CAPITOLO XVII

Leblanc suonò l’allarme, abbaiò una parola di spiegazione, e tutti gli agenti disponibili si avviarono a uscire, anche Forzon.

Leblanc lo agguantò sulla porta. «Questo non è affar vostro!» gli ringhiò in faccia. Gli passò davanti e corse via, infilandosi fra il via vai della piazza del mercato.

Forzon ritrovò Ann alla finestra, che frugava sconsolatamente col binocolo la folla. «Io credevo che Rastadt stesse dormendo tranquillamente» disse sconsolata «e perciò ero andata a riposare.»

«Non è colpa di nessuno» rispose Forzon «o piuttosto è colpa nostra, mia e di Leblanc. Avremmo dovuto mettergli accanto un’infermiera giorno e notte invece di farlo vegliare da persone che lo potevano assistere solo nei momenti di libertà dal loro lavoro. Io credo che Leblanc abbia anche commesso uno sbaglio mandando tutti gli agenti alla ricerca di Rastadt. Questa non è neanche una ricerca. Dove potrà essere andato?»

Ann scosse il capo.

«Ha imparato il Kurriano abbastanza bene durante la prigionia da poter parlare con le guardie» disse Forzon pensoso «e poiché è un veterano ERI non sarà cosa nuova per lui trovarsi solo in un mondo estraneo. È forse meno sprovveduto di quanto pensiamo. Com’era vestito?»

«Con una lunga sottoveste e basta.»

«Be’ un uomo senza mani, in sottoveste… Non dev’essere difficile ritrovarlo, se i ruff non lo trovano prima. Un uomo privo di tutt’e due le mani dev’essere cosa rara, a Kurra.»

«Anche un uomo con una sola mano è cosa rara. I soli che la gente vede, si dirigono fuori città, al più presto. Tranne però…»

Si guardarono. «I trombettieri?» disse Forzon in un soffio.

«Lo prenderanno forse per un monco» disse Ann «e se delira ancora la gente penserà che è un trombettiere malato o ubriaco.»

«E lo riporteranno dagli altri trombettieri?»

«Forse. Ne prenderanno cura, comunque. I trombettieri sono gli idoli del momento.»

«Sapete dove stanno?»

Annuì.

«Allora andiamo.»

«Aspettate!» disse Ann.

Tornò dopo un minuto, miracolosamente camuffata da Kurriana di mezza età. Non era un miracolo di cui Forzon fosse entusiasta, pur riconoscendone a malincuore la necessità. A lui diede una mantella con cappuccio, e uscirono.

Erano passate quarantott’ore dalla portentosa visita dell’Uccello del Male e la vita a Kurra sembrava aver ripreso normalmente. Le strade erano affollate di pedoni, e lo stridore incessante della interminabile fila di carri e carretti lacerava i timpani. Si spinsero per un po’ contro la corrente del traffico diretto al mercato, poi Ann voltò l’angolo e presero un itinerario a zigzag attraverso vicoli più stretti e meno frequentati. Emersero in un’altra strada larga e Ann indicò a Forzon, in lontananza, l’abitazione dei trombettieri, proprio di fronte a loro. Si affrettarono a raggiungerla.

Improvvisamente Ann lo afferrò per il braccio: «Guardate dall’altra parte!»

Camminarono rapidamente lungo l’edificio, sino al primo incrocio e voltarono l’angolo.

«Che cosa c’è?» disse lui.

«Non avete notato? Le strade sono piene di ruff. Uno di essi vi guardava con molta insistenza.»

«Ho fatto qualche gesto sbagliato?»

«Avete lasciato scivolare sul collo il cappuccio. Quell’uomo ricorda forse il vostro viso dai ritratti che sono stati distribuiti a tutti.»

«Capisco. Allora è meglio che non mi faccia vedere. Andate da sola.»

«Paul mi scannerebbe se vi piantassi in asso. Comunque c’è un problema urgente: perché la strada in cui c’è la casa dei trombettieri è piena di ruff

Voltarono e si fecero strada lentamente fino all’arteria principale, guardando di soppiatto l’edificio mentre si spingevano fra la folla. Un carro era parcheggiato lì davanti, e il suo esg scalpitava con impazienza. Mentre raggiungevano il lato opposto della strada, quattro uomini emersero dall’edificio con un involto di cenci che gettarono nel carro. Dietro di loro due altri uomini armeggiavano con un altro sacco. L’involto era pesante. I quattro primi avevano portato il loro senza fatica, ma i due che venivano dopo barcollavano sotto il peso del fardello, e i loro compagni accorsero ad aiutarli.

