sento come se fosse me. E poi mi sento… non saprei dire… come se dovessi avvicinarmi a lei, toccarla, abbracciarla. È una specie di sofferenza! Non riesco a staccarmi da lei! Ma, quando la tocco, voglio staccarmi e gridare…»

Linnell si torceva nervosamente le mani, pronta a scoppiare istericamente a piangere o a ridere. Io non sapevo che cosa dire. Non era una ragazza che avesse paura delle ombre; se la cosa la colpiva così, doveva essere qualcosa di importante.

Kathie stava danzando con Rafe Scott. Quando fece ritorno da noi, sorrise a Linnell; quasi come priva di volontà, Linnell cominciò a muoversi verso di lei. Che Kathie stesse facendo sulla mia piccola cugina qualche malvagio trucco mentale? Ma Kathie non aveva alcuna conoscenza dei poteri mentali darkovani. Lo sapevo. E niente poteva oltrepassare il blocco che avevo posto su di lei.

Linnell toccò quasi timidamente la mano a Kathie, lei le mise un braccio attorno alla vita e per qualche istante camminarono allacciate. Poi, con un movimento flessuoso, Linnell si sciolse e venne da me.

«Ecco Callina», disse.

La Guardiana, con aria distaccata e con il suo vestito trapunto di stelle, si faceva strada in mezzo alle coppie che danzavano.

«Dove sei stata, Callina?» le chiese Linnell. Osservò con tristezza lo strano costume della sorella, ma non fece commenti; Callina non fece alcun tentativo di giustificarsi o di spiegare la propria scelta.

«Certo», domandai anch'io, fissando Callina e unendo le immagini mentali alle parole. «Dove sei stata?»

Callina non parve notare la nostra apprensione, e parlò con tranquillità, senza che io potessi leggere messaggi nascosti nelle sue parole.

«Parlavo con Derik», disse. «Mi ha portato con sé per raccontarmi una storia confusa, che gli deve essere stata suggerita dal vino, ma non l'ha finita. Non ti invidio, cara», aggiunse, sorridendo alla sorella. «Per fortuna, alla fine il vino ha avuto il sopravvento… e mi auguro che non debba mai essere sconfitto da nemici più pericolosi.»

Si strinse nelle spalle.

«Vedo che Hastur mi fa segno», disse poi, con brio. «Con lui c'è anche Beltran. Suppongo sia giunta l'ora della cerimonia.»

«Callina…» disse Linnell, che stava per piangere, ma Callina si staccò da lei.

«Non compatirmi, Linnell», le disse. «Non lo farò.» Capii che in realtà voleva dire: “Non sarà un vero matrimonio”.

Non so che cosa avrei potuto fare o dire, ma Callina si allontanò in silenzio, rivolgendomi uno sguardo glaciale come quello di Ashara. Senza poter fare nulla, la vidi allontanarsi in mezzo alla folla.

In quel momento avrei dovuto capire tutto: quando ci lasciò senza abbracciarci, silenziosa e distante come la stessa Ashara, isolata nella sua tragedia e chiusa a tutti noi. Ascoltai gli annunci ufficiali, fatti da Hastur, il quale chiuse sui loro polsi i doppi braccialetti. Da quel momento, Callina era la moglie di Beltran.

Mi guardai attorno, alla ricerca di Regis, e rimasi senza fiato; il ragazzo era pallido come uno straccio. Lo presi sottobraccio e lo trascinai all'esterno. Trasse un profondo sospiro quando l'aria fredda gli colpì la faccia.

«Grazie», mormorò. «Hai fatto bene.»

Si piegò su se stesso e scivolò a terra, privo di sensi. Aveva la mano bagnata di sudore e respirava a fatica. Mi guardai attorno, alla ricerca di aiuto. Diana attraversava il corridoio al braccio di Lerrys…

Lerrys si immobilizzò a metà di un passo. Per un momento si guardò attorno, selvaggiamente, con la faccia convulsa, poi s'irrigidì.

