CAPITOLO 3 IL CONSIGLIO DEI COMYN

«Benissimo, signori. Allora, farò come volete!» disse una donna.

Nell'udire la sua voce, m'immobilizzai per un momento, poi aprii le tende ed entrai nel palco degli Alton, nella sala del Consiglio dei Comyn.

Eravamo arrivati tardi nella Città Nascosta: così tardi che non avevo avuto il tempo di darne notizia al Vecchio Hastur, e neanche di informare della mia presenza Linnell, che, come mia parente più stretta e sorella adottiva, doveva essere la prima a essere informata. Marjus, che non era stato accettato nel Consiglio, si era separato da me all'esterno della sala ed era andato a prendere il suo posto in platea, tra gli spettatori e i figli cadetti che componevano la cosiddetta “Camera Bassa”. Io mi ero recato nel nostro palco, con l'intenzione di sedermi in uno dei posti riservati alla mia famiglia, ma ora rimasi in piedi, sorpreso.

La donna che aveva parlato era Callina Aillard.

La conoscevo fin dalla nascita, naturalmente. Anche lei era mia cugina; era la sorellastra di Linnell. Ma quando l'avevo vista l'ultima volta, sei anni prima — cercai di non pensare a quel giorno — era una bambina, silenziosa e indifferente. Adesso vidi che era una donna, e bellissima.

Era ferma davanti al banco della presidenza: una donna snella, dalla pelle chiara e dall'aspetto fragile, con una veste nera. I suoi lunghi capelli erano ornati di gemme; aveva una catena d'oro al collo e una cintura d'oro alla vita, e queste le davano l'aspetto di una prigioniera che, pur coperta di catene, continuava a sfidare i suoi nemici. La sua voce era forte, chiara e incollerita.

«Quando mai, prima d'oggi», chiedeva, «una Guardiana è stata tenuta a obbedire ai capricci del Consiglio?»

Ecco dunque il motivo della sua collera!

Marjus non mi aveva detto che nel Consiglio dei Comyn c'era una nuova Guardiana; e a me non era venuto in mente di chiederglielo.

A dire il vero, non mi aveva detto molto, e ora, mentre mi sedevo, osservai come fosse cambiata la sala del Consiglio.

Era una grande sala dal soffitto a cupola, piena di luce e di ombre nette. In platea c'erano la piccola nobiltà e i cadetti, che potevano esprimere la loro approvazione o la loro disapprovazione solo quando veniva loro chiesto espressamente; nei palchi, uno per famiglia, disposti in semicerchio, c'erano i Comyn del Consiglio.

Al centro, su un banco posto su un'alta predella, vidi il vecchio Dantan Hastur, Reggente dei Comyn, e dietro di lui, nell'ombra, un giovane che non riuscii a riconoscere.

Accanto a Dantan scorsi il giovane Derik Elhalyn, Signore dei Comyn, che ancora per un anno, fino al conseguimento della maggiore età, sarebbe stato sottoposto all'autorità del Reggente. Derik, sprofondato su una sedia, aveva l'aria annoiata.

Continuai a guardarmi attorno e presto riuscii a orientarmi. Come se avesse sentito la mia presenza, Dyan Ardais si girò verso di me e mi rivolse un sorriso enigmatico. Dietro di lui, Diana Ridenow era seduta in mezzo ai fratelli; vidi anche mia cugina Linnell, che però, dal punto dove si trovava, non era in grado di vedermi.

Poi il mio sguardo si spostò nuovamente su Callina. Una Guardiana!

Da anni non si presentava in Consiglio una Guardiana delle Torri. La vecchia Ashara era sempre rimasta nella sua Torre, fin da quando mio padre era un ragazzo, e ormai doveva avere raggiunto un'età più che ragguardevole.

Quando ero bambino, si era vista in Consiglio una ragazza dai capelli rosso fiamma, velata come una stella spuntata in mezzo alla nebbia, a cui s'inchinavano anche gli Hastur. Però, poco più tardi, doveva essere morta o essersi ritirata nella sua Torre, e a quell'epoca non c'era nessun'altra ragazza che venisse addestrata da Guardiana.

Ormai da tempo le Torri svolgevano solo un'attività limitata, anche se era tradizione che i futuri Comyn vi passassero un periodo di addestramento. Oltre ai telepatici che insegnavano ai giovani delle Famiglie, nelle Torri c'erano alcuni tecnici esperti e meccanici delle matrici — me compreso, nel mio periodo di addestramento — che si occupavano del funzionamento delle reti di comunicazione, e nessuno pretendeva che in quei luoghi si facesse di più. Era difficile convincersi che mia cugina Callina fosse una Guardiana e che disponesse delle antiche conoscenze sulla scienza delle matrici, ormai quasi dimenticate, che le Guardiane si trasmettono l'una all'altra.

Eppure, sapevo quanto fosse coraggiosa. Quel pensiero minacciò di ridestare ricordi dolorosi. Non volevo pensare all'ultima volta che l'avevo vista.

Il Vecchio Hastur parlò con severità.

«Mia signora», disse, «i tempi sono cambiati. Oggi…»

«Oggi sono cambiati davvero», lo interruppe lei, sollevando la testa con un leggero tintinnio di preziosi, «se su Darkover c'è la schiavitù, e una Guardiana può essere venduta come un pesce sui banchi dei mercato! No, ascoltate! Vi dico che faremmo meglio a consegnare oggi stesso tutti i nostri segreti ai maledetti terrestri, invece di allearci con i rinnegati di Aldaran!»

Si guardò attorno e all'improvviso mi scorse, benché fossi in ombra; sollevò un braccio e puntò il dito verso di me.

«E lassù», disse, «c'è una persona che potrà dimostrarvelo!»

Ma io ero già in piedi.

Un'alleanza con Aldaran? pensavo.

Fu qualcosa di più forte di me. Senza che me accorgessi, stavo già gridando: «Maledetti imbecilli!»

Cadde il silenzio, a cui, dopo qualche istante, fece seguito un coro di voci basse, un brontolio stizzito; solo allora mi resi conto di quello che avevo fatto.

Mi ero cacciato mani e piedi in una faccenda di cui non sapevo assolutamente nulla. Ma il nome di Aldaran mi era sufficiente. Guardai fisso il Vecchio Hastur, con aria di sfida.

«Non ho sentito dire “allearci con i rinnegati di Aldaran”?» gridai. «Con quei traditori il cui nome è la vergogna dell'intero Darkover? Gli uomini che per secoli ci hanno combattuto con armi proibite, che dopo, avere venduto le nostre Pianure ai banditi a cui offrivano rifugio sui loro monti, adesso hanno venduto il nostro mondo ai terrestri?»

La mia voce era incrinata come quella di un fanciullo.

Accanto all'Hastur, il giovane Derik Elhalyn si alzò. Rivolse un cenno al vecchio e parlò con tranquillità.

«Lew», disse, «non accalorarti così.»

Poi, fatto un passo avanti e portatosi sotto un raggio di sole che gli fece brillare i capelli rosso-oro, rivolse all'intero Consiglio un affascinante sorriso.

«Vergogna!» disse. «Uno dei più grandi Comyn ritorna dopo cinque anni d'assenza, e noi non gli riserviamo nessuna accoglienza, lo lasciamo entrare in segreto come un topo che rientra nel nido! Bentornato a casa, Lew Alton!»

Io interruppi sul nascere ogni tentativo di applauso.

«Lasciamo stare questi convenevoli», dissi. «Signore Hastur, mio principe, rifletti! Un tempo gli uomini di Aldaran erano fratelli degli Hastur, ma li hanno traditi prima ancora della fondazione di questo Consiglio. E perché, dopo essere stati esiliati, non sono mai più stati invitati a rientrare fra i Comyn?»

M'interruppi per un istante.

«Il perché», ripresi immediatamente, «lo sappiamo tutti! O gli antichi tradimenti sono solo una favola da raccontare ai bambini? E chi è stato, pochi decenni fa, a tradire una seconda volta il Patto, supplicando i terrestri di dargli le loro armi da codardi? Chi ha aperto ai terrestri le porte di Darkover? Siete impazziti? O il pazzo sono io, e le parole che ho sentito, “allearci con Aldaran”, sono una mia allucinazione?»

Passai lo sguardo lungo i palchi, cercando segni di comprensione.

«Volete che l'Aldaran porti il suo alleato, l'Impero Terrestre, fin nelle nostre case?» gridai.

E infine, disperatamente, ricorsi alla mia ultima arma. Sollevai il braccio che termina con una manica chiusa e dissi, con voce tremante:

«Volete Sharra

Per un momento, tutti tacquero. Poi presero a parlare tutti insieme. Non volevano sentire quel tipo di discorsi. Al di sopra delle altre, si levò, allegra e squillante, la voce di Dyan Ardais.

«Non lasciare che sia il tuo odio a parlare, Lew», disse. «Lascia parlare il tuo buon senso. Amici, penso che queste parole, da parte di Lew Alton, siano perfettamente giustificabili.

«Ha tutte le ragioni di essere prevenuto nei confronti di Aldaran», spiegò, con un grande sorriso. «Ma i tempi a cui si riferisce sono ormai passati; dobbiamo giudicare in base a quanto avviene oggi, non ai dissapori di un tempo. Siediti pure, Lew, sei stato lontano per molto tempo. Quando sarai meglio informato della situazione, vedrai che cambierai idea. E, comunque, ascolta anche la nostra proposta.»

E ci fu addirittura un mormorio di approvazione, maledetto lui! Maledetto Ardais!

Tremante d'indignazione, mi misi a sedere. Aveva lasciato intendere — no, maledizione, l'aveva detto espressamente! — che ero da compatire, un invalido con un vecchio risentimento, che era ritornato e che cercava di riprendere il vecchio litigio dal punto in cui l'aveva interrotto. Facendo abilmente leva su sentimenti che i Comyn non avrebbero mai ammesso a voce alta, aveva fatto in modo di togliere qualsiasi validità alle mie parole.

Ma l'Aldaran era stato al centro della ribellione di Sharra! Che non sapessero neppure quello?

O che non volessero saperlo? La ribellione di Sharra era stata solo un simbolo, un sintomo — come tutte le guerre civili — di lacerazioni intestine. Aldaran non era il solo, sull'intero Darkover, che subisse il fascino dell'Impero Terrestre. I Comyn erano pressoché i soli a resistere all'attrazione magnetica di quella confederazione di mondi.

E io ero un facile capro espiatorio per tutt'e due. I conservatori Comyn non si fidavano di me perché ero per metà terrestre, e la fazione contraria ai Comyn non si fidava di me perché mio padre Kennard Alton era stato il massimo sostenitore degli Hastur.

Tutt'e due le fazioni, comunque, temevano quel che conoscevo di Sharra. Per loro, facevo ancora parte di quella terribile esperienza che aveva visto la regione riempirsi di guardie terrestri armate di fucili a energia, invece che di oneste spade, e che aveva sporcato la notte con gli scarichi dei loro razzi. Non avevano mai scordato quella notte. E perché mai avrebbero dovuto scordarla?

«I nostri antenati hanno cacciato via dalle Famiglie quella degli Aldaran», disse Lerrys Ridenow, «ma ormai è tempo di dimenticare le loro superstizioni e le loro sciocche paure.»

Dall'ombra dietro l'Hastur, un giovane parlò in tono diffidente.

«Perché non ascoltiamo quello che Lew Alton vuole dirci?» chiese. «Lui conosce i terrestri: è vissuto tra loro. Ed è parente degli Aldaran. Vi pare che possa parlare contro i suoi consanguinei senza averne buoni motivi?»

«Discutiamone però tra i Comyn!» suggerì Callina.

Hastur, dopo qualche momento, annuì. Pronunciò la formula con cui si congedavano gli estranei, e anche se ci fu qualche protesta dalla platea, presto le voci si spensero e gli esponenti della Camera Bassa lasciarono la sala, a gruppetti di due o tre persone.

Come sempre, quando ero nella sala del Consiglio, la testa cominciava a farmi male. Naturalmente, quel luogo era pieno di attenuatori telepatici che impedivano le interferenze mentali: una misura necessaria nei luoghi dove si radunava un certo numero di Comyn. Uno degli attenuatori era collocato proprio sulla mia testa. Per legge, quei vibratori dovrebbero essere disposti a caso, ma in qualche modo finivano sempre dove si trovava un Alton.

Ciascuna delle Famiglie Comyn aveva la sua specifica dote telepatica, che secondo la leggenda le veniva dal suo fondatore, uno dei sette figli del dio Hastur (o che — secondo gli agnostici bene informati sulla nostra storia — derivava dagli esperimenti genetici in cui si erano lanciate le varie famiglie nobili, nell'Epoca del Caos). Negli Alton era il particolare sviluppo di alcuni centri telepatici, che permetteva di entrare nella mente di un'altra persona, “forzandola” al rapporto mentale, o di paralizzarla, e gli altri Comyn hanno più di trent'anni in cui Ashara non si era presentata in quella sala, il Consiglio aveva preso gusto a quel genere di libertà dalle nostre vecchie istituzioni, e non aveva alcun desiderio di sottostare nuovamente alla volontà di una donna.

Osservando spassionatamente la situazione, comunque, la posizione del Consiglio non era irragionevole. Come aveva detto l'Hastur, i tempi erano cambiati. Che ci piacesse o no. Un tempo, il ruolo di Guardiana era pericoloso, e per questo era diventato quasi sacro. Mio padre, che aveva sempre amato la storia, mi aveva parlato dell'antica tecnologia di Darkover, basata sul potere delle matrici. L'estrazione dei minerali, la costruzione di strade e castelli, il trasporto istantaneo da una Torre all'altra, perfino la produzione di isotopi radioattivi e di sostanze incendiarie — la “pece stregata”, capace di bruciare la pietra con un misto di reazione chimica e di reazione nucleare senza emissione di radioattività — erano effettuate da Cerchi di tecnici delle matrici, guidati da un Guardiano.

Ma la tecnologia era cambiata o era stata dimenticata, e ora, per il poco lavoro svolto dalle Torri, che in genere si limitava alle comunicazioni mentali tra le varie città, non c'era più bisogno di Guardiane che vivessero giorno dopo giorno al culmine della loro concentrazione, isolate nelle Torri, lontano da ogni contatto umano. E perciò non c'era bisogno di chinarsi davanti a loro, né di nutrire nei loro riguardi la tradizionale venerazione.

Callina doveva avere colto i miei pensieri. Sorrise.

«È vero», disse, «e quel tipo di potere non mi interessa. Tuttavia», continuò, fissandomi negli occhi, «sai perché sono contraria a questa alleanza, Lew. Non ho voluto parlarne in Consiglio, perché in realtà è una cosa tua. Ora, non vorrei chiedertelo, ma devo farlo. Sei disposto a parlare loro di Sharra e degli Aldaran?»

Io chinai la testa, incapace di parlare.

Per non rischiare di impazzire, da tempo evitavo di pensare a quello che gli Aldaran, e la loro orda di ribelli, avevano fatto a me… e a Marjorie.

Ma adesso non potevo farne a meno. Avevo un debito nei riguardi di Callina, e non avevo altro modo di ripagarlo. Dopo il terribile esito di quegli avvenimenti, quando ero fuggito con Marjorie — tutt'e due eravamo feriti, e lei era in fin di vita — era stata Callina ad aprirci le porte della Città Nascosta.

Quella notte, quando eravamo inseguiti dai fucili dei terrestri e dalle lame dei darkovani, Callina aveva rischiato di essere contaminata dai residui radioattivi lasciati dalle vecchie astronavi e aveva rischiato un'agonia lunga e terribile, per cercar di salvare Marjorie. Per lei, purtroppo, era ormai troppo tardi; ma io non me ne sarei mai dimenticato.

Eppure… ripetere in Consiglio tutta quella sgradevole vicenda… Al solo pensiero mi si copriva di sudore la fronte.

Regis disse a bassa voce: «Sei la sola speranza che ci resti, Lew. Trattandosi di te, può darsi che ti diano ascolto».

Io inghiottii a vuoto. Alla fine annuii.

«Cercherò di farlo», promisi.

«Fare che cosa? Cercare di non ubriacarti finché non ci avrai salutati tutti?» scherzò qualcuno.

Era Derik Elhalyn, che si fece strada in mezzo a Regis e a Callina per posarmi allegramente la mano sulla spalla.

«Lew, vecchio mio», disse, «non sapevo che fossi su Darkover finché non sei saltato fuori come uno di quei pupazzi con la molla che tuo padre mi regalava per scherzo! L'ho già detto prima, ma adesso lo ripeto: benvenuto a casa.»

Fece un passo indietro, come se si aspettasse che gli ricambiassi la stretta, poi scorse la mia manica vuota.

«Sono lieto di rivederti», disse in fretta, per superare l'imbarazzo. «Come ci divertivamo, ricordi?»

Io annuii. Mi dispiaceva del suo imbarazzo, ma il ricordo di quei tempi lontani mi fece sorridere.

«E ci divertiremo ancora, spero», dissi. «I falchi degli Elhalyn sono sempre i migliori delle montagne? Sali sempre sui precipizi per rubare le uova?»

«Sì, anche se non trovo quasi mai il tempo», rispose Derik, ridendo. «Ricordi quando abbiamo scalato la parete a nord di Nevarsin, aggrappandoci con le unghie e con i denti?»

