CAPITOLO V

L’agente Paul Leblanc, nel corso della sua carriera, aveva assunto un numero così grande di identità diverse, da non averne più una tutta sua. In quel momento era un ricco agricoltore che sorbiva con gioia un boccale fumante di cril godendosi il piacere tranquillo di una serata in casa nella magnifica e antica dimora della sua fattoria. Altri momenti, altre identità, e neanche Leblanc poteva dire con sicurezza quale fosse «lui».

Ma in quel momento era un fattore. Quando disse pacatamente: «Qui ce la siamo vista brutta, signor intendente» sembrava che commentasse una prosaica crisi agricola.

Forzon si azzardò a bere un sorso del suo cril. Aveva un aroma delizioso e pungente di spezie tostate e scottava da portar via il palato. Lo mise da parte e osservò sarcasticamente: «Altrettanto.»

Leblanc sorrise. Di solito a Forzon piaceva di analizzare i volti, ma uno sguardo a quello di Leblanc lo scoraggiò subito. Aveva un’estrema mobilità, anzi, malleabilità di espressione. Il che, accoppiato alla sua persona snella e di struttura elastica, suggeriva una personalità in continuo stato di trasformazione.

«Ann è stata un po’ impulsiva» concedette Leblanc.

«Io userei un’altra parola.»

«Impulsiva» disse Leblanc con fermezza. «L’ho rimproverata, ma non severamente. È naturale che fosse un po’ scossa. Di solito la gente della Squadra B non fa errori nei compiti che le vengono affidati. Altrimenti non esisterebbe più una Squadra B. Se questa operazione è mal riuscita la colpa è mia come di tutti gli altri; ma è già archiviata. Noialtri della Squadra B, facciamo tesoro dei nostri errori, ma non stiamo a rimuginare, specialmente quando tutto finisce bene. Io vi immaginavo già in cammino verso uno dei deliziosi trattenimenti di Re Rovva. Quando ho saputo che eravate salvo, e mi sono precipitato a tornare per congratularmi con coloro che vi avevano salvato, mi sono sentito dire che eravate stato voi a salvarli. Posso capire Ann. Era una cosa non solo strana, ma incredibile.»

«Mettermi sotto chiave mi sembra un modo curioso di dimostrare la propria gratitudine.»

«Non vi hanno proprio messo sotto chiave» protestò Leblanc. «Io capisco il vostro risentimento, ma non potete immaginare a qual punto la cosa sembri incredibile. Rastadt vi aveva fatto imparare la lingua larnoriana, vi aveva vestito da sacerdote larnoriano e vi aveva persino fornito un naso fra i più caratteristici del popolo di Larnor, il tutto combinato malignamente per rendervi vistoso come un cavallo in un gregge di pecore. È un proverbio kurriano, solo che qui i cavalli non sono cavalli e le pecore somigliano ancor meno a delle pecore, ma è ugualmente valido. Per un contadino kurriano un sacerdote di Larnor è…»

«Lo so. Ora lo so. Un orco.»

«Peggio di così. Un diavolo incaricato di trascinarli nell’ai di là, così come lui se lo immagina. Molti anni fa i sacerdoti di Larnor pensarono di effettuare delle missioni in Kurr, I re di Kurr non reagirono con dolcezza al fatto che le loro prerogative venissero usurpate da concorrenti, e posero solide basi a un vivace folclore in merito all’iniquità dei preti larnoriani. Con quel costume, quella lingua e quel naso, eravate spacciato nel momento stesso in cui ponevate il piede qui.»

«Questo lo so» disse Forzon. «Quel che non capisco è perché Rastadt mi volesse morto. E non capisco perché Ann Cory B-627 mi abbia praticamente spinto a cadere nel tranello, mentre avrebbe potuto mettermi in guardia.»

«I tranelli erano due» disse Leblanc. «Quello che Rastadt aveva architettato per voi, e quello che noi avevamo ideato per Rastadt. Se Ann vi avesse messo al corrente del primo, Rastadt avrebbe evitato il secondo, e c’era il pericolo che escogitasse qualcosa di più rapido e di più efficace per sbarazzarsi di voi. Rastadt… ma questa sera preferirei non parlare di Rastadt. Siete salvo. Avete salvato la vita di un nostro giovane e promettente agente, avete salvato Ann dalla tortura e dalla mutilazione. Quando si sarà riavuta dalla umiliazione di essere stata salvata da uno della SC, vi ringrazierà. Il vino si sta aromatizzando… Lo sapete che questa regione produce il miglior vino di tutto il Kurr? Parliamo perciò di cose più piacevoli e rimandiamo Rastadt a domani e alla fredda luce del giorno.»

«Preferirei parlarne adesso. Che cosa gli è accaduto?»