Forzon e Ann si fermarono a breve distanza e si guardarono in faccia ammutoliti. «Che sarà?» disse Forzon.

«Non lo so.»

«La sagoma di quegli involti è molto suggestiva, e anche il loro peso. Anche voi sospettate ciò che sospetto io?»

«Sì. I poliziotti hanno invaso questa sede. Portano via i trombettieri uno per volta, nascosti in un sacco di stracci.»

Forzon la prese per il braccio e tornarono correndo sino all’incrocio.

«In due non li possiamo fermare» protestò lei. «Ma dobbiamo avvisare Paul… cercare aiuto…»

«Non sappiamo neppure dov’è. Venite!»

Arrivati all’angolo esitarono. Un secondo carro si era fermato rumorosamente dietro il primo e attendeva; dei ruff arrivavano barcollando con un altro sacco, e Forzon, guardandolo attentamente ebbe l’impressione che si muovesse. La folla dei pedoni non vi badava. I carri che caricavano e scaricavano erano uno spettacolo normale nelle vie di Kurra.

Forzon fermò un giovane, gli mostrò il carro col dito e gli gridò nell’orecchio: «Stanno portando via i trombettieri!»

Il giovane si voltò di botto e lo guardò incredulo. I poliziotti scaricarono il loro sacco, l’esg diede uno strappo e il carro si mosse.

Forzon fermò un altro passante: «Portano via i trombettieri!» gridò. «Lì, in quel carro! Portano via i trombettieri!»

«Trombettieri!» gridò il giovane.

«Trombettieri!» gridò Forzon. «Nel carro… trombettieri!»

La parola trombettieri, così come lo strumento, era estranea al Kurr. Forzon aveva adoperato quella, senza pensarci, nel villaggio dei monchi, invece di coniare un’espressione indigena. Gli uomini di Tor l’avevano portata con loro a Kurra e i Kurriani l’avevano adottata insieme alla musica.

A quest’ora era diventata una parola magica. Fermò tutti quelli che la udirono. Trombettieri? Dove? La folla si addensò alle spalle di Forzon e invase la strada. I passanti che dovettero superare il crocchio udirono la parola trombettieri e si fermarono. Quando il pigro esg giunse all’angolo fu costretto a fermarsi perché una fitta barricata di pedoni gli sbarrava il passaggio. La parola volò su tutta la strada creando altri ingorghi di traffico e in un attimo tutta la strada fu bloccata.

Nello strano silenzio che seguì Forzon gridò con quanto fiato aveva in gola: «Portano via i trombettieri! Sono in quei carri, nascosti nei sacchi. Il re fa portar via i trombettieri!»

«Il re fa portar via i trombettieri!» gridò Ann.

Forzon stava per ricominciare: «I trombettieri…» quando un panno gli volò sulla testa incappucciandolo saldamente. Delle mani robuste gli afferrarono braccia e gambe e fu alzato malgrado si difendesse e urlasse sotto il panno che lo accecava, e fu portato via. Un attimo dopo, strettamente legato, fu gettato in un carro. Il carro si mosse, lo scricchiolio gli nascose gli urli che si alzavano dietro di lui. Non sapeva se avevano preso anche Ann, se ne accorse più tardi dopo che i cancelli del palazzo si chiusero dietro di loro e che gli tolsero il panno che gli avvolgeva la testa.

«L’ho fatta grossa» disse accorato.

«Zitto! Bisognava farlo.»

«Non avrei dovuto trascinarvi in questa faccenda. Dovevo intuire che i ruff avrebbero tentato di scoprire gli agitatori.»

Una guardia urlò un ordine ed essi tacquero e attesero.

Il cortile era gremito di guardie, chiamate ovviamente per prendere in consegna il numeroso carico di trombettieri, e che perciò parvero indecise sul da farsi trovandosi invece di fronte a due cittadini dall’aspetto innocuo. Un ufficiale andò a informarsi, poi tornò per chiedere al conducente del carro di quali offese erano sospettati Ann e Forzon.

Alla fine furono spinti lungo i corridoi del castello, illuminati dalle torce, e su per le rampe scoscese sino alla sala delle udienze. Forzon aveva la triste sensazione di non esserne mai uscito. Le guardie meravigliate lo riconobbero. Furono condotti attraverso la lunga sala sino al podio del trono sul quale sedevano due uomini. Uno di essi, Gasq, lanciò a Forzon un’occhiata trionfante. L’altro era Wheeler.

