CAPITOLO 13 LA CAVERNA SACRA

Quando mi svegliai, mi trovai solo. Per vari minuti, alla luce del mattino, mi chiesi se il bizzarro episodio della mia visitatrice notturna era stato solo un sogno. Poi, quando le tende si aprirono ed entrò Diana, sorrisi. Se fosse stato un sogno, avremmo certamente fatto l'amore!

«Ti ho portato una visitatrice», mi disse.

Io cominciai a protestare; non volevo vedere nessuno. Ma lei aprì le tende… e Marja entrò di corsa nella stanza.

Si fermò a fissarmi, stupita, poi si gettò su di me e mi abbracciò.

Io mi sciolsi dal suo abbraccio, fissai Diana.

«Piano, bambina, piano, o mi farai cadere in terra! Diana, come hai…»

«Ho saputo di lei», spiegò Diana, «quando Hastur l'ha portata al Castello. Ma la Torre non è posto per lei. Prenditi cura di lui, Marja», le disse, e prima che io potessi parlare, uscì dalla stanza.

Andrés mi riferì che c'erano ancora dei terrestri che sorvegliavano i corridoi, ma nessuno di essi entrò nelle mie stanze, per tutta la giornata. Mi rassegnai all'inattività e passai la giornata a giocare con Marja e a fare qualche piano confuso. Non intendevo farmela portare via!

Quanto ad Andrés, mi parve incuriosito dalla presenza della bambina, ma non c'era modo di spiegargli la sua origine senza parlargli di Marjorie e di Thyra, e io non volevo parlarne con nessuno, nemmeno con lui. Gli dissi semplicemente che era mia figlia. Lui mi diede un'occhiata da uomo che sa come vanno le cose e, con mio grande sollievo, non insistette.

Cercai di fare alcune domande a Marja, ma le sue risposte furono vaghe e senza significato, come c'era da aspettarsi da una bambina della sua età. Verso sera, dato che nessuno era venuto a prenderla, dissi ad Andrés di prepararle il letto vicino al mio e quando vidi che dormiva chiamai il mio servitore.

«Quanti terrestri ci sono nel Castello?» gli chiesi.

«Dieci, al massimo quindici», rispose. «Non hanno la divisa della forza spaziale… nemmeno Lawton oserebbe essere così insolente nei riguardi dei Comyn. Sono in borghese, e si comportano educatamente.»

Io annuii.

«Nessuno di loro», dissi, «sarebbe ih grado di riconoscermi, credo. Cercami dei vestiti terrestri.»

Lui mi rivolse un sorriso triste.

«È inutile cercare di fermarti, suppongo. Allora, mi occuperò della bambina. E non ho bisogno di essere un lettore del pensiero per sapere che cosa pensi, vai dom. Sono vissuto per metà della vita nella tua famiglia, e conosco voi Alton.»

L'appartamento degli Alton aveva molte porte, e i terrestri non potevano tenerle sotto sorveglianza tutte. Nel corridoio, nessuno mi degnò della minima attenzione. Cercavano un darkovano senza una mano; un uomo vestito da terrestre, con una mano in tasca, non destava la minima curiosità.

Quando mi trovai davanti all'appartamento degli Hastur, mi fermai per un momento, perché avrei voluto chiedere consiglio al Vecchio Reggente. Poi, anche se con dispiacere, rinunciai a farlo. Se avesse conosciuto il mio piano, probabilmente mi avrebbe proibito di metterlo in atto, e mi avrebbe costretto, con mille giuramenti, a obbedirgli. Meglio non correre rischi.

Trovai Callina nelle sue stanze; aveva lo sguardo vacuo e spento; mi guardò senza riconoscermi.

«Callina!» le gridai, ma, per l'effetto che ottenni, tanto sarebbe valso tacere. La misi in piedi, sollevandola di peso. Aveva gli occhi fissi, come in trance.

«Sveglia!» le gridai, e la scossi con violenza. Ma dovetti farla sedere su una sedia e schiaffeggiarla con forza perché sollevasse la testa e riprendesse la ragione.

«Che cosa fai? Lasciami!» protestò.

«Callina, eri in trance…»

«Oh, no!» Si scagliò contro di me, e si afferrò alle mie braccia, con un appello disperato. Io colsi le parole: «Ashara», e: «Mandala via!» ma non riuscii a capirne il senso. La tenni lontana da me finché non le fu passata la crisi. Gradualmente, si calmò.

«Mi dispiace, Lew», disse. «Ma adesso sono di nuovo in me.»