«Mi ha inviato poco fa una comunicazione.»

«Allora… non è stato catturato?»

«Penso di no. Il messaggio veniva dalla base.»

«Mi aveva detto che l’aereo sarebbe venuto a riprenderlo la notte dopo. Ieri notte. Sto perdendo la nozione del tempo.»

Leblanc fece un freddo sorriso.

«Nella comunicazione, non fa cenno della propria venuta a Kurr. Chiede solo perché la Squadra B non ha segnato ricevuta dell’ordine di accogliere l’Intendente Jef Forzon alla sua discesa, avantieri notte, in coordinate: 457 Nord, 614 Ovest, e chiede conferma dell’eseguito contatto. Nessun ordine del genere ci è pervenuto.»

«Ah! Per questo non c’era nessuno a riceverci.»

«Dirò di più. Nessun ordine del genere è stato inviato.»

«In questa faccenda, più ne so» disse Forzon adagio «e meno ci capisco. Rastadt era vestito come me. Aveva lo stesso naso larnoriano. Perché mi avrebbe teso una trappola per poi caderci dentro anche lui?»

«È una storia lunga. Non volete proprio aspettare fino a domani? Allora…» Vuotò il suo boccale e lo spinse da un lato. «Da quattrocento anni tentiamo di convertire il Kurr in una democrazia. In tutto questo tempo, sul pianeta Gurnil ci sono stati alcuni coordinatori bravissimi, e un paio di un’incompetenza scandalosa. Tutti hanno fatto fiasco. Sette anni fa, Rastadt ha avuto il comando di Gurnil. Aveva un ottimo stato di servizio e la fama di uomo pieno di risorse per sbrogliare le difficoltà. Prese subito un certo numero di provvedimenti avventati, e quando i suoi piani fecero cilecca accusò la Squadra B di averli sabotati. Cominciò allora a mandarci degli agenti male addestrati, scelti da lui. Creò, insomma, un comando indipendente all’interno della Squadra B e il risultato fu un mezzo disastro. Per dirla in breve, è quasi riuscito a “bruciare” il pianeta. Sapete che cosa voleva dire?»

«Non esattamente.»

«L’ERI si sarebbe dovuto ritirare completamente, annullando quattrocento anni di lavoro. È la peggiore cosa che possa capitare, quella che dà gli incubi a tutti gli ufficiali dell’ERI. Se la popolazione locale si accorge della nostra presenza, dobbiamo andarcene. Non possiamo tornare finché gli indigeni non abbiano dimenticato che siamo stati, un tempo, in casa loro. Questo processo può richiedere mille anni e anche più. Se poi un ricordo si traduce in superstizione o entra nel folklore, può anche mantenersi vivo per sempre. Rastadt è stato a un pelo dal “bruciare” Gurnil e, dopo aver cacciato la Squadra B nella peggiore crisi della sua storia, non è nemmeno venuto qui per darci una mano a venirne fuori. Ci ha salvati il suo vice. Per quanto ne so di Rastadt, probabilmente non gli ha neppure detto “grazie”.»

«Era il vice-coordinatore Wheeler?»

Leblanc annuì.

«Mi ha detto di avere appartenuto un tempo alla Squadra B.»

«Ha fatto un bel lavoro per noi. Venti dei nostri agenti erano caduti nelle mani degli amabili torturatori di Re Rovva, e quei venti ne sapevano abbastanza per compromettere tutta la Squadra B. Wheeler li ha salvati tutti.»

«Non ha l’aspetto di un eroe.»

«In quel genere di situazione l’iniziativa conta più dell’eroismo. Ha corrotto, ha bluffato, ha ingannato, forse ha fatto un po’ di magia, alla chetichella; ma li ha tirati fuori, dal primo all’ultimo. Poi ha persuaso Rastadt a richiamare i suoi pivelli e a lasciare che del continente Kurr si occupasse la Squadra B: un risultato, questo, che ritengo ugualmente straordinario. Da quel momento in poi Rastadt non ha fatto assolutamente nulla, e ha impedito a noi di fare qualsiasi cosa. Ha bocciato tutti i piani che gli abbiamo sottoposto. Per esempio…»

Forzon alzò la mano: «Vi spiace se prendiamo le cose al momento in cui sono entrato in scena io?»

«Naturalmente. Un anno fa mio fratello morì, lasciando i suoi affari di famiglia un po’ imbrogliati. Presi un congedo straordinario e al mio ritorno mi fermai al Comando Supremo. Presi visione delle relazioni di Rastadt. Erano tutte menzognere. Descriveva gli eccellenti progressi della sua opera e non menzionava neppure il fiasco che per poco non ci era costato il pianeta. Avrei potuto denunciarlo subito; ma agli occhi del Comando Supremo, si trattava della mia parola contro la sua, finché non venisse qualcuno a verificare sul posto. E queste cose vanno per le lunghe. Io, poi, sospettavo ci fosse sotto qualcosa di più di un semplice inganno.

