CAPITOLO 14 LA MATRICE VIVENTE

Proprio come pensavo, la Spada di Aldones era una vera spada: lunga e lucente, dall'aspetto mortale, e di una tempra così fine che, al confronto, la spada che portavo al fianco sembrava di latta. L'impugnatura era avvolta nella seta isolante, ma attraverso di essa si scorgeva il luccichio delle gemme.

Sembrava un duplicato della spada di Sharra, ma ora che l'avevo vista, la spada di Sharra mi parve solo un'imitazione dozzinale della meravigliosa spada che avevo in mano.

Non era un semplice travestimento in cui nascondere una matrice; l'intera spada era una matrice. Pareva possedere una vita autonoma: nel tenerla in mano, sentivo scorrermi lungo il braccio un fremito — non sgradevole — di potere. Strinsi sotto l'ascella il fodero e cominciai a sfoderare lentamente l'arma…

«No!» mi disse Callina, come per avvertirmi di un pericolo, e mi mise la mano sul braccio. Per un momento, mi chiesi che cosa volesse; poi le obbedii e rinfoderai l'arma.

«Abbiamo finito», dissi. «Affrettiamoci a uscire.»

Quando uscimmo dalla caverna, il sole dell'alba illuminava il lago e — cosa assai più inquietante — l'acciaio di alcune lame. Kathie emise un grido di terrore nel vedere i tre uomini che venivano verso di noi.

Tre uomini? No, due uomini e una donna. Kadarin, Dyan, e tra di loro, sottile e fremente come una fiamma scura, c'era Thyra Scott che mi sorrideva, come per sfidarmi a parlarle o a colpirla. Io presi il coltello che portavo alla cintura. Thyra mi guardò senza battere ciglio, e sollevò il collo come se non avesse alcun timore di quella lama.

La mia mano parve aprirsi da sola, e il coltello cadde a terra.

«Va' via da me, strega!» le gridai.

La sua risata impudente parve evocare milioni di fantasmi, ma, quando parlò, la sua voce era dura come l'acciaio.

«Che cos'hai fatto a mia figlia?» chiese.

«Mia figlia», le risposi. «È al sicuro. Ma non puoi averla.»

Dyan fece un passo avanti, ma Kadarin lo prese per il gomito e lo fermò.

«Aspetta», gli disse.

Thyra disse: «Siamo disposti a trattare. Dammi quello che hai preso là dentro, e sarete liberi».

«Saremo liberi anche senza darvi niente», dissi io.

Kadarin impugnò la spada. Come avrei dovuto prevedere, era quella della matrice di Sharra.

«Lo credi davvero?» mi disse, a bassa voce. «Farai meglio a consegnarmelo. Io ho sempre intenzione di ucciderti, ma oggi non potrebbe essere un onesto duello, nelle tue condizioni.»

Con il mento, indicò la fasciatura che avevo sulla testa, poi mi guardò con leggero disprezzo dalla testa ai piedi»

«Non provarci», concluse.

«Suppongo», dissi io, «che qui attorno, nascosti dietro gli alberi, ci saranno i tuoi amici, gli uomini delle foreste, con la tua solita cavalleresca proporzione di venti a uno.»

Kadarin annuì.

«Hanno l'ordine di non toccarli», disse, «perché tu sei mio. Ma le donne…»

«Va' al diavolo!» ringhiai, estraendo la spada e scagliandomi contro di lui,

Nello stringere l'impugnatura sentii un'intensa corrente di energia scorrere in me. Il sangue mi martellava alle tempie con tanta forza che credevo di svenire. Kadarin estrasse la spada di Sharra. Le due lame si incrociarono…

E la Spada di Aldones avvampò di fuoco azzurro! Come una creatura vivente, mi sfuggì di mano e cadde a terra, avvolta da una fiamma blu che la copriva completamente. Tutt'e due le spade giacevano adesso a terra, incrociate, avvolte in un intenso fuoco blu. E Kadarin barcollava.

Anch'io mi sollevai in piedi. Tutt'e due fummo costretti a fare un passo indietro. Nessuno di noi osava avvicinarsi alle due spade.

Ma Kathie corse in mezzo a noi e afferrò entrambe le spade. Per lei, credo, erano due semplici armi. Ne prese una con la sinistra, l'altra con la destra, e le staccò l'una dall'altra. Le fiamme blu si spensero.

