CAPITOLO 10 LA TERRESTRE

L'indomani, Beltran di Aldaran, con la sua scorta di nobili degli Hellers, giunse al Castello dei Comyn.

Non avrei voluto presenziare alle cerimonie di benvenuto, ma il Reggente Hastur insistette, e io finii per dare il mio assenso. Prima o poi, del resto, avrei dovuto incontrare Beltran, ed era meglio che l'incontro avvenisse in mezzo a estranei, dove tutt'e due potevamo lasciare da parte i nostri dissapori.

Mi salutò con qualche esitazione; un tempo eravamo amici, ma tra noi c'erano adesso gli avvenimenti del passato, con la loro cupa ombra di sangue. Ero lieto di dover dire soltanto le frasi fatte del cerimoniale; potevo pronunciarle senza timore di tradire quell'ostilità che non potevo mostrare.

Beltran mi presentò ufficialmente a qualche uomo della sua scorta. Alcuni li avevo conosciuti anni prima; ma dovetti distogliere gli occhi quando scorsi in mezzo a loro una faccia familiare.

«Ti ricorderai di Rafael Scott», disse Beltran di Aldaran.

Me ne ricordavo.

Nella realtà, non esiste nulla che corrisponda esattamente alla parola “interminabile'', altrimenti la cerimonia continuerebbe ancora. Comunque, alla fine Beltran e il suo seguito vennero accompagnati nelle stanze loro riservate, perché si rifocillassero e si riposassero in attesa dei festeggiamenti serali. Quando il gruppo si sciolse, Rafe Scott mi seguì; una volta usciti dalla sala, mi voltai verso di lui, con ira.

«Ascoltami, tu», gli dissi. «Qui sei sotto il salvacondotto di Beltran, e perciò non posso alzare le mani su di te, ma ti avverto…»

«Che diavolo hai?» mi chiese. «Marjus non ti ha spiegato tutto? E dov'è Marjus, tra l'altro?»

Lo fissai con irritazione. Questa volta non intendevo lasciarmi ingannare dalle sue maniere amichevoli, come quando ero appena arrivato a Thendara ed ero troppo intontito dalla droga del viaggio per dubitare di lui.

Mi prese per le spalle.

«Dov'è Marjus, maledizione?» mi chiese.

Ma lo venne a sapere attraverso il contatto. Mi lasciò andare e fece un passo indietro.

«Morto! Oh, no!» Si coprì con le mani la faccia e questa volta non potei dubitare della sua sincerità. Se non altro, il momentaneo rapporto mentale ci aveva convinti che ciascuno di noi diceva la verità all'altro.

Con la voce incrinata, mi disse: «Era mio amico, Lew. Il migliore che avessi. Che io possa morire nel fuoco di Sharra se ne sapevo qualcosa».

«Puoi condannarmi, se dubito di te?» gli risposi. «Eri il solo a sapere che avevo con me la matrice di Sharra, e l'hanno ucciso per rubarla.»

Lui mi rispose, con voce ferma: «Puoi credere quello che vuoi, ma avrò visto Kadarin una volta o due al massimo, nello scorso anno».

Era profondamente addolorato.

«Marjus non ha trovato il tempo di spiegarti niente?» mi chiese. «Maledizione, se avessi avuto intenzione di fargli del male, gli avrei prestato la mia pistola? Lui l'ha poi data a Lerrys Ridenow, perché non sapeva come farla uscire dalla Zona Terrestre. Come ti avevo detto, ha il marchio del contrabbando. Io ho il permesso di portarla, ma lui non lo aveva. Quando ho visto che mi avevi scambiato per Marjus, ho finto di essere lui, perché volevo tenerti lontano da tutti finché non ti avessi spiegato la situazione…»

Era sincero; non potevo rifiutarmi di credergli. Dopo un momento, gli posai la mano sulla spalla. Se fossimo stati due darkovani, ci saremmo abbracciati e ci saremmo messi a piangere; ma la nostra parte di sangue terrestre ce lo impediva.

Alla fine, gli chiesi: «Hai visto Kadarin, in questi anni?»

«L'ho visto qualche volta, con Thyra, ma in genere cerco di tenermi lontano da lui.»

Poi mi guardò in modo strano.

«Oh, capisco», disse. «Ti hanno parlato della sua bambina.»

«Sua e mia», dissi, aggrottando la fronte. «Immagino che mi avranno drogato con l'afrosone. Perché lo hanno fatto?»

