Avevo una commozione cerebrale, a causa del secondo proiettile di Kadarin, che mi aveva portato via anche un pezzo d'osso. Inoltre, la perdita di Marjus era stata un forte trauma per le cellule del mio cervello; i collegamenti neuronici e sinaptici che si erano recentemente costituiti erano stati lacerati dalla sua morte. Per molti giorni avevo rischiato di perdere la ragione, se non la vita.
Di quel periodo ricordo solo una serie di luci forti, il freddo e lo shock, la sensazione di venire trasportato qua e là, l'odore delle medicine. Senza avere la cognizione del tempo trascorso, aprii gli occhi e mi trovai nelle mie vecchie stanze, nel castello dei Comyn di Thendara. Accanto a me c'era Linnell Aillard.
Assomigliava molto a Callina, ma era un poco più alta e più scura di capelli, e in un certo senso era più gentile, con un viso dolce e infantile, anche se aveva pressappoco i miei anni. Mi pareva anche molto bella. Non che la cosa importasse. Nella vita di ogni uomo ci sono alcune donne che non destano in lui alcuna attrazione sessuale. Linnell non era mai stata una donna, per me; era mia cugina. Per qualche minuto mi limitai a guardarla, senza parlare, finché lei non si accorse del mio sguardo e non mi sorrise.
«A questo punto», disse, «penso che tu mi abbia riconosciuto. Ti fa male la testa?»
La risposta era affermativa. Provai a tastarmi il punto dove mi doleva, e mi accorsi di essere fasciato. Con gentilezza, Linnell mi spostò la mano.
«Da quanto tempo sono qui?» chiesi.
«A Thendara?» rispose. «Due giorni. Ma sei rimasto privo di coscienza per un mucchio di tempo.»
«E… Marjus?»
Gli occhi le si riempirono di lacrime.
«È sepolto nella Città Nascosta», mi disse. «Il Reggente gli ha reso i pieni onori di Comyn, Lew.»
Allontanai la mano dalla sua e per un lungo tempo fissai le luci che si muovevano sulle pareti traslucide.
Infine chiesi: «Il Consiglio?»
«Si sono affrettati ad approvarlo prima che venissimo qui a Thendara. La cerimonia del matrimonio si terrà la notte della Festa.»
La vita proseguiva, riflettei.
«Tu e Derik?» chiesi.
«Oh, no», disse, sorridendo timidamente. «Per quello non c'è fretta. Callina e Beltran d'Aldaran.»
Di scatto, mi rizzai a sedere sul letto, senza badare al dolore acuto.
«Intendi dire», chiesi, con stupore, «che pensano ancora a quell'alleanza? Stai scherzando, Linnell! O sono impazziti?»
Lei scosse la testa. Aveva l'aria preoccupata.
«Penso che sia per questo che si sono affrettati ad approvarlo. Avevano paura che tu ti riprendessi, e che cercassi nuovamente di bloccarli. Derik e gli Hastur volevano aspettare il tuo ritorno, ma sono stati messi in minoranza.»
Non ne dubitavo affatto. Non c'era nulla che i Comyn odiassero più di un Alton in Consiglio. Spostai le coperte.
«Voglio vedere Callina!» dissi.
«Le dirò di venire da te; non c'è bisogno che ti alzi.»
Ma io scossi la testa. Durante le sessioni del Consiglio, quelle stanze erano tradizionalmente assegnate agli Alton, ormai da generazioni; probabilmente erano ben controllate mediante trappole telepatiche e attenuatori. I Comyn non si erano mai fidati degli Alton adulti. Preferivo vedere Callina in un altro luogo.
I suoi servitori mi dissero dove avrei potuto trovarla. Spostai una tenda dall'aria innocente, e una scarica di luce abbagliante mi esplose sulla faccia. Con un'imprecazione, mi portai le mani davanti agli occhi; per qualche istante continuai a vedere macchie gialle e rosse, anche a occhi chiusi, poi sentii pronunciare il mio nome, in tono di sorpresa. Le luci svanirono e scorsi Gallina.
«Mi dispiace», disse. «Adesso, riesci di nuovo a vedere? Devo proteggermi, sai, mentre lavoro.»
«Non hai bisogno di scusarti», risposi.
Una Guardiana, quando è in mezzo ai suoi schermi matrice, è vulnerabile in modi che la gente comune non sospetta neppure.
«Avrei dovuto pensarci», aggiunsi. «Non dovevo entrare in quel modo.»
Callina mi sorrise e sollevò la tenda per farmi passare.
«Certo», commentò. «Mi stupisco che tu non ci abbia pensato. Mi pareva che tu fossi un tecnico delle matrici.»