«Pertanto, ne parlai francamente, e ufficiosamente, con un mio vecchio amico, primo segretario nel dipartimento della programmazione, e lo convinsi ad inviare a Gurnil un alto grado della Sovrintendenza Culturale.»

«Perché?»

«Per affrontare il problema sotto un angolo totalmente diverso. Noi, dell’Ente, abbiamo la nostra tecnica, ed è validissima; solo che non ha funzionato in questo continente. Dato l’alto grado di cultura di questo paese, chissà se un ufficiale culturale non ci sarebbe stato utile? Ho chiesto un funzionario SC del più alto grado compatibile con dei compiti operativi, e volevo che fosse trasferito all’Ente con lo stesso grado, e assegnato a Gurnil quale Sovrintendente alla Coordinazione. Non è stato facile ottenerlo, ma il mio amico aveva molta influenza e vi è riuscito.»

Forzon disse con voce atona: «Sovrintendente alla Coordinazione? Alla base mi hanno detto che dovevo comandare la Squadra B.»

La voce di Leblanc assunse un tono imbarazzato. «Signor Intendente, anzi Sovrintendente, vi ho detto che avevamo teso una trappola per Rastadt. Vogliatemi scusare, ma… l’esca eravate voi. Come Sovrintendente, anche un ufficiale SC non ci avrebbe messo molto a rendersi conto che qualcosa non andava nell’organizzazione ERI di questo pianeta, e Rastadt lo sapeva. Appena ha appreso che eravate arrivato senza ordini e non conoscevate la vostra carica, ha falsificato gli ordini. Poi ha combinato di farvi scendere in un punto remoto del Kurr, all’insaputa della Squadra B, e munito di un aspetto e di una lingua che vi garantivano una cattura immediata. In questo momento, starà stendendo un mesto rapporto per il Comando Supremo, nel quale dirà che voi avete insistito per andare in Kurr da solo, e senza adeguata catechizzazione, e metterà in guardia il Comando Supremo dall’assegnare mai più un incarico ERI a un SC.»

«Si opponeva alla mia venuta» disse Forzon. «Asseriva che era pericoloso.»

«Certo, ha recitato bene la commedia. Inducendovi a insistere davanti a testimoni.»

«Ma è venuto con me! Wheeler desiderava farlo, ma Rastadt ha voluto assolutamente accompagnarmi lui stesso.»

«Lieto di saperlo. Wheeler è un buon elemento; ma la posizione di vice è diabolicamente difficile quando si è alle prese con un superiore che sgarra. Credo che Wheeler faccia del suo meglio e, secondo me, voleva assicurarsi che voi ci raggiungeste senza intoppi. Rastadt lo ha sospettato e ha deciso di scortarvi lui stesso.»

«Mi ha scortato» disse Forzon lentamente «ed è caduto in quell’imboscata con me.»

«E ne è uscito subito. Sentite, noi non ci siamo serviti di voi come esca senza prendere ogni precauzione possibile. Ho inviato degli agenti giù alla base, con un pretesto o con l’altro, uno per volta, in modo che ce ne fosse uno lì al vostro arrivo. Appena Ann ha appreso che vi avevano dato ordini falsi e che vi avevano fatto imparare il linguaggio dei Larnoriani e indossare il loro costume, abbiamo intuito le intenzioni di Rastadt. La notte precedente la vostra venuta in Kurr, egli ha mandato un aereo. Noi l’abbiamo intercettato col radiofaro e abbiamo creduto che stesse scegliendo il punto conveniente per sbarcare voi l’indomani. Abbiamo distaccato lì un gruppo di nostri agenti per ricevervi, e l’aereo è arrivato, puntualmente, ma non è sceso. Mentre quello teneva occupata la nostra attenzione, Rastadt ha fatto sgattaiolare a bassa quota l’aereo dove eravate voi, e vi ha sbarcato molto più a sud. La zona brulicava di soldati e di ruff (questi ultimi sono una bieca genia, appartenente a una milizia di sicurezza nazionale), e l’unico personale che noi avevamo sul posto e che poteva darvi aiuto è stato beccato quasi subito. Ciò significa una cosa sola: Rastadt è in contatto diretto, non si sa come, con Re Rovva; ha informato il re e poi, probabilmente per legare le mani a Wheeler, vi ha accompagnato, personalmente, sino alla trappola. L’aereo è tornato a prenderlo la stessa notte. Grazie a voi, signