«Sono Sev Rawner» disse il vecchio. «Gurnil B-318. Accomodatevi, Sovrintendente. Avrete certamente bisogno di bere qualcosa.» Riempì una ciotola con mano ferma e uno sguardo che smentiva sia l’età sia la sua apparente cecità.
«Ho appena bevuto» protestò Forzon.
«Nelle taverne, questo non lo si trova. Assaggiatelo.»
Forzon l’assaggiò con prudenza, poi ne bevette con gusto un lungo sorso. «Che cos’è?»
«È l’elisir proibito» disse Rawner con un sorriso. «Un whisky fatto con i semi del wulnn, che è un albero kurriano, e se vi scoprono in possesso di questo liquore, vi appioppano, garantito, un viaggio di andata senza ritorno per un villaggio dei monchi.»
«Perché mai il re ce l’ha con il whisky?»
«Non ce l’ha col whisky. Anzi, ha una cantina privata che farebbe invidia a qualsiasi pianeta di questo settore. Non vuole che i suoi sudditi ne bevano, ecco tutto. Suppongo voglia mantenere la sua cittadinanza sobria e laboriosa. O forse vuol tenersi tutto il raccolto per sé.»
Forzon alzò un’altra volta la ciotola. «Questa roba è proibita… e non siete in grado di fomentare una rivoluzione?»
«È rara. Il cittadino medio non potrebbe permettersela, anche se fosse legalmente in vendita. Gli alberi del wulnn sono scarsi.»
«Piantatene di più.»
«Ci vogliono quarant’anni perché un albero cresca sino a produrre dei semi.»
«La Squadra B ne ha tutto il tempo.»
«No» Rawner scosse il capo tristemente. «Il tempo della Squadra B è finito. Non si può creare una richiesta di prodotto se non si mette in circolazione una quantità di questo prodotto sufficiente a farlo conoscere. Non vi sarebbe mai abbastanza di questo whisky per raggiungere lo scopo. Ogni volta che i ruff del re trovano un albero di wulnn fuori dalla riserva reale, lo tagliano. Gustatevi il whisky e cercate qualcos’altro per far scoppiare una rivoluzione. Hai bisogno di nulla, Hance?»
Ultman si versò una ciotola di quel whisky e lo mandò giù lentamente. «Ora non ho bisogno di nulla.»
«Denaro?» Rawner gettò un sacco di monete sul tavolo e Ultman si servì.
«E il Sovrintendente?» chiese Ultman.
«Ce ne occupiamo noi.»
«Va bene. Fatemi sapere qualcosa. Ci rivediamo, signor Sovrintendente.»
Ultman strinse la mano a Forzon, aprì un pannello nella parete e sparì in un corridoio buio. Il pannello si chiuse da sé silenziosamente.
«Ce ne andremo tutti fra poco» disse Rawner. «Joe crede che il suo gruppo sia pulito; ma temo sia solo perché i ruff del re non hanno cercato così avanti. Come vi sentite, nei panni di un ricercato?»
«È una sensazione nuova. Per voi suppongo, è una vecchia abitudine.»
«No. Niente affatto. Re Rovva si è sempre guardato dagli elementi sovversivi; ma, questa volta, ce l’ha proprio con la Squadra B. E Re Rovva non dovrebbe neppure sapere che esiste una Squadra B. Che ve ne pare?»
Gli porse un piccolo dipinto. Era un ritratto di Jef Forzon.
Forzon lo guardò con occhio critico. «Come esempio di arte pittorica non ne penso un gran che. È eseguito piuttosto rozzamente. La prospettiva è deplorevole.»
«Però è somigliante» Rawner osservò, tenendolo in luce e guardandolo con gli occhi socchiusi. «Che sia rozzamente dipinto è logico, dato che il pittore ha dovuto copiarlo molto rapidamente da un originale di un tipo nuovissimo per lui. Non lo riconoscete?»
«La foto del mio documento d’identità!» esclamò Forzon. «Come avete fatto a procurarvelo?»
«Un ruff andava in giro a far domande, con questo ritratto. Re Rovva probabilmente ha messo all’opera metà dei pittori del regno per sfornare le copie, ma questa è la prima che vediamo. Una fotografia d’identità dell’Ente…» Scrollò il capo. «Non c’è dubbio, questo pianeta è bruciato. Dobbiamo uscirne al più presto. Sfollare tutti gli agenti, voi per primo. Ogni ruff di Kurr vi sta cercando e voi non avete una seconda identità sulla quale ripiegare.»