«Inutile», mi disse Kadarin, scuotendo la testa. «Non sacrificare stupidamente la vita. Ridammi la matrice di Sharra e vattene. Probabilmente non riusciremmo a toglierti la Spada di Aldones, ma possiamo toglierti quella di Sharra. Puoi uccidere me, Dyan, Thyra… ma non puoi ucciderli tutti!»

Naturalmente, non avevo alcuna scelta. Dovevo proteggere le due donne.

«Dategli la spada, Kathie», dissi alla ragazza, dopo qualche istante. Era soltanto una situazione di stallo. La vera lotta sarebbe venuta più tardi.

«Dargliela? Adesso?» fece lei, sorpresa.

«Non sono un eroe», dissi con ira, «e voi non avete mai visto combattere gli uomini delle foreste.»

Le tolsi di mano la matrice di Sharra. Dyan si fece avanti, ma Kadarin alzò il braccio per fermarlo.

«Non tu!» esclamò.

Ero fortunato a dover trattare con Kadarin. Quando fosse giunto il momento del duello, avremmo lottato a morte, ma sarebbe stata una lotta onesta.

«Possiamo andare», dissi. «Mi fido della sua parola.»

Ma Thyra si gettò su di me, con in mano il coltello. Io mi girai, un istante troppo tardi; lei mi piantò la lama nel fianco.

Sollevai il braccio e la colpii sulla faccia, violentemente, facendola rimanere stordita. Poi mi sedetti a terra e mi portai la mano alla ferita. La ritrassi sporca di sangue.

Sentii che Kadarin gridava come un forsennato; vagamente, vidi che afferrava Thyra e che la scuoteva con violenza, per infine gettarla a terra. Lei non si rialzò, e continuò a gemere.

Thyra ha violato la parola che lui mi aveva dato, pensai.

Poi persi i sensi.


Quando ripresi conoscenza, sentii solo un suono basso, cadenzato, fortissimo. Mi accorsi di essere disteso sulla schiena e di avere la testa sulle ginocchia di Kathie.

«Cercate di non muovervi», mi disse. «Stiamo tornando a Thendara in elicottero.»

«Non farlo parlare, Kathie», disse Callina.

Feci per prenderle la mano, ma quelle che toccai erano solo le dita gelide di Ashara, che erano come catene di ferro attorno ai miei polsi, e nella penombra della carlinga scorsi solo i suoi occhi di ghiaccio.

Poi, con un sobbalzo, mi svegliai del tutto; qualcuno mi aveva sfiorato la mente. Marja! Feci per mettermi in contatto con lei, ma al suo posto trovai solo uno spazio vuoto…

Per un momento, riuscii a liberarmi la mente dal delirio. Naturale, che non potessi mettermi in contatto con Marja, dolorante com'ero. Non volevo che condividesse il mio dolore.

Ma la mente di un uomo è così sola, chiusa entro le ossa del cranio.

Con questo pensiero scivolai di nuovo nell'incoscienza.


Stavo camminando…

Qualcuno mi teneva in piedi, con il mio braccio sulle spalle, e dopo un attimo sentii la voce di Kadarin.

«Non preoccupatevi! È in grado di camminare», diceva. «È solo un graffio, la lama è scivolata sulle costole…»

I miei occhi si rifiutavano di mettersi a fuoco. Poi un'altra voce.

«Buon Dio!» esclamò qualcuno. «Entrate qui dentro, sedetevi!»

Poi il giramento di testa mi passò. Ero nel quartier generale terrestre, e dalla finestra vedevo lo spazioporto, a una quota molto più bassa della mia. Davanti a me, fermo accanto a un'ampia scrivania dal ripiano di cristallo, c'era Dan Lawton, che mi fissava stupito e preoccupato. Kadarin aveva ancora il mio braccio sulle spalle e mi teneva in piedi. Io mi affrettai a staccarmi da lui; poi, da dietro di me, entrò nel mio campo visivo Regis Hastur, che si avvicinò, mi prese per le braccia e mi fece sedere.

«Chi diavolo siete?» chiedeva Lawton.

Kadarin gli rivolse un minuscolo inchino.

«Robert Raymon Kadarin, al vostro servizio. E voi?»

