CAPITOLO 16 L'ESULE DI DARKOVER

Durò un solo momento, e poi tornò a essere Callina, che mi abbracciava e piangeva. Ma in quel breve istante avevo capito. La guardai con orrore, e lei abbassò gli occhi, desolatamente.

«Sharra… distrutta. Non mi è servito a niente, allora…» sussurrò. «Non posso più sopravvivere…»

«Non con l'inganno, Ashara!» disse Diana, affrontandola. «Non condannando altre donne come hai condannato Callina! Non ci sei riuscita, perché Lew era troppo umano e Callina non lo era abbastanza!»

Senza capire, mi avvicinai alle due donne. Era Callina o Ashara? Non avrei saputo dirlo. Erano una sola. Ciecamente, abbracciai Callina, e vidi la sua espressione cambiare: per un momento fu quella di Ashara, poi quella di Callina, poi di nuovo quella di Ashara… poi scorsi uno sguardo sereno e la donna si staccò dalle mie braccia e svanì.

«Diana!» esclamai, correndo a rifugiarmi tra le sue braccia. «Sono impazzito?» Diana piangeva.

«Ho cercato di dirtelo», mi spiegò. «Varie volte. Ashara non è reale: da varie generazioni non lo è più. Non ti sei chiesto perché la sua stanza sembrava tanto grande? Quella stanza non è nella Torre, e la porta di cristallo azzurro è una matrice che porta… in un altro posto. Da tempo, Ashara è soltanto una forma di pensiero. Viveva nella matrice, e quando la lasciava, per andare al Consiglio dei Comyn, usava il corpo di una Guardiana.

«Il suo potere era così grande, e le Guardiane così deboli, che per molte generazioni le cancellò completamente e diede loro il proprio aspetto: sembrava immortale. Era una Alton, Lew; usava la sua Dote non sulla mente, ma sul corpo delle Guardiane, per renderlo uguale al suo.

«Ma il suo potere continuava a diminuire. Da tempo non era più in grado di proiettare la propria forma sui loro corpi; poteva soltanto controllare la loro mente. E adesso il suo potere era quasi finito, e lei cercava in Sharra una nuova fonte di potere…»

Diana trasse un profondo respiro, poi riprese a parlare.

«Io dovevo diventare Guardiana, ma avevo capito che cosa volesse Ashara, e ne ero inorridita. Ho chiesto a Lerrys di portarmi a Vainwal. Perché credi che mi sia gettata su di te? Quando ti ho conosciuto bene, mi sono innamorata, ma all'inizio volevo solo diventare inadatta come Guardiana…» confessò, arrossendo.

«Perciò, toccò a Callina. Ma Ashara, di tanto in tanto, doveva ritirarsi, o Callina si sarebbe esaurita. In quei momenti Callina era normale, oppure, come negli ultimi tempi, era in trance.

«Quando ho saputo che Regis avrebbe dovuto usare la Spada, sono andata nella Torre e ho spaccato uno dei cristalli; in quel modo, Ashara è stata tolta dalla scena per un po' di tempo.

«Ero stata addestrata come Guardiana, e sapevo che cosa dovessi fare, ma non potevo farlo nel mio corpo, perché…» Arrossì di nuovo. «Callina, invece era vergine, ed era in trance. Inoltre, i terrestri le avevano dato dei sedativi. Andai da Regis, che usò la sua Dote per mettere la mia mente nel corpo di Callina. Sono stata io a legarla con te e Regis.»

«No», dissi io. «Era Callina…»

Diana mi abbracciò.

«No, caro», disse. «Callina non sarebbe riuscita a farlo. Ormai, la parte di lei che rimaneva non era sufficiente a collegarsi. Ricorda, Lew, mi avevi dato una barriera contro di te. E io sapevo che, quando si fosse rotta, non saremmo stati in condizioni di accorgerci se ero Diana, Callina o un'altra. Poi, abbiamo di nuovo innalzato le barriere. Ma, adesso, senti…»

Tese la mente verso la mia, e di nuovo sentii la grande soddisfazione che avevo provato quando facevo parte della triade mentale.

«Callina!» esclamai.