«Non ho neppure la prima.»
«Vero, Non avete avuto il tempo di crearvene una. Paul sta per arrivare in volo e probabilmente intende riportarvi indietro subito con sé.»
Il guardiano gridò giù dalla scala: «Abbiamo visite. Joe sta salendo.»
«Benissimo» rispose Rawner. «Tutto a posto giù da te? Vieni su a bere. Sarebbe sciocco lasciare questa roba ai ruff.»
Riempì una ciotola per lui e un’altra per Joe, il grasso taverniere di pochi minuti prima, che entrò dal pannello nascosto nel muro. L’oste buttò giù d’un sol fiato la sua bibita, si asciugò le labbra e commentò: «Peccato. Questo posto mi piaceva».
Andò nella stanza accanto e tornò poco dopo, miracolosamente magro, con un abito diverso e una parrucca in mano.
«Hai bisogno di denaro?» disse Rawner.
«Ne ho parecchio» rispose il taverniere, aggiustandosi la parrucca. «Del vuol sapere se vi occorrono altri aggeggi per travestimento. Sta per chiudere bottega.»
«No, ne troveremo in abbondanza laggiù, dove siamo diretti. Digli di portare il cemento a spruzzo. Sa già cos’ha da fare. Ne bevete un altro, signor Sovrintendente?» Riempì la ciotola di Forzon e vuotò il resto nella propria. «Bevete, e andiamocene.»
Vuotarono le loro ciotole. Rawner si alzò e rimase fermo un minuto picchiando con il pugno nel cavo dell’altra mano. «Abbiamo fatto un sacco di buon lavoro, qui dentro» disse.
Aprì il pannello murale scorrevole. L’uomo chiamato Del era già arrivato e aspettava col vaporizzatore a pistola. «Questo cemento è davvero miracoloso» disse Rawner. «Fra trenta secondi questo pannello sarà parte integrale del muro. Non lo userei se sapessi di avere una probabilità anche minima di tornare qui.»
Joe, ora non più taverniere, fece strada con un lume acceso. Forzon lo seguì, degli altri agenti sbucarono dalla stanza accanto e dal piano di sotto unendosi a loro e si incamminarono in lunga fila per il corridoio oscuro sino al primo piano di una casa adiacente. Per più di un’ora seguirono una via tortuosa che li portò varie volte da una galleria sotterranea a un passaggio più elevato, poi sotto di nuovo. Emersero due volte sole in una delle stradine strette e buie di Kurra, che percorsero per qualche breve tratto. Il loro punto d’arrivo fu un appartamento arredato con gusto, nascosto sotto una cantina, e lì c’era un uomo ad aspettarli, seduto a un tavolo, contemplando con espressione avvilita una ciotola semivuota. Paul Leblanc.
«Pronto a partire?» chiese a Forzon.
Forzon si lasciò cadere sulla sedia e scosse il capo quando Leblanc gli spinse una ciotola. Chiuse gli occhi e si adagiò nella poltrona. Non aveva avuto un attimo di distensione da quel funesto istante, al festival, quando la musica di Tor si era interrotta. Le lunghe ore di ansia si facevano inevitabilmente sentire. Era esausto ma dentro di sé covava anche un rabbioso risentimento. Durante il cammino gli era venuto in mente, all’improvviso, che su quel pianeta egli era l’ufficiale più elevato in grado, che la responsabilità di tutto ciò che vi accadeva spettava, in ultima analisi, a lui, e che, con deplorevole debolezza, aveva ceduto la sua autorità a dei subalterni, permettendo che essi lo menassero qua e là con una sollecitudine zuccherina, più adatta a un orfanello smarrito.
«È lecito al sovrintendente coordinatore chiedervi che cosa sta succedendo?» mormorò.
«L’aereo è pronto e aspetta sul tetto. Avremo tutto il tempo di parlarne più tardi.»
Forzon scattò in piedi. «Parleremo ora» disse seccamente. «Ho l’impressione che stiamo facendo il gioco di Rastadt.»
«Può darsi, ma non abbiamo altra scelta. Il pianeta è bruciato.»
«Chi lo dice?»
«Rastadt…» Leblanc s’interruppe, fissando Forzon.
«L’avete veduto?»
Leblanc scosse la testa. «Il comunicato è stato registrato in mia assenza: “Pianeta bruciato, disponete immediato sfollamento tutto personale”.»
