CAPITOLO XV

Non vi era a Kurra un’area sgombra sufficientemente ampia per ospitare tutti quelli che desideravano ascoltare le trombe. Pertanto, Tor, il giorno dopo, con molta scaltrezza, divise i suoi musicisti in cinque gruppi, quattro per i mercati e il quinto, che era anche il gruppo più numeroso, andò a suonare sulla piazza del castello. Osservando uno di questi gruppi da una finestra alta che dava sul mercato meridionale, Forzon notò con sorpresa che Tor aveva intuito la qualità visiva della musica trombettistica. I suoi uomini indossavano vesti scarlatte ampie e ondeggianti (l’agente del re si sarebbe mangiato le dita se avesse visto quanta parte della produzione di tessuti di lusso del villaggio era stata sperperata a questo scopo), si tenevano eretti, con le trombe alzate, e mentre suonavano facevano con i loro lucidi strumenti una specie di balletto sincronizzato di movimenti e musica. L’effetto pittorico era altrettanto sbalorditivo di quello sonoro.

La gente che affollava la piazza del mercato si lanciava, dopo ogni pezzo, in una frenetica dimostrazione di consenso e nonostante la distanza Forzon dovette alzare la voce per farsi sentire nella stanza. Disse: «I ruff non hanno mostrato di interessarsi a loro?».

Joe Sornel sorrise diabolicamente. «I ruff hanno altro da fare questa mattina. Sono tutti in cerca di voi. Si dice che quindici guardie di palazzo saranno avviate alle moncopoli appena le loro ferite saranno rimarginate, e se gli sbirri non vi trovano al più presto quei quindici avranno dei compagni. Non preoccupatevi. Il vostro piano a base di trombe funziona veramente bene, e i ruff non hanno il tempo di intervenire.»

«Funziona fin troppo bene» disse Forzon tristemente.

Leblanc fece irruzione nella stanza, tutto eccitato. La folla si era lanciata in un’altra dimostrazione frenetica ed egli, fregandosi le mani, attese che il rumore cessasse.

«Mi pare d’intravedere lo scopo del vostro piano» disse con un risolino. «Perlomeno credo di intravederlo. Ma penso che non vogliate dirmi…»

«Dirvi che cosa?»

«Non importa. Il re ha annunciato che questa sera si terrà un festival speciale, protagonisti principali i trombettieri.»

Forzon sgranò tanto d’occhi. «Il re ha… che cosa?»

«Indetto uno speciale festival. Andiamo in un posto dove si possa parlare.»

Forzon seguì docilmente Leblanc nello scantinato, dove musica e acclamazioni giungevano molto attutiti. «Il re ha ordinato uno spettacolo» ripeté Leblanc. «Per questa sera. I vostri trombettieri faranno la parte del leone nei numeri in programma. Ci sarà probabilmente una folla enorme, mai vista finora. Peccato che voi non possiate assistere.»

«È meglio che ve lo dica subito» disse Forzon rassegnato. «Il mio piano è un fiasco completo.»

«Ma che cosa vi aspettavate?»

«Non questo, certamente. Quanto tempo ci rimane prima che il Comando Supremo ci faccia sgomberare da questo paese?»

«Non ne ho idea, forse un’eternità. Sapendo ora che Wheeler è l’autore di questo pasticcio, dubito che il Comando Supremo sia stato minimamente informato. Quando ci ha annunciato che il pianeta era bruciato, era un inganno inteso a intrappolare la Squadra B. La mia ipotesi è che non abbia osato scriverlo in un rapporto, perché presto o tardi il Comando Supremo invierebbe un corpo di spedizione per sfollare tutto il personale dell’ERl, lui compreso. Ne sia certo. E ciò che accadrebbe poi non sarebbe piacevole per il Vice-Coordinatore Blagdon Wheeler.»

«Può avere escogitato qualche modo di farla franca.»

«Non vedo quale.»

«Una delle ragioni per cui Wheeler è così pericoloso» disse Forzon guardando negli occhi Leblanc «è questa: è facile sottovalutarlo. Se ha effettivamente un modo di farla franca, allora ha già spedito quella relazione. Nel qual caso ci rimane poco tempo.»

«Quanto ci occorre?»

«Il tempo necessario per concepire un altro piano e metterlo in atto.»