No, mi rispose, questa è la mia parte che non hai mai conosciuto…

«Una volta, Lew, prima che tu lasciassi Darkover, Callina era una ragazza incantevole, generosa e piena di coraggio. Lo sai. Ha rischiato la vita per te. Ma la vera Callina è morta quando Ashara si è impossessata completamente di lei, alcuni giorni fa, quando sei salito con Callina nella Torre. Già allora era solo l'ombra di se stessa, ma quanto era coraggiosa, quella povera ragazza!»

Diana singhiozzava come una bambina.

«Lew», proseguì, «Callina ti voleva bene. Si è rifiutata a te — prima che Ashara la distruggesse — perché sapeva che, unendosi a te, avrebbe permesso ad Ashara di impadronirsi anche del tuo cervello. Con la sua ultima scintilla di autonomia, ti ha salvato, e quella è stata l'ultima cosa che ha potuto fare. Con quell'atto, ha siglato la sua condanna a morte. Nella Torre, hai avuto l'impressione che Ashara fosse scomparsa? No, lei era entrata in Callina. E ti è parso che Callina si comportasse in modo strano durante la Festa? No. Era Ashara che…»

«Basta!» la implorai.

«Una cosa sola», disse, toccandosi la guancia dove l'avevo colpita. «Sai perché non ho cercato di fermare Dyan, né di avvertire Callina di guardarsi da Derik? Lew, era un tentativo disperato, ma, sarebbe andato a nostro favore. Se un uomo… qualunque uomo… avesse posseduto Callina, anche con la violenza, a così poca distanza dal momento in cui Ashara si era impossessata di lei, Ashara non avrebbe più potuto rimanere nel suo corpo. Forse Callina era già morta, ma c'era la possibilità che venisse liberata. Ashara si sarebbe dovuta ritirare in modo permanente.»

«Basta…» ripetei, inorridito.

«Io stessa ho cercato di salvare Callina…» aggiunse. «Oh, Lew, sai perché Callina è venuta nel tuo letto, quella notte, e ha dormito fra le tue braccia? Callina era in trance, e io sapevo che Ashara avrebbe potuto cacciarmi via in qualsiasi momento, ma sapevo anche che tu desideravi Callina, e speravo che…»

«Oh, Diana!»

Nonostante tutto, mi venne voglia di ridere; il primo passo per guarire da quelle emozioni.

«Diana, amore mio, non ti eri guardata in uno specchio? Quando sei entrata nella mia stanza, eri di nuovo te stessa, e nel tuo corpo. E anche se fossi stata Callina, avesti dovuto sapere che…»

La strinsi a me e la baciai sulle gote e sui capelli.

«Cara», le dissi, «vedo che dovrò spiegarti molte cose sulle matrici e sugli uomini che le usano!»

Ridendo e piangendo nello stesso tempo, lei sollevò la testa.

«Ma… se ero io… tu mi ami, Lew?» mi chiese.

Sentii che gli occhi mi bruciavano. Callina!

Lei mi guardò con tenerezza. «Non sono più Callina, ma non sono Ashara. Penso che quella infatuazione ti sia passata, Lew. Altrimenti, anch'io sono finita.»

La baciai, come esorcismo per ciò che riguardava il passato e come promessa per il futuro. Ma sapevo che il dubbio non mi avrebbe mai lasciato.

All'improvviso, dal castello ci giunsero alcune grida. Un attimo dopo, Rafe e Regis giunsero di corsa.

«Lew», gridò Rafe, «vieni con noi! Hanno trovato Marja! Viva!»

Mi staccai da Diana. Regis si fermò accanto a me, ansimando.

«Dyan l'aveva schermata con la matrice, e a noi è sembrato che fosse morta. Poi l'ha nascosta in un posto dove non l'avremmo mai cercata! Quando la matrice si è spezzata, lei è andata in coma, ma c'è ancora la possibilità…»

Rafe mi prese per il braccio. «Ho un'automobile», disse.

Ci affollammo all'interno, e Rafe prese il volante. Con una partenza mozzafiato, ci immettemmo sulla stradina che portava a Thendara e che non era fatta per quelle invenzioni terrestri; attorno a noi, cavalli e pedoni si allontanavano impauriti.

Regis gridò: «Quando è svenuta, hanno chiamato il Servizio Medico terrestre, e Lawton…»

Lawton, mi dissi, a quel punto doveva essere quasi impazzito, dopo che erano spariti, uno alla volta, Thyra, Kadarin, io e Callina (Callina?).