«Non lo so», rispose Rafe. «Thyra non racconta mai niente a nessuno. In tante cose, ha un modo di comportarsi strano, quasi inumano. E si comportava in modo strano anche con la bambina: Bob, alla fine, è stato costretto a metterla nell'orfanotrofio. Anche se non avrebbe voluto staccarsi da lei, perché vuole bene alla bambina.»

«E Kadarin sa che è mia figlia?» chiesi. Tutti quegli avvenimenti mi parevano privi di senso. Soprattutto il fatto che una mia figlia fosse cresciuta come figlia di Kadarin, portasse il suo nome e gli volesse bene.

«Certo, che lo sa!» esclamò Rafe. «È stato lui a spingere Thyra. Dopo averla messa nell'orfanotrofio ha provato diverse volte a portare a casa Marja, ma non ha potuto tenerla perché Thyra…»

Prima che potesse proseguire, venne interrotto da un valletto del castello, che portava un messaggio di Callina.

«Finiremo il nostro discorso», disse Rafe, quando io gli dissi che dovevo andare via subito. E io non capii se prenderlo come una promessa o come una minaccia.


Callina aveva un'aria stanca e preoccupata.

«La ragazza è sveglia», mi disse, senza preamboli. «Quando ha ripreso i sensi, è stata colta da un attacco di nervi. Io le ho dato un sedativo, e lei si è calmata. Lew, che cosa facciamo?»

Non lo sapevo neanch'io.

«Per dirlo», le risposi, «devo vederla.»

La ragazza era stata trasferita in un'elegante stanza degli appartamenti degli Aillard. Quando entrammo era stesa sul letto, la faccia nascosta fra le coperte. Ma nel sentirci entrare sollevò la faccia e ci guardò con aria di sfida, senza lacrime.

Era davvero il doppio di Linnell, constatai nuovamente. E adesso era assolutamente identica a lei, perché indossava abiti darkovani, che ritenni — correttamente, seppi poi — appartenere al guardaroba della stessa Linnell.

«Vi prego di dirmi la verità», ci chiese con voce ferma, parlando in terrestre standard. «Dove sono? Oh…» gridò, portandosi le mani alla faccia. «L'uomo senza una mano, che mi ha abbracciato allo spazioporto, quando ero su Darkover!»

Callina si tenne sullo sfondo, con aria severa e sdegnosa, e lasciò a me, che ero imbarazzatissimo, il compito di dover rispondere.

«Quella volta…» dissi, impacciato, «…è stato un errore. Permettetemi di presentarmi. Sono il Comyn Lew Alton, z'par servu, servo vostro. E voi?»

«Questa è la prima cosa sensata che sento dal mio arrivo», commentò la ragazza.

Per fortuna, ricordai, parlava anche un po' di darkovano, e si sarebbe potuta muovere tra noi fingendo di essere Linnell. Una vera fortuna.

«Sono Kathie Marshall», si presentò.

«Terrestre?» chiesi io.

«Sì, terrestre. E voi siete darkovani? Che cosa è successo?» chiese.

«Suppongo di dovervi una spiegazione», cominciai, e m'interruppi subito, con quella che doveva essere un'espressione totalmente idiota. «Ma non so da che parte cominciare.»

«Non dovete avere paura», intervenne Callina. «Siete qui perché abbiamo bisogno di voi.»

«Ma perché proprio io?» domandò lei. «E dove mi trovo? E perché pensate che sia disposta ad aiutarvi, dopo che mi avete rapita?»

Mi parve una buona domanda.

Callina le chiese: «Volete che chiami Linnell, in modo che possiate vederla? Vi abbiamo portata qui, Kathie, perché siete la gemella mentale di mia sorella Linnell. Non sapevamo se sareste stata disposta ad aiutarci, ma non intendiamo costringervi a fare qualcosa contro la vostra volontà. E nessuno vi farà del male».

Quando Callina si avvicinò, Kathie si alzò e fece un passo indietro.

«“Gemella mentale”?» esclamò. «È assurdo! Dove mi trovo?»

«A Thendara, nel Castello dei Comyn», le risposi.

«Thendara? Ma quella città è… su Darkover! Io ho lasciato Darkover settimane fa! Sono arrivata a Samarra soltanto ieri. No», disse, scuotendo la testa. «Sto sognando.»

Guardò me.

«Vi ho visto su Darkover e adesso sto sognando di voi!» continuò.

Si avvicinò alla finestra e guardò fuori. Vidi che si afferrava bruscamente alle tende.

«Il sole è rosso… Darkover… oh, faccio sempre questo genere di sogni, quando non riesco a svegliarmi. E adesso non riesco a svegliarmi…»

Era così pallida che temetti di vederla afflosciarsi a terra. Ma Callina si avvicinò a lei e la, prese sottobraccio, e lei, questa volta, non si allontanò.