Quella fu solo la prima onda d'urto. Poi si scatenò l'inferno. All'improvviso la sala divenne un incubo, distorto e privo di prospettiva, e il grido di Diana Ridenow s'interruppe, assorbito dall'aria che non era più capace di trasmettere i suoni. Qualcosa, poi, la afferrò e la scosse come un gattino, fece un passo, barcollando…

Le uniche due figure ferme, in mezzo all'aria distorta, erano due uomini: quello vestito da Arlecchino e quello che mi aveva inorridito, con la tonaca e il cappuccio. Adesso però il cappuccio era caduto all'indietro e quella che guardava con odio Diana era la faccia crudele di Dyan. La ragazza fece un passo, a fatica, e poi ne fece un altro; scivolò a terra e non si mosse più.

Lottai contro la paralisi indotta dalla distorsione spaziale. L'Arlecchino e il suo compagno si mossero e presero tra loro Linnell.

Non la toccarono fisicamente. Ma era in loro balìa come se l'avessero afferrata per le mani e per i piedi. Penso che urlasse, ma la stessa idea di “suono” era morta. Linnell si agitò sotto una forza invisibile; un alone scuro li circondò, all'improvviso, e Linnell cadde a terra con uno schianto. Io imprecai, ma non ero in grado di muovermi.

Kathie si gettò a terra, accanto a Linnell. Credo che fosse l'unica persona in grado di muoversi, nell'intera sala. Quando prese Linnell tra le braccia, vidi che aveva il viso sereno; rimase così per un momento, poi fu scossa da uno spasimo e s'afflosciò. Una debole, fragile, piccola cosa, con la testa abbandonata sul petto del suo doppio.

Sopra di loro, Dyan e l'uomo con il costume da Arlecchino parvero diventare più grandi, come effetto della forza che stavano accumulando su di loro.

Per un momento, in cui riuscii a vedere chiaramente al di là dello spazio normale, attraverso la maschera di Arlecchino scorsi il profilo di Kadarin. Poi le facce dei due uomini si unirono a formarne una sola, e per un istante scorsi il viso bellissimo e dannato che avevo visto nella stanza di Ashara, in cima alla Torre. Poi l'ombra si chiuse su di noi.

Dopo qualche istante, le luci tornarono a brillare, ma tutto, intorno a me, era cambiato. Sentii l'urlo di Kathie, vidi che la folla, in preda al panico, cercava di uscire, e mi gettai verso Linnell, a spinte e gomitate.

La ragazza era distesa come un tragico mucchietto sulle ginocchia di Kathie. Dietro di lei, solo le pareti annerite e i mobili carbonizzati indicavano il luogo dove la distorsione aveva scaricato la sua energia, e Kadarin e Dyan erano spariti: volatilizzati, fuggiti, non c'erano più.

Mi inginocchiai accanto a Linnell. Era morta, come già sapevo ancor prima di appoggiare la mano sul suo cuore che ormai non avrebbe più battuto.

Callina allontanò Kathie, e io lasciai passare il Reggente Hastur e misi un braccio attorno alla vita di Callina; ma, anche se si appoggiò a me, lei non si accorse della mia presenza.

Attorno a noi, sentii il brusio della folla, gli ordini e le proteste, e l'orribile curiosità della gente quando la tragedia colpisce qualche persona del gruppo. Hastur disse alcune parole e la folla cominciò ad allontanarsi.

È la prima volta, pensai, in più di quaranta generazioni, che la Festa del Solstizio viene interrotta con la violenza.

Callina non aveva sparso neppure una lacrima. Si appoggiava a me, così traumatizzata da non riuscire neppure a mostrare il proprio dolore; semplicemente, era stordita.

Adesso, io ero preoccupato soprattutto per lei, e volevo sottrarla alle occhiate della folla. Stranamente, non pensai neppure per un momento a Beltran, anche se sentivo contro il braccio il metallo del braccialetto matrimoniale.

Poi mosse le labbra.

«Ecco che cosa voleva dire Ashara…» mormorò.

Con un lungo, profondo sospiro, svenne tra le mie braccia.

Загрузка...