Dietro di noi, una porta si spalancò; sentii la voce di Kathie.

«È davvero fuori pericolo?» chiedeva la ragazza. E poi: «Oh, salve, Dan».

Il Legato terrestre scosse la testa, confuso.

«Tra un momento», disse, a nessuno in particolare, «perderò la testa. Ciao, Kathie. Sei davvero tu?»

Lei mi rivolse un'occhiata interrogativa. «Posso dirglielo?»

«Aspetta, aspetta», intervenne Lawton. «Una cosa alla volta. Impazzirò davvero, se dovrò affrontare troppe spiegazioni nello stesso tempo. Kadarin, è già da un po' di tempo che voglio parlare con voi. Sapete che oggi, venendo qui, vi siete finalmente messo nelle nostre mani?»

«Invoco l'immunità», disse Kadarin, seccamente. «Lew Alton rischiava di morire a Hali. Io gli ho dato il mio salvacondotto, e gli ho ufficialmente comunicato la richiesta di duello. Spettava a me decidere se salvarlo. L'ho portato qui di mia volontà, mentre avrei potuto mantenere l'immunità fuggendo e lasciandolo morire. Perciò ho diritto a un salvacondotto.»

Lawton gemette tra sé. Tuttavia, la legge dava ragione a Kadarin.

«Va bene», disse il Legato. «Ma niente trucchi con la telepatia.»

Kadarin gli rivolse un sorriso obliquo.

«Non potrei farne neppure se ne avessi l'intenzione», spiegò. «Dyan Ardais è fuggito con la matrice di Sharra. Io sono innocuo come Lew, in questo momento!»

Rafe Scott scelse proprio quel momento per entrare nell'ufficio e rimase a bocca aperta nel vedere me, Regis, Kadarin e Kathie; tuttavia si rivolse a Lawton.

«Perché avete incarcerato Thyra?» gli chiese.

«Conosci quella donna?» domandò seccamente il Legato.

«È sua sorella», spiegò Kadarin, mentre Rafe ansimava per la corsa.

«Maledizione!» imprecò Lawton, «ogni facinoroso del pianeta è imparentato con te in un modo o nell'altro, Rafe! Ha cercato di accoltellare Lew Alton, ecco perché! Quando l'abbiamo portata qui ci siamo trovati fra le mani una pazza che gridava con tutto il fiato che aveva nei polmoni, e così le ho fatto fare un'iniezione dai nostri medici e l'ho messa in una cella perché le passasse.»

Rafe si rivolse a me.

«Lew, perché mai Thyra avrebbe dovuto gridare…?»

«Lascialo stare!» esclamò Regis, allontanando sgarbatamente Rafe.

Afferrai per il braccio il giovane Hastur.

«Non mettetevi di nuovo a fare a pugni, per favore!» gli dissi.

Lui resistette per un momento, poi scrollò le spalle e si sedette sul bracciolo della mia sedia, guardando con ira il giovane Scott.

«Sai dove sia Gallina?» gli chiese, dopo qualche istante.

Fu Kathie a rispondere.

«I medici l'hanno trattenuta in infermeria», spiegò la ragazza. «Le girava la testa, non stava bene. Continuava ad addormentarsi.»

Era di nuovo caduta in trance? Mi alzai in piedi, anche se avevo il capogiro.

«Devo andare da lei», dissi.

«Tu non sei in condizioni di fare niente, ora come ora», disse Regis.

Solo allora mi domandai la ragione della sua presenza.

«Perché sei qui?» gli chiesi.

Fu Lawton a rispondere al posto suo.

«Nella notte», disse, «ho mandato a chiamare il Reggente, e abbiamo discusso fino a poco fa.»

Regis disse tranquillamente: «Siamo finiti, Lew. I Comyn dovranno accettare un accordo. Perfino mio nonno se ne rende conto. E se Sharra dovesse sfuggire di mano…»

La Spada di Aldones era sul tavolo di Lawton. Kadarin si avvicinò a essa e la fissò.

«Sono stato io a mettere in libertà Sharra», disse. «È stato un esperimento che non si è svolto nel modo previsto, nient'altro. Ma il nostro maledetto eroe, qui, l'idiota, ha peggiorato le cose portando via dal pianeta la matrice di Sharra, per sei anni, e tutti i luoghi attivi sono usciti di controllo. E adesso è finita in mano a Dyan!»