«In una questione di tale importanza, credo che il coordinatore avrebbe dato i suoi ordini di persona e avrebbe contribuito alla loro esecuzione. Dov’è?»
Leblanc non rispose.
«È lui che ha bruciato il pianeta» disse Forzon. «Lo ha fatto deliberatamente, e sa che lo sappiamo. Chi mi aveva combinato quella calorosa accoglienza kurriana? Chi ha passato sottomano al re l’informazione sulle dislocazioni della Squadra B? Chi ha dato la fotografia del mio documento d’identità da copiare?»
«D’accordo» disse Leblanc stancamente. «Ma non abbiamo scelta. Se un pianeta è bruciato bisogna andarsene. Il chi, il come e il perché, non importano. È in gioco un principio fondamentale e vitale dell’Ente.»
«Che cosa ha da guadagnarci Rastadt?»
«Nulla.»
«Pensateci bene. Abbiamo qui un coordinatore che ha fatto un gran pasticcio del comando affidatogli, che ha spedito rapporti fasulli al Comando Supremo per levarsi dai guai. Il Comando Supremo s’insospettisce e manda un sovrintendente coordinatore. Rastadt lo fa fesso facilmente, lo guida in un trabocchetto e torna in sede persuaso di aver risolto il problema. Improvvisamente riceve una comunicazione nella quale lo si informa che il sovrintendente ha raggiunto la Squadra B sano e salvo. Quando avete inviato quel messaggio?»
«Tre giorni fa.»
Forzon annuì cupamente. «Combina. Rastadt non è uno stupido e sa che voialtri non siete degli stupidi. L’unico modo per lui di salvarsi consiste nell’eliminare tutti quelli che sono a conoscenza del suo tradimento, eliminare cioè la Squadra B. Tutta, perché a quest’ora, tutti gli agenti avranno saputo del tranello che mi era stato teso. Egli ha deliberatamente bruciato il pianeta per distruggere le prove a suo carico.»
Leblanc disse pensoso: «Stavo facendo il mio giro d’ispezione solito, su a nord. Avevo notificato il mio itinerario. Forse non avrei dovuto, ma lo faccio sempre, è un gesto automatico, o quasi. Rastadt sapeva che sarei rimasto senza contatto col mio comando campale per una settimana almeno. Siccome lassù non c’era gran che di nuovo, la mia ispezione è terminata cinque giorni prima del previsto e al mio ritorno ho trovato il comunicato di Rastadt.» Si voltò. Gli altri si erano riuniti intorno al tavolo e ascoltavarto con attenzione. «Poiché sapeva che non sarei stato presente, per ricevere il comunicato, vuol dire che lo ha mandato solo per coprirsi le spalle più tardi. Lo userà per dimostrare che aveva il polso della situazione e che ci aveva avvisati con ampio anticipo.»
«Le dislocazioni che i ruff hanno perquisito erano tutte note a quei leccapiedi che Rastadt ci ha messo alle calcagna qualche anno fa» disse Sev Rawner piano. «I luoghi e le identità di cui quelli erano all’oscuro sono tuttora sicure.»
Leblanc annuì. «Purtroppo, rimane il fatto che il pianeta è bruciato. Dobbiamo sgomberare. Mi propongo di assumere il comando della base e mettere Rastadt e i suoi complici agli arresti in attesa di istruttoria formale.»
«Sei disposto a combattere?» disse Rawner. «Quelli sanno che li aspetta una condanna a lunghi anni di prigione. Forse non si arrenderanno facilmente.»
«Li superiamo in numero, quattro contro uno, e, anche se fosse l’universo, la Squadra B può farcela contro il quartier generale di qualsiasi base. L’unico problema è quello di trasportare tutta la Squadra B col solo aereo che abbiamo. Dobbiamo escogitare qualcosa.»
«Di quanti ricevitori a registrazione dispone la Squadra B?» chiese Forzon.
«Solo quello. Perché?»
«Facciamo finta di non avere ricevuto il comunicato di Rastadt.»
«Lo ripeterà appena ci metteremo in contatto con la base.»
«E allora non contattiamo la base.»
«Avrà già informato ufficialmente il Comando Supremo. Probabilmente è già in viaggio un’astronave per evacuare il pianeta.»
«E allora non presentiamoci per farci evacuare.»
Leblanc gli lanciò un’occhia gelida. «Che cosa avete in mente?»
«Dico che sul fatto che il pianeta sia bruciato, abbiamo solo la parola di Rastadt, e non vale molto. Per me no, non vale niente. Cosa accadrebbe se la Squadra B tagliasse ogni contatto con la base?»
«Rastadt crederebbe che ci hanno fatto fuori tutti.»
«E noi glielo lasciamo credere.»
«L’ERI non perde un’intera squadra operativa senza eseguire un’indagine.»
«Su un pianeta bruciato?»
«Il Comando Supremo ordinerà certamente un’indagine» disse Leblanc lentamente, «Supporrà che vi siano dei superstiti, e naturalmente farà tutto il possibile per portarli fuori. Lo farà, tuttavia, con molta prudenza,»
«Come si ritrova, ora, la Squadra B?»
«Un po’ alle strette, ma non importa, Abbiamo tutti varie identità. Riusciremo a stare a galla tutto il tempo necessario. Sarà una ritirata ordinata e non un fuggi fuggi.»
«Non ci ritiriamo» dichiarò Forzon. Alzò gli occhi su un cerchio di visi turbati. Ripeté con tono di sfida: «Non ci ritiriamo.»
Leblanc protestò. «Voi siete il sovrintendente coordinatore; ma nessun ufficiale ha il diritto di contravvenire ai principi fondamentali dell’Ente,»
«A quale stadio si considera che un pianeta sia bruciato?»
«Quando gli indigeni…»
«Quanti indigeni sanno che la Squadra B opera in Kurr?»
Nessuno rispose.
«Non c’è dubbio che Rastadt abbia fatto lega col re» disse Forzon. «Sembra incredibile che abbia potuto spingersi fino al tradimento, solo per conservare il posto di coordinatore; ma non è il momento di sviscerare i suoi moventi. Il re sa che siamo qui; ma quanti indigeni lo sanno? Il re ha forse fatto affiggere dei proclami per avvertire la popolazione che dallo spazio c’è stata un’invasione in Kurr?»
«Non credo che vorrebbe farlo sapere ai suoi sudditi» concedette Leblanc.
«Giusto. Il pianeta non è bruciato, e dubito che Rastadt abbia premura di informare il Comando Supremo che lo è. Poiché il suo obiettivo è quello di eliminare la Squadra B, non vorrà che ci sia una indagine, finché non sia certo di essere riuscito nel suo scopo. Nel frattempo… be’, abbiamo tempo.»
«Tempo per che cosa?»
«Tempo per compiere la missione della Squadra B.»
«Per compiere…» Leblanc lo guardò esterrefatto. «Ah!» esclamò, improvvisamente raggiante. «Avete un piano. Eccellente!»
«Ma io…»
Leblanc scattò in piedi. «Chiudete ogni stazione nota agli uomini di Rastadt e curate che ogni agente da loro conosciuto cambi identità. Rastadt può essere in ascolto radio, pertanto non si effettueranno comunicazioni radio fino a nuovo ordine. Useremo l’aereo, per piazzare i nostri corrieri nelle province esterne, e saranno sempre in anticipo di parecchi giorni sui ruff del re.»
«Gli uomini di Rastadt conoscono questo posto» disse Rawner.
«Ce ne andiamo all’istante. Io sarò da Ann col Sovrintendente. Tu, Sev, spedisci i corrieri e torna da me a riferire.» Prese la mano di Forzon e la strinse con entusiasmo. «Questo si chiama pensare in modo positivo! Se facciamo al Comando Supremo il regalo della democrazia in Kurr, non gli interesserà più di sapere se il pianeta era o non era bruciato.»
All’alba erano seduti intorno al tavolo in casa di Ann Cory, un piccolo appartamento con una sola finestra, più in alto delle mura della città. C’erano Leblanc e Sev Rawner i cui occhi spalancati come quelli dei ciechi impressionavano sempre Forzon, e c’era pure Karl Trom, un uomo corpulento, dal forte odore di segatura, che portava lunghissimi guanti di cuoio e una giacca che pendeva davanti come un lungo grembiule.
Ann Cory, sempre nei panni di una vecchia megera, entrò nella stanza senza farsi sentire, si guardò intorno sorpresa e disse a Forzon: «Non mi avevate riconosciuto!».
«C’era poca luce» disse Forzon. «Di giorno avrei riconosciuto il vostro nasino all’insù a dispetto di tutte le rughe che ci mettete intorno!»