Quando lasciò cadere le tende, mi accorsi all'improvviso della stranezza della sua bellezza.
Si può dire tutto, su una donna, dal modo in cui cammina. Il modo di camminare di una donna che ama farsi corteggiare suggerisce questa sua caratteristica. L'innocenza proclama la propria natura correndo senza preoccupazioni. Callina era giovane e bella, ma non camminava come una bella donna. Nel suo modo di muoversi c'era qualcosa che sembrava insieme molto giovane e molto vecchio, come se la goffaggine dell'adolescenza si fosse incontrata in lei con la cautela e il decoro della vecchiaia, senza uno stadio intermedio.
Lasciò che le tende si chiudessero, e tutta la stranezza svanì. Mi guardai attorno, e sentii l'effetto calmante delle emissioni infrasoniche. Un tempo, anch'io avevo un piccolo laboratorio di matrici nella vecchia ala del castello, ma non certo su quella scala di grandezza.
C'era il regolare sistema di monitoraggio, in cui lampeggiavano tante minuscole stelle: una per ogni matrice autorizzata, di tutti i livelli, in quella regione. C'era un attenuatore modulato secondo fasi particolari, che filtrava le frequenze telepatiche senza interferire con i normali pensieri. E c'era un enorme pannello che luccicava come cristallo fluido, e di cui non avrei saputo dire lo scopo; forse era uno dei quasi leggendari trasmettitori psicocinetici, capaci di trasferire un corpo umano da una città all'altra. Stranamente prosaici, c'erano poi un normale cacciavite e alcuni pezzi di seta isolante, posati su un tavolo.
«Naturalmente», disse, «saprai che sono fuggiti con la matrice di Sharra.»
«Se avessi avuto un briciolo di intelligenza», imprecai, «l'avrei gettata in un convertitore di materia, mentre ero sulla Terra, e me ne sarei liberato… liberando così anche Darkover!»
«Se tu l'avessi fatto», rispose Callina, «avresti eliminato per sempre ogni possibilità di controllo su quelle forze; quando la matrice era lontana dal pianeta, Sharra era soltanto dormiente. Distruggendo la matrice avremmo perso ogni speranza di scaricare i luoghi attivi. Sharra non è sugli schermi mastri, lo sai. È una matrice illegale, fuori degli schermi monitor. Non potremo tenerla sotto monitoraggio finché non avremo trovato e messo sotto controllo tutti quei punti attivi e l'energia libera di cui sono carichi. Com'è lo schema?»
Aspettai che spegnesse gli attenuatori, poi cercai di proiettare lo schema su uno degli schermi monitor; tuttavia, sulla sua superficie di cristallo comparvero solo macchie e spirali di nebbia.
«Non avrei dovuto permetterti di farlo», disse Callina, con voce contrita, «a così poca distanza da una ferita alla testa. Vieni via, cerca di riposare.»
In una piccola stanza, la cui parete di vetro trasparente si affacciava sulla valle, mi accomodai in una soffice poltrona, mentre Gallina mi guardava con distacco, pensierosa.
«Callina», chiesi infine, «conoscendo lo schema, potresti fare un duplicato della matrice e servirtene per cercare i punti focali?»
Non ebbe bisogno di riflettere sulla domanda, per rispondermi.
«No», disse. «Posso duplicare una matrice di primo o di secondo livello come questa…» indicò il piccolo cristallo che le fermava il vestito, in corrispondenza del seno, «…e forse potrei riuscire a costruire uno schermo di complessità uguale a quella di Sharra, anche se dovrei avere qualche tecnico delle matrici ad aiutarmi. Ma due matrici identiche, del quarto livello o di livelli superiori, non possono esistere simultaneamente, nello stesso universo e nello stesso tempo, senza creare una distorsione spaziale.»
«Sì, la legge di Cherillys», rammentai. «“Una matrice è il solo oggetto unico dello spazio-tempo, e poiché esiste autonomamente, senza bisogno della sua copia a farle da punto di equilibrio, può trasferire l'energia da una forma all'altra.”»
Callina annuì.
«Il tentativo di costruire un esatto duplicato molecolare di una matrice complessa come quella che controlla Sharra — e che deve essere almeno di nono o decimo livello — rischierebbe di scagliare fuori dall'ordinario spazio-tempo una buona metà del pianeta.»
«Ne avevo l'impressione», annuii, «ma soltanto una Guardiana poteva saperlo con certezza.»