Prese a camminare avanti e indietro come un animale in gabbia.

«Sapevo che Alton non voleva più avere a che fare con me a nessun costo», proseguì. «Perciò, ho cercato un altro fra i Comyn, chiunque fosse disposto a riportarmi la matrice. Per mettere sotto controllo quelle aree e poi distruggere la matrice. Ma dopo tanto lavoro…» concluse, abbassando la testa, «…sono finito dalla padella nella brace, fidandomi di Dyan Ardais!»

«È stato lui a uccidere Marjus per procurarsela?» chiese Regis.

«Ne ho il sospetto», rispose Kadarin. «Non ne sono certo, ma evidentemente non sono molto bravo nella scelta dei miei complici. Quella…» indicò la Spada di Aldones, «… è la nostra ultima speranza. Neutralizzerebbe Sharra definitivamente, ma sarebbe una sorta di omicidio. Chiunque è stato in fase con la matrice di Sharra verrebbe ucciso.»

Lawton disse: «Per il momento, allora, la terrò io».

Kadarin rise. Una risata priva di qualsiasi allegria, feroce come quella di un animale.

«Provateci!» disse. «Adesso che ha toccato la matrice di Sharra, neppure io…»

Fece per prendere la spada, ma la sua mano, come giunse accanto all'impugnatura, cominciò a fremere; dovette tirarla via di scatto, trattenendo il respiro. Massaggiandosi le dita, con una smorfia di dolore, si girò verso Rafe.

«Prova tu!» gli disse.

«Mi basta la tua parola!» esclamò subito il giovane, facendo un passo indietro.

Lawton non era un codardo. Allungò la mano e afferrò saldamente l'impugnatura. Poi, con un'esplosione di scintille azzurrine, venne spinto violentemente all'indietro e finì con la schiena contro la parete. Stupito, scuotendo la testa, mormorò: «Buon Dio!»

«Tocca a me», dissi, chinandomi ad afferrare la spada, che era caduta sul pavimento. La presi e riuscii a sollevarla fino a posarla nuovamente sul tavolo, ma alla fine dovetti lasciarla.

«Posso tenerla in mano», dissi, mentre la mano mi doleva in modo insopportabile, «ma non per molto.»

«Nessun uomo può toccarla», disse Regis, «ma per il momento la terrò io.»

La prese senza difficoltà e se la legò alla cintura. «Sono un Hastur», spiegò tranquillamente.

Allora, pensai, la Dote degli Hastur è la matrice vivente.

Regis annuì. La matrice aveva trovato il suo fuoco e il suo equilibrio, nel cervello e nei nervi dell'Hastur che la portava. Nessun altro poteva usare quella spada, e neppure impugnarla senza pericolo.

Sharra era solo una sua copia mal riuscita e mortale.

«Proprio così», disse Kadarin, a bassa voce. «ne avevo l'impressione. È per questo che la tua mano non è più guarita, Lew. La scottatura non era molto grave in sé, ma te l'aveva fatta la matrice, e la carne e il sangue umani non posso resisterle. Io non l'ho mai usata, se non avevo in rapporto con me almeno un altro lettore del pensiero…»

All'improvviso, in fondo al corridoio, Thyra cominciò a gridare.

Kadarin si alzò di scatto, e anch'io tesi la schiena. Il contatto mentale che aveva fatto gridare follemente Thyra aveva scosso anche me: un senso di vuoto, di perdita…

«Marja!» esclamai, in un singhiozzo.

Kadarin si girò verso di me. Non avevo mai visto un'espressione come la sua, e non la rividi mai più.

«Svelto!» mi disse. «Dove si trova?»

«Che cosa succede?» chiese Lawton.

Kadarin mosse le labbra, ma non ne uscì alcun suono. Alla fine, disse: «Dyan Ardais ha la matrice…»

Terminai io al posto suo: «Non oserà usarla da solo. Ha visto me, quello che mi è successo alla mano. Ha bisogno di un lettore del pensiero, e Marja è una Alton…»

«Quel maledetto traditore…» disse Kadarin, con la voce piena di paura, ma non per se stesso. La mia mente era aperta, e per un momento, vedendo Kadarin, cessai di odiarlo.

Regis si girò verso di noi, si tolse dal fianco la Spada di Aldones e la consegnò a Kathie.

