CAPITOLO 12 IL FANTASMA DI LINNELL

Quando mi svegliai, dalle finestre giungeva il chiarore rosso-scuro di un altro tramonto; per qualche istante non mi mossi, chiedendomi se tutto l'accaduto non fosse un incubo, un curioso delirio causato dal colpo alla testa.

Poi fece il suo ingresso Andrés, e la faccia tesa del vecchio terrestre, il profondo dolore inciso sui suoi lineamenti burberi, mi convinse; non era un sogno, ma la realtà.

Non ricordavo nulla di quanto era successo dopo lo svenimento di Callina, e questo era prevedibile. Dopo il colpo alla testa mi avevano avvertito di non compiere sforzi; invece, mi ero gettato nella lotta contro le massime forze di Darkover: i Comyn alleati dei terrestri, Kadarin, la matrice di Sharra…

«C'è Regis Hastur», mi annunciò Andrés. Io cercai di rizzarmi a sedere, ma lui mi costrinse a rimanere sdraiato, premendo con le sue forti mani.

«Giovane idiota», mi disse, «non sai ancora capire quando sei fuori combattimento? Sarai fortunato se potrai alzarti tra una settimana!»

Poi non riuscì più a nascondere sotto l'aria arcigna i suoi veri sentimenti.

«Ragazzo», mi disse con gli occhi lucidi, «ne ho già persi due, di voi! Non fare la stessa fine di Marjus e di Linnell!»

Io mi arresi e non mi mossi dal letto. Entrò Regis, e Andrés fece per allontanarsi… ma all'improvviso andò alla finestra e chiuse le tende, per non far entrare la luce della sera.

«Sole di sangue!» brontolò, con rabbia. E uscì.

Regis mi chiese con gentilezza: «Come ti senti?»

«Che te ne pare?» risposi, a denti stretti. «Ma starò meglio, quando avrò ucciso un certo numero di persone.»

«Meno di quante tu creda», rispose Regis, con aria cupa. «Due dei Ridenow sono morti. Lerrys vivrà, penso, ma per qualche mese non potrà fare granché.»

In un certo senso, me l'ero aspettato. Dato che sono dei sensitivi, i Ridenow sono ipersensibili anche al normale attacco telepatico; probabilmente sarebbe rimasto per varie settimane in uno stato semicomatoso; era fortunato di non essere morto.

«E Diana?» chiesi.

«È un po' stordita, ma si sta rimettendo. Per tutti gli inferni, Lew, se io fossi stato più forte…»

Con un gesto, lo interruppi.

«Non dare la colpa a te stesso», gli dissi. «È incredibile che tu non sia completamente esaurito; evidentemente, gli Hastur sono più forti di quanto non credessi. Callina?»

«È sotto shock. L'hanno portata nella Torre.»

«Dimmi anche il resto!» lo esortai. «E tutto insieme! Non darmi le cattive notizie a gocce!»

«Questa notizia potrebbe non essere cattiva. Beltran se n'è andato; ha lasciato il castello come se fosse stato inseguito da tutti gli scorpioni di Zandru. Perciò, Callina è ritornata libera.»

La cosa, in un modo perverso, mi divertì. Beltran avrebbe potuto farsi avanti, mentre i Comyn erano confusi e sotto shock, per prendere in mano le redini del potere come marito di Callina. E, probabilmente, l'idea dei suoi alleati era quella. Ma ponendo la loro fiducia su Beltran di Aldaran — che al momento buono si era rivelato come un superstizioso montanaro degli Hellers, spaventato da quelle “stregonerie” — avevano scelto una pedina troppo fragile, che al primo urto si era spezzata nelle loro mani.

«Poi c'è una notizia davvero brutta», continuò. «Alla Festa erano presenti molti terrestri, che hanno messo sotto sequestro tutto il Castello e stanno svolgendo un'inchiesta. E…»

S'interruppe, e io capii che avrebbe voluto nascondermi qualcosa.

«Derik…» dissi io. «È morto anche lui, vero?»

Regis chiuse gli occhi.

«Preferirei che lo fosse», sussurrò. «Preferirei che lo fosse!»

Non potei fare altro che annuire. Spinti da una necessità terribile, eravamo entrati con la forza nella mente di Derik e avevamo momentaneamente distrutto tutte le sue barriere. Non potevamo prevedere che, poco più tardi, si sarebbero scatenate forze così grandi. Corus e Auster Ridenow erano stati fortunati, al confronto; i loro corpi erano morti quando la loro mente era stata cancellata.

