CAPITOLO XI

Riuniti intorno a lui, esaminarono perplessi il suo disegno. Dietro di loro i mantici sibilavano, i crogioli sprigionavano calore e fumo e il tintinnio del metallo sul metallo non cessava mai. Forzon suggerì di uscire all’aperto, per poter parlare.

«Strumento… musicale?» ripeté uno di essi in tono dubitativo quando Forzon ebbe finito di spiegare.

Il tubo sì, quello lo comprendevano, Stretto a una estremità, gradatamente più largo, va bene. Di una certa misura. Anche quello capivano benissimo.

Ma… in che senso era uno strumento musicale? Dov’erano le corde?

Accettarono di buona voglia di intraprendere quel progetto. Il disegno era interessante, specialmente la faccenda del tubo che si assottigliava a una estremità, e quella strana ripiegatura al centro. Erano ragioni sufficienti per indurli a fabbricare uno di quegli oggetti strani. Una volta terminato Forzon poteva usarlo come voleva. Per quanto li riguardava, poteva anche suonarlo, sebbene non capissero in quale maniera ne sarebbe uscita della musica.

Si misero al lavoro per fabbricare una tromba.

Tre giorni dopo Forzon andò a esaminare i risultati e fu esterrefatto.

La semplice simmetria dell’unica ripiegatura, nel disegno di Forzon, era parsa un insulto all’abilità degli artigiani; l’avevano sostituita con un nodo complicato e Forzon temette fosse compromesso il suo accurato calcolo matematico che determinava la lunghezza, la rastrematura e il diametro interno dello strumento. Non comprendendo la funzione acustica della campana terminale, l’avevano eseguita con tutto lo slancio della loro ingenuità artistica. Ne era venuto fuori un tubo ondulato come un camino, che si apriva su un disco massiccio, ma meravigliosamente lucidato. L’imboccatura aveva la forma di una coppa perfetta, ma non aveva foro per l’aria.

Forzon richiese alcune modifiche, che essi provvidero immediatamente a rendere irriconoscibili, sicché, quando lo strumento fu terminato, non aveva più alcuna somiglianza con il suo concetto di tromba.

Comunque, poteva andare, pensò Forzon. Quando l’ebbero ornata, dalla campana all’imboccatura, di disegni cesellati di squisita fattura, la consegnarono con rammarico a Forzon, e lo seguirono con curiosità mentre la portava in casa di Tor.

Tor, irritato per l’inattesa visita, sulle prime non volle neppure toccare lo strumento. Quando finalmente lo accettò, lo tenne goffamente, chiedendosi quale uso se ne potesse fare, poi lo restituì a Forzon con un’alzata di spalle. Forzon lo portò alle labbra e soffiò.

Il timbro, strano a dirsi, era pastoso, dolce, e Forzon non avrebbe saputo dire se ciò fosse dovuto alla forma strana o al taglio empirico del bocchino; ma il fatto è che lo strumento suonava con sorprendente facilità. Forzon, pur essendo in musica un semplice dilettante, non stentò a produrre una serie di suoni che non si scostavano molto dalla musica.

Tor ascoltò, meravigliato e perplesso. Riprese la tromba, fece qualche tentativo soffiando, e finalmente fece venir fuori una nota. Le felicità gli illuminò il viso. Riprese a soffiare nella tromba. Col viso arrossato, ansante per lo sforzo, fra un tentativo e l’altro, egli alla fine produsse una serie di note alte, stentò finché non ritrovò le stesse note all’ottava inferiore, e cercò di fare una scala. Forzon si ritirò silenziosamente.

Fuori, per la strada, uno degli operai si grattava il capo guardando Forzon con non celata ammirazione. «Mi piacerebbe averne una anch’io» gli disse.