«Tenetela», le disse. «Siete ancora immune. E non abbiate paura; nessun darkovano potrà togliervela, o potrà farvi del male finché l'avrete con voi.»

Poi si voltò verso di me, e io, senza una parola, capii quello che voleva; gli diedi la pistola di Rafe.

«Che cosa…?»

Regis disse in fretta, interrompendo le proteste di Lawton: «Questa è una cosa che riguarda i Comyn, e, con le migliori intenzioni del mondo, potreste solo esserci d'impaccio, e non potreste aiutarci. Rafe, vieni anche tu».

Kadarin si girò verso Rafe.

«Imbecille, lo fa per Marja! Va' con lui!»

Uscirono insieme. Le grida isteriche non erano ancora cessate. Kadarin pareva voler scattare da un momento all'altro; alla fine non riuscì più a resistere e corse alla porta.

«Devo andare anch'io!» disse a Lawton, voltando per un momento la testa nella sua direzione, poi si lanciò lungo il corridoio.

Lawton mi afferrò per il braccio.

«No, tu non ci vai!» mi disse. «Cerca di ragionare! Non riesci neppure a stare in piedi.»

Mi costrinse a sedermi.

«Perché sono corsi via così di fretta?» chiese. «Chi è Marja?»

Poi le grida cessarono bruscamente, come se fosse scattato un interruttore, e scese un silenzio ancor più pauroso. Con un'imprecazione, Lawton uscì dalla stanza, lasciandomi solo, nella mia sedia, a imprecare tra me e me perché mi girava la testa e non avevo la forza di alzarmi.

Nel corridoio si levarono grida d'allarme, richiami ed esclamazioni, e prima che riuscissi a capire che cosa fosse successo, entrò di corsa Diana.

«Ti hanno lasciato qui!» gridò con ira. «Che cosa ti ha fatto, quella strega dai capelli rossi? E hanno dato un sonnifero a Gallina… Lew, Lew, hai tutta la camicia sporca di sangue!»

Si inginocchiò accanto a me; la sua faccia era bianca come la veste che indossava. Dopo un momento fece ritorno Lawton, infuriatissimo, e si fermò davanti a me.

«È sparita! Quella Thyra è sparita, da una cella dalle pareti di acciaio, con guardie che la sorvegliavano da tutti i lati! E questo succede nonostante la presenza di un meccanico delle matrici appartenente ai Comyn…»

Poi vide Diana e aggrottò la fronte.

«Ti conosco», le disse. «Sei la sorella di Lerrys Ridenow. Che cosa ci fai, qui dentro?»

«Al momento», gli rispose lei, al colmo dell'irritazione, «cerco di accertarmi delle condizioni di Lew… cosa di cui nessuno si preoccupa!»

«Sto benissimo», mormorai io, irritato da quelle sollecitudini che mi facevano sembrare più malato di quel che ero. Tuttavia, lasciai che Diana mi portasse al piano del Servizio Medico, dove un dottore grasso, in camice bianco, brontolò sui maledetti pianeti incivili dove lo costringevano a passare il tempo a ricucire ferite di coltello.

Mi disinfettò con un liquido che bruciava come la pece dell'inferno, mi scottò con le sue luci ultraviolette, mi fece bere una medicina rossa e appiccicosa che mi bruciò in gola e mi fece girare la testa, ma che dopo qualche momento mi tolse il dolore. Quando anche la testa smise di girarmi, riuscii finalmente a pensare all'accaduto.

«Dov'è Callina Aillard?» chiesi al medico.

«Qui da noi», mi rispose il dottor Forth (lessi il nome sul tesserino che portava sul petto). «In questo momento dorme. Era debole e tendeva a svenire; le ho fatto un'iniezione di hypnal e l'ho fatta mettere nella corsia delle donne.»

«Non potrebbe essere in trance da shock?» chiesi io.

Lui infilò nello sterilizzatore gli strumenti che aveva usato per medicarmi.

«Non saprei dirlo», rispose. «Vi ha visto mentre vi pugnalavano, no? Alcune donne reagiscono in quel modo.»