Fu Leblanc questa volta a sgranare gli occhi. «È stato il festival a sconvolgere i vostri piani? Ma che cosa vi aspettavate? Re Rovva è altrettanto appassionato di musica e d’arte quanto i suoi sudditi.»

«Anche di più. E questo non l’avevo previsto» disse Forzon seccamente.

Ann Cory portò loro la colazione. Questa volta era travestita da giovane massaia kurriana: un bel miglioramento rispetto ai travestimenti precedenti, pensò Forzon.

Lei fece un cenno col capo senza guardarlo, gli passò una ciotola di stufato e notò freddamente che la musica delle trombe era molto carina.

«Che cosa fate ora?» le chiese Forzon.

«Nulla» disse.

Distribuì il pane, riempì di cril i bicchieri, sistemò della frutta in una ciotola e uscì di corsa.

Leblanc se ne andò appena ebbe finito di mangiare e, quando fu uscito, Joe disse con un risolino: «Ann ha la coscienza sporca. Per giunta, Paul gliene ha dette quattro perché vi aveva piantato in asso laggiù. Stando agli ordini ricevuti, avrebbe dovuto rimanere con voi. In tal modo non vi sarebbe stato il censimento delle moncopoli e voi eravate al sicuro per un tempo indeterminato. La fuga della ragazza poteva costarvi un braccio o peggio. Questo ce l’ha sulla coscienza. Inoltre, Paul l’ha dispensata dal servizio attivo e l’ha messa ai lavori di cucina.»

«È un’agente troppo in gamba per occuparsi di cucina.»

«Certo, ma anche un buon agente deve ubbidire agli ordini, altrimenti dove andiamo a finire. Tuttavia, se volete farvela amica, datele un altro incarico. Il capo qui siete voi.»

«Non saprei che cosa farle fare» disse Forzon. «Ma ditele che per questa sera ha vacanza e che vada a vedere lo spettacolo. Ci andranno tutti.»

Joe sorrise e andò a fare l’ambasciata. Tornò indietro accigliato. «Ah! le donne! Ringrazia, ma dice di no. Ha già sentito le trombe. A meno che voi glielo ordiniate…»

Forzon scosse la testa. «Voi andate al festival?»

«No. Paul non vuole che rimaniate solo per nessun motivo. Sono di guardia io. Comunque, le trombe le ho già sentite anch’io.»

Forzon rimase ad attendere con Joe, sperando ancora di salvare qualcosa dal naufragio. Ma quelli che c’erano andati tornarono dal festival dopo mezzanotte dicendo che gli uomini di Tor avevano bloccato lo spettacolo: erano in testa al programma e quando il pubblico aveva rifiutato di lasciarli andare, dopo il loro numero, erano rimasti a suonare per il resto della serata.

«A Kurra nessuno parla d’altro che di trombe» disse Leblanc. «Non ho mai visto tale agitazione. Una delle porte cittadine rimarrà senza guardie questa notte. Devono essere usciti senza permesso per sentire la musica. Che cosa facciamo?»

«Nulla» disse Forzon. «Ve l’ho detto. La cosa non ha funzionato. Voi… avete un piano?»

«Io?» disse Leblanc sbigottito.

«E allora tocca proprio a me» disse rassegnato Forzon. «E non sappiamo neppure lontanamente quanto tempo abbiamo a disposizione. Ci dormirò sopra e domattina faremo una assemblea per vedere se gli altri hanno qualche idea.»

Ci dormì sopra fin tardi. Verso mezzogiorno Leblanc piombò nella sua stanza. In meno di un secondo Forzon si era svegliato e cercava l’uscita di sicurezza nella parete. Leblanc lo trattenne.

«Siete un mago!» disse col fiato mozzo o quasi.

«Che c’è adesso?» chiese Forzon.

«Il re ha partorito un editto proprio in questo momento: niente più musica di trombe. Tutti i trombettieri hanno l’ordine di tornare alle moncopoli. Orrendi castighi toccheranno a chi suona la tromba in pubblico e a chi l’ascolta. Era questo che volevate, non è vero?»

Forzon annuì. «Ma come diavolo… ma perché il re…? Se ieri sera ha onorato il festival della sua presenza?»

Leblanc alzò le braccia perplesso. «E qual è la prossima mossa?»