Ma non potevo preoccuparmi per lui. Eravamo giunti nella Zona Terrestre, dove le strade erano più larghe e gli edifici erano illuminati dalle luci al neon. Imboccammo una strada che portava nella campagna aperta, e pochi minuti più tardi ci arrestammo con uno stridore di freni.

Davanti a noi c'era l'orfanotrofio terrestre.

Rafe bussò alla porta, e una donna alta, dall'aria severa, con abiti da terrestre, ci guardò con aria interrogativa. Rafe chiese: «Dov'è Marguerhia Kadarin?»

La donna lo riconobbe.

«Oh, capitano Scott! Come l'avete saputo?» chiese. «Vostra nipote sta male, volevamo cercare il suo tutore. Dov'è?»

«Non potete trovarlo», risposi io. «È morto. La bambina è sotto shock. Fatemi entrare, sono un tecnico delle matrici.»

La donna guardò con sospetto i vestiti terrestri, sporchi e strappati, che mi ero messo per recarmi nella Caverna Sacra; le macchie di sangue; la mia barba lunga; il mio braccio.

«Mi dispiace», disse. «Niente visite.»

Un'altra donna ci interruppe.

«Signorina Tabor», disse, «perché c'è questo baccano all'ingresso? Ricordate che c'è una bambina malata…»

Poi s'interruppe nel vedere il nostro gruppo. Solo Rafe era presentabile.

«Chi sono queste persone?» chiese.

«Io sono il padre di Marja», la supplicai. «Credetemi, a ogni secondo che passa, perdiamo la piccola possibilità…»

Poi, con sollievo, ricordai che avevo in una tasca di quell'abito il tesserino di riconoscimento che mi era stato dato al mio arrivo. Glielo mostrai.

«Ecco, questo servirà a stabilire la mia identità…» dissi.

Lei gli diede appena un'occhiata.

«Venite», mi disse, avviandosi lungo il corridoio. «L'abbiamo tolta dal dormitorio perché le altre bambine si impressionavano.»

La stanza era piccola e piena di sole. Marja era distesa in un lettino e il dottor Forth del Quartier Generale terrestre si girò a guardarci.

«Voi», disse, «dicevate di conoscere questo tipo di shock?»

«Me lo auguro», risposi, chinandomi sulla bambina. Sentii un tuffo al cuore. Era come vedere una bambina passata dal sonno alla morte. Era stesa su un fianco. Con le mani aperte, la bocca aperta, e respirava in modo quasi impercettibile. Sulla tempia le pulsava una vena azzurrognola.

Aggrottai la fronte e tentai di entrare in rapporto con la sua mente. Inutile. La trance era troppo profonda; la sua mente non era più nel corpo, e il corpo si stava spegnendo.

Chiunque lavori con le matrici sa tutto della trance da shock e delle sue cure, quando la cura è possibile.

«Avete provato…» dissi, e cominciai a elencare i soliti rimedi, anche se sapevo che, forse, una bambina così piccola non avrebbe risposto al trattamento. In genere, i bambini non hanno capacità telepatiche. Non conoscevo alcun precedente.

E se fosse rimasta in trance per troppo tempo, sarebbe stato meglio che non ritornasse, perché sarebbe cambiata troppo.

Il sole era già alto, quando mi raddrizzai e dissi stancamente: «Dove sono Regis e Diana… le due persone che sono arrivate con me? Potete chiamarle?»

Quando entrarono nella stanza, senza fare rumore, rimasero a bocca aperta, nel vedere che Marja era ancora immobile. Io mi rivolsi a loro, disperatamente.

«È l'ultima risorsa», dissi. «Noi eravamo in rapporto con una matrice simile a Sharra.»

Quando Sharra si era spezzata, e si era chiusa la porta tra i mondi, tutti coloro che erano collegati a Sharra erano finiti nel mondo della matrice. Tranne me. Io ero stato trattenuto da un potere ancora più forte. Ma c'era la possibilità di raggiungere Marja, con un collegamento a tre. Il corpo della bambina era davanti a noi, e quello era un legame assai forte. Io ero il padre, e anche quello era un legame. Ma la bambina, senza aiuto, non sarebbe riuscita a trovare la via del ritorno.

«Regis», gli chiesi, «puoi tenermi, se vado a prenderla?»

Per un momento, il giovane Hastur sgranò gli occhi, ma non ebbe esitazioni. Diana tese la mano e per l'ultima volta le nostre coscienze si fusero; un'espansione di me stesso si protese sempre più lontano, nei mondi della mente…

Attorno a me volavano ombre gelide e maligne. Poi qualcosa si scosse dal sonno: un'entità destata da me, che sognava, felice, e non aveva voglia di svegliarsi…

Bruscamente, con una violenza che fece gemere Diana, interruppi il collegamento a quattro e presi Marja tra le braccia. Tremavo per il sollievo, dopo le ore di disperazione.

«Marja!» esclamai, con la voce roca. «Cara! Svegliati!»

La bambina si mosse tra le mie braccia. Poi batté le ciglia e mi sorrise, con aria dolce e assonnata.

«Che cosa c'è?» mormorò.

Non so che cosa risposi, non so che cosa feci. Penso di essermi comportato come qualsiasi uomo impazzito per il sollievo. La strinsi finché non si lamentò che le facevo male. Poi mi sedetti e la tenni sulle mie ginocchia.

«Perché tutti mi guardano?» chiese lei, facendo il broncio. E come io provai a dire qualcosa, mi interruppe: «Ho fame!»

All'improvviso mi ricordai che anch'io avevo fame. Da due giorni non toccavo cibo. Per poco non scoppiai a ridere per il tono banale con cui si chiudeva quell'avventura.

«Anch'io ho fame, chiya», dissi. «Ma adesso andremo tutti a cercare qualcosa da mangiare.»

«E questa», commentò Diana, prendendo in braccio Marja che indossava ancora la camicia da notte, «è la prima cosa sensata che ti senta dire dal tuo ritorno a Darkover. Andiamo tutti a mangiare. Signora direttrice, potreste farci avere i vestiti della bambina?»

Due ore più tardi, lavati, rifocillati e rivestiti, eravamo un gruppo più che rispettabile, davanti alla scrivania del Legato. Lawton mi mostrò un dispaccio ufficiale.

«Questo ci è appena arrivato per relè», disse, e ce lo lesse: «“Sospendere ricerche su Darkover. Katherine Marshall ritrovata su Samarra, leggera amnesia, indenne. Haig Marshall.”

«Considerato il tempo impiegato dalla trasmissione», continuò, con aria cupa, «l'hanno trovata su Samarra mezz'ora dopo che le avevo parlato qui nel Quartier Generale, questa notte. A volte mi viene voglia di dare le dimissioni e di imbarcarmi come marinaio semplice su una nave spaziale.»

Guardò i capelli bianchi di Regis; Diana; la bambina che mi sedeva sulle gambe.

«Mi devi una spiegazione, Lew Alton», concluse.

Lo guardai con aria molto seria. Dan Lawton mi piaceva. Anche lui, come me, era figlio di due mondi, e come me aveva scelto la sua strada. Che non era la mia.

«Forse ho quel debito», risposi, «ma temo che non riuscirai mai a fartelo pagare.»

Alzò le spalle e gettò nel cestino il dispaccio.

«Vuol dire che continuerò ad aspettare», disse. «Comunque, dobbiamo parlarci. Per Darkover, gli anni di grazia sono finiti.»

Non potei che annuire. I Comyn avevano vinto, contro Sharra, ma in un certo senso avevano perso.

«Il quartier generale di Proxima mi ha dato un ordine», continuò Lawton. «Devo organizzare un governo provvisorio, sotto la presidenza di Hastur… il Reggente, non il ragazzo. Hastur è serio, onesto, e la gente lo ama.»

Annuii. Gli Hastur erano sempre stati la forza dei Comyn; Darkover non aveva niente da perdere, a liberarsi degli altri.

«Tu, Regis, probabilmente verrai dopo di lui. E quando arriverai all'età di tuo nonno, la gente sarà psicologicamente pronta a scegliere i propri governanti. Lew Alton…»

«Non fare affidamento su di me», dissi subito.

«Ti offro la scelta. O l'esilio, o rimanere qui, ma contribuendo a mantenere l'ordine.»