Era forse un’impressione, ma gli parve di vederla arrossire. Ann sparì dietro un paravento e riemerse nelle vesti di una robusta matrona dal viso rosso.
«In parole povere» disse Leblanc, e la delusione vibrava in ogni parola «non avete un piano.»
«In parole povere, è così» ammise Forzon.
«Probabilmente mi aspettavo troppo. Siete qui da troppo poco tempo per scoprire dove sta la difficoltà. Io pensavo, però, che un punto di vista totalmente diverso…»
Forzon spinse indietro la sedia e si avvicinò alla finestra. Un’alba magnifica stava sorgendo davanti ai suoi occhi meravigliati ed egli rimase per qualche istante ad ammirarla, rapito, prima di notare il silenzio imbarazzato che regnava alle sue spalle nella stanza. Gli altri lo guardavano con curiosità perplessa.
Si mise a lato della finestra e disse con un gesto largo: «Sarò felice di dividerlo con voi.»
«Dividere che cosa?»
«Il sorgere del sole.» Si agitarono nervosamente.
«Venite a vedere» disse Forzon.
«Veramente, io non capisco…»
«Guardate!»
Ognuno si mise a turno davanti alla finestra, alzò le spalle e tornò al suo posto. Ann rimase più a lungo degli altri guardando il sole, e con la coda dell’occhio scrutando Forzon, poi lasciò la finestra.
Forzon disse duramente.
«Molto male. Avete guardato tutti ma nessuno ha ammirato.»
«C’è un nesso fra questo e il piano che ancora non avete?» disse Leblanc.
«C’è un nesso col fatto per cui nessuno dei piani della Squadra B abbia mai funzionato. La Squadra B non ha mai capito la gente di Kurr. Non la capirà mai, fintanto che i suoi agenti non troveranno il tempo, ogni tanto, di ammirare l’alba.»
«Dovrei probabilmente chiedervi di spiegare il vostro pensiero, ma abbiamo davvero delle cose più importanti da fare che giocare agli indovinelli.»
«Ve lo spiegherò comunque» disse Forzon. «Da questo punto dove sono adesso, io vedo tutta una compagnia di guardie allineata sulle mura, a contemplare il sorgere del sole. A ogni finestra visibile da qui ci sono dei volti, che contemplano il sorgere del sole. Quando la popolazione è toccata così intensamente da qualcosa, è doveroso che la Squadra B ne prenda nota. Quanti agenti della Squadra B erano al festival del re, ieri sera?»
«Ne abbiamo sempre diversi fra il pubblico.»
«In qualità di informatori, per avvisarvi se succede qualcosa d’insolito» disse Forzon ironicamente. «Ma quanti vi si recano per godersi lo spettacolo?»
«L’osservazione dei fatti è parte importante del nostro mestiere» protestò Leblanc. «Ieri notte abbiamo saputo ciò che era accaduto a Tor pochi minuti dopo la fine dello spettacolo. Era la prima volta, a ricordo d’uomo, che un re di Kurr commetteva un’azione imprudente in pubblico, e voleva dire che Re Rovva era di un umore singolarmente infernale, anche per uno come lui. Sev ha avuto un sospetto e ha subito dato l’allarme. È per questo che non abbiamo perduto un solo agente.»
«Hai saputo perché il re ha commesso un’azione imprudente?» chiese Ann.
Leblanc la guardò in modo interrogativo.
«Ieri notte è sceso qui un aereo proveniente dal Larnor. Wace lo ha intercettato col radiofaro proprio per caso. L’abbiamo saputo adesso.»
«È venuto qui? A Kurra?»
«È sceso vicino. Probabilmente nelle riserve reali.»
«Rastadt» brontolò Leblanc. «Venuto a sguinzagliare il re contro la Squadra B.»
«Il re era in viaggio, tornava dal suo castello in riva al mare» disse Ann. «È arrivato a Kurra solo ieri nel tardo pomeriggio. Era la ragione del festival: festeggiare il suo ritorno nella capitale. Poco dopo il suo arrivo, i ruff hanno cominciato a fare domande in giro, col ritratto del sovrintendente, e nella serata il re era ancora tanto arrabbiato da perdere la testa in pubblico e inviare il più grande suonatore di torril di Kurr in una moncopoli. Scusate, Sovrintendente.» Sorrise dolcemente. «Dicevate che la Squadra B non capisce niente del popolo di Kurr?»