Nei giorni che seguirono, le lotte di Tor per padroneggiare lo strumento, cacciarono di casa Forzon, che trascorse lunghe ore a passeggiare per le colline, lontano dai suoni laceranti della tromba, causarono mormorazioni in tutto il villaggio, e finalmente spinsero i governatori fin sulla soglia di Tor per vedere di che si trattava. La sacra regola della non interferenza pareva sul punto di naufragare, nelle cateratte di suoni emersi dalla tromba, eventualità non contemplata all’epoca in cui la regola era stata formulata, e così Tor fu esiliato con la sua tromba sulle colline.

La crisi prese tutt’altra piega quando i progressi incredibilmente rapidi di Tor convertirono i suoi detrattori in ammiratori entusiasti. I suoni stridenti o nasali si addolcirono, divennero morbidi, e Forzon, che era rimasto indifferente alla eventuale corruzione tecnologica del paese, fu colto da seria preoccupazione pensando alla inevitabile conseguenza di questa invenzione sulla musica kurriana. In principio, l’ex suonatore di torril cercava penosamente di adattare la sua tromba ai toni della scala pentatonica del torril. La tromba persisteva ostinatamente a produrre una serie di suoni armonici. Un bel giorno quando Tor ebbe acquistato una certa padronanza dello strumento, cessò di combattere le sue caratteristiche e cominciò invece a farne uso, creando una musica sorprendentemente idonea a quei suoni. Egli la notava con segni crittografici che per Forzon non avevano alcun senso, neppure seguendo la musica mentre Tor suonava.

I lavoratori dei metalli fabbricarono delle trombe per sé, per i loro vicini, per chiunque ne volesse una, e presto vi fu una cinquantina di trombettieri entusiasti. Nel villaggio l’aria vibrava di suoni laceranti, e la domanda di trombe per imparare a suonare superava di gran lunga la rapidità degli operai a fabbricare strumenti. Questa pura cacofonia echeggiò dalle colline sino alla casa dell’agente del re, che fece una delle sue rare visite al villaggio per rendersi conto di ciò che stava accadendo. La sua sorpresa iniziale si mutò prima in avversione quando vide in qual numero gli abitanti del villaggio abbandonavano il lavoro produttivo per suonare la tromba, poi in rabbia quando capì che la preziosa scorta di metallo, fin qui adoperato nella fabbricazione di oggetti utili e artistici destinati ad arricchire il re e il suo agente, era sprecata nella fabbricazione di trombe. Forzon fiutando guai s’informò, allarmato, e gli anziani lo assicurarono che il villaggio aveva pieno diritto di usare il metallo come meglio credeva.

Cominciò a far progetti per formare una banda di trombettieri. La musica-concertante era estranea ai costumi locali; il giorno in cui la Sovrintendenza Culturale sarebbe arrivata in Kurr, la grande tradizione della musica kurriana avrebbe ormai subito tali modifiche da renderla irriconoscibile; ma bisognava farlo.


Trascorse quasi un mese prima che la scomparsa di Ann Cory provocasse un’ondata di agitazione nel villaggio. Data la stretta osservanza della regola di non interferenza, passarono molti giorni prima che qualcuno s’insospettisse per la sua assenza. L’alloggio fu ispezionato, esaminati gli abiti in dotazione, che però non aveva mai indossato. Si fecero prudenti inchieste per sapere dov’era stata vista per l’ultima volta, e i governatori dovettero a malincuore concludere che l’ultima ospite femminile era da considerarsi dispersa.

L’intero villaggio uscì a esplorare le campagne adiacenti. Come disse poi un anziano a Forzon, la maggior parte dei monchi riusciva a trovare accettabile la vita nelle moncopoli. Col tempo vi si sentivano anche felici. Ma talvolta accadeva che la mutilazione di un arto causasse a una persona debole un trauma tanto profondo da non vedere altra via d’uscita che la morte. Era tuttavia possibile che le fosse capitato un incidente.

Forzon partecipò diligentemente alle ricerche e quando, dopo molti giorni, non si trovò alcuna traccia della donna, i governatori tornarono alle loro sedute e la vita del villaggio riprese come prima. Con le trombe.


