17. La cittadella di Penultimo

Il quarto giorno Roxanny gli disse di camminare.

— Ci vuole ancora un giorno — replicò Louis.

— Lo so, ma la diagnostica dice che sei quasi guarito. Vantaggi della gioventù, immagino. Luis, i soldati escono dall’automed quando devono combattere e al diavolo la diagnostica. Non ne patiscono.

Louis fu tentato, ma… — Che fretta c’è, Roxanny?

— Wembleth dice d’avere trovato una via d’ingresso.

— Ah.

— Abbiamo una aviobici. Non volerà, senza di te. Pare che Proserpina sia riuscita a farla volare in automatico, ma io non so farlo. E lei non è tornata…

— Dov’è Hanuman?

— Nella foresta a ingozzarsi di frutta, credo. Perché?

— Ha bisogno di qualcuno che badi a lui.

— No, non ne ha bisogno. Luis, non so che cosa fa il jolly, ma non starà via per sempre!

Così Louis uscì dall’automed. Zoppicò, reggendosi con la mano sulla muscolosa spalla di Roxanny, fino all’aviobici, dove Wembleth aspettava. Sentì piccole fitte di dolore alla gamba sinistra, all’anca e alle costole.

— Quest’affare tre li porta? — chiese Roxanny.

— Certo. Wembleth si può appollaiare nel centro. Lascia a me il sediolo anteriore. — Si accomodò sul sedile, torcendosi con cautela per trovare la posizione meno dolorosa. Wembleth si sistemò fra lui e Roxanny. C’era poco spazio e l’ispida pelliccia del nativo sfiorava il collo e le orecchie di Louis.

— Wembleth, cos’hai trovato?

— Un sentiero nella foresta.

Stet, mostramelo — disse Louis e decollò.


Non era simmetrico né timidamente artistico. Aveva l’aspetto di una montagna, come il Cervino, tutto piani inclinati di pietra scura, con un dilagante scintillio da migliaia di finestre. Una vasta prateria circondava la base e terminava in un dirupo verticale. La prateria era un piano inclinato d’oro e di nero: linee e archi di erba nera in un campo color oro.

— Che ve ne pare? — chiese Louis.

— Il nero sta morendo — rispose Wembleth.

— Il nero è un colore assurdo per una pianta — disse Roxanny. — La clorofilla scarta tutta la luce verde. E se una pianta la consumasse tutta? Ce ne sono alcune, nello spazio conosciuto.

— Sì, ma anche Wembleth ha ragione. Sembra… scrittura erosa, in parte cancellata. E questa? Ingegneria genetica. Penultimo l’ha piantata a scopo decorativo. Non è resistente come l’erba, il frumento o chissà cosa.

Dall’alto il dirupo pareva artificiale. Louis spinse più vicino l’aviobici, poi rasentò il bordo.

— Fermerebbe le scimmie delle pianure — disse Roxanny. — Non un’aviobici.

— Già. Ti senti fortunata? I difensori sono…

— Territoriali, sì, Luis. Wembleth, manca molto?

— Procedi più lentamente. Verso l’alto.

Louis salì ancora. — Qua — disse Wembleth, quando si trovarono lungo il bordo del dirupo. — A sinistra, tribordo.

L’inclinata piana erbosa sarebbe stata un prato, estensione a parte. Schemi cambiavano di continuo nella enorme distesa. Vento? Louis prese in prestito gli occhiali ingranditori di Roxanny. Con quelli distinse migliaia di creature somiglianti a pecore gialle. Più avanti la barriera rocciosa era crollata. Il terriccio superiore si era riversato giù.

— Terremoto? Wembleth, nel Ringworld cosa provoca terremoti?

Wembleth si strinse nelle spalle e allora Roxanny disse: — Meteore?

— Non vedo nessun cratere.

— Allora pensa a questo, ragazzo. Qui abbiamo la fortezza di un difensore. E se un altro difensore avesse voluto entrare?

— Molto, molto tempo fa — disse Louis. Un’intera ecologia, molteplici varietà di erba e una foresta di alberi piumini aveva invaso sassi e terriccio caduti. — Ma quella pista è recente.