«Ma chi sei?» le dissi, confuso. «Diana? Ashara?»

Lei sorrise, con aria triste.

«Se non lo sai tu», mi chiese, «chi può saperlo?»

Non osai mostrarmi tenero.

«Dobbiamo agire questa notte stessa, Callina», le dissi, «mentre i terrestri pensano che io sia troppo debole per fare qualcosa. Dov'è Kathie?»

Lei fece una smorfia.

«Quando vedo quella ragazza», disse, «mi sembra di stare con il fantasma di Linnell.»

Anche a me quella strana somiglianza faceva accapponare la pelle, ma non feci commenti, e alla fine Callina trasse un sospiro.

«Vuoi che vada da lei?» mi chiese.

«Vado io», le risposi.

Uscii dalla stanza, ne attraversai una che era vuota e giunsi nella camera dove avevamo portato Kathie. La ragazza era stesa su un divano, con addosso solo una corta tunica, e sfogliava un album di disegni. Nel sentirmi arrivare, trasalì e si infilò una vestaglia.

«Via!» gridò. Poi mi riconobbe. «Oh, siete voi!»

«Kathie, non ho fatto nessun progetto su di voi, tranne quello di chiedervi di vestirvi e di venire con noi. Sapete andare a cavallo?»

«Sì, perché?» S'interruppe. «No, non c'è bisogno che me lo diciate. Credo di saperne il motivo. Mi è successo qualcosa di strano, da quando Linnell è morta.»

Non potevo spiegarle che era in collegamento mentale con me. Andai fino all'armadio, frugai tra i vestiti e alla fine ne tirai fuori alcuni. Li riconobbi con una fitta di dolore: avevano ancora il profumo di Linnell; ma non potevo più fare niente per lei.

Portai a Kathie gli abiti.

«Mettete questi», le dissi, e mi sedetti ad aspettare, ma, dallo sguardo irritato che la ragazza mi rivolse, mi ricordai dei tabù terrestri.

Mi alzai e arrossii. Come potevano, le donne della Terra, comportarsi così apertamente in pubblico e con tanto pudore in casa?

«Scusate», le dissi. «Me n'ero dimenticato. Chiamatemi quando sarete pronta.»

Poi, uno strano silenzio mi spinse a voltarmi. Kathie guardava i vestiti, con aria desolata.

«Non ho la minima idea di come si mettano!» protestò.

«Dopo quello che avete pensato di me», le risposi, «non intendo certamente aiutarvi!»

Fu lei, questa volta, ad arrossire.

«E poi», aggiunse, «come posso cavalcare con la gonna?»

«Per gli inferni di Zandru, ragazza», esclamai, con stupore, «e in che altro modo vorreste cavalcare?»

«Ho cavalcato per tutta la vita, ma non l'ho mai fatto con la gonna, e non intendo cominciare adesso. Se. volete che venga a cavallo con voi, trovatemi dei vestiti decenti!»

«Ma questi vestiti sono perfettamente decenti…»

«Maledizione, allora trovatemi dei vestiti indecenti!» esclamò lei, con ira.

Scoppiai a ridere. Non potei farne a meno.

«Farò quello che potrò, Kathie», le promisi.

Fortunatamente sapevo dove dormiva Diana, e nessuno mi fermò durante il tragitto. Aprii le tende e mi affacciai sulla stanza. La ragazza era addormentata, ma si svegliò immediatamente e batté le palpebre.

«Che cosa succede? La faccenda è ricominciata?» mi chiese.

La “faccenda” non si era mai fermata; noi, semplicemente, ne eravamo stati allontanati con la forza, per qualche breve tempo. Le spiegai quello che volevo; lei scoppiò a ridere.

«So che non c'è niente da ridere, Lew», si scusò. «Ma non posso farne a meno. D'accordo, comunque. Penso che i miei vestiti andranno bene a Kathie.»

«E puoi cercare Regis, per dirgli di uscire e di cercarci dei cavalli?» continuai.

Diana annuì.

«Posso entrare e uscire come voglio», mi spiegò. «Quasi tutti i terrestri mi conoscono. Lerrys…»

S'interruppe e si morse il labbro. Io non feci commenti; non avevo mai potuto digerire i suoi fratelli, e lei lo sapeva. Ma ora Diana era sola, come me.

Adesso che ero con Diana, mi tornò in mente un particolare. Ritornai nelle mie stanze e presi la pistola di Rafe. C'erano ancora i proiettili nel tamburo. Quell'arma da codardi destava ancora la mia ripulsione, ma quella notte rischiavo di dover combattere contro uomini senza onore e senza coscienza.

Quando ritornai nella stanza di Kathie, Diana e Callina erano già arrivate e la ragazza terrestre indossava la tunica dalle maniche corte e i calzoni aderenti che Diana metteva sempre quando andava a cavallo su Vainwal. Callina, vestita in modo più tradizionale, ci guardò con leggera disapprovazione.

«Bene, ma come usciremo?» chiese.

Le sorrisi. Non per niente ero figlio di Kennard Alton. Erano stati gli Alton, secoli addietro, a costruire il Castello dei Comyn, e la conoscenza dei segreti del castello era passata di padre in figlio.

«Non conosci le tue stanze, Callina?» le chiesi.

Mentre Diana andava a portare a Regis il mio messaggio, mi recai nel salotto dell'appartamento e mi fermai su un certo motivo decorativo del pavimento. Dissi alle due donne di stare indietro, poi aggrottai la fronte. Mio padre mi aveva parlato di quel passaggio segreto, ma non mi aveva insegnato la combinazione; inoltre, non avevo con me un analizzatore di matrici per determinarla. Provai tre o quattro configurazioni correnti, ma non ottennero risposta. Allora mi voltai verso Callina.

«Riesci ad analizzare una matrice di quarto livello senza attrezzature?»

Callina aggrottò la fronte per concentrarsi. Dopo qualche momento, una sezione di pavimento si abbassò, rivelando una serie di scalini polverosi che scendevano per una distanza indeterminata.

«State vicine a me», dissi, facendo segno alle ragazze di seguirmi. «Non ho mai percorso questo passaggio segreto.»

Dietro di noi, la lastra di pavimento ruotò su se stessa e si chiuse; il passaggio piombò nell'oscurità.

«Vorrei che il mio lontano antenato che ha costruito questo passaggio avesse pensato a mettere una luce!» brontolai.

Callina sollevò la mano… e la punta delle sue dita cominciò a brillare. Dalle sue dita sottili s'irradiò una forte luminosità!

«Fate attenzione a non toccarmi», ci avvertì, a bassa voce.

Il passaggio era lungo e buio, gli scalini erano alti, e, nonostante la luce spettrale emanata da Callina, la discesa era difficoltosa. Una volta, Kathie scivolò sugli scalini, che erano lucidi come se fossero fatti di vetro, e io feci appena in tempo ad afferrarla prima che cadesse.

Varie volte, tendendo la mano per cercare a tentoni la parete, incontrai spesse ragnatele vischiose, che dovetti tagliare con il coltello. Non c'era un mancorrente che ci permettesse di mantenere l'equilibrio, ma Callina non aveva difficoltà a scendere, con eleganza e senza mai sbagliare direzione, come se avesse già percorso infinite volte quel passaggio.

Scendemmo per un tempo che ci parve non finire mai. Infine il passaggio divenne orizzontale e, salita un'ultima rampa di scale, ci trovammo davanti a una porta. Quando la aprii, riconobbi il luogo dove ero finito: una via periferica di Thendara, che in quel momento era illuminata da tre pallide lune.

Ci trovavamo in un quartiere di vecchie case e di botteghe dalle porte sbarrate; una zona un po' malfamata, dove probabilmente non si vedeva un terrestre da anni. L'uscita del passaggio sembrava una porta come tutte le altre; in fondo alla strada c'era un luogo dove si ferravano i cavalli e si riparavano spade, finimenti e altri oggetti. Avevo fatto dire a Regis di trovarsi laggiù, e mi augurai che fosse riuscito a uscire dal castello.

C'era riuscito. Non appena girato l'angolo, lo vidi, accanto ad alcuni cavalli, nella strada vuota.

«Lew, vengo con te? Lasciamo qui le donne», mi disse.

«No», risposi, «ho bisogno di Kathie. E qualcuno deve rimanere qui, Regis. È l'unica possibilità che ci resta. Se il mio piano non dovesse riuscire, dovrai cercare di negoziare e di ottenere il più possibile. Alla peggio, come ultima risorsa, penso che tu possa fare affidamento su Lawton.»

M'interruppi, poi alzai le spalle, senza terminare quello che stavo per dirgli. Era inutile farci i saluti e perciò nessuno li fece.

Percorremmo in silenzio le strade di Thendara e ci trovammo presto in aperta campagna. Per qualche tempo incontrammo alcune case e qualche stalla, che progressivamente si fecero sempre più distanziate e infine scomparvero del tutto.