«Stupido!» gli disse quest’ultimo in galattico. «Dovevi avere il giudizio di star lontano dalle strade. Ora non mi servi più a nulla. Non so che farmene di te. Proprio nulla. In quanto a te…» Il suo cipiglio scomparve. «Sei Ann, vero? £ un piacere inaspettato. Non contavo che tu adornassi il mio reame.»

«Non contarci neanche adesso» ribatté la ragazza.

«Ma sì, invece» disse con compiacimento. «Non cercherò neppure di salvare Forzon. Re Rovva è arrabbiato, oltre ad essere morto di paura, e bisogna ingraziarselo. Che si prenda Forzon. Voi no. Sareste sprecata.» Gasq cominciava a brontolare, lamentandosi che non capiva e Wheeler tornò a conversare in Kurriano. «Non abbiamo segreti per voi, caro amico Gasq» protestò Wheeler. «È solo che ci viene più facile parlare nella nostra lingua. Vi ricordate il Sovrintendente Forzon, non è vero? Ha voluto giocare per le strade e ficcare il naso in cose che non lo riguardavano, e così lo abbiamo ripreso. La donna invece è una innocente viandante, ne sono certo. Daremo un cicchetto ai soldati che l’hanno portata qui. Be’… no, ripensandoci. Non la voglio lasciare andare, almeno per ora.» Rise. «Le troverò qualche impiego. Che c’è adesso?»

Gasq era balzato in piedi e correva alla finestra. «Sono tornati!» ansò.

Wheeler lo raggiunse. Stette a guardare fuori per un attimo, poi alzò le spalle e disse allegramente: «Hanno la memoria più corta di quanto immaginavo.»

Forzon fece un cenno ad Ann ed entrambi si avvicinarono a una finestra. Le guardie non dissero nulla. Li seguirono e guardarono anch’essi incuriositi.

Oltre la piazza le strade erano nere di gente e Forzon capì che le rivoluzioni erano di molti tipi: quelle che esplodono, e quelle che salgono lentamente, come un’onda di marea… Questa fluiva con la lenta ostinazione della marea ascendente… L’avanzare di quella fiumana era così costante che la gente non pareva muoversi.

Era una rivoluzione. Quella di prima era stata solo un assembramento fortuito che per caso si era tramutato in sommossa. Ma la folla di adesso, invece, insorgeva con decisione. Le strade e i vicoli gremiti sfornavano nella piazza del castello masse compatte di Kùrriani e rimanevano sempre gremite. La marea avanzava costantemente e nessuno dubitava che la sua ineluttabile spinta potesse arrestarsi prima di aver raggiunto la marea di acqua alta, fosse questa situata sul tetto del palazzo o su un punto oltre la luna di Kurr. Quando la folla fu più vicina si videro delle correnti in movimento, all’interno della sua massa, che si traducevano in coraggiose punte esplorative e, subito dietro, il resto della folla scattava per raggiungerle. Il silenzio che aveva tanto sorpreso Forzon quando guardava la folla di là dalla piazza, ora, con la folla che avanzava nella sua direzione, pareva carico di minaccia. Le donne erano meno numerose della prima volta e, cosa ancor più grave, nessun bambino era venuto a curiosare.

«Ma che cosa vogliono?»

Re Rovva era entrato senza essere notato. Diede un’occhiata alla piazza e indietreggiò. Terrore? Rabbia? Forzon non l’avrebbe potuto dire. Le guardie, Gasq, Wheeler fecero il loro inchino di prammatica e il re gridò nuovamente: «Che cosa vogliono?»

Come per dargli una risposta, qualcuno nella folla lanciò un urlo:

«Trombettieri!» Altri seguirono e presto tutta la piazza echeggiò fragorosamente di quel grido. Non era un urlo, era un ringhio.

«Dove sono i trombettieri?» chiese il re.

Gasq fece un cenno a una guardia che si precipitò. Tornò e fece un gesto negativo.

«Liberateli!» ordinò il re.

«Non sono qui!» protestò Gasq debolmente.

«Non dovevate portarli qui?»

«Sì…»

«Dove sono?»

Nessuno lo sapeva. Il rapimento dei trombettieri, così accuratamente architettato, si era arenato da qualche parte lungo le vie di Kurra. Forzon guardò di soppiatto Ann che trattenne un sorriso. Il diffondersi delle voci aveva fatto sì che il tentativo di rapimento apparisse come un fatto compiuto e i cittadini avevano subito marciato sul castello per obbligare il re a rilasciare i suonatori di tromba… che invece non c’erano.