Iniziava con una serie di crateri bruciacchiati fra gli alberi sotto il pendio invaso di erbacce che era stato un muro. I puntini sparpagliati diventavano una linea di terra carbonizzata di fresco che correva su un prato e risaliva sulle pareti ricurve della cittadella stessa.

— Non ci sbagliavamo, pensando a difese — disse Louis. — Qualcosa ha risalito il pendio e le armi l’hanno tempestato di colpi per tutta la strada. Wembleth, come hai trovato questa pista?

— Roxanny mi ha mandato a dare un’occhiata qui intorno. Il pendio pareva pericoloso. Qualcosa avrà pure fatto tutti quei danni. Mi sono arrampicato su un albero per avere una visuale migliore. Guarda, continua fino a quei buchi nel muro.

— Seguiamo la pista e siamo al sicuro — disse Roxanny. — Tutte le trappole esplosive sono già scattate.

— Ne sei certa? Bene, allora non ricorrerò allo scudo sonico.

— Hai una sorta di scudo? Stet, mettilo in funzione!

— Era una battuta. Roxanny, è una follia entrare. Quello è il castello di un difensore. Impossibile dire a quale gioco… come l’ha chiamato Proserpina?

— Penultimo. Il difensore che ha preceduto l’ultimo in questo mare di mappe. Là dentro potrebbe esserci un milione d’anni di miracoli. Luis, non possiamo tornare indietro proprio ora.

È facile essere codardi quando non si può combattere e non si può correre. Louis guardò dietro di sé alla ricerca di un alleato. La postura di Wembleth, ansioso e impaziente quanto Roxanny, lo spinse a proseguire. Accese la sacca sonica. Non poteva vederla funzionare, perché non si muovevano a velocità anche minimamente vicina a quella del suono.

Animali scuri avevano fatto il giro intorno alle pecore, nascosti sotto l’erba. Ora rifluirono dritti verso l’aviobici, ringhiando come pazzi. Avevano l’aspetto di lupi assatanati. Di sicuro avrebbero bloccato un Homo habilis che si fosse avventurato fin lì. Louis li sorvolò a bassa quota e seguì il sentiero.


Era tempo di sorprese, dopo secoli di prevedibilità. Proserpina riportò alla base la nave magnetica e scoprì che tutti erano spariti, insieme con l’aviobici. Trovò Hanuman fra gli alberi da frutto. Non sapeva della scomparsa dell’aviobici, ma ebbe lo stesso sospetto di Proserpina. Corsero insieme alla nave magnetica e decollarono verso la cittadella di Penultimo.


Nel sentiero di distruzione che Louis seguiva trovarono punti dove le stesse difese di Penultimo avevano eliminato lo spesso muro di pietra e lasciato in piedi, o a terra intatte, le finestre. Queste ultime erano esagoni all’incirca delle dimensioni di un uomo. Più resistenti della pietra. Diamanti?

Louis si accorse di sensi meccanici che lo sorvegliavano. Spinse l’aviobici in un varco grande come un veliero.

Furono colpiti dal suono. Era quasi una lingua, un milione di voci rabbiose che lanciavano grida incomprensibili, smorzate dalla sacca sonica. Poi ci fu la luce, attenuata dagli occhiali ingranditori che Louis aveva dimenticato di togliersi. Dietro, Wembleth e Roxanny avevano chinato la testa e lacrimavano. Louis cercò il riparo più vicino: un buco fuso in un secondo muro. Pareva troppo piccolo per la sacca sonica. Louis la spense, urlò per il rumore, varcò il buco, la riaccese. Il rombo diminuì, la luce si attenuò.

Si trovavano tra una confusione di macchinari, in un corridoio largo venti metri e molto più alto. Alcuni macchinari erano alti e scheletrici, come quelli dell’edilizia. Diversi parevano ancora da completare. Il posto sembrava il laboratorio di Armonista o di Bram, ma con più roba.

Roxanny disse: — Mi auguravo che chiunque sia passato di qui abbia fatto saltare le difese. — Si strofinava gli occhi. Wembleth pareva a posto. Però…

— Che puzzo! — si lamentò Roxanny. — Come in un circo!

Aveva ragione, anche se “Louis” non poteva conoscere i circhi. Wembleth disse: — Puzza come carnivori alla caccia di troll. Non capisco.

Era terribile anche se la sacca sonica ne teneva fuori una parte. Louis chiese: — Giaguari del pianeta Pak? Questo potrebbe spingere via i riproduttori, al pari delle luci e del rumore. Mi chiedo cosa ci senta un difensore. Quel puzzo di folla non lavata potrebbe riferirsi ai figli di qualcun altro, a milioni di loro. Forse mille difensori rabbiosi hanno questo odore. Ecco cos’è, un avvertimento per difensori.

— Anche per noi — disse Roxanny. — È ora di…

Wembleth saltò giù dall’aviobici, cadde per un metro e atterrò piegando le ginocchia. Corse, serpeggiando fra macchine e parti di macchine, seguendo la linea di pavimento fuso. Si girò a guardare l’aviobici e agitò allegramente il braccio.

— Stavo per dire che è ora di andarcene — concluse Roxanny. — Ma seguiamo pure Wembleth. Il suo esatto percorso, Luis. Niente scorciatoie. Credo che abbia ragione; dovremmo anche tenerci bassi per non essere presi di mira. E non avvicinarci troppo.

Stet - brontolò Louis. — Non ha senso essere presenti quando qualcosa cremerà il povero bastardo.


Le cicatrici di esplosioni guidarono Wembleth a una svolta del corridoio, poi si alzarono su una parete. Wembleth non poteva proseguire a piedi. A segni li invitò a scendere e si arrampicò fra loro sull’aviobici. Puntò il dito. — Lassù.

La pista di esplosioni si era aperta un varco, in alto. Louis guardò Wembleth e Roxanny. Lei si strinse nelle spalle.

Non c’era nessun riparo. Louis portò l’aviobici dritta in alto, varcò la breccia e si abbassò. Un raggio… non un laser, un getto di plasma… colpì il varco dopo che loro furono passati e li seguì fin quando non si rincantucciarono in un labirinto di rampe. Il muro crollò sotto la furia del getto di plasma, una decina di metri troppo in alto per danneggiare l’aviobici.

Erano nel cuore della falsa montagna. La cavità era in gran parte spazio vuoto traforato da un labirinto di enormi rampe. Louis si chiese non fosse studiato come luogo di addestramento per guerrieri. In questo caso era anche altro. Come aveva immaginato Roxanny, c’erano meraviglie. Qui una fila di rozze macchine sospese mediante levitazione magnetica o gravitazionale. Là raggi di luce in una foschia di polvere. Dove le rampe s’incrociavano, c’erano cannoni o gruppi di strumenti. Parevano tutti rovinati dal calore.

Louis fu tentato di allontanarsi dalla pista di distruzione. Roxanny aveva ragione, qui un mucchio di cannoni erano stati ridotti a pezzi… ma lui percepiva ancora sensori che lo cercavano. Più tardi?

Sorvolò una rampa distrutta fino a una scalinata annerita. Era sciocco supporre che una trappola mortale non fosse ripetuta, eppure l’ottimismo di Roxanny pareva funzionare. Un’arma a proiettili li innaffiò di pezzi metallici, ma la sacca sonica li deviò tutti, finché Louis non riuscì a far passare l’aviobici sotto una rampa. Lasciò il sentiero per girare intorno a un muro crollato. Qualcosa esplose con un bagliore luminoso. Il suono arrivò appena a loro.

— Aspetta — disse Wembleth. — Cos’è quello?

Era una zona di guerra illuminata come un ologramma pubblicitario. Un mucchio di macerie, simili a una pila di frittelle, era crollato nel bagliore, molle ma non del tutto fuso. Un tempo era stata una catasta di servizio di Armonista. Un attacco laser contro una parete più in alto rispetto a loro bagnò di luce perlacea le macerie. Mentre si avvicinavano, si estinse. La catasta riluceva ancora di calor bianco, nera in cima. Le piastre levitanti non avrebbero più funzionato dopo un simile trattamento. Il disco passatoio in cima alla catasta…

Neanche a pensarci. — Fine della pista — disse Louis.

— Già — disse Roxanny. — Direi che è ciò che abbiamo seguito e direi che era armato. Laggiù… — indicò il fondo della scalinata — cosa vedete?

— Altri macchinari fusi. — Uno scintillio di lenti. — Cannone laser?

— Un pacchetto armi e scudo. Posto come cappello su quella… quella torre. Avrà sparato a qualsiasi cosa lo attaccasse…

— Meno una, Roxanny. L’ultima lo ha centrato.

— Quell’ultima arma si è spenta dieci secondi fa! Tutto ciò che ha cercato di danneggiarci è danneggiato. Luis, Wembleth, abbiamo la perfetta occasione per esplorare!

Pareva un po’ troppo fortuito per risultare credibile. — Hai detto che si è spenta. E se stesse solo sfrigolando?

— Il tuo punto?

— Torniamo a casa. Ci manteniamo sulla pista, ma fotografiamo ogni cosa. Studiamo ciò che abbiamo ottenuto. Mostriamolo a Proserpina, se non possiamo risolverlo da soli…

— Louis, così cosa otteniamo?

— Forse un’altra via per entrare. Roxanny, hai un’idea migliore?

— Usciamo e guardiamo intorno. Luis, a piedi sembriamo riproduttori. Lo siamo, in fin dei conti. Non credo che le difese spareranno a un riproduttore a piedi.

— I riproduttori sono nudi. Ci spogliamo?

— Tu sei già nudo.

— E tu sei già schizza. — Eseguì un’inversione per tornare indietro. L’ultimo raggio al plasma aveva praticato un bel buco nella parete. Fino al pavimento. In uscita sarebbero stati più sicuri che in entrata.

Wembleth strinse la spalla a Louis. — Guarda. Piante.

Molto in alto, fogliame grondava dai bordi di una rampa. Pareva un posto assurdo per un giardino.

— Conosciamo una via d’uscita — insistette Louis. — Una sola.

Roxanny gli strinse forte il braccio, cercò di blandirlo. — Cosa c’è che non va, Luis? La rampa è larga come un’autostrada. Portaci su. Se ci attaccano, scendiamo di nuovo e torniamo sulla pista sicura. D’accordo? Va’ su dritto.

Le rampe non avevano ringhiere. Louis non lo disse. Roxanny lo giudicava un codardo e lui non lo sopportava. Portò su l’aviobici.

Non furono attaccati. Una giungla verde si riversava ai lati della rampa superiore.

— I cannoni non spareranno nemmeno contro le messi — disse Roxanny. — Quella era la provvista di cibo di Penultimo.

— Su questo non sai niente. Metti a rischio tre vite!

— Gli agenti della ARM lo fanno, Luis. È la nostra ultima occasione per apprendere qualcosa senza che Proserpina lo sappia. E Proserpina non è il mio ufficiale superiore! Portaci là, Luis.

— Nella giungla?

— Sì.

Iniziò a virare e qualcosa li trovò. La sacca sonica rintoccò come una campana e continuò a rintoccare. Louis gridò. Spense il motore e si augurò che Roxanny avesse avuto ragione. L’aviobici precipitò. A mezz’aria Louis perdette i sensi.


Dal momento in cui fu in vista della Cittadella, la nave magnetica fu osservata. Proserpina lavorò per smorzare le lunghezze d’onda che si riflettevano sulla nave. Mentre si avvicinavano alla montagna, qualcosa entrò: proiettili crepitarono verso la nave magnetica, poi virarono. Lampi di luce esplosero verso di loro e virarono anch’essi. Hanuman continuò a pilotare. Poteva fare solo quello, mentre Proserpina difendeva la nave.

La pista non era in dubbio. Hanuman si augurò che la detec Gauthier avesse seguito la catena di panorama smozzicato. Anche se l’avesse fatto, sarebbe potuta morire ih cento modi diversi, insieme con i suoi compagni.

— Sono vivi? — chiese.