Regis si girò verso di me, mi guardò con grande sincerità.

«Lew», disse, «la gente ha bisogno di capi darkovani. Di gente che sia totalmente dalla sua parte. Lawton farà il possibile, ma è sempre stato un uomo della Terra.»

Guardai con tristezza il giovane Hastur. Forse era quello il suo posto. Governare, anche se solo per figura; lavorare per Darkover, solcando come meglio poteva le onde e le correnti mosse dalla Terra. E forse io avrei dovuto aiutarlo.

«Non sei disposto a darci una mano, Lew?» mi chiese. «Potremmo fare molto, insieme!»

Aveva ragione. Ma per tutta la mia vita mi ero sempre mosso sulla linea divisoria tra due mondi, e ciascuno, costantemente, mi aveva accusato di appartenere all'altro. Nessuno si sarebbe mai fidato di me.

«Se te ne andrai», mi avvertì Lawton, «sarà in maniera definitiva. Le tue proprietà saranno confiscate, e non potrai rimettere piede sul pianeta. Non vogliamo altri Kadarin!»

Le parole mi ferirono, ma erano vere. Quello era il difetto dei Comyn. Il patriottismo malinteso, il desiderio di autonomia, la mancanza di equilibrio. Forse la semplice incapacità di immedesimarsi nel punto di vista del nemico.

Ma io ero un Comyn. Non avevo chiesto di nascere così, ma non potevo cambiare la mia natura. Distolsi lo sguardo dafla supplica che leggevo negli occhi di Regis.

«No», risposi. «Ce ne andremo. Chiedo solo tre cose. Posso averle?»

«Dipende», disse Lawton. «Spero di sì.»

Presi Diana per mano.

«Vogliamo sposarci davanti alla nostra gente, prima di partire», dissi tranquillamente, «e voglio che siano messi a posto tutti i documenti di Marja per l'adozione. È mia figlia, ma ci sono alcune complicazioni…»

Lawton alzò la mano per fermarmi.

«Buon Dio», disse, «non andiamo a perderci in quelle assurde parentele darkovane! Sì, posso occuparmene io, a meno che…»

Lanciò un'occhiata a Rafe, che si limitò a scuotere la testa, con rimpianto.

«Come potrei occuparmi della bambina?» disse il giovane. «Dovrei metterla di nuovo nell'orfanotrofio.»

Lawton annuì. «Che altro?»

«Passaporto e trasporto per quattro persone», continuai.

Quattro, perché ad Andrés sarebbe dispiaciuto vedere Darkover sotto il protettorato dei terrestri, anche se era l'unico modo giusto e logico di mettere fine al dominio dei Comyn.

Regis chiese: «Dove andrete?»

Guardai Diana e le lessi negli occhi un grande coraggio. Io sapevo dove andare, ma potevo chiederlo a lei? Dopotutto, avevo delle proprietà sulla Terra, e avremmo potuto stabilirci laggiù.

Marja scese dalle mie ginocchia e si fece prendere in braccio da Diana. Le appoggiò la testa sulla spalla, e Diana la baciò. In quel momento presi la mia decisione.

Dall'altra parte della Galassia c'erano i mondi dei pionieri, dove la Terra era una vaga eco e nessuno conosceva Darkover. Laggiù andavano coloro che non riuscivano a resistere nell'immobile Impero Terrestre, e che desideravano un luogo diverso da quello della cosiddetta “civiltà”.

Forse l'Impero li avrebbe raggiunti, ma noi non avremmo mai visto quel giorno.

Mi avvicinai a Diana e Marja e le abbracciai.

«Più lontano è, meglio è», dissi.

Lawton mi guardò: per un momento, pensai che volesse protestare. Poi cambiò idea, mi sorrise amichevolmente e si alzò. Mi salutò con affetto e con rimpianto.

«Mi occuperò anche di quello», disse.

Tre giorni più tardi, eravamo nello spazio.

Darkover! Sole di sangue! Che ne è di voi? Il mio mondo è bello, ma al tramonto mi tornano in mente le Torri di Thendara e le montagne che ho conosciuto. Un esule può essere contento, ma è pur sempre un esule. Darkover, addio! Non sei più il Darkover che conoscevo!


FINE
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