Quel medico era un imbecille, decisi. Le donne darkovane non svengono per qualche goccia di sangue. Che cosa faceva sul nostro pianeta, se non era in grado di riconoscere uno shock da matrice? E se aveva dato un sedativo a Callina, io non sarei riuscito a farla uscire dallo shock finché tutto il sedativo non fosse stato eliminato.

«Forse», mi disse Diana, «è meglio che ti parli di Callina, prima che si svegli. Ma non ora.»

Quando tornammo nell'ufficio di Lawton, il Legato aveva messo in azione tutto il suo dispositivo di ricerca. Il tempo si trascinò lentamente. Io attesi con impazienza che succedesse qualcosa.

A un certo momento Lawton diede voce a tutte le sue perplessità con una serie di domande.

«Maledizione!» esclamò. «Non ho ancora capito come la figlia di Marshall sia arrivata qui da Samarra. E non ho ancora capito come siate collegati… tu, Rafie, questa Thyra, Kadarin, siete fratelli, sorelle, cugini e via discorrendo. E adesso questa Thyra mi sparisce dalla cella come se si fosse dissolta nell'aria! Sei stato tu, a portarla via di qui, con qualche tua stregoneria?»

«No, non sono stato io.» Per me, Thyra poteva rimanere in prigione fino alla consumazione dei secoli.

Quando l'effetto del narcotico cominciò a svanire, tornai a sentire il dolore della ferita, ma ancor più profonda era l'orribile sensazione che qualcosa mi fosse stato strappato… e io non osavo chiedermi che cosa fosse.

Il rosso sole di Darkover aveva raggiunto il punto più alto e cominciava già a scendere quando sentii arrivare qualcuno che trascinava i piedi per la stanchezza; dopo qualche istante entrarono Regis, Rafe e Kadarin.

Regis era drammaticamente cambiato, in quelle poche ore. Aveva sangue sulla faccia, sangue sulla manica, ma la sua maturità era qualcosa di più profondo della sua prima vera lotta. L'ultima traccia del ragazzo era sparita, e quello che mi guardava con disperazione era un uomo, e un Hastur.

«Siete ferito!» esclamò Lawton, con il tipico orrore dei terrestri nei confronti delle ferite inflitte volontariamente.

«Poca cosa», rispose lui. «Più che altro, mi ha tagliato la camicia. Ho lottato contro Dyan.»

«È morto?» chiesi io.

«No, maledizione!»

Lawton chiese: «Kadarin! Dov'è finita quella donna che era con voi?»

Kadarin sgranò gli occhi, allarmato.

«Thyra? Non è qui da voi? Per tutti gli inferni di Zandru, come posso sapere…?»

Sollevò le mani e si coprì la faccia. Poi si girò verso di me. Non badò assolutamente alle altre persone che si trovavano nella stanza, come se fossero state su un altro pianeta, e mi fissò con un'intensità che cancellò gli anni, riportandomi all'epoca in cui eravamo amici, non nemici giurati.

Senza voce, mormorai: «Bob, che cosa c'è? Che cosa è successo?»

Fece una smorfia.

«È Dyan!» disse. «Che Zandru lo faccia frustare dai suoi scorpioni! Che Naotalba gli torca i piedi per sempre, nel suo inferno! L'ha portata dentro Sharra… La mia piccola Marguerhia.»

La voce gli si incrinò. Le sue parole si incisero nella mia mente come acido. Dyan, con la matrice di Sharra. Marja, che era solo una bambina, ma che era una Alton, una telepatica. E il vuoto nel luogo dove c'era in precedenza la bambina, il senso di una lacerazione, di uno strappo.

Allora, era morta.

Marjorie. Marjus. Linnell.

E adesso Marja.

Lawton non insistette nel chiedere spiegazioni. Doveva avere capito che stavamo attingendo alle nostre ultime riserve di energia. Ma io continuai a fare domande come se tutto fosse ancora importante.

«Andrés?» chiesi.

«Dyan l'ha lasciato a terra, convinto che fosse morto, ma probabilmente ce la farà.»

Era una feroce consolazione sapere che Andrés l'aveva difesa con la propria vita.

«E Ashara?» domandai.

Diana si alzò, serrò strettamente le labbra in una smorfia. Ci eravamo dimenticati della sua presenza.

«Regis! Fermali! Vado alla Torre!» disse.

«A fare che cosa?» gridai io, ma lei era già uscita.