Anche ora si interruppe, con un leggero imbarazzo, perché doveva essergli venuto in mente che io, almeno, non avrei più potuto fare quelle scalate. Da parte mia, mi chiedevo che ne sarebbe stato dei Comyn, una.volta che quel ragazzo così simpatico, ma così scervellato, fosse salito alla carica che era sua di diritto. Il Vecchio Hastur era uno statista e un diplomatico, ma Derik? Una volta tanto, mi rallegrai della presenza degli attenuatori telepatici, che impedivano loro di leggermi nei pensieri.

Derik, senza togliermi la mano dalla spalla, mi accompagnò verso il palco degli Hastur.

«Ogni cosa era già stata predisposta prima della morte di tuo padre, come ricorderai, ma Linnell non ha voluto sentir parlare di fissare una data, finché tu non fossi ritornato. Così», terminò allegramente, «adesso ho anche un'altra ragione per rallegrarmi del tuo ritorno!»

Gli sorrisi anch'io, perché ero affezionato a lui. Dopotutto, ragionai, non ero solo: avevo amici e famigliari. Del matrimonio fra Derik e Linnell si parlava fin da quando lei aveva messo via le bambole, eppure avevano aspettato il mio consenso.

«Non ho ancora visto Linnell», gli spiegai. E aggiunsi: «Anche se ho creduto di vederla, non appena messo piede su Darkover».

Mi chiesi se Linnell sapesse di aveva una sosia, nella Zona Terrestre. Mi riproposi di dirglielo: senza dubbio, la cosa l'avrebbe divertita.

Intanto, però, Hastur ci richiamava all'ordine, e io mi misi a sedere in mezzo a Regis e Derik. Rimasi sorpreso nel constatare come fossero pochi coloro che potevano vantare diritti ereditari a un seggio tra i Comyn: contandoli tutti, tra uomini e donne non arrivavano a una quarantina. Eppure, mi parvero un esercito schierato contro di me, quando, a un cenno dell'Hastur, mi alzai per parlare.

Iniziai a parlare lentamente, sapendo che un eccessivo calore avrebbe deposto a mio sfavore.

«Se ho ben capito», dissi, «volete allearvi con l'Aldaran, per riunire tutte le antiche Famiglie Hastur. Contate su questa alleanza per fare la pace con tutti i signori delle montagne e per eliminare le sommosse e gli atti di banditismo che si verificano ai confini. Per ottenere la cooperazione degli Aldaran nel tenere al loro posto banditi, uomini delle foreste e rinnegati, ossia per tenerli sull'altra sponda del Kadarin. Forse anche per commerciare con i terrestri e per ottenere macchine e aerei attraverso Aldaran, senza dover fare troppe concessioni all'Impero stesso.»

Si alzò Lerrys Ridenow.

«Fin qui, le tue parole sono sostanzialmente corrette», disse, in tono affettato. «Ci puoi dare qualche nuova informazione?»

«No», risposi, e mi girai a guardarlo.

Lerrys era l'unico dei fratelli di Diana che meritasse la qualifica di uomo, anche usando il termine in senso ampio. Li avevo conosciuto tutt'e tre sul satellite dei divertimenti, in orbita attorno a Vainwal. Erano delicati, effemminati, eleganti come gatti… e pericolosi come tigri. Avevano sempre cercato di godersi il meglio di tutt'e due i mondi, privilegio loro assicurato dalla loro grande ricchezza e dall'esenzione di cui godevano i Comyn rispetto alle leggi darkovane che vietavano i contatti con l'Impero Terrestre. Tuttavia, dietro i suoi atteggiamenti languidi, quasi femminili, Lerrys aveva la stoffa di un uomo, e perciò meritava una risposta.

«No», ripetei, «ma posso dirti qualcosa di vecchio», spiegai. «L'accordo non funzionerà. Beltran d'Aldaran, personalmente, è una persona corretta, ma ormai è così compromesso con banditi, rinnegati, ribelli e spie mezzosangue che non riuscirebbe a far rispettare la pace con noi neppure se lo volesse. E voi vorreste ammetterlo tra i Comyn?» chiesi.

Allargai le braccia.

«Ma certo», continuai, con ironia. «Ammettete Beltran d'Aldaran, e poi ammettete anche l'uomo che ad Aldaran viene chiamato Kadarin, e poi fate venire da Thendara il Legato Lawton e ammettete anche lui, e chiamate pure il Coordinatore terrestre di Port Chicago!»

Hastur aggrottò la fronte.

«Chi è “Kadarin”?» chiese.

«Be', non lo so», risposi. «Si diceva che fosse un lontano parente degli Aldaran», dissi.

«Come te», mormorò Dyan.

«Sì, e probabilmente è per metà terrestre. È un rivoltoso su qualsiasi pianeta in cui si rechi. L'hanno deportato da almeno due altri mondi, prima che finisse qui. E Beltran d'Aldaran — l'uomo a cui vorreste dare in sposa una Guardiana — ha trasformato il Castello di Aldaran in un rifugio per tutti i rinnegati di Kadarin.»

«“Kadarin” non è il nome di una persona umana», disse Lerrys.

«E io, infatti, non sono sicuro che sia un uomo», risposi. «Viene dai monti dietro Aldaran: sapete che cosa vive in quelle regioni. Uomini delle forge, ma anche uomini gatto, uomini delle foreste e chissà che altro: creature che non sono realmente umane. E Kadarin ha un aspetto sufficientemente umano, finché non gli guardate gli occhi.»

Dovetti fermarmi, inorridito da quel ricordo. Poi, ricordandomi all'improvviso dove fossi, mi feci forza e ripresi a parlare.

«Si è dato nome “Kadarin” in segno di sfida», ripresi. «Nei monti oltre il fiume Kadarin, qualsiasi bastardo viene genericamente definito un “figlio del Kadarin”. Dicono che quell'uomo non ha mai saputo chi fosse suo padre. Quando i terrestri lo interrogarono, diede come nome “Kadarin”. Tutto qui.»

«Allora, lavora anche contro i terrestri», disse Lerrys.

«Forse sì, forse no. Ma è collegato a Sharra.»

«Be', lo eri anche tu», disse Dyan Ardais. «Ma adesso sei qui.»

Mi sollevai di scatto, facendo cadere la sedia.

«Sì, maledizione!» esclamai. «Perché credi che mi assoggetterei a tutto questo, se non sapessi che male è? Pensi che il pericolo sia scomparso? Se potessi mostrarvi un luogo dove, ancora adesso, la forza di Sharra è fuori controllo — a neppure dieci miglia da qui — allora rinuncereste a questa folle alleanza?»

Hastur mi parve preoccupato. Fece segno a Dyan e a Lerrys di tacere.

«Puoi farlo, Lew?» mi chiese. «Sei un Alton, e un lettore della mente, ma neppure tu potresti fare una cosa simile, da solo. Ti occorrerebbe un secondo fuoco mentale…»

«Conta proprio su questo», ironizzò Dyan. «È un semplice bluff. È il solo Alton adulto che sopravviva…»

Dall'ombra, qualcuno disse: «No, non è il solo».

Marjus si alzò e io lo fissai con stupore. Credevo che fosse uscito con gli altri. Che osasse sfidare il più temuto tra tutti i poteri dei Comyn?

Dyan rise.

«Tu… terrestre?» gli chiese. Lo disse come un insulto.

Io non ero disposto a ritirarmi sconfitto.

«Vuoi che spegniamo l'attenuatore», chiesi, «e che mio fratello provi la sua Dote su di te, Ardais?»

Questo era davvero un bluff. Non sapevo assolutamente se Marjus avesse la Dote degli Alton, o se fosse destinato a impazzire e morire, una volta che la mia mente fosse entrata con la forza nella sua. Ma non lo sapeva neanche Dyan, che impallidì e finì per abbassare gli occhi.

«Comunque, il suo bluff è un altro», intervenne Lerrys. «Per attivare un luogo come quello, gli occorre la matrice di Sharra, che, come tutti sappiamo, è andata distrutta. Con che assurdità ci vuoi spaventare, Lew? Non siamo bambini, da rabbrividire per un'ombra. Sharra! Ecco dov'è Sharra!» esclamò, schioccando le dita.

A quel punto, gettai al vento ogni cautela.

«Distrutta un corno!» gridai. «In questo momento, è nella mia stanza!»

Tutti, nel cerchio, trattennero il fiato.

«L'hai tu?» chiese Lerrys.

Io annuii, lentamente. Non mi avrebbero più dato del bugiardo.

Poi colsi lo sguardo soddisfatto di Dyan.

E capii che non era affatto stata una mossa intelligente da parte mia.

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