Derik Elhalyn era vivo. Ma aveva disperatamente, irrimediabilmente perso la ragione.

Dall'esterno mi giunse la voce di uno sconosciuto, che, a giudicare da come parlava la nostra lingua, doveva essere un terrestre.

«Come diavolo si può bussare prima di entrare, se non ci sono che tende?» chiedeva.

Poi le tende si aprirono e nella stanza entrarono quattro uomini.

Due non li avevo mai visti, ed erano ufficiali della forza spaziale terrestre. Il terzo era Dan Lawton, Legato terrestre a Thendara.

Il quarto era Rafe Scott, anch'egli nell'uniforme della forza spaziale.

Regis si alzò e andò ad affrontarli, con espressione rabbiosa.

«Lew Alton è stato ferito!» protestò. «Non è in condizioni di essere… interrogato… come avete interrogato mio nonno!»

Feci segno a Regis di tacere.

«Che cosa vuoi?» chiesi a Lawton.

«Soltanto che tu risponda ad alcune domande», mi disse il Legato, educatamente.

Si rivolse a Regis.

«Giovane Hastur», gli disse. «Vi avevamo avvertito di rimanere nelle vostre stanze. Kendrick, accompagna il giovane Hastur nell'appartamento di suo nonno, e fa' in modo che rimanga laggiù.»

Uno dei due terrestri si avvicinò a Regis e gli posò la mano sulla spalla.

«Su, vieni via con me, ragazzo», gli disse, ma senza ostilità.

Regis si staccò bruscamente da lui.

«Giù le mani!» esclamò.

Si chinò in fretta e afferrò il coltello che portava nello stivale. Poi, puntando la lama contro i quattro uomini, li fissò gelidamente, con un'ira perfettamente controllata.

«Me ne andrò quando il Signore Alton mi darà il suo congedo… a meno che non intendiate portarmi via con la forza… se ne siete capaci!»

Intervenni di nuovo io, con aria infastidita.

«Lew», dissi al Legato, «preferisco che rimanga qui. E con le imposizioni, ti assicurò, non otterrete niente, nel Castello dei Comyn.»

Mi parve di vederlo quasi sorridere.

«Lo so», rispose, «ma volevo che lo vedessero anche loro. Il capitano Scott mi ha detto…»

Il capitano Scott.

«Traditore!» scattò immediatamente Regis, soffiando come un gatto infuriato.

Lawton non gli badò. Continuò a guardarmi.

«Tua madre era una terrestre…» riprese, cambiando discorso.

«Per quanto mi vergogni ad ammetterlo, sì!»

«Ascolta», mi disse lui, in tono ragionevole. «Tutto questo non mi piace più di quanto non piaccia a te. Sono qui per lavoro; più in fretta potrò terminarlo, più in fretta me ne andrò. Dunque, tua madre era…»

«Elaine Aldaran-Montray.»

«Allora siete parenti… dimmi, conoscevi già Beltran di Aldaran?»

«Sono stato circa un anno negli Hellers, e per gran parte del tempo sono stato suo ospite», risposi. «Perché me lo chiedi?»

Invece di rispondere, fece un'altra domanda. Ora, però, la rivolse a Rafe.

«Tra voi due, esattamente, che rapporto c'è?» volle sapere.

«Dalla parte degli Aldaran, tra parentele adottive e parentele di sangue, è un po' difficile da spiegare», rispose Rafe. «Cugini lontani, possiamo dire. Ma ha sposato mia sorella Marjorie, e perciò siamo cognati.»

«Nessuna spia dei terrestri», esclamai io, «può vantarsi di essere mio parente!»

Mi rizzai a sedere, e il movimento mi fece esplodere nel cervello un dolore lancinante. Tuttavia, nella posizione in cui mi trovavo fino a un attimo prima — steso supino — ero troppo svantaggiato psicologicamente.

«I Comyn si occuperanno delle violazioni della legge, qui al Castello», dissi, adesso che potevo fissare Rafe negli occhi. «Quanto a te, va' a curare gli affari della Zona Terrestre, visto che questa è la tua scelta!»

«Be'», invece di Rafe, rispose Lawton, «è proprio quello che stiamo facendo. Lerrys lavorava per noi, e perciò la morte dei suoi fratelli è “affare” nostro.»

«E così la morte di Marjus», disse Rafe. «Non sei mai stato ad ascoltarmi, Lew, ma Marjus stava lavorando per la Terra.»