«Una Guardiana!» esclamò lei, ridendo. Tacque per qualche istante, poi riprese. «Suppongo che Linnell ti abbia detto tutto», disse. «Lew, non è solo l'alleanza a preoccuparmi. Se hanno deciso di allontanarmi, di assicurarsi che non venga ad avere troppo potere in Consiglio, riusciranno a farlo. Non posso combattere contro l'intero Consiglio, Lew. E se pensano che l'alleanza con Aldaran possa essere utile ai Comyn, come posso obiettare? Il Reggente Hastur non è uno sciocco, e può darsi che abbiano ragione: non so nulla di politica. Se non fossi una Guardiana, non mi avrebbero neppure chiesto il mio consenso; mi avrebbero dato ordine di sposarmi, e io avrei obbedito! Credo che un marito valga l'altro.»
Anche adesso ebbi la curiosa impressione di avere davanti a me una ragazzina ingenua e sprovveduta nel corpo di una donna. Parlava del suo matrimonio come una bambina avrebbe potuto parlare del matrimonio della propria bambola. Eppure era una donna bella e desiderabile. Era un'esperienza che mi metteva a disagio.
«Non capisco come sia potuto succedere», disse poi, cambiando discorso. «Non credo che dei semplici uomini delle foreste possano avervi attaccato proprio in quel momento, e che abbiano rubato la matrice di Sharra. Chi li guidava?»
La fissai con stupore.
«Il Reggente Hastur non te lo ha detto?» chiesi. «Credo che non lo sapesse neanche lui.» «Gli uomini della foresta», dissi, con irritazione, «rubano armi, cibo, vestiti, e magari gioielli, ma non oserebbero toccare una matrice. Soprattutto quella matrice! Mi chiedo perché sono ancora vivo.» La guardai negli occhi. «Callina, io ero in fase con quella matrice, corpo e cervello! Anche quando era isolata, se una persona non in fase la toccava, sentivo dolore! Ci sono tre sole persone, sull'intero pianeta, che possono toccarla senza che io muoia in conseguenza dello shock. Non ti hanno detto che è stato lo stesso Kadarin?»
Callina impallidì.
«Non credo che il Reggente sia in grado di riconoscere Kadarin», disse. «Ma come poteva sapere, quel bandito, che tu avevi la matrice?»
Vero: da chi l'aveva saputo? Non potevo credere che fosse stato Rafe Scott a tradirmi a Kadarin. I fuochi di Sharra avevano colpito anche lui. Preferivo pensare che Kadarin fosse ancora in grado di leggere nella mia mente, anche da lontano. All'improvviso mi resi conto di quel che significava la perdita di Marjus, per me: adesso ero completamente solo.
«Cerca di non pensarci», disse Callina. «Non addolorarti così.»
Ma sapevo perché lo diceva. Per lei, Marjus era solo un estraneo, un mezza-casta, disprezzato per la sua origine. Come poteva capire? Eravamo stati in rapporto mentale completo, io e Marjus, per quasi tre ore, con tutto ciò che ne consegue. Ero giunto a conoscere Marjus meglio di me stesso, con le sue forze e le sue debolezze, i suoi desideri e le sue speranze e le sue delusioni. Era come se fossimo vissuti insieme per anni. Fino al momento in cui ero entrato in rapporto con lui, non mi ero mai reso conto di avere un fratello, ma dal momento del contatto a quello della sua morte non avevo più conosciuto la solitudine. Però, non sapevo come spiegarlo a Callina.
Dopo qualche tempo, fu lei a riprendere la parola.
«Lew», chiese, «come hai fatto a lasciarti coinvolgere in…» stava per dire “Sharra”, ma, nel vedere la mia smorfia di dolore, non pronunciò la parola, «… quelle trame di Kadarin? L'hai mai raccontato?»
«Sono avvenimenti a cui preferisco non pensare», dissi, sbrigativamente. E pensai: Ancora una volta… non la smetteranno mai di mettere il ferro nella piaga?
«So che non è facile per te», disse allora lei. «Ma anche per me non è facile lasciarmi consegnare all'Aldaran.»
Non mi guardò. Allungò la mano per prendere una sigaretta da una scatola di cristallo, e l'accese con la matrice che portava al dito. Anch'io feci per prenderne una; lei sollevò la testa si scatto e mi fissò con stupore.
Io la fissai a mia volta.
«Sugli altri pianeti», le dissi, «anche gli uomini fumano, e non solo le donne.»
«Non ci credo!»
«No, è come ti dico io.»
Con aria di sfida, prelevai una sigaretta e, ricordando che non avevo fiammiferi, le presi la mano e accostai alla sigaretta l'anello con la piccola pietra matrice.