Da molti secoli nessuno veniva ad abitare in quella zona, perché nella regione attorno alla Strada Proibita c'erano ancora molte aree intensamente “calde”, benché fossero passati molti secoli da quando erano state colpite dalla polvere radioattiva, durante una delle guerre dei Cento Regni.

La strada era sicura, ormai, ma la paura sopravviveva nell'animo della gente, perché i loro antenati avevano visto morire troppa gente a causa della “malattia che scioglie le ossa”: chi si avventurava in quella zona, molte volte, al suo ritorno finiva per perdere i denti e i capelli e per consumarsi lentamente.

I Comyn, sia per avere un più rapido accesso ai luoghi sacri degli Hastur sia perché la gente non si addentrasse per errore nella zona veramente pericolosa, avevano ancor più alimentato la paura di quella regione, con deboli matrici trappola e sistemi analoghi; adesso, comunque, quella paura ci era utile, perché potevamo allontanarci dalla città senza essere visti.

Tuttavia, Dyan conosceva al pari di me quella zona, e in previsione di qualche brutto incontro avevo con me la pistola.

Superata l'antica zona abitata, passammo accanto al vecchio spazioporto dei terrestri, che da molti anni era chiuso, benché le sue strutture fossero sostanzialmente intatte.

In origine, per non dare ai terrestri aree coltivabili o utili foreste, i Comyn avevano assegnato loro quella zona disabitata, la più vasta di quelle non pericolose, ma chiusa tra aree radioattive. Oggi anche quella zona era divenuta radioattiva a causa degli scarichi delle astronavi e i terrestri avevano rinunciato a bonificarla, limitandosi ad aggiungere a un altro spazioporto, quello di New Chicago, uno scalo passeggeri. In alcuni punti, il vecchio spazioporto era ancor più radioattivo delle aree avvelenate con la polvere prima che Varzil e gli Hastur la mettessero al bando.

Poco più avanti c'era la Strada Proibita vera e propria, il canyon naturale che si allunga per mille miglia nelle Pianure, dagli Hellers a Dalereuth, e che è sufficientemente largo per permettere il passaggio di sei cavalli affiancati. Le pareti del canyon sono alte solo dieci braccia, ma chi lo percorre è completamente invisibile a chiunque si trovi nelle Pianure, e la Strada Proibita attraversa il continente come se un dio o un gigante, nei passati millenni, avesse graffiato la terra con un'enorme unghia che tagliava pianure e colline.

La leggenda dice che la Strada Proibita era il sentiero su cui camminavano gli dèi per portare la distruzione nel mondo, nell'epoca in cui nascevano i Comyn con le loro strane Doti, e che era proibita a chiunque non fosse un dio o un figlio degli dèi. La spaccatura risaliva certamente a prima delle Epoche del Caos, ma non mi ero mai curato di sapere se era stata creata da un terremoto o da un fiume che scorreva nelle pianure quando il clima dell'intero Darkover era più caldo e più umido. Per quanto me ne importava, poteva benissimo averla tracciata l'unghia enorme di qualche dio.

Due lune erano tramontate e la terza era prossima ormai all'orizzonte quando lasciammo la Strada per dirigerci verso il Rhu Fead, la Caverna Sacra, posta accanto alla superficie leggermente fosforescente del lago di Hali. In quella caverna venivano incoronati gli antichi sovrani Hastur, davanti all'altare in cui ardeva eternamente il fuoco degli dèi, e la caverna era un tempo affidata alla custodia del Guardiano della Torre di Hali. Ma, dopo la distruzione della Torre, i Comyn, in segno di lutto per quella perdita, avevano rinunciato alla cerimonia e avevano lasciato Hali. Di conseguenza, la Caverna era protetta soltanto dai suoi schermi mentali.

Smontammo di sella accanto alla riva. E i vapori del lago si mossero verso di noi, sull'erba rada e in mezzo ai sassi. Io scalzai inavvertitamente un ciottolo, che finì nel lago senza fare rumore; il foro, però, rimase visibile per molto tempo.

Kathie fissò a occhi sgranati lo strano lago.

«Quella», osservò, «non è acqua, vero?»

Scossi la testa. Era un vapore, leggermente esilarante, e probabilmente conteneva qualche complessa molecola organica, ma non avrei saputo dire il nome delle sostanze chimiche che la componevano, perché nessun terrestre l'aveva mai analizzata. In genere, anzi, nessuna persona umana, tranne i Comyn, metteva piede sulle rive del lago.

Kathie aggrottò la fronte e protestò: «Ma io sono già stata qui…»

«No», le spiegai. «Avete semplicemente alcuni dei miei ricordi.» Le toccai amorevolmente il braccio, come se fosse stata Linnell. «Non abbiate paura.»

Davanti all'ingresso della caverna c'erano due colonne bianche, e tra di esse si scorgeva una luminosità che brillava di tutti i colori dell'arcobaleno, come uno strato di olio sull'acqua. Io fissai attentamente quel velo di energia, cercando di capire in che cosa differisse da quello abituale che protegge l'ingresso delle Torri, il Velo.

«Anche se ho messo sulla vostra mente una barriera protettiva», dissi poi a Kathie, «il potere di quello schermo vi svuoterebbe la mente. Dovrò fare come ho fatto per un istante dopo il vostro arrivo: tenere la vostra mente del tutto dentro la mia.»

Kathie rabbrividì, e io le spiegai la ragione.

«Quel velo è un campo di forza, regolato sul cervello dei Comyn. Noi possiamo passare, ma voi morireste.»

Kadarin si girò verso Callina.

«Perché non lo fai tu?» le chiese.

Lei scosse la testa.

«È una cosa che riguarda la polarità maschile-femminile. Come Guardiana, potrei farlo, ma se cercassi di impossessarti della tua mente per più di qualche secondo, la tua personalità verrebbe distrutta… in modo permanente.»

Poi, con una strana espressione inorridita, aggiunse: «Me l'ha mostrato Ashara… Una volta».

Presi Kathie e la sollevai di peso. Lei fece per protestare, ma io aggrottai la fronte.

«La prima volta che sono entrato in contatto con voi, siete svenuta, e la seconda vi siete messa a piangere», le ricordai «Se dovesse succedervi qualcosa di simile mentre siete dentro il Velo, voglio essere sicuro che arriviate dall'altra parte.»

Questa volta, però, lei era protetta dalla mia stessa barriera, e perciò fu facile compensare le sue onde cerebrali non Comyn. Attraversammo lo schermo di energia senza altre conseguenze che un leggero sfarfallio della vista; posai a terra Kathie con la massima gentilezza.

Ci inoltrammo nella caverna, le cui pareti erano leggermente fosforescenti. Scorgemmo alcuni corridoi laterali, pieni di una sottile nebbia che impediva di vedere quanto fossero lunghi, e Kathie andò avanti con decisione, per poi imboccare uno di quei corridoi.

«Lew, ma io so dove devo andare!» esclamò. «Come faccio a saperlo con tanta precisione?»

Anche quelle erano informazioni che leggeva nella mia mente, grazie al contatto. Il breve corridoio ci portò in una piccola stanza di marmo bianco, con una tenda di colore rosso carminio al posto della porta. In fondo, in una nicchia nella parete, era stato ricavato una specie di altare di cristallo iridescente, posto su tre o quattro scalini, e sull'altare c'era un cofanetto di cristallo azzurro. Misi il piede sul primo scalino e…

Non riuscii a salire. Avevo incontrato la barriera interna, quella che nessun Comyn poteva superare. Per me, era come se mi fossi appoggiato a un muro invisibile; Callina, incuriosita, allungò le mani e vide che rimbalzavano. Evidentemente, quello schermo prendeva un aspetto diverso per ciascuna persona.

Kathie mi chiese: «Siete ancora nella mia mente?»

«Sì, ma solo con una piccola parte», risposi.

«Allora, è meglio che vi togliate. Quel piccolo pezzo della vostra mente mi impedisce di avvicinarmi.»

Annuii, e in un attimo la liberai dalla barriera. Kathie mi sorrise — adesso che mi ero tolto dalla sua mente, aveva perso ogni somiglianza con Linnell — e senza alcuna difficoltà salì i gradini.

La vidi sparire dentro una nube azzurra che riempì tutto lo spazio dell'altare. Poi l'azzurro della nube si trasformò nel bianco abbagliante di una fiamma; io avrei voluto gridare a Kathie di non avere paura, perché era solo un'illusione… ma neppure la mia voce sarebbe riuscita a oltrepassare la barriera che impediva ai Comyn di avvicinarsi.

Kathie venne inghiottita dalle fiamme, e dopo un attimo sentii levarsi un forte vento e fui investito da un tuono che mi fece sobbalzare.

Altre illusioni, naturalmente, e poco più tardi, infatti, ricomparve Kathie, che ci mostrava con aria trionfale una spada infilata nel fodero.

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