Per innumerevoli generazioni, le arti, nel paese di Kurr, erano state monopoli familiari. Solo il figlio di un pittore poteva imparare la pittura. Solo il figlio di un musicista poteva studiare musica. Forzon non si era reso conto fino allora della privazione che questa tradizione imponeva a un popolo dotato di facoltà artistiche e musicali. L’avidità con la quale la gente si mise a suonare la tromba lo sbigottì.

Era uno strumento nuovo, che non possedeva tradizioni familiari. Chiunque lo poteva suonare! Bastava trovare un maestro, e Tor, grande musicista, desiderava gli allievi. L’intero villaggio rispose all’appello. Il lavoro venne trascurato. I fabbri ottonieri fabbricarono solo trombe.

Quando giunse il giorno della caricazione, il quantitativo di manufatti era così basso che molti carri dovettero ripartire vuoti. L’agente del re tenne una conferenza burrascosa ai governatori del villaggio, tutte persone rette che rimasero ostinatamente sulle loro posizioni a difendere i diritti tradizionali di indipendenza degli abitanti delle moncopoli. Ma l’incidente diede molto da pensare a Forzon.

«Non vogliamo causare il malumore dell’agente del re» egli disse a Tor. «Soltanto i migliori musicisti si dovranno occupare di musica nel tempo precedentemente dedicato al lavoro. Gli altri continueranno a svolgere le loro mansioni abituali e potranno suonare quando avranno terminato il loro lavoro.»

«L’agente del re non ha il diritto di interferire, ma è inutile irritarlo per niente» convenne Tor. «Farò in modo che solo i migliori musicisti si dedichino alla musica.»

«I tuoi musicisti migliori stanno raggiungendo un livello notevole di bravura. Che cosa conti di farne?»

«Continueranno a suonare, che altro si può fare con dei musicisti?»

«I musicisti sono al mondo per essere uditi» disse Forzon. «Quando i tuoi trombettieri avranno raggiunto una sufficiente abilità e confidenza, dovresti portarli a Kurra.»

Tor alzò la mano inorridito e protestò: «Non oseremmo!»

«Non c’è legge che lo proibisca» disse Forzon con dolcezza. «Non c’è legge che ci costringa a vivere in una moncopoli. Noi siamo qui perché non possiamo stare altrove. Per i trombettieri sarebbe diverso. Tutti quelli che amano la musica li accoglierebbero con gioia, e tutta la gente di questo paese ama la musica.»

«Nessuno li ascolterebbe!»

«Nessuno potrà fare a meno di ascoltarli. Quando si suona per la gente, la gente ascolta. Questa meravigliosa musica che hai creato non dovrebbe rimanere sepolta in uno di questi villaggi senza che nessuno la senta mai. Tu devi andare a Kurra.»

«Non oseremmo.»

«Non puoi perdere due volte la mano sinistra» insistette Forzon.

«No. Non oseremmo.»

Forzon non si faceva illusioni sugli eventuali pericoli che aspettavano in Kurra i trombettieri. Re Rovva, se s’imbatteva in essi in un momento di cattivo umore, era capacissimo di introdurre una innovazione: chi aveva già perduto un braccio poteva facilmente perdere anche la testa. Nondimeno, se lo scopo era quello di metter fine all’infamia del taglio del braccio, bisognava correre qualche rischio. Avrebbe parlato un’altra volta con Tor.


La maggior parte dei musicisti principianti tornò alle proprie usuali occupazioni. L’agente del re non era tuttavia soddisfatto. Cominciò a curiosare per tutto il villaggio e non ci mise molto a individuare il responsabile del flagello costituito dalla musica delle trombe. Non parlò affatto con Forzon; ma Forzon lo incontrò così spesso che capì di essere sorvegliato.

Capì che la curiosità dell’agente era stata richiamata dal fatto che egli non lavorava. Molti altri monchi rimanevano inattivi; ma se ne stavano in disparte e non ostentavano la loro pigrizia laddove poteva corrompere i colleghi industriosi. Come fannullone, Forzon non solo era vistoso, ma entusiasta. Gli piaceva guardare gli altri lavorare, li interrompeva con delle domande, deviava le loro energie su compiti di sua idea, raramente profittevoli per l’agente del re.