Il re si voltò con gesto d’accusa verso Wheeler: «Mi avevate detto che non sarebbero tornati!»

Wheeler alzò le spalle. «Questo non l’ho detto. Ho detto che sarebbero tornati se voi non prendevate serie misure contro quegli stupidi trombettieri. Ovviamente i vostri servi hanno sbagliato il lavoro ed eccone il risultato. Calmatevi. Provvedo io. E la prossima volta che vorrete un lavoro ben fatto, chiedetelo prima a me.»

Uscì dalla sala. La folla continuava a ringhiare: Trombettieri!

Ann afferrò il braccio di Forzon. Proprio sotto di loro, un uomo veniva alzato a spalla dai dimostranti.

Rastadt.

Si era procurato nel frattempo una lunga gonna kurriana che indossava sopra la veste. Il colletto slegato svolazzava liberamente ed egli alzava i suoi miseri moncherini in segno di sfida. Probabilmente gridava qualcosa ma il rabbioso coro copriva la sua voce.

Ann toccò ancora col gomito Forzon. Il re aveva visto Rastadt. Indietreggiò come uno che si trovi improvvisamente di fronte all’angelo vendicatore e finì per rifugiarsi in una poltrona, sopra il podio.

Per la prima volta si avvide della presenza di Forzon. «Venite qui» gli gridò. Pareva più una preghiera che un ordine. Forzon si avvicinò, seguito dalle guardie, e fece l’inchino rituale. «Siete voi che avete dato loro le trombe. Perché?»

«Era solo una distrazione innocua. Eccellenza» disse Forzon. «Gli abitanti dei villaggi dei monchi ne avevano un gran bisogno.»

«Innocua!» gracchiò il re. Indicò le finestre. «Potete mandarli via?»

«No, Eccellenza. Vogliono i trombettieri.»

«Non sono qui!»

«Avete architettato di farli portare qui» disse Forzon arditamente. «Agli occhi del popolo la vostra colpa non è minore, anche se l’impresa è fallita.»

«Il Grande Uccello li disperderà» mormorò il re. Congedò Forzon con un gesto. Forzon si inchinò un’altra volta e raggiunse Ann.

«Wheeler è andato a trasmettere un S.O.S. chiedendo l’aereo.»

«Lo so.»

Continuarono a guardare e ad aspettare, chinandosi più in basso che potevano per scrutare il cielo in cerca dell’aereo.

Wheeler tornò. Il re balzò in piedi e gli urlò in faccia:

«Quando arriverà?»

«Ci sarà un po’ di ritardo,» rispose Wheeler.

«Di ritardo?»

«Calma» disse Wheeler con un sorriso. «La situazione è sotto controllo. Io sono qui. Ma ciò che non riesco a capire» continuò «è perché non abbiano paura. Due giorni fa il Grande Uccello li ha spaventati a morte. Dimmi, Forzon. Tu pretendi di conoscere il popolo di Kurr. Perché non hanno paura? Non si rendono conto che una dimostrazione come questa può far tornare l’Uccello?»

Il re intervenne vivamente: «Sì, sì… Perché non hanno paura?»

Forzon rispose, con un mezzo inchino: «Sono passati due giorni, Eccellenza. La gente ha avuto il tempo di riflettere e avrà pensato che l’Uccello del Male, pur sembrando terrificante, in effetti non aveva causato alcun danno. Ci sono stati dei cittadini feriti, alcuni sono stati uccisi, ma non per opera dell’Uccello. Gli uccelli del Kurr non molestano la gente, perché questo dovrebbe farlo?»

Continuò pensoso: «Mi sono chiesto perché lo hanno chiamato Uccello del Male. Sanno certamente che è del re, e tuttavia… Dal re non dovrebbe venire una cosa che è male. Per questo, forse, sono così arrabbiati, e se l’uccello torna un’altra volta, si arrabbieranno ancora di più.»

«Ancora… di più?» mormorò il re.

Wheeler rise. «Se fosse vero, del che io dubito, non avete motivo di preoccuparvi. L’uccello non verrà.»

«Non… verrà?»

«Quel cretino del pilota è andato alla base la notte scorsa per fare il pieno. Sta tornando, ma non sarà qui prima di un paio d’ore, troppo tardi per poterci servire. Forse è meglio così. Se hai ragione, dicendo che il popolo crede che l’uccello non gli farà alcun male, è ora che si persuada che qualcos’altro glielo può fare.»

Sfoderò un paio di pistole paralizzanti e le rimise in tasca.