«Mandate un messaggio a Tor» disse Forzon. «Porgetegli i saluti del Datore delle Trombe. Fategli dire di scendere nelle strade di Kurra con i suoi uomini e di portarli al castello per porgere al re una supplica.»


L’architettura di un edificio presentava di solito una sottile differenza, agli occhi di Forzon, dopo che vi era stato dentro; ma il poderoso castello di pietra di Kurra rimaneva poderoso castello e basta. In effetti esso consisteva di un certo numero di edifici tutti collegati fra di loro, e mentre Forzon, di qua della piazza, lo esaminava attentamente, scoprì improvvisamente ciò che nell’architettura kurriana l’aveva turbato sin dall’inizio.

Era un’arte immobile. Il concetto architettonico della gente del Kurr era statico.

L’evoluzione dell’architettura kurriana derivata dalla curva degli alberi era passata ai muri curvi di legno delle case di campagna, poi si era rigidamente standardizzata in una tecnica severa che ripeteva nelle costruzioni di pietra le stesse svasature esterne dei muri di legno. In un castello, i muri sporgenti erano utili ai fini della difesa ma non era una buona ragione per costruire sullo stesso modello tutte le case del Kurr.

La situazione politica del paese era stabile da secoli, la popolazione era stabile, la tecnologia era arrivata a un punto morto. L’abilità degli artigiani era tale da rendere queste case praticamente indistruttibili. Duravano all’infinito. Perciò si costruiva poco e le scarse abitazioni nuove erano servili imitazioni delle precedenti, con sovrabbondanza di elaborati ornamenti.

Il guaio, nell’architettura del Kurr, era l’assenza di architetti. Non c’era lavoro per loro.

«Vedete qualcosa laggiù?» chiese Leblanc.

«No» rispose Forzon continuando a guardare il castello. «Ho solo fatto una scoperta sull’architettura kurriana. Non esistono architetti, solo costruttori.»

Si voltò e vide che tutti avevano gli occhi fissi su di lui e lo guardavano perplessi. «Come fate a pensare all’architettura in un momento come questo?» chiese Leblanc.

«Come fare a guardare un edificio senza pensare alla sua architettura?» rispose Forzon.

La piazza era già gremita di gente. Fatto incredibile: almeno un quarto della folla era costituito da donne e correva voce in Kurra che molte di esse avevano assistito la sera prima al festival travestite da uomo. Le trombe di Forzon stavano scatenando un tipo di rivoluzione che Forzon non aveva contemplato.

I bambini sbirciavano la folla da tutte le posizioni, molti erano affacciati alle finestre, altri formavano gruppi sui tetti. I tetti erano il dominio personale dei bambini di Kurra: facevano capriole e scivolavano sui tetti curvi, e le case, tutte legate l’una all’altra, permettevano loro di spostarsi da un punto all’altro della città su un terreno di giochi totalmente invisibile dalle strade sottostanti. Per fortuna non vi erano bambini sulla piazza. Quando una forza irresistibile si scontra con un oggetto immobile, vittime ce ne sono sempre, e Forzon si augurava che non fossero i bambini.

La notizia che il re aveva messo al bando i trombettieri e che questi si avviavano al castello, era volata attraverso Kurra come un vento improvviso e violento, che dapprima aveva spinto la popolazione a cercare riparo, poi l’aveva riportata nelle strade per parlare dell’accaduto. Gli agenti della Squadra B avevano fatto la loro parte nello spargere la voce, ma erano in pochi e non potevano essere stati loro a causare quell’istantanea marcia verso la piazza del castello.

L’unica ragione per cui tutta Kurra non si era addensata su quella piazza era la dimensione della piazza stessa. Le strade che vi sfociavano erano nere di gente fino al punto dove Forzon poteva giungere con lo sguardo. Tutti tentavano invano di spingersi sulla piazza.

La folla era insolitamente silenziosa. Studiandola con occhio critico dall’alto di una finestra, Forzon si sentiva come il chimico dilettante che ha mescolato a caso diversi elementi e vi ha attaccato una miccia. Ora la miccia bruciava, ma una volta arrivata in fondo, egli non aveva idea di ciò che sarebbe successo, forse un’esplosione, o forse solo una sbuffatina.

Sapeva troppo poco di quella gente. Aveva creduto di comprenderla ma la comprensione era inutile senza la conoscenza. La Squadra B possedeva la conoscenza, ma non ne capiva nulla. Insieme avrebbero potuto riuscire se avessero avuto il tempo.