Proserpina non rispose. I suoi campi staccarono delicatamente una sezione di muro. C’era una parete interna e lei staccò anche quella. Luce lampeggiò e svanì. Hanuman vide una sorta di alveare. Proserpina entrò.


Louis si sentì circondato da robuste braccia che lo deponevano su una superficie piatta. Aveva male dappertutto.

Conosceva quei dolori: le ferite che stavano guarendo, più un colpo alla mascella e un ronzio nelle orecchie. Aprì gli occhi. Roxanny deponeva Wembleth nel sediolo anteriore. Wembleth sanguinava dal naso e dalle orecchie.

— Sei sveglio? — gridò Roxanny. Louis riuscì appena a sentirla. — Su, aiutami. — Lo tirò su. Stava cercando di agganciare Wembleth al modulo medico. — Noi avevamo protezioni antiurto, lui no. Potrebbe essersi rotto la spina dorsale o il collo. Guarda, perde sangue dal naso.

— Anche tu — gridò Louis.

Roxanny lo guardò. — Tu, pure. Immagino sia l’effetto sonico. Tanj, è morto?

Louis, sostenuto da Roxanny, terminò di collegare Wembleth al modulo medico. Vide accendersi spie luminose. — È vivo — disse. — Traumi in tutto il corpo. Quando si sveglierà, si sentirà come me.

— Gli inietta droga di vita, vero?

L’antico marchio… — Sì. Non ha mai avuto prima la droga di vita. Credo sia vecchio, Roxanny. Consumerà l’intera provvista.

Tanj. Quella era la mia provvista. D’accordo, Luis, metti mano ai comandi.

— Non si può volare in questa posizione. Bisogna occupare i sedioli.

— Lo so. — Gli posò le mani sulla cloche e sulla tastiera. Accese il sostentamento. Poi diede a Louis una forte spinta sul petto. Lui volò all’indietro nel vuoto. Cadde per due metri e finì sulla roccia. Fu inondato da un mare di dolore. Non riusciva a respirare. Vide l’aviobici alzarsi ed esitare.

— Tu sei Louis Wu — disse Roxanny, sporgendosi dal sediolo di poppa per guardarlo negli occhi. — Hai 250 anni. Eri servo di un Burattinaio di Pierson, finché non hai cambiato padrone, e non starò a descrivere chi servi adesso…

Gemendo, Louis rotolò sulle ginocchia, poi riuscì a tirarsi in piedi. Protese la mano, ma l’aviobici si librava fuori portata. Eppure i comandi avrebbero dovuto rispondere solo alla sua mano. Forse Proserpina aveva violato il sistema di sicurezza per avere libero accesso ai comandi.

— Cos’è questa storia? — chiese Louis.

— Ho indotto Proserpina a dirmi tutto, ma l’avevo già sospettato, Louis. Ci sono troppe cose sbagliate nel tuo comportamento. Mi hai fatto passare per stupida…

— No, Roxanny, no. Mi piaceva farmi trattare da ragazzo, visto che ero di nuovo giovane. Nessuna responsabilità! Roxanny… — Era in fuga dalla ARM, ma non poteva dirlo a lei. C’erano altre cose che lei non poteva sapere restando libera. Disse: — Ti amo.

Roxanny indicò una massa ancora incandescente. — Cos’è quello?

— Una catasta di servizio. Piastre levitanti di… un’altra parte del Ringworld.

— E le armi? Quelle.

— Non so. — Poteva tirare a indovinare. Armonista di sicuro aveva perduto una catasta di servizio esplorando la Cittadella. Aveva munito di armi una seconda catasta e tentato di nuovo l’invasione, arrivando fin lì.

— E quella capsula argentea? Non poteva rispondere.

— Un disco passatoio dei burattinai, giusto? E scaglia in un altro spazio luce e proiettili e qualsiasi cosa li cada sopra. Quindi funziona ancora ed ecco perché funziona ancora…

— Pericoloso! Roxanny, non hai idea di dove porta!

— Su quante cose hai mentito! Non sono una bambina. — Lo scrutò. — Non ho creduto a Proserpina. Tu non facevi l’amore come un uomo più vecchio. Così ti ho messo alla prova e tu lo fai.