«Vado ai cancelli del palazzo e faccio fermare subito questa assurdità.»

Si voltò per allontanarsi.

«Aspettate!» urlò il re.

Era dimagrito negli ultimi giorni. Le guance gli si erano afflosciate, il viso era flaccido e grinzoso. Aveva perduto il suo contegno e con esso la dignità. Balzò in piedi, con gli occhi infossati e sbarrati. «Voi…» disse puntando il dito nella direzione di Wheeler. «Siete voi che avete fatto venire l’Uccello che il mio popolo chiama ora il male del re.»

«E con quello ho salvato il vostro testone» disse Wheeler amabilmente.

«Mi avevate detto che i trombettieri si potevano arrestare nascostamente. Avete architettato voi quel piano! Avevate detto che bisognava imprigionarli.»

«E bisogna imprigionarli. Le trombe stimolano… Come hai detto, Forzon?… Gli istinti marziali del popolo. Bisogna eliminarli e vi saremmo riusciti se i vostri uomini non avessero pasticciato ogni cosa. La prossima volta me ne occuperò personalmente. E ora…»

L’ampio gesto del re abbracciò l’insurrezione montante, nella sottostante piazza: «Siete stato voi!» Lanciò un ordine.

Le guardie circondarono Wheeler.

Questi cercò di afferrare le sue pistole mentre lo acciuffavano, ma non riuscì a toglierle dalla fondina. Forzon fece un passo avanti, ma una decina di guardie gli impedirono di muoversi. Ann voltò il viso dall’altra parte.

Wheeler si divincolava. A dispetto di tutto, quell’uomo aveva coraggio. Si dimenò, mentre gli toglievano di dosso gli abiti, si trascinò disperatamente indietro, scalpitò, si difese col braccio destro mentre gli tenevano fermo il braccio sinistro. Non disse parola neppure quando balenò la sciabola. Poi il dolore lo rese pazzo e gridò loro delle oscenità, dando calci e colpendo il dottore che cercava di medicare il moncherino. Finalmente riuscirono a domarlo e lo portarono via. Delle guardie dal volto pallido pulirono in terra e scapparono.

Il clamore della folla si era fatto molto più forte e il fronte della massa premeva sui cancelli per sfondarli. Il re si era accasciato sul suo trono e rimaneva immerso nei suoi pensieri.

«Forzon, c’è un modo qualsiasi per fermarli?» gli chiese.

Forzon non si era reso conto di come fosse scosso, finché non tentò di parlare. Balbettò: «Non… ne vedo neanche uno.»

«Che cosa debbo fare?»

«Gli ultimi consigli che Vostra Maestà ha ricevuto non vi sono stati proficui» disse Forzon. «Vostra Maestà dovrebbe prendere questa decisione da sola.»

Il re si alzò e scese dal trono avvicinandosi a Forzon.

«Sto proprio diventando vecchio» disse piano. «Occorre un nemico per ricordarmi che io sono il re. Siete una strana persona. È difficile credere che voi e Blag siate della stessa razza. La differenza consiste nel fatto che voi non volete nulla per voi stesso. Al servizio di chi siete?»

«Del vostro popolo, Eccellenza.»

«E non potreste servire… anche me?»

«Solo nella misura in cui appartenete al vostro popolo, Eccellenza.»

«Io appartengo… al mio popolo» disse il re, pensoso. «E ciò che è utile al mio popolo è utile anche a me. Dobbiamo parlare ancora. Gasq.»

Gasq si precipitò.

«Io me ne vado. Subito.» Fece un gesto verso Forzon e Ann. «Portate anche loro. Fate presto. Parlerò ora al Capitano della Guardia. Appena saremo fuori, si apriranno i cancelli affinché il popolo si persuada che qui i trombettieri non ci sono.»

Uscì dalla sala.

Forzon disse sbigottito: «Perché se l’è presa con Wheeler e non con me?»

«Lo avete sentito» disse Ann. «Voi non chiedete nulla per voi. E non avete fatto l’errore di suggerirgli ciò che doveva fare.»


I carri reali erano squisiti esempi di ebanisteria; ma sobbalzavano con la stessa brutalità e scricchiolavano con lo stesso frastuono dei carri che adoperava Ultman per trasportare i tuberi. La carovana uscì da una porta posteriore del palazzo, ogni carro trainato da tre esg in fila; con meraviglia di Forzon, le pesanti bestie presero il trotto sin dall’inizio. File di soldati marciavano parte per parte. La gente che assistette alla loro partenza li guardò con indifferenza; era troppo distante per sapere ciò che accadeva sulla piazza davanti al castello, e nessuno si rese conto che il re fuggiva.