Leblanc disse piano: «L’unica volta in cui ricordo di aver visto una folla comportarsi a questo modo, era su un altro pianeta, durante i funerali di un eroe nazionale. Che stiano realmente piangendo la morte della musica trombettistica?»

«Sono curiosi» disse Ann.

«Ma perché sono così silenziosi?» chiese Leblanc.

«Così sbigottiti, vuoi dire» disse Ann. «Quando mai qualcuno, a Kurra, ha presentato una supplica al re? Io dico che sono sbigottiti, però sono anche curiosi.»

«Sbagliate» disse Forzon. «Sono increduli… spero.»

«Increduli che qualcuno osi presentare al re una supplica?»

«Increduli sul fatto che il re abbia messo al bando i trombettieri. Non vogliono crederlo.»

«Lo sperate» aggiunse Ann asciutta.

«Forzon annuì, «Lo spero.»

Un lontano rumore di applausi giunse alle loro orecchie. La piazza divenne bianca per i visi che si voltavano. Stavano arrivando i trombettieri.

Avanzavano con tortuosa lentezza. La gente si spingeva e si schiacciava per lasciare aperto uno stretto corridoio che si richiudeva subito dietro i musicisti. Andavano a due a due, le cappe rosse svolazzanti, i lucidi strumenti alzati. Gli applausi non cessarono per tutto il tempo che occorse loro per attraversare la piazza. Sebbene la folla si scansasse per aprire un passaggio, la loro marcia già lenta si fece ancora più esitante in vicinanza del castello.

Si fermarono davanti a una facciata imponente. A quella distanza, parevano una piccola macchia scarlatta in un mare di colori misti. Il silenzio della folla era come un silenzio di morte. Leblanc guardava con il binocolo e mormorò: «Vedo il re. Nella grande finestra centrale. È il suo podio durante le sfilate.»

Non udirono la voce di Tor quando pronunciò la supplica, ma solo, quando ebbe finito, l’improvviso mormorio di approvazione della folla circostante. Il re apparentemente pronunciò una breve risposta. Ma di là della piazza non giunse sino a loro alcun suono. I musicisti quindi fecero dietro-front e cominciarono ad aprirsi un varco nella folla.

La miccia era bruciata fino in fondo facendo solo pfff!

«Ebbene, ho fatto cilecca» disse rassegnato.

«Cilecca!» esclamò Leblanc. «Ma vi rendete conto che questa è la prima volta, in quattrocento anni, che siamo riusciti a ottenere almeno una dimostrazione pubblica? Che cosa succederà poi?»

«Non lo so, a meno che…» Forzon si chinò più che poté fuori della finestra e gridò con tutto il fiato che aveva in gola:

«Musica!»

Leblanc gli fece eco immediatamente, urlando nell’orecchio di Forzon e facendolo sussultare al punto che quasi perdette l’equilibrio. Gridarono insieme: «Musica! Musica!» La folla sottostante seguì subito l’esempio e in un attimo l’urlo era diventato un tuono, un ritmico ruggito che riempiva la piazza.

«Musica! Musica!»

I trombettieri che tornavano indietro avevano raggiunto il centro della piazza, con i loro strumenti sempre alzati. Forzon li guardò con intensa aspettativa. Avrebbero sfidato il re mettendosi a suonare? In caso affermativo la dimostrazione avrebbe potuto ancora salvare qualcosa? O avrebbero rinunciato? Tor avrebbe osato?

Il cancello del palazzo si spalancò, riversando i ruff del re. Facendosi largo con le spade e le lance entrarono nella folla. Sul momento i cittadini sbigottiti si fecero da parte poi, con un clamore rabbioso, si lanciarono in avanti e cominciarono ad afferrare i ruff, gettandoli a terra, calpestandoli. Le armi catturate furono scagliate con gesto di sfida sulle finestre del castello. Per un po’ gli uomini di Tor rimasero immobili al loro posto, come un’isola scarlatta sperduta in un’alluvione, e guardavano la folla che correva intorno a loro.

Poi abbassarono i loro strumenti e al disopra del clamore pulsante della folla si udì il suono delle trombe.