— Come potevi…

— C’era un maestro.

— Roxanny…

— Bene, a quanto pare qui siamo un bersaglio. Credo che ci proverò. — L’aviobici si sollevò, scivolò lateralmente.

La catasta di piastre levitanti rovinate risplendeva di un rosso opaco. La piastra in cima era argento opaco. Roxanny vi lasciò cadere l’aviobici e svanì.


Era capovolta e cadeva. Il fiato le uscì in un lungo grido muto. Cadde lungo roccia rossa, liscia, verticale, verso sabbia ocra molto più in basso. Al di là dei suoi piedi c’era il cielo blu scuro con riflessi rosa. Poi l’aviobici si raddrizzò e ricominciò a salire… ma il grido rimase. L’aviobici era emersa su Marte, con la sacca sonica spenta. Nel vuoto si grida, altrimenti i polmoni si lacerano.

Marte. Ridicolo. Folle. Ma lei conosceva quel posto, aveva fatto l’addestramento su Marte. Roteando, con i sensi trovò l’arco, mentre il Ringworld si levava su se stesso. Quindi non era pazza, quella era la Mappa di Marte nel Grande Oceano dall’altra parte del Ringworld. Anche così, lei e Wembleth sarebbero morti nel giro di minuti, in una atmosfera che sarebbe stata veleno, se non troppo rarefatta per avere importanza.

Il sangue che continuava a colarle dal naso ora spumeggiava. Wembleth aveva spalancato la bocca in un lungo urlo e stringeva i comandi dell’aviobici come per ridurre la velocità.

L’aviobici si posò sopra una singola piastra argentea come quella da dove erano partiti: un disco passatoio capovolto. Wembleth allungò la mano, tirando i tubicini che lo agganciavano all’automed dell’aviobici. Diede un pugno al bordo del disco passatoio. Saltò fuori una tastiera. Wembleth colpì con il pugno i pulsanti. Ruotò i comandi dell’aviobici e il velivolo cadde, ruotò, salì a toccare la parte sottostante del disco passatoio.

C’era aria e un bel cielo azzurro.

Roxanny inspirò aria, ansimò. Disse: — Perfetto — in un rauco bisbiglio. Abbracciò Wembleth. — Perfetto. Ci hai salvati. Quella cosa ci avrebbe inseguiti. Proserpina. E Luis. Louis Wu. — Dopo qualche momento sollevò la testa. — Hai solo colpito pulsanti a caso, vero? Chissà dove siamo.

Poteva vedere tutto ciò che c’era da vedere. Si trovavano in una minuscola isola nel mezzo di un mare piatto e calmo. La vegetazione consisteva solo in arbusti. Pareva un luogo sicuro per lasciare un disco passatoio e la catasta di piastre levitanti.

Roxanny alzò il coperchio a scatto e premette punti di contatto. — Ecco — disse. — E vediamo se ci trovano, adesso.


Louis barcollò verso la catasta di servizio. Avrebbe fatto meno fatica, se avesse avuto un bastone o una stampella. Si fermò dove il calore era troppo intenso. Doveva seguire Roxanny… ma non poteva avvicinarsi oltre. Si sedette per riflettere.

Saltare sul disco passatoio da una rampa più alta? Sì, stet. La catasta di servizio non sarebbe rimasta incandescente per sempre, ma avrebbe impiegato un bel po’ a raffreddarsi. Un giorno? Due? E lui avrebbe dovuto nutrirsi, nell’attesa.

Ancora un minuto e avrebbe iniziato a salire verso il giardino pensile.

Fu svegliato da spruzzi di luce. Si era appisolato o era svenuto. Senza sorpresa guardò scendere la nave di Proserpina. Raggi laser saettarono da una decina di direzioni. La nave tremolò. Poi tutti i laser morirono in palle di fuoco e la grossa nave si librò su di lui.

Hanuman, in tuta pressurizzata, emerse dal portello.

— Sono andati da quella parte — gridò Louis. — Devo raggiungerli, ma è troppo caldo. Aspetta!

Hanuman fece un salto, atterrò sul disco passatoio e svanì.