I carri passarono veloci per le vie deserte, varcarono una delle porte cittadine dove le guardie si accucciarono sull’attenti, e proseguirono per una strada a fondo naturale sollevando nubi di polvere. Secondo Ann, si dirigevano verso i possedimenti reali dove il re aveva la sua residenza di campagna e manteneva un’importante guarnigione. Vi aveva già spedito la regina e i giovani figli dopo la prima insurrezione.

Gli esg non mantennero quell’andatura molto a lungo; ripresero il loro normale passo pesante e i carri procedettero con lentezza attraverso le campagne del Kurr. A mezzogiorno raggiunsero un villaggio all’incrocio di due strade. Il re passava spesso da quelle parti e i contadini che avevano visto arrivare il corteo del re si erano già schierati per porgergli il benvenuto. Cibo e bevande furono offerti ai passeggeri rimasti nei carri, mentre la truppa accaldata si dirigeva sul villaggio per acquistare, con monetine sonanti, il vino di produzione locale. Il re fece chiamare Gasq vicino al suo carro e conversarono mentre il resto della carovana si faceva un comodo picnic.

Il tempo trascorreva. Lunghe file di soldati polverosi giungevano da sud lungo la via, sparpagliandosi dappertutto in attesa di ordini. Un altro contingente, più piccolo, arrivò a marce forzate dall’ovest.

«Ha inviato corrieri veloci dappertutto» commentò Ann. «Entro domani avrà raddoppiato le sue forze militari, e se gli lasciano tempo un settimana, queste raddoppieranno ulteriormente.»

Quando il re diede infine il segnale della partenza, la carovana si allontanò, ma di poco, nella campagna ondulata a sud del villaggio. Arrivati sulla cresta di una collina, il re fece schierare le sue truppe in posizione. Non era un ordine di battaglia ma una formazione di attesa, all’ombra dei radi boschetti. Dopo un po’ arrivarono i carri dal sud con le provviste e mentre le truppe si rifocillavano il re andò da un gruppo all’altro impartendo ordini.

Durante il viaggio sotto il sole cocente egli si era tolto le vesti regali. Camminava con passo energico, nella sua voce risuonava un accento di ritrovata autorità, e aveva gli occhi vivi e svegli.

Tuttavia, pareva triste. In ultimo si avvicinò al carro dove sedevano Ann e Forzon circondati dalle guardie. Forzon disse: «Credete che il popolo vi inseguirà?»

«Ci insegue già» disse il re. «Sarà qui tra poco. La mia gente…» Guardò impassibile l’orizzonte. «Avevo inviato dei messaggeri per avvisarli che i trombettieri non si trovano qui, che sono liberi a Kurra o, se non lo sono, li troveranno ed avranno la facoltà di suonare liberamente. Ciononostante, ci inseguono ancora. Temo seriamente che prima di perdonarli dovrò sconfiggerli in battaglia.»

Si allontanò.

Forzon disse: «Non sarà una gran battaglia. Le sue truppe sono ben armate, ben riposate e combatteranno sul terreno scelto da lui. Questa collina è troppo ripida per essere assalita da cittadini disarmati e accaldati dopo una lunga marcia. Credo che il re avrà occasione di esercitare la sua indulgenza.»

Ann non disse nulla e Forzon tenne per sé l’idea che, dopo questo scontro campale, Re Rovva sarebbe stato un uomo migliore e un re migliore.

Udirono la folla inseguitrice prima ancora di vederla. La udirono come un lontano, confuso ansimare che di tanto in tanto eruttava una parola: Trombettieri! Quando superò la cresta della collina dirimpetto, il re gridò un ordine alle sue truppe che si schierarono in ordine di battaglia.

«Guardate!» mormorò Ann. «Rastadt!»

Sempre portato a spalla, videro per un attimo la sagoma del coordinatore stagliarsi contro il cielo, poi la folla cominciò a fluire, si rovesciò dalla collina verso la valle. Avanzava con la stessa lenta determinazione con la quale aveva attraversato la piazza del castello. Riempì tutta la valle. L’avanguardia, con Rastadt in prima fila, cominciò a risalire la ripida china verso lo schieramento delle truppe del re, sempre avanzando con misurata, calma lentezza, sempre come l’onda della marea montante. Dietro l’avanguardia, la folla continuava a fluire di là dalla collina e scendeva a valle. Anche se la preda era stata avvistata, non vi fu alcun grido. Era una folla esausta, silenziosa, che continuava ad arrivare, muta fiumana di migliaia di persone.

“E se continua ad affluire in quella maniera” pensò Forzon, “può anche vincere. Non c’è schieramento di truppe che possa fermare una marea montante che ha dietro di sé l’oceano.” Più vicino, sempre più vicino giungeva la folla, e Forzon e Ann scrutavano attenti i volti che avanzavano, cercandovi i membri della Squadra B che non potevano mancare di esservi, e attendendo col fiato sospeso l’urto della battaglia.

Tutto si fermò.

I visi si voltarono verso il cielo, rauche grida si levarono dalle due parti e un aereo scese in picchiata, rimbalzò e si fermò a pochi passi dal punto dove stava il re.

Wheeler ne uscì, pallido come uno spettro, col moncone del braccio sinistro avvolto in panni insanguinati. Andò vacillando verso il re e mentre le guardie balzavano in avanti per fermarlo, si sforzò a star dritto ed eseguì un inchino. Il re d’un cenno fermò le guardie.

Wheeler fece un gesto con la destra per indicare qualcosa. La sua voce perveniva chiaramente fino a loro; offriva al re di disperdere la folla.

Il re gli rise in faccia.

Per la durata di un istante pieno di grandiosità, la figura tarchiata di Re Rovva, eretto, con le spalle dritte, ebbe un’aura di maestosità.

«Il mio popolo deve rispondere a me» disse «ed io a lui.»

L’attimo dopo era morto. Con la mano destra Wheeler brandì un’arma, si vide un lampo ma non si udì alcun rumore, e il re si accasciò. Wheeler, col viso profondamente segnato dall’odio, si voltò verso Gasq e il piccolo gruppo dei consiglieri, impietriti dal terrore. Le guardie, i soldati, la gente si stringeva sul pendio della collina e sembrava colta da paralisi.

Ann tirò Forzon per il braccio. La porta del carro scricchiolò leggermente quando l’aprirono, ma nessuno vi badò. Passarono senza difficoltà davanti alle guardie, attraversarono lo schieramento delle truppe e discesero la collina. Una figura nota venne loro incontro. Hance Ultman. Sorrise, strinse le loro mani, li spinse in mezzo alla folla.

«Inchinatevi al vostro re!» urlò Wheeler.

I ministri tremanti s’inchinarono.

Wheeler si voltò con grida acute verso i soldati più vicini: «Inchinatevi al vostro re! Inchinatevi a re Blag!»

I soldati s’inchinarono.

«È pazzo!» disse Ann.

«Che cosa gli è successo?» chiese Ultman.

Ann glielo disse, e aggiunse: «Aveva una stazione radio, dentro il castello. Dopo aver perso il braccio deve essersi messo in contatto con l’aereo che lo è venuto a prendere per portarlo qui, calcolando il momento esatto in cui il re avrebbe avuto più bisogno di lui… e il re, invece, non ha voluto aver niente da spartire con lui.»

«Pazzo» convenne Ultman. «E pericoloso.»

Wheeler aveva fatto un passo avanti, superando i soldati chini e riverenti, e si era portato sulla cresta della collina, a guardare la folla.

«Tornate a casa!» urlò improvvisamente: «Il vostro re ve lo ordina. Tornate a casa!»

Trascorse qualche istante di trepida attesa, mentre egli fulminava con lo sguardo la folla silenziosa, immobile. Di botto si voltò, disse qualcosa a Gasq e risalì sull’aereo. L’aereo si alzò, planò sulla valle, descrisse larghi cerchi, poi scese in picchiata.

La folla rimase immobile; tutti i visi erano rivolti, fissi, al cielo.

L’aereo descrisse un altro cerchio, scendendo così in basso che la gente l’avrebbe potuto toccare alzando una mano. Wheeler si chinò dal finestrino.

«La pistola paralizzante» ansò Ann.

L’aereo attraversò la valle planando lentamente, e nella sua scia la gente cadeva come il grano falciato. Tornò indietro e scavò un altro solco nella folla, poi un altro ancora.

Con un risolino interiore, Ultman si staccò dalla massa e si inginocchiò puntando la propria pistola sull’aereo che si avvicinava. Wheeler intento a scavare sotto di sé altri solchi non lo vide affatto. Ultman premette il grilletto. La falciata cessò improvvisamente. L’aereo accelerò, filando dritto davanti a sé e sfiorando quasi la cima della collina mentre i soldati del re scappavano come pazzi per togliersi di mezzo. A tutta velocità si tuffò nella valle adiacente e scomparve. Udirono una specie di tuono lontano, videro alzarsi uno stretto pennacchio di fumo.