Gli sbattei sulla faccia quella bugia.

«Mio fratello», dissi, «non ha mai preso un soldo dalla Terra, e tu lo sai bene! Puoi mentire a loro, ma non cercar di mentire a un Alton su suo fratello!»

«La verità sarà sufficiente a chiarire ogni cosa», disse Lawton. «Hai ragione, Lew. Tuo fratello non è mai stato al nostro soldo, non è mai stato una spia. Ma lavorava per noi, e aveva chiesto la cittadinanza terrestre. Io stesso gliel'avevo suggerito. Aveva il diritto di averla, esattamente come l'avresti tu, benché tu non abbia mai voluto chiederla. Anche in base ai criteri darkovani, questo non mi sembra rientrare nel concetto di “spionaggio”.»

S'interruppe, aggrottando la fronte.

«Probabilmente, era la sola persona in tutto Darkover che volesse arrivare a un'alleanza onesta. Gli altri cercavano solo di riempirsi le tasche. Come fai a non saperlo? Sei un lettore del pensiero.»

Trassi un sospiro.

«Se avessi un sekal per ogni volta che ho spiegato come stanno le cose», dissi, «potrei comprare l'intera Zona Terrestre. Il contatto telepatico viene usato per proiettare pensieri coscienti. È più veloce delle parole, non c'è la barriera della lingua, e può essere ascoltato soltanto da un altro lettore del pensiero. Ma occorre un certo sforzo, da parte di chi trasmette e da parte di chi riceve.

«Poi, anche quando non trasmetto, c'è una sorta di emanazione involontaria di pensieri. Per esempio, in questo momento, sento che sei confuso e che ti dispiace maledettamente di qualcosa che è successo. Non so che cosa, e non cerco di saperlo; i telepatici imparano a frenare la loro curiosità. Sono stato in rapporto con mio fratello e so tutto quello che sapeva lui. Ma non lo ricordo e non cerco di ricordarlo.»

All'improvviso, dalla calma di Lawton, capii che aveva semplicemente cercato di irritarmi, perché sperava che m'incollerissi e abbassassi le mie barriere. Era un mezzo Comyn anche lui, e, per quel che ne sapevo, era probabilmente un lettore del pensiero. Aveva cercato di scoprire qualcosa, e forse l'aveva trovato.

«Ti spiego perché sono venuto», disse, a un tratto. «Di solito lasciamo che le città-stato si governino da sole, finché il loro governo non crolla. Cosa che in genere avviene entro una generazione dalla venuta dell'Impero. Se incontriamo una vera tirannide, la abbattiamo; per i pianeti come Darkover, aspettiamo semplicemente che crollino da soli. E crollano sempre.»

«Lo so», risposi. «L'ho imparato quando stavo sulla Terra. “Rendere l'universo un luogo sicuro per la democrazia… e per il commercio dell'Impero Terrestre”!»

«Puoi anche metterla così», rispose Lawton, imperturbabile. «Comunque, se governerete pacificamente, potrete avere il potere finché il pianeta non andrà in polvere. Ma negli ultimi tempi ci sono stati troppi disordini. Sommosse. Incursioni di banditi. Contrabbando di armi. E troppa telepatia della peggior specie. Marjus è morto dopo che tu sei entrato forzatamente in rapporto mentale con lui.»

Regis protestò: «Chi vi ha detto queste bugie? Io stesso l'ho visto morire con un coltello piantato nel cuore!»

«Marjus non era ancora un cittadino terrestre, e io posso solo cercare informazioni sulla sua morte, non posso punirla», disse Lawton. «Ma c'è un altro rapporto in cui si dice che tenete prigioniera una ragazza terrestre, in questo castello.»

Il mio cuore prese a battere tumultuosamente. Kathie. Che io e Callina, nella nostra avventatezza, avessimo rivelato quell'ultimo segreto della scienza darkovana?

«La figlia del Legato terrestre su Samarra: Kathie Marshall. Doveva lasciare Darkover sulla Croce del Sud, giorni fa; pensavo che fosse partita. Ma adesso è scomparsa, e qualcuno l'ha vista qui.»

Regis lo guardò con indifferenza.

«C'erano molti terrestri, alla Festa del Solstizio. Qualcuno avrà visto…»

Alzò il tono di voce.

«Andrés?» disse. «Prega la comynara di venire qui; è con Diana Ridenow.»