Ovviamente l’agente considerava che egli avesse un influsso corruttore, che bisognava tenere d’occhio. Forzon, seduto al suo tavolo, immerso nei suoi pensieri, aveva spesso l’impressione che l’agente guardasse dentro casa sua dalla finestra. Oppure, mentre bighellonava per la strada, rapito dalla musica dei trombettieri di Tor (Tor aveva creato una struttura armonica che Forzon riteneva unica), si trovava improvvisamente alle spalle l’agente, che lo guardava con espressione di minaccioso rimprovero. Forzon poteva solo sperare di non essere sospettato d’altro che di esercitare una pessima influenza, e dopo alcuni giorni trovò un rimedio facile: andò a lavorare. Diventò aiuto carpentiere. L’agente del re lo notò e se ne andò soddisfatto.

Alla sera, quando Tor sedeva davanti al suo alloggio, massaggiandosi l’imboccatura stanca, Forzon gli diceva: «La musica esiste per essere udita.» E Tor rispondeva: «Non oseremmo!»

Forzon perdette il posto dopo tre giorni. Stava ammirando rapito la grana splendida di un tavolo che stavano costruendo, quando, distratto non ritirò in tempo la mano, e si prese un colpo di scalpello. Il taglio era superficiale, ma il carpentiere fu molto scosso. In una moncopoli nessuno voleva rendersi responsabile di una ferita a una mano. Per alcuni giorni Forzon sopportò la noia di una fasciatura, e quando la ferita fu rimarginata, il carpentiere, inspiegabilmente, non trovò un lavoro da dargli. Se ne andò più giù nella stessa strada, presso i suoi amici che lavoravano i metalli. Ma avevano ormai soddisfatto le domande e non fabbricavano più trombe. Speravano che Forzon inventasse qualche altra cosa da poter fabbricare. Egli li guardava lavorare, li aiutava quando avevano bisogno di un’altra mano, e si teneva sempre in serbo alcuni lavoretti minuti con i quali poteva sembrare occupato quando l’agente del re faceva capolino.

Ogni sera parlava con Tor.

«La musica esiste per essere udita.»

«Non oseremmo!»


Era la mezza mattina. I fabbri avevano appena dato l’ultimo tocco a un servizio di ciotole, e Forzon lo portò sullo scaffale del magazzino, poi uscì in strada a godersi pochi minuti di musica distensiva e meravigliarsi della ferrea resistenza dei trombettieri di Tor. Provavano da più di due ore. Era una nuova composizione; Tor aveva scoperto la fanfara, e se ne serviva in maniera affascinante. Le note squillavano, briose nell’aria fresca dell’autunno.

Forzon non nutriva più alcun timore per la tradizione musicale del paese. Invece di distruggerla, la tromba le aveva dato una nuova dimensione. I suonatori di torril avrebbero indubbiamente sdegnato gli strumenti a fiato, Tor ne era certo, eppure la nuova musica che Tor creava in un sistema musicale diverso, per uno strumento diverso, era unicamente e squisitamente kurriana.

Nasceva una nuova tradizione musicale, la tradizione dei trombettieri monchi. Tor aveva già inviato alcuni dei suoi trombettieri nelle altre moncopoli per iniziare i loro abitanti all’arte della tromba. Ciò quadrava con i piani di Forzon; ma, per quanto egli insistesse con Tor sul fatto che se il suonare la tromba poteva essere il monopolio dei monchi, l’ascoltare la tromba doveva essere a disposizione di tutti, non faceva progressi.

La musica cessò bruscamente. Forzon scese per la strada e si diresse in piazza. L’agente del re stava parlando quietamente con i governatori. Vicino a loro, in minaccioso assetto, si trovava una compagnia di soldati del re. La conferenza s’interruppe quasi subito, i governatori si separarono e cominciarono a girare per il villaggio chiedendo a tutti i residenti di venire in piazza.

«Che cosa vuole?» chiese Forzon a uno di essi.

«Parlarci» rispose l’anziano con indifferenza.