«E nessuno», continuai, «ride di loro o li considera effemminati, “portatori di sandali”, “fratellini” o altro. È un'abitudine antichissima the non desta la minima attenzione. Anch'io ho preso questa abitudine, e talvolta, quando mi concentro, devo accendere una sigaretta. Credi di poter resistere allo spettacolo di un uomo che fuma, comynara Callina?» conclusi ironicamente.
Ci scambiammo uno sguardo carico di ostilità, che non aveva niente a che vedere con il battibecco su un particolare sciocco e trascurabile come quello delle sigarette.
Lei sorrise con aria sprezzante.
«C'era da aspettarselo, da un terrestre», disse, scuotendo la testa. «Fa' come vuoi.»
Le tenevo ancora la mano con l'anello. La lasciai andare e aspirai una boccata del fumo leggero e dolciastro.
«Mi hai fatto una domanda», dissi poi, avvicinandomi alla finestra. Fissai per qualche momento le vette dei monti, coperte di neve, in fondo alla valle, prima di voltarmi di nuovo verso di lei. «Cercherò di rispondere.
«Kadarin», proseguii, «era un fratello adottivo del signore di Aldaran, a quanto ho sentito dire. Nessuno sa chi fossero i suoi genitori, e neppure a che razza appartenessero. Alcuni dicono che sia figlio di un rinnegato terrestre, Zeb Scott, e di una donna della razza dei chieri, da lui incontrata nelle foreste degli Hellers. Però, deve avere fatto parte di quel Cerchio illegale che si è formato nel Castello di Aldaran, e lì deve essere stato addestrato come tecnico delle matrici.
«Sia come sia, resta il fatto che Kadarin è un uomo di straordinaria intelligenza. È stato per molti anni ad Aldaran e laggiù ha imparato la meccanica delle matrici, poi è stato per qualche tempo nello spionaggio dei terrestri e ha lasciato Darkover. Si è fatto allontanare da tre o quattro pianeti, e alla fine è ritornato al punto di partenza, ossia negli Hellers.
«Molti terrestri di quelle parti hanno una parte di sangue darkovano, e ci sono anche i discendenti dei vecchi incroci con razze non umane. Kadarin ha cominciato a raccogliere attorno a sé tutti i malcontenti e i ribelli, e alla fine ha incontrato me.»
Mi allontanai di qualche passo.
«Sai com'era la mia vita, qui su Darkover», dissi. «Per i Comyn ero un bastardo, uno straniero. Per i terrestri ero uno scherzo di natura, un lettore della mente. Tutt'e due diffidavano di me. Kadarin, invece, mi fece sentire a mio agio, mi fece pensare di avere trovato lo scopo della mia vita.»
Non volevo ammettere neanche a me stesso che a quell'epoca ero rimasto totalmente affascinato da lui. Sospirai.
«Prima», continuai, «ho fatto il nome di un rinnegato terrestre, Zeb Scott, che avrebbe incontrato uno degli ultimi chieri.»
Mi tornarono alla mente gli anni di ricerche, di avventure, ma li condensai in poche parole.
«Se vai a chiedere di lui nelle Terre Aride, ti diranno che Zeb Scott è morto in una taverna di Carthon, ucciso dall'alcool, e che quando era ubriaco parlava sempre di una spada azzurra con la potenza di cento diavoli. Kadarin, che aveva ascoltato quella storia prima di ogni altro, sapeva che doveva trattarsi di Sharra e, seguendo i vaghi ricordi di Scott, si era messo alla sua ricerca.
«Una delle tante leggende su Sharra dice che gli Aldaran, molti secoli fa, l'avevano evocata e le avevano aperto le porte del nostro pianeta; in seguito, però, le porte d'accesso erano state chiuse e gli Aldaran erano stati esiliati per il loro crimine. Solo allora avevano cominciato a lottare contro le altre Famiglie nel modo che sappiamo, e a proteggere i banditi che facevano razzie nelle Pianure. Fino a cogliere, in tempi più recenti, l'occasione dell'arrivo dei terrestri per dare loro una base sul nostro mondo e per procurarsi le loro armi.
«Kadarin, come dicevo, si era messo alla ricerca della spada di Sharra e alla fine era riuscito a trovarla. Conosceva la meccanica delle matrici e cominciò a fare esperimenti con il suo potere. Tuttavia, per usare la matrice, gli occorreva un lettore del pensiero, e pensò subito a me. Io ero a sua disposizione, ed ero troppo giovane e impulsivo per capire fino in fondo quello che stavo facendo. Inoltre c'erano gli altri figli di Scott: abitavano con Kadarin — e lui, ti assicuro, li trattava come se fossero suoi fratelli — ed erano i miei migliori amici. Rafe era piccolo, allora, ma aveva due sorelle più vecchie: Thyra e Marjorie…»
Mi fermai, perché era inutile parlare. Non sarei riuscito a farle capire di me e Marjorie. Aprii la finestra e gettai via la sigaretta; la vidi roteare su se stessa, sempre più in basso, finché non sparì, portata via da un improvviso soffio di vento.