Lawton disse con aria cupa: «Per prima cosa, occorre arrestare Dyan. Se ha la bambina…»

Kadarin lo interruppe.

«Non potete!» disse. «Ormai non c'è modo di togliergli la matrice di Sharra. L'ho posseduta abbastanza a lungo per saperlo. Dyan l'ha potuta togliere agli Alton soltanto perché non sapevano proteggersi. Nessuno potrebbe toglierla a…»

Kadarin s'interruppe e gonfiò il petto.

«Lawton! E voi tutti!» riprese. «Dovete essermi testimoni! La sua vita è mia, dove e quando potrò ucciderlo, con una lotta onorevole o disonorevole, la sua vita è…»

«Mia!» lo interruppi io. «Marja è mia figlia! E chi ucciderà Dyan dovrà vedersela con me!»

«Voi due maniaci!» esclamò Lawton. «Per prima cosa, cerchiamo di catturarlo, prima che litighiate per il privilegio di ucciderlo!»

Kadarin fece un gesto che aveva una ferocia animalesca.

«Se scatenerà Sharra, non contate su di me!» disse. «Io sono il suo principale fulcro, e mi troverò proprio al suo interno!»

Regis si girò verso di me.

«Allora, Lew», disse, «dovrai essere tu. Tu hai toccato Sharra, ma sei anche legato ai Comyn. Se potessimo metterti in rapporto da qui, potresti entrare nella matrice di Sharra…»

A quel punto, però, crollai.

«No!» gridai. «No!»

Per me, potevano morire tutti, prima di costringermi a farlo; che m'importava, se Sharra avesse distrutto Darkover? Che mi rimaneva da perdere? Strappai la pistola dalla cintura di Regis e tolsi la sicura.

«Prima», gridai, «mi faccio saltare le cervella!»

Regis mi afferrò il polso, con forza. Per un attimo lottammo follemente, ma lui aveva due mani; il rinculo della pistola mi fece perdere l'equilibrio, ma il proiettile colpì inoffensivamente la finestra, con uno scoscio di vetri rotti. Regis riuscì finalmente a strapparmi di mano la pistola.

«Sei pazzo!» disse. Gettò la pistola a Rafe. «Prendila. È tua, no? Tienila. Ultimamente, è passata per troppe mani. Un pazzo è sufficiente!»

Imprecando, Lawton si mise a prendere a calci le schegge di vetro.

«Dovrei sbattervi tutti in prigione», disse. «Rafe, chiama qualcuno a mettere a posto il vetro, e porta Alton al piano di sotto. Ha di nuovo perso la testa.»

Mi alzai in piedi, ma persi l'equilibrio e dovetti afferrarmi alla sedia.

«Devo considerarmi prigioniero?» chiesi.

«Diamine, no!» rispose. «Ma se tu dovessi uscire in questo momento, mi sveniresti sul marciapiede! Usa la testa. Va' in infermeria! Ti faremo sapere quando avremo bisogno di te.»

All'improvviso, tutta la mia collera si dissolse, lasciandomi vuoto e confuso. Kadarin si alzò e si avvicinò a me.

«Tregua, Lew», disse, tranquillamente. «Marja era anche mia. In questo momento, non possiamo fare molto. Sei esausto. Forse, più tardi, potremo trovare il modo di staccarmi da quella infernale matrice prima che Dyan, con una fiammata, ci distrugga tutti.»

Incrociò lo sguardo con il mio: nei suoi occhi non c'era traccia di odio. Anche il mio era svanito. Incespicando, accettai il suo braccio.

«Tregua», dissi.

Così, fu Kadarin ad accompagnarmi nei locali del Servizio Medico e poi nella corsia ospedaliera. Sedetti sulla brandina, privo di emozioni, con i nervi a fior di pelle e senza barriere mentali. Mi chinai per togliermi gli stivali.

«Ti serve aiuto?» mi chiese Kadarin.

Non risposi alla sua domanda, e invece gli chiesi, direttamente: «Pensi che Dyan scatenerà Sharra?»

«Sì, ne sono maledettamente sicuro», rispose.

Mi sembrava un'esperienza assurda. Per sei anni, il mio principale desiderio era stato quello di uccidere Kadarin. Mi ero immaginato mille volte la scena della sua uccisione, e invece ci parlavamo tranquillamente ed eravamo dalla stessa parte. Era un'esperienza sgradevole, ma, in fondo, sensata. Suppongo che questa sia la maniera terrestre di fare le cose.