«A causa della produttività del lavoro? Sa bene che la prossima volta i carichi saranno completi.»

«Non ha detto di che cosa intende parlare.»

I residenti del villaggio si riunirono lentamente. Forzon, con i nervi tesi per l’apprensione, trovò incredibile la loro indifferenza. Erano stati chiamati, ed essi andavano; ma non prima di aver riposto con calma i lavori in corso. Il re aveva già inflitto il peggio a costoro, e qui, nel villaggio dei sepolti vivi, pensavano di essere fuori portata da ulteriori sue malefatte.

L’agente, in piedi su un carro osservava aggrondato e con impazienza la folla crescente, e sudava in abbondanza sotto il sole cocente. Finalmente si tolse la giacca. Forzon sudava, ma non osava togliersela.

I governatori annunciarono infine che tutto il villaggio era adunato.

«Al plenilunio del terzo mese addietro» gridò l’agente «una donna arrivò in questo villaggio. Arrivò e sparì. Nessuno di voi sa niente di lei, o dove sia andata?»

La folla rimase muta.

«Abbiamo esaminato i registri reali» continuò l’agente «e abbiamo scoperto che nessuna donna ha meritato quel castigo sin dal secondo mese dopo l’ultimo raccolto. A nessuna donna è stata inflitta la perdita di una mano, nessuna donna è stata inviata in questo villaggio, eppure una donna è venuta qui. Siete invitati a parlare, se sapete qualcosa di lei.»

Tacque e frugò con lo sguardo nella folla. La mente di Forzon si era bloccata su una parola sola.

Registri.

La Squadra B non sapeva che il re tenesse dei registri.

«Benissimo» continuò l’agente. «Abbiamo esaminato i registri reali e quelli di tutte le moncopoli e abbiamo scoperto che uno di questi villaggi ospita un uomo che non aveva meritato il castigo. Se egli è qui, gli ordino di farsi avanti.» Di nuovo indagò fra la gente. «Benissimo» rispose. «Tutti quelli che sono arrivati qui fra un raccolto e l’altro, si facciano avanti.»

Rimanere indietro sarebbe stato fatale. Forzon si lasciò sballottolare in avanti con gli altri, e i soldati del re li circondarono.

«Perquisiteli!» ordinò l’agente.

Forzon non ebbe il tempo di reagire, tutto accadde con estrema rapidità: la giacca strappata di dosso, l’esclamazione di sorpresa del soldato quando il falso moncherino venne via con la manica, Forzon rapidamente denudato sino alla cintola, e il braccio nascosto che veniva rivelato.

L’agente saltò giù dal carro e andò verso di lui. Guardò Forzon, gli passò la mano sulla testa rasata, lo guardò ancora con attenzione, poi frugò nella sua giacca e tirò fuori un ritratto. Paragonò il profilo di Forzon con la copia dipinta della sua fotografia d’identità e grugnì soddisfatto.

«Accidenti!» esclamò. «Dunque vuoi vivere in una moncopoli?»

Gettò indietro la testa e rise come un pazzo. L’avidità gli brillava negli occhi. Indubbiamente la ricompensa offerta per la cattura dell’Intendente Jef Forzon doveva essere notevole. «Vuoi vivere in una moncopoli» disse nuovamente. «Ti garantisco che il re esaudirà il tuo desiderio, dopo che avrà discusso con te un paio di cose.»

Forzon fu issato sul carro. La gente già sfollava la piazza; ma egli riuscì a incontrare lo sguardo di uno dei governatori, mentre il carro già cominciava a muoversi, e gli gridò: «Di’ a Tor che la musica esiste per essere udita».

Pochi minuti dopo, il villaggio era già lontano alle loro spalle e il carro sobbalzava per il rozzo sentiero che portava fuori della valle. Al disopra del suo irregolare cigolio, Forzon credette di distinguere l’eco di una musica. Si guardò indietro e vide, sulla piazza del villaggio, i riflessi del sole sulle molte file di trombe alzate.

I musicisti avevano ripreso le prove.

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