«Cerca di credere alle nostre parole, cara», le disse Callina. «Siamo su Darkover. Quando eri qui, hai mai sentito parlare di matrici? Noi ti abbiamo portato qui con la meccanica delle matrici.»

Non era granché convincente, come spiegazione, ma riuscì a calmarla leggermente.

«Chi siete?» chiese a Callina.

«Callina Aillard. Sono una Guardiana delle Torri.»

«Sì, ho sentito parlare delle Torri», disse Kathie, che tremava ancora. «Ascoltate una cosa, però… non potete prendere una cittadina terrestre e trascinarla a mezza Galassia di distanza; mio padre farà fuoco e fiamme per trovarmi…»

La voce le si incrinò; sollevò le mani e si coprì gli occhi. Era ancora una bambina, capii, molto meno adulta della nostra Linnell. E come una bambina si mise a piangere.

«Ho paura! Riportatemi a casa!»

Con gentilezza, come se parlasse con Linnell, Callina mormorò: «Povera piccola! Non avere paura!»

Però, c'era ancora una cosa da fare, anche se avrei preferito evitarlo. Kathie doveva essere protetta dalle forze mentali dei darkovani, e io conoscevo un solo modo per farlo. Però, mi dispiaceva, perché mi rendeva vulnerabile. Dovevo mettere una barriera attorno alla sua mente, e nella barriera dovevo mettere una sorta di deviazione, in modo che ogni tentativo di entrare in contatto con Kathie, o di dominare la sua mente, venisse direttamente trasmesso dalla sua mente alla mia.

Inutile spiegare a Kathie quello che volevo fare. Mentre era abbracciata a Gallina, io protesi la mia mente, con tutta la delicatezza possibile, ed entrai in contatto con lei.

Per un attimo, provai un dolore intensissimo. Poi cessò, e Kathie prese a singhiozzare.

«Che cosa mi avete fatto?» pianse. «Sì, ho sentito che eravate voi… ma è impossibile, è una pazzia! Che cosa siete, voi

«Non potevi aspettare che fosse in grado di capire?» protestò Callina.

Ma io mi limitai a guardarle con aria grave, senza rispondere. Avevo fatto una cosa necessaria, e l'avevo fatta subito, perché volevo che la mente di Kathie fosse ben protetta, prima che qualcuno la vedesse.

E, soprattutto, prima che Callina le facesse incontrare Linnell. L'istante di chiaroveggenza, la notte prima, aveva creato in me una forte inquietudine. Perché, tra tutti gli schemi mentali esistenti, proprio quello di Linnell?

Che cosa succedeva, quando due duplicati si incontravano? Nessuno aveva mai fatto la prova, ma intuitivamente mi aspettavo che sorgesse una distorsione. Già la vicinanza delle due ragazze doveva avere causato una tensione nel tessuto dello spazio-tempo, che per ora, trattandosi di semplice materia, veniva compensata dall'energia dello schermo di Callina. Ma se i due duplicati fossero entrati in contatto mentale? Allora non si sarebbe più trattato di semplice materia, ma di forza psichica.

L'unica ipotesi che mi veniva in mente era che i loro pensieri si sarebbero sovrapposti, e che quindi, nell'universo, ci sarebbe stato un altro oggetto unico, non compensato; ma questo che cosa voleva dire? che le due Linnell sarebbero diventate una matrice vivente (ammesso che la cosa avesse significato)? che sarebbe sorta una distorsione e una delle due sarebbe finita in un altro universo? o che Kathie sarebbe tornata al punto di partenza? o che solo la mente di Linnell (o di Kathie, o di tutt'e due) sarebbe finita in un altro universo? Nessuna delle ipotesi mi piaceva molto.

Kathie continuava a piangere, consolata da Callina, che però non riusciva a calmarla. Io, nel vedere il suo pianto, provavo un intenso dolore. Era tanto simile a Linnell, e io non avevo mai sopportato le lacrime della mia cuginetta.

«Faresti meglio ad andartene», mi disse Callina, con severità, e, quando Kathie tornò a singhiozzare, mi ripeté, con ira: «Va' via! Mi occupo io, di lei!»

Mi strinsi nelle spalle, deluso.

«Come vuoi tu», dissi, e girai loro la schiena. Perché Callina non si fidava di me?

E in quel momento, quando mi separai, incollerito, da Callina, feci scattare, senza saperlo, la trappola in cui saremmo caduti tutti.

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