Forzon si ritrovò solo nella stanza. Questo era il momento che da quattrocento anni la Squadra B aveva atteso, la crisi che si era preparata ad affrontare. Leblanc era già sceso in strada, a esortare la folla. Sotto la finestra di Forzon, Joe agitava le braccia e urlava a squarciagola, ma nessuna delle sue parole giungeva fino a Forzon. Il frastuono era diventato così assordante che copriva perfino le trombe. Gli uomini di Tor abbassarono i loro strumenti e rimasero in piedi, intontiti davanti al riversarsi di quella folla.

Al di là della piazza l’avanguardia furiosa dei cittadini aveva gremito il cortile del palazzo. Forzon dubitò che potesse forzare le robuste porte interne col solo peso del numero, ma toccava a Leblanc risolvere quel problema. Aveva la sua desiderata rivolta, ora la doveva utilizzare. Forzon si voltò e vide Ann in piedi accanto a lui. Scosse il capo e per un attimo rimasero a guardarsi sorridendo, poi la prese fra le sue braccia.

Improvvisamente un’ombra si stese sulla piazza e in quel momento la folla si immobilizzò e ammutolì. Migliaia di volti pallidi si alzarono a guardare il cielo.

Forzon si staccò da Ann e rimasero alla finestra a guardare ammutoliti la folla immobile e silenziosa.

L’ombra tornò. Un aereo scese lentamente sulla piazza a bassa quota, uno degli aerei silenziosi con i quali l’ERI manteneva i contatti con il Kurr. Alle orecchie di Forzon non giungeva neppure un ovattato ronzio mentre passava su di loro. Un momento dopo tornava e riprendeva a salire lentamente. Descrisse un cerchio al disopra del castello poi scese in picchiata.

La folla fuggì in preda a un indescrivibile panico. Una densa massa di popolo adunatasi in molte ore scomparve in pochi minuti. Quelli già entrati nel castello, troppo intenti a smantellare le porte, non avevano notato l’aereo; ma intuirono l’improvvisa mancanza di appoggio dal lato della piazza. Rinunciarono all’impresa e furono buttati dai ruff fuori del cancello. L’aereo si tuffò nuovamente e tutti si misero disperatamente a correre in cerca di riparo verso i vicoli stretti di Kurra. I ruff erano spaventati quanto i cittadini. Corsero come dannati verso il castello. Con rapidità sbalorditiva la piazza si svuotò interamente, tranne per alcune persone cadute durante la corsa. Rimasero a terra, immobili, e nessuno tornò indietro a soccorrerle.

L’aereo continuò a descrivere larghi cerchi e a scendere in picchiata. Per molto tempo, dopo che si fu svuotata la piazza, esso incrociò sulla città scendendo a bassa quota per inseguire i Kurriani in fuga sino alla soglia delle loro case. Infine risalì come una freccia, scosse le ali e scomparve.

Leblanc arrivò a casa senza fiato, con l’abito strappato e, sul viso, una brutta contusione che lo sfigurava. «Wheeler!» ansò. «È al castello; oppure ha qualcuno lì.» Tacque per riprendere fiato. «Wheeler…»

«I trombettieri si sono salvati?» chiese Forzon.

«Credo di sì. Wheeler…»

«È questo l’interesse che l’ERI mostra per la gente?» gli buttò in faccia Forzon. «Pedine che si muovono e poi si scartano quando il gioco è finito! Potreste avere ancora bisogno di quei trombettieri.»

Leblanc disse umilmente: «Certo che ce ne interessiamo. Ho mandato qualcuno a vedere se stavano bene. Ma Wheeler…» La sua voce si spezzò.

Erano arrivati gli altri: Joe, Hance Ultman, Sev Rawner. Tutti erano contusi e feriti, ma non avevano avuto il tempo di accorgersene. Avevano l’espressione stravolta di chi ha visto la fine del mondo.

Il mondo dell’ERI. Dopo quattro secoli di astuta clandestinità, un ufficiale traditore aveva improvvisamente e irrevocabilmente svelato la presenza dell’ERI, in pieno giorno, sulla capitale del Kurr, davanti agli occhi attoniti dell’intera popolazione.

«Mi spiace» disse Forzon. «Ho parlato senza pensare. I trombettieri non vi possono più aiutare. Al Kurr non serve più aiuto. Nessuna rivoluzione potrà mai riuscire fintanto che il re ha l’appoggio di Wheeler e dei suoi aerei.»

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