Quando la folla inebetita dallo stupore ebbe finalmente il coraggio di muoversi, la collina era deserta. I soldati del re erano in fuga. Ann e Forzon andarono a vedere l’aereo caduto e Leblanc li trovò che tentavano di estrarre i due corpi dai rottami. C’era Wheeler e un pilota della base. Wheeler impugnava ancora la sua pistola.

«Non avrebbero dovuto schiantarsi» disse Leblanc. «Questo tipo di aereo non può fracassarsi, e anche se fosse caduto, il sedile si sarebbe espulso automaticamente. Purtroppo avevano escluso il circuito di sicurezza per poter scendere a bassissima quota onde usare il paralizzatore.»

«Se non altro, Wheeler è morto felice» disse Forzon. «È stato re di Kurr per ben cinque minuti. Come stanno i trombettieri?»

Leblanc annuì. «La folla li aveva liberati, ma si era sparsa la voce che il re li aveva fatti arrestare e naturalmente non volevo guastare le cose portandoli in piazza a dare un concerto mentre l’insurrezione cominciava in quel momento a prendere una piega interessante. Ordinai a Joe di tenerli in disparte.» Ebbe un risolino. «Non me lo perdonerà mai, poveretto. C’era finalmente una vera rivoluzione e lui era chiuso in uno scantinato. Sapete, noi ci preoccupavamo molto di voi. Tor ci aveva detto che una donna e un uomo avevano sobillato la folla gridando che il re faceva arrestare i trombettieri, ma non sapeva che cosa fosse accaduto a quei due.»

«Non ci è accaduto nulla» disse Forzon «ma io non sarò mai più lo stesso uomo.»

Una folla di indigeni si era raccolta silenziosamente intorno all’aereo e poco dopo arrivò anche Rastadt, sempre portato a spalla dai Kurriani entusiasti. Chiese di essere posato a terra e rimase a lungo a contemplare la salma di Wheeler.

«Non desideravo la sua morte» disse alla fine. «Volevo solo vederlo in corte marziale, volevo vederlo contorcersi.»

«Ha sofferto, un poco, come voi» disse Forzon.

Rastadt scosse il capo. «No. Io ho sofferto molto per un’infima colpa. Errore di giudizio… credete che avessi altre colpe oltre questa? Sì, errore di giudizio, e vecchiaia. E l’ho pagato.» Alzò i moncherini. «Ah, sì! l’ho pagato caro.»

«Anche Wheeler l’ha pagato» disse Forzon.

«No. Non abbastanza. La sua pena non gli è stata inflitta poco per volta, giorno per giorno nella scatola nera. Io non volevo la sua morte. Volevo vederlo contorcersi.»

Le lacrime solcarono il suo viso, si voltò e se ne andò barcollante come un cielo. I Kurriani gli corsero appresso, con protettiva premura.

Ann aveva parlato con loro, e disse piano: «Il coordinatore crede di aver fatto tutto lui.»

«Fatto che cosa?» chiese Leblanc.

«Rovesciato il re dal trono e compiuto la missione della Squadra B. È giunto barcollante sulla piazza mentre la gente marciava sul castello. Era debole e semidelirante. L’hanno preso con loro perché non si facesse male, lo hanno portato sulle loro spalle, in testa alla folla, e a poco a poco è diventato il simbolo di tutte quelle cose contro le quali il popolo insorgeva. E lui, guardandosi indietro continuamente, e vedendo tutta quella folla che lo seguiva, si è convinto di guidarla lui, di guidare una rivoluzione. In un certo senso aveva ragione. E ora è persuaso di aver fatto tutto lui.»

«Lasciamoglielo credere, allora» disse Forzon.

Leblanc annuì gravemente. «Andrà in pensione con tutti gli onori. Quando l’Ente per le Relazioni Interplanetarie scriverà la parola fine nella storia di un problema durato quattrocento anni, vi sarà gloria a sufficienza per tutti. E ora…» Sorrise. «È una strana sensazione, quella di non aver nulla da fare! I soldati del re e i ruff saranno radunati e controllati, ci sarà forse da dare una mano ai Kurriani, di tanto in tanto, accertarsi che non tornino a commettere lo sbaglio di darsi a un altro re. Da questo momento il Kurr appartiene al suo popolo. Sono curioso di vedere che cosa saprà farne.»

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