CAPITOLO XVIII

L’intendente di Settore Jef Forzon, e Ann Cory, Gurnil B-627, si sposarono nella fattoria di Leblanc, sulla penisola, con Tor e i suoi trombettieri per la parte musicale, in presenza di tutti i 207 appartenenti alla Squadra B. Il vice-direttore Smine, dell’Ente per le Relazioni Interplanetarie, arrivò in tempo per la cerimonia e, appena questa fu terminata, prese a parte Forzon e Ann e fece cenno a Leblanc di unirsi a loro.

«Mi spiace dover parlare di lavoro in un’occasione così festosa, Amministratore» disse pomposamente. «Ah!… Sapete che vi abbiamo promosso? Sì, il Comando Supremo ha studiato la vostra relazione e alcuni punti richiedono ulteriori chiarimenti. Mi hanno chiesto di venire a chiederli di persona. Capisco che questo non è il momento più adatto, ma devo essere sul pianeta Purrok fra tre giorni, e se non vi parlo ora…»

«Va bene» disse Forzon distrattamente. «Quali sono i punti che richiedono delucidazioni?»

Forzon non poteva distogliere gli occhi da Ann, bellissima sposa, nel suo ricco costume kurriano dai toni scuri, intensi e ricchi che mettevano in risalto l’oro dei suoi capelli. Era ben deciso a non lasciarla mai più travestirsi da signora di mezza età, neanche quando fosse diventata una signora di mezza età.

«Francamente, tutti…» disse Smine. «Al Comando Supremo non riescono a capire come si è servito delle trombe per suscitare una rivoluzione. Che sia una musica sbalorditiva, perfino io lo capisco; ma di lì a provocare una rivoluzione… andiamo!»

«Eppure non è complicato, signore» disse Forzon. «C’era un popolo eminentemente dotato per la pittura e la musica, e un re che aveva dimenticato di possedere una coscienza.»

Ann lo guardava con fierezza. Leblanc sorrideva. Il vicedirettore disse a Leblanc: «Voi lo capite?»

«Nossignore.»

«Allora non c’è da stupirsi se il Comando Supremo non ci riesce. Hanno perfino chiesto a uno della Sovraintendenza Culturale di spiegarglielo, e non è riuscito. Sarebbe meglio forse cominciare dal principio.»

«Ma l’ho fatto!» disse Forzon. «C’era da una parte un popolo, unico per le sue qualità artistiche e musicali, animato da sincera passione per la bellezza. Dall’altra c’era un re che aveva dimenticato di possedere una coscienza. Però bisogna ricordare che anche il re era Kurriano, con tanta passione per la bellezza quanto uno qualsiasi dei suoi sudditi. Questo è importante.»

«D’accordo, lo terremo presente» disse Smine seccamente. «Andiamo avanti.»

«Bene. Le indicibili crudeltà ordinate dal re erano inflitte solo a poche persone. Difficilmente avvenivano in sua presenza, e gli urli provenienti dalla camera delle torture non giungevano sino agli appartamenti del re. In entrambi i casi, egli non vedeva più le sue vittime. Aveva dimenticato di avere una coscienza perché la sua coscienza non era mai messa alla prova. E il popolo era propenso a passare sopra la sua limitata crudeltà fintantoché lo lasciava godersi tutta la bellezza di cui aveva bisogno. È stato solo nel momento in cui egli ha tentato di contrastare la passione del popolo per la bellezza, che c’è stata la rivolta.»

«Questo lo ricordo» disse Smine. «La donna e la veste sacerdotale. Non lo capisco, ma lo accetto.»

«Ci voleva però qualcosa che mettesse in conflitto la coscienza del re e la passione del popolo per la bellezza. Fu allora che diedi le trombe ai villaggi dei monchi. I Kurriani si innamorarono immediatamente di quella musica, e perché no? Anche poche note confuse su uno strumento del tutto nuovo li avrebbero affascinati, e i trombettieri di Tor suonavano splendidamente. Il re rimase di stucco tale quale i suoi sudditi. Il giorno in cui arrivarono i trombettieri lasciò da parte ogni altra preoccupazione, perfino il minaccioso problema della Squadra B, e rimase tutto il pomeriggio alla finestra ad ascoltare la musica. E non si rese conto che i trombettieri erano le sue vittime monche. Li vide solo da lontano, le ampie vesti celavano il braccio mancante, e non uno dei suoi cortigiani osò dirgli chi erano in realtà quei suonatori.

«Da buon re qual era, diede ai suoi sudditi ciò che lui e loro desideravano: ordinò una festa per far suonare i trombettieri. Fu solo quando li vide da vicino, dal palco reale, che capì chi erano. Questa sorpresa lo sbalordì a tal punto che rimase impietrito, seduto nel suo palco lasciando che suonassero per ore e ore.

«Ma, una volta terminato lo spettacolo, doveva fare qualcosa, e farla subito. Era così abituato a tenersi le vittime lontano dagli occhi e dalla mente che non sopportava l’idea di vedersele davanti ovunque andasse, circondate dalla folla plaudente. Il gesto era inevitabile: bisognava bandire la musica delle trombe e ordinare ai trombettieri di rientrare nelle loro moncopoli.

«Il che portò la sua coscienza in conflitto diretto con la passione nazionale per la bellezza. La musica era magnifica, la gente non vi vedeva alcun male, e altrettanto inevitabilmente, il popolo rifiutò di lasciare esiliare i trombettieri. Il buon re improvvisamente non fu più il buon re di nessuno, e più la gente pensava alle sue azioni passate, alla luce della sua contrastata passione per la musica delle trombe, più lo detestava. Quando il re chiese aiuto al funesto Uccello del Male per domarli, il loro ragionamento li portò logicamente a considerare il re come l’essenza del male.

«È tutto qui: un popolo con una traboccante passione per la bellezza, un re dalla coscienza insonnolita, e un gran musicista per far nascere il conflitto. In più, naturalmente, tutto l’ingegno e la connivenza che la Squadra B potesse esercitare. Vi basta questa spiegazione?»

«Ma…» Il vice-direttore aggrottò la fronte. «Ciò che desidero, Amministratore, è la formula di questo principio. Qualcosa di condensato, espresso in termini universali, che si possa applicare ad altri casi.»

Forzon annuì. L’Ente per le Relazioni Interplanetarie voleva uno slogan da stampare in maiuscole nere nel Manuale Operativo 1048-K, qualcosa come: LA DEMOCRAZIA IMPOSTA DALL’ESTERNO… eccetera eccetera.

«Mettiamola così» disse: «Quando le trombe risuonano, neppure il più sfrenato dei monarchi può ignorare il risveglio della propria coscienza.»


FINE
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