Che cosa l’aveva attivato, poi? Il calore del plasma? Un proiettile casuale? Qualcosa del genere, di sicuro. Perché mai Armonista avrebbe dovuto mandare lì una pila di servizio con il disco passatoio in funzione?

Vide Proserpina nel portello. Indossava una tuta pressurizzata. Le gridò: — Attenta, funziona ancora!

Proserpina si lasciò cadere sul disco passatoio e svanì.

La nave si girò, cercando alla cieca. Si alzò verso il foro nel muro, lo varcò e sparì.


Louis si domandò in quale guaio fosse finito. Era stato abbandonato da tutti. Non si era mai sentito così solo da quando… nemmeno lo ricordava. Roxanny l’aveva abbandonato. Come le avrebbe mai potuto spiegare… oppure lei capiva fin troppo bene? L’aveva considerata la sua donna, decisa dal destino, l’unica femmina di Homo sapiens in una distesa di tre milioni di pianeti.

Lei aveva preso l’aviobici. Proserpina aveva programmato la nave in modo che tornasse da sola. Lui era a piedi. Notizia buona e cattiva insieme. Era una lunga, fottuta camminata fino a una fonte di cibo, ma tutta in discesa. Non sarebbe morto di fame. Non sarebbe rimasto ucciso dalle difese di Penultimo, se credeva nell’analisi di Roxanny; sarebbe stato ritenuto un Homo habilis vagabondo. Era già quasi nudo.

Ma prima doveva trovare acqua. Ce ne sarebbe stata, per mantenere verde la vasta prateria. Ma ce n’era anche più vicino, a non molta distanza dalla sua testa. Scorgeva rampe che giravano intorno, salivano e portavano ai giardini pensili.

Cominciò a camminare. Niente gli sparò. Forse Proserpina aveva interrotto le restanti difese di Penultimo. Si riposò sempre più spesso. Ora strisciava addirittura. Un bel bastone da passeggio gli avrebbe fatto comodo. Forse nel giardino pensile avrebbe trovato un alberello. Poi sarebbe tornato a piedi alla base di Proserpina. Si sarebbe infilato nell’automed della ARM e avrebbe terminato di curarsi. E intanto avrebbe studiato che cosa fare dopo.

Riconobbe l’odore. Aveva trovato la provvista di albero-di-vita di Penultimo! Un bel colpo di fortuna, pensò confusamente, non essere atterrato con l’aviobici nel giardino pensile. Roxanny sarebbe rimasta contagiata. Aveva forse superato l’età… o forse no, considerati i decenni di droga di vita. Sarebbe diventata un difensore o sarebbe morta. Anche Wembleth ne sarebbe rimasto contagiato. L’elegante pelame bianco e nero dell’indigeno poteva anche essere un segno dell’età.

L’acqua sgorgava, si raccoglieva in una pozza sulla rampa e scorreva fra le piante. Louis guadò a quattro zampe il rivolo. L’acqua gli arrivava alla pancia. Louis si fermò solo una volta, quando capì d’essere ginocchioni su stoffa sgargiante: una sottana con un ologramma lungo l’orlo. Cavalli selvaggi in corsa ai piedi di formazioni rocciose tipiche del Wyoming, un giro continuo.

Impossibile sapere da quanto tempo fosse in fondo alla pozza. La buona stoffa non marcisce. Teela aveva avuto una gonna come quella, comprata in un negozio a Phoenix. E ora lui strisciava di nuovo.

Strisciò nel giardino, sgocciolando, tirandosi dietro la gonna. C’erano alberi: poteva tirarsi in piedi. Non c’erano solo alberi-di-vita. Vide frutta, fagiolini, pannocchie grosse come pugni… Si mise in ginocchio e cominciò a scavare. Estrasse una radice gialla, la ripulì dal terriccio e diede un morso. Era come masticare legno.

Un’azione doppiamente folle. Lui era troppo giovane. L’automed nanotecnologico di Carlos Wu l’aveva ringiovanito troppo. Lui non aveva motivo per interessarsi all’albero-di-vita. Poteva restarne ucciso. Continuò a mangiare la radice.

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