«Devo andarti a prendere qualcosa in infermeria?» mi chiese a un tratto.

«No.» E aggiunsi, con irritazione: «Grazie».

Poi lo fissai di nuovo. Sapevo che non si sarebbe abbassato a mentirmi.

«Bob, è stato per tuo ordine che Marjorie è stata… spinta… nel fuoco di Sharra, quell'ultima volta? L'hai fatto per vendicarti di me? Sapendo…» inghiottii a vuoto, «… che la cosa l'avrebbe uccisa?»

«E perché», ribatté lui, «avrei dovuto uccidere lei… per vendicarmi di te

Aveva rigirato la domanda contro di me, con una sincerità di cui non potevo dubitare. Era la stessa dolorosa domanda che mi aveva tormentato per sei anni.

«Lew, io conoscevo Sharra come nessuno l'ha mai conosciuta», mi rispose. «Non c'è mai stato pericolo, per nessuna delle ragazze, finché la tenevo sotto controllo. Sai che Thyra era mia moglie; eppure, sono sempre riuscito a mantenerla al sicuro.» Il suo tono era amaro e triste. «Ci saranno al massimo dieci uomini che sanno determinare i limiti di sicurezza per una donna che hanno amato, ma io l'avevo fatto per Thyra! E Marjorie…»

Il suo volto era così pieno di dolore che ebbi quasi pietà di lui; anch'egli aveva abbassato le barriere, e la violenza del suo dolore bruciava dentro di me. Non sarebbe mai riuscito a liberarsi di quella pena e di quel dolore.

«Marjorie era una bambina, pensavo sempre. Non me l'aveva detto! Giuro che non immaginavo che tu fossi il suo amante! Lo giuro!»

Io seppellii la mia faccia nel cuscino, incapace di sopportare tanto dolore, ma Kadarin proseguì.

«Così, lei entrò in Sharra, e tu sai che cosa è successo. Qualsiasi donna sarebbe morta, se fosse passata dagli abbracci dell'amante al polo di una simile forza, e io ti ho odiato per quello che avevi fatto…»

Poi, la sua voce si addolcì, con grande compassione.

«Ma non pensavo», proseguì, «che tu non sapessi. Diavolo, anche tu eri appena un ragazzo! Due bambini, tu e Marjorie, e io non vi avevo neppure avvertito. Per tutti gli inferni di Zandru, Lew: se parli di vendetta, la tua l'hai avuta!»

Poi, con calma glaciale, aggiunse: «Una volta ho chiesto la tua vita. Ora te la rendo».

Lo guardai, con stupore. Aveva chiesto la mia vita: un impegno solenne, che secondo la legge di Darkover non si sarebbe potuto annullare, finché non fosse morto uno di noi. Se un altro mi avesse ucciso, lui sarebbe stato moralmente obbligato a cercare e a uccidere il mio assassino. Ma la legge di Darkover stava crollando, e noi eravamo in mezzo ai calcinacci. Senza riconoscere la mia voce, risposi: «E io la accetto da te».

Con grande serietà, ci stringemmo la mano.

«Spiegami una cosa», gli dissi, stancamente. «Perché la figlia di Thyra è mia?»

Sulla sua faccia magra comparve un'espressione ironica.

«Pensavo che ormai l'avessi capito», disse. «Speravo in un figlio telepatico, con la Dote degli Alton.»

Maledetto insolente!

Continuò, tranquillamente: «Thyra non me l'ha mai perdonato. Ero così compiaciuto di Marja che lei era gelosa, si rifiutava di tenere la bambina dove io potessi vederla…»

All'improvviso, fece una smorfia.

«Thyra ne morirà! Le avevo giurato che Marja non sarebbe mai stata usata come pedina, ma non sono neppure riuscito a proteggerla. Thyra aveva sempre finto di odiare la bambina, perché non la usassero per ricattarla! Dèi! Grandi Dèi! Tutto quello che amo, tutte le persone che amo, le faccio soffrire o le uccido!»

Io rabbrividii sotto un dolore così disperato. Poi, bruscamente, Kadarin mi girò la schiena e uscì, sbattendo la porta con tale violenza da far tremare le pareti.

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