Sentendosi terribilmente ridicolo, Forzon non rispose.
«E voi invece sì» disse Ann continuando a sorridere dolcemente. «Mi interesserà molto di vedere quel vostro piano. Quanto tempo vi occorrerà per elaborarlo?»
«Non ne ho idea.»
«La questione urgente è dove lo potrà elaborare» disse Leblanc. «Non è ora il momento di stabilire per lui un’identità, con i ruff del re alle calcagna. Lo potremmo tenere in un posto sicuro; ma sarebbe come chiuderlo in un armadio. Non potrebbe neppure guardare dalla finestra, anche se gli piace ammirare l’alba. Non possiamo tenerlo a Kurra, e ritengo sarebbe peggio in campagna, dove gli stranieri si notano di più. Tranne… Ah! la Cultura! Sapete dipingere, signor Sovrintendente? Un pittore può andare dovunque, nessuno fa domande.»
«Io so dipingere» disse Forzon «ma la mia tecnica non è all’altezza di quegli artisti e dovrei fare un po’ di pratica, prima di saper usare quei colori. I miei primi tentativi saranno probabilmente un pasticcio.»
«I vostri primi tentativi dovrebbero essere perfetti. Cosa ci sarebbe d’altro? Potreste suonare il torril?»
«Potrei suonare come uno di quei bambini, nel villaggio dei musicisti; ma solo se avessi il tempo di esercitarmi, e se si trattasse di un bambino piccolo.»
«Temo che dobbiate rimanere a Kurra» disse Leblanc rassegnato «e questo non mi piace. Se perquisiscono una casa dopo l’altra, dovrete muovervi e per quanta attenzione facciamo, ci sarà sempre una possibilità di errore.»
«Dovremo tenerci in contatto con lui regolarmente?» disse Ann.
«No, se è in un posto sicuro. Ma dovrà essere un posto dove il fatto che egli non fa niente non attiri l’attenzione di nessuno, visto che non sa fare niente.» Forzon sussultò. «Così» soggiunse Leblanc «gli rimarrà tutto il tempo per elaborare il suo piano.»
«Conosco il posto adatto» disse Ann. «Mandiamolo in una moncopoli.»
«Molto divertente» disse Forzon. «E se sono tutte al completo, forse Re Rovva ha una stanza per gli ospiti libera nel suo castello.»
Ma Leblanc annuì, meditabondo. «Proprio quel che ci vorrebbe. Non potrebbe esserci posto più sicuro in tutto il Kurr. Purtroppo lo potrebbero far lavorare, e che cosa potrebbe fare?»
«Dagli un mestiere che al villaggio non possa servire.»
Leblanc schioccò le dita. «Valletto. Cameriere. Un cameriere non può essere di alcuna utilità nella moncopoli, e la giacca della livrea ha le maniche lunghe. Inoltre i servitori reali hanno la testa rasata e questo gli fornisce subito il travestimento di cui ha bisogno. Ecco, era un cameriere al servizio del re, ma ha lasciato cadere… vediamo un po’… un piatto di sullux. Tutti sanno che il sullux è il piatto preferito del re, e spargere un po’ di quel cibo costituisce una immediata iniziazione al clan dei monchi. Se al villaggio insistono per farlo lavorare, tanto meglio: avrà una scusa per imparare un nuovo mestiere. Però dovrebbe sapere qualcosa sull’arte di servire. Chi gli può dare qualche rapida lezione?»
«Clyde?» suggerì Ann.
«Fallo venire qui. Se la cosa gli fosse capitata… vediamo… la notte scorsa, subito dopo il festival, oggi sul tardi potrebbe mettersi in cammino. Lo faremo uscire dalla porta meridionale e le guardie gli volteranno le spalle. Una moncopoli è il luogo ideale per elaborare il suo piano. È praticamente il Kurr in edizione condensata. Il Kurr fermo nel tempo. Vi troverà persone d’ogni ceto, compresa della gente che ha avuto molti contatti personali con Re Rovva. Il Sovrintendente potrà sapere da loro tante cose e se gli vengono delle idee potrà sperimentarle da sé.»
«Non dimenticate la livrea.»
«Certamente. La giacca dovrà essere di una misura più grande perché avrà il braccio sinistro nascosto dalla giacca, e gli attaccheremo un falso moncone alla spalla. Signor Sovrintendente, sarà bene impariate subito a servirvi della sola mano destra!»