Perso in quei ricordi, mi ero dimenticato di Callina. Ora sentii la sua voce.
«Che cosa intendeva fare, precisamente, con quegli esperimenti?» mi chiese.
Quello era un terreno sicuro, su cui non correvo il rischio di venire travolto dai sentimenti.
«Che cosa ha sempre cercato di rubarci, ogni traditore?» chiesi. «I terrestri cercano da decenni di conoscere i segreti della meccanica delle matrici, e non solo quelle poche nozioni che usano i loro “meccanici” autorizzati, nella Zona Terrestre.
«I Comyn, però, sono incorruttibili, e perciò Kadarin sapeva che i terrestri l'avrebbero ricompensato generosamente. Con il potere della matrice, riattivò alcuni dei punti attivi, e mostrò ai terrestri alcuni poteri di Sharra. Ma alla fine tradì anche i terrestri, e aprì un buco nello spazio, una porta tra i mondi, per usare a scopo personale tutto quel potere…»
La voce mi si incrinò.
«Maledetto Kadarin!» mormorai. «Maledetto sempre, quando dorme e quando è sveglio, adesso e quando sarà morto, qui e in tutti gli altri mondi!»
Mi ripresi subito, però, e continuai, con voce più pacata: «Lui ha ottenuto il potere che voleva, ma io e Marjorie eravamo ai due poli di potenza, e…»
Scossi la testa. Che altro potevo dire? Parlare della fiamma che si era scatenata su due mondi, del fuoco infernale? Di Marjorie, che aveva fatto da polo, sicura di sé, priva di ogni timore, e che improvvisamente era caduta a terra, colpita da quella potenza terribile?
«Io mi sono staccato dalla matrice e sono riuscito a chiudere di nuovo la porta. Ma Marjorie era ormai…»
Incapace di proseguire, mi lasciai scivolare su una sedia e mi coprii gli occhi con la mano. Callina si inginocchiò accanto a me e mi posò la mano sulla spalla.
«Lo so, Lew. Lo so», mi disse.
Ma io mi voltai con ira verso di lei.
«Lo sai?» le chiesi. «Ringrazia tutti i tuoi dèi di non saperlo!» dissi con rabbia. Poi, tradito da quei ricordi, appoggiai la testa sul suo petto. Callina aveva ragione: lei sapeva. Aveva cercato di salvarci tutt'e due. Marjorie le era morta tra le braccia.
«Sì», dissi. «Il resto lo sai.»
Avevo una forte pulsazione alla testa, ma sentivo il battito del suo cuore, attraverso la soffice seta della sua veste da Guardiana. I suoi capelli sulla mia faccia sembravano polvere di fiori. Sollevai la mano e le strinsi le dita.
Lei alzò la testa e mi fissò.
«Siamo solo noi due, Lew, contro tutto questo», mi disse. «Il Reggente è tenuto per giuramento a obbedire al Consiglio. Derik è un imbecille, e Regis è troppo giovane. I Ridenow e l'Ardais si afferrerebbero a qualsiasi cosa che potesse dare loro il potere: si venderebbero alla stessa Sharra, se pensassero di poterlo fare senza pericolo! Da solo, non puoi fare niente. E io…»
Mosse le labbra, ma non ne uscì alcuna parola.
Dopo qualche istante, continuò: «Io sono una Guardiana, e potrei disporre del potere di Ashara, se volessi usarlo. Ashara mi darebbe la forza sufficiente a dominare l'intero Consiglio, se glielo lasciassi fare, ma io… non voglio essere una marionetta in mano sua, Lew, non voglio essere solo una sua pedina! Il Consiglio mi tira da una parte, Ashara dall'altra. Beltran non può essere peggiore di loro!»
Ci abbracciavamo come due bambini spaventati dal buio. Il suo corpo era morbido, tra le mie braccia. La strinsi più forte; poi il suo tentativo di protesta si spense in un bacio. Non cercò di resistere quando la sollevai e la baciai di nuovo.
All'esterno, l'ultima traccia rossa del tramonto sparì dietro i monti e nel cielo nudo cominciò ad ammiccare qualche stella.