Nei suoi occhi c'era una luce che non riuscii a interpretare; feci per aprire la mente, ma incontrai la sua immediata proibizione. Se ci fossimo scambiati un messaggio telepatico, Lawton e Rafe se ne sarebbero accorti, anche se non sarebbero riusciti a leggerlo.

«Naturalmente», disse Regis, «non so nulla della signorina… Marshall? Ma so chi avete visto. A suo tempo la somiglianza ci aveva causato un certo divertimento, e non poco di imbarazzo, dato che, ovviamente, a nessuna comynara si poteva permettere di comportarsi in pubblico come voi terrestri.»

Io, interiormente, schiumavo di rabbia. Che cosa stava succedendo? Perché trascinare in questa vicenda il nome di una morta? Dopo quella che mi parve un'eternità, sentii un passo leggero, che mi parve familiare, e Kathie Marshall entrò nella stanza.

Indossava abiti darkovani: una veste di seta increspata, senza cintura, e aveva i capelli sciolti, con una spolverata di frammenti metallici che glieli facevano brillare. Alle caviglie e ai polsi le tintinnavano catenelle di rame.

«Kathie?» chiese Lawton.

Kathie sollevò il viso, senza capire. «Che cosa succede?»

«Linnell, cara», disse Regis, lentamente. «Ho parlato della tua strana somiglianza con una terrestre che non conosciamo. Volevo che se ne rendessero conto di persona.»

Mi auguravo che nessuno di loro conoscesse Kathie. La differenza mi pareva perfettamente visibile, e mi dava un enorme dolore. Quello era solo lo spettro di Linnell, una presa in giro.

Ma Kathie mi appoggiò la mano sulla faccia; non si trattava di un gesto da terrestri. E in effetti notai che camminava e si muoveva come una darkovana.

«Sì, Regis, ricordo», disse.

Faticai a non lasciarmi sfuggire un grido di stupore. Kathie parlava la difficile lingua delle classi alte — il casta — non con il suo aspro accento terrestre, ma con la scorrevolezza di una lingua madre.

La ragazza si rivolse a me.

«Devi proprio avere tanti estranei attorno al tuo letto, adesso che non stai bene? E ascoltare strane storie sui terrestri invece di dormire?»

Non era l'intonazione di Linnell; ma parlava darkovano bene come me o come Diana.

Lawton scosse la testa.

«Fantastico», mormorò. «C'è davvero una somiglianza! Ma so che Kathie non sa parlare la lingua così bene.»

Intervenne il terrestre più alto. «Dan, ti dico che l'ho vista…»

«Ti sei sbagliato.» Lawton guardava fisso Kathie, che però non si muoveva. Un'altra nota falsar Su Darkover, fissare una giovane donna che non porti una maschera è un'imperdonabile maleducazione; molti uomini sono stati sfidati a duello e uccisi per averlo fatto. Linnell sarebbe morta di vergogna. Ma, non appena quel pensiero si formulò nella mia mente, Kathie arrossì e corse via dalla stanza.

«Quel che cercavo di dirti», intervenne Kendrick, rivolto al terrestre alto, «è che ero di servizio allo spazioporto quando la giovane Marshall è partita. Ho controllato la lista dei passeggeri dopo che erano stati drogati e legati alle cuccette. Da allora non può essere scesa, e da Samarra, per relè, ci hanno detto che è arrivata: perciò, come potrebbe essere qui? La più veloce astronave richiede diciassette giorni in ipervelocità per fare quel viaggio.»

Lawton mormorò: «Temo che abbiamo fatto la figura degli sciocchi. Alton, prima che ce ne andiamo, puoi dirmi come sono morti i due Ridenow?»

Regis disse: «Ho cercato di spiegare…»

«Ma erano spiegazioni senza senso», obiettò il Legato. «Hai detto che qualcuno aveva portato nella sala una matrice-trappola illegale. Io conosco un poco le matrici, ma non ne ho mai sentito parlare.»

Nessun terrestre può capire veramente quel concetto, ma cercai di spiegarglielo.

«È una sorta di dispositivo meccanico che riesce a entrare in contatto con una mente come se fosse un telepatico, ma che trasmette immagini terrorizzanti. La persona che la usa può controllare la mente e le emozioni della persona colpita. I Ridenow sono dei sensitivi: le atmosfere mentali anomale li colpiscono fisicamente. L'atmosfera della sala era talmente disturbata da mettere in corto circuito le loro reti nervose cerebrali. Sono morti di emorragia al cervello.»

Era una spiegazione estremamente semplificata, ma Lawton parve capirla.

«Sì, ho sentito parlare di cose del genere», disse, con amarezza. Poi, senza che me lo aspettassi, mi rivolse un inchino.

«Grazie della collaborazione», terminò. «Dovremo discutere di varie altre cose, quando ti riprenderai.»

Rafe Scott rimase anche dopo che gli altri se ne furono andati.

«Senti, vorrei parlare con te a quattr'occhi, Lew», mi disse, e fissò con ira Regis.

Regis rispose con rabbia e disprezzo: «Via di qui, sporco terrestre mezza-casta!»

Così dicendo, appoggiò la mano contro la schiena di Rafie e gli diede uno spintone: una cosa assai più offensiva di un pugno.

Rafe si girò verso di lui e lo colpì.

Regis rispose con un pugno sul mento. Il ragazzo terrestre abbassò la testa e si gettò su di lui; tutt'e due cominciarono a muoversi avanti e indietro, strattonandosi e cercando furiosamente di colpirsi.

Io, dimenticato da tutt'e due, non potei fare altro che guardarli, anche se, in un certo senso, sentivo che quella lotta riguardava me, come se le due parti di me stesso avessero deciso di affrontarsi: la parte darkovana e quella terrestre. Rafe, che un tempo era come un fratello; Regis, il mio migliore amico tra i Comyn. Tutt'e due erano come una parte di me, e io, attraverso di loro, combattevo contro me stesso.

La lotta si interruppe bruscamente quando Andrés afferrò per la collottola i due contendenti e li portò di peso fuori della stanza.

«Se volete fare a pugni», ringhiò, «andate a farlo in corridoio!»

Mi giunsero ancora i rumori di una breve zuffa, poi la voce di Regis, chiara e sprezzante.

«Dovermi sporcare le mani in questo modo!» diceva il giovane Hastur.

In qualche modo, dato che il loro litigio mi riguardava, quelle parole assunsero per me un grande significato, come se costituissero una risposta al mio dissidio interiore, e cominciai a fare piani per l'immediato futuro. Anch'io, come Regis, mi sarei “sporcato le mani”, a dispetto di tutti!

Dopo qualche tempo fece il suo rientro Andrés, che, con il suo ininterrotto brontolio, ebbe su a me un effetto calmante. Mi controllò con delicatezza la ferita sulla nuca, che ormai s'era quasi rimarginata, ignorò le imprecazioni con cui gli assicurai di essere in grado di badare a me stesso, sorrise quando lo insultai.

Alla fine io scoppiai a ridere — anche se la cosa mi faceva male alla testa — e gli lasciai fare quello che voleva. Mi lavò la faccia come se fossi un bambino e, se non gliel'avessi proibito, mi avrebbe imboccato con il cucchiaio; come ultima attenzione mi passò un pacchetto di sigarette di contrabbando, proveniente dalla Zona Terrestre. Tuttavia, quando lo ebbi convinto a lasciarmi, non potei che tornare alle mie cupe riflessioni.

Il tempo aveva lenito, almeno un poco, il dolore per la perdita di Marjorie. La morte di mio padre, per quanto rimpiangessi la sua mancanza, era più una perdita per i Comyn che per me. Eravamo stati molto vicini, soprattutto verso la fine, ma io continuavo a odiarlo perché mi aveva fatto nascere mezza-casta. Anche se sentivo la mancanza di mio padre, la sua scomparsa mi aveva permesso di venire a patti con i miei pari. L'assassinio di Marjus era un incubo, ma tutto era accaduto così in fretta da non sembrare reale.

Invece, il dolore della morte di Linnell non mi avrebbe mai lasciato. E la sofferenza che provavo per la sua perdita era pari a quella che mi davano i miei nervi.

Che cosa aveva ucciso Linnell? Nessuno l'aveva toccata, tranne Kathie. E, diversamente da Diane, non era una sensitiva.

Poi capii.

Ero stato io a uccidere Linnell.

Per tutta la sera, intuitivamente, Linnell aveva cercato il contatto con il suo duplicato. Il loro istinto era stato migliore della mia scienza. Io — maledetto imbecille — avevo messo una barriera che le aveva tenute lontane. Quando si era scatenato l'orrore di Sharra, Linnell aveva istintivamente cercato il contatto con il suo doppio. Come avevo detto a Marjus? Un solo corpo non poteva resistere a quella matrice…

Inoltre, Kathie era chiaramente in contatto con me — come avevo visto poco prima — a causa delle barriere con cui l'avevo protetta; ma la deviazione da me inserita nel cervello di Kathie aveva messo anche Linnell in contatto con me… e, tramite me, con la matrice manovrata da Kadarin. Anni prima, infatti, Sharra aveva preso possesso di una parte del mio cervello. E la forza scorre sempre verso il polo più debole. Si era scaricata su Linnell, che era priva di protezione, e aveva sovraccaricato i suoi giovani nervi.

Si era spenta come un fiammifero bruciato.

Era davvero successo un finimondo tra i Comyn. Linnell, i Ridenow, Derik, Diana. Feci una smorfia. Le difese che avevo dato a Diana le avevano evitato di finire come i fratelli. E dopo la sua malvagità…

Poi, la verità mi colpì come una luce accecante. Non c'era un solo briciolo di malvagità in Diana. A suo modo, quel diavoletto perverso mi aveva voluto avvertire…

Un sottile raggio di luna mi illuminava la faccia; nell'ombra vidi muoversi le tende, sentii un passo e una voce che sussurrava: «Stavi dormendo, Lew?»

Alla luce del raggio vidi un luccichio di capelli argentei; un attimo dopo, Diana era sopra di me, simile a un fantasma. Poi si avvicinò alla finestra e aprì le tende per lasciar entrare la luce della luna.

Quella luce gelida fu come una fresca carezza per le mie guance roventi. Non trovai parole per interrogare Diana. Pensai addirittura, senza curiosità, che forse mi ero addormentato e che la stavo sognando. Nonostante l'oscurità, vidi che aveva ancora la faccia rossa dove l'avevo colpita, e mormorai: «Mi dispiace di averti dato quello schiaffo…»

Lei si limitò a sorridere, leggermente stupita. Quando si chinò su di me, la sua voce era irreale come la luce che la illuminava.

«Lew, la tua faccia brucia…» disse.

«E la tua è così fresca…» risposi io. Con la mano buona, le accarezzai il punto dove l'avevo colpita. Diana era molto seria, immobile, e mi fece pensare a Callina. Non la Guardiana distaccata dal mondo, ma la donna orgogliosa e appassionata che aveva sfidato il Consiglio, e che davanti ad Ashara si era rifiutata di entrare in contatto con la mia mente.

Anche Diana si era rifiutata di farlo. Che nessuna donna riuscisse a sopportare quel legame, più profondo di qualsiasi contatto fisico? Callina era lontana, intoccabile, ma Diana era stata per me tutto quello che una donna può essere per un uomo. Ma perché pensavo a Callina, adesso che accanto a me c'era Diana? Pareva che fosse la sua presenza a mettermi nella mente quell'immagine. La stessa faccia di Diana pareva tremare e divenire simile a quella di Callina, tanto da farmi nuovamente chiedere se non fosse un sogno.

«Perché sei venuta?» le chiesi.

Con grande semplicità, lei mi rispose: «Perché, quando soffri o sei in pena, lo so sempre».

Mi prese la mano e se la appoggiò sul cuore. Io chiusi gli occhi e non parlai più. Il suo corpo era tiepido e fresco allo stesso tempo, e anche il suo profumo mi era familiare: sapeva del sale delle lacrime e del miele dei suoi capelli.

«Non andare via.»

«No, mai più.»

«Ti amo», le sussurrai. «Ti amo.»

Per un momento, sentii il pianto di Callina… di Callina? Era quasi una presenza fisica tra noi, come se le due donne si fossero fuse in una sola. A quale delle due avevo sussurrato il mio amore? Non lo sapevo. Ma le braccia che mi stringevano erano reali.

La tenni stretta, pensando tristemente che a lei — come donna — non potevo dare nulla, in quel momento. La dannazione personale del lettore di pensieri, dolorosa come sempre.

Ma la cosa non aveva importanza. E all'improvviso capii che la Diana da me amata su Vainwal, appassionata, superficiale e abituata a comportarsi quasi come un maschio, non era quella vera. La vera Diana era colei che avevo con me quella sera. E anch'io non ero più l'uomo da lei conosciuto lassù.

Non sarei riuscito a parlare neanche se mi fossi sforzato di farlo. Nel bacio che le diedi c'era una richiesta di perdono, e lei me lo restituì come gliel'avevo dato, gentilmente e senza passione.

Ci addormentammo come due bambini innocenti, l'uno tra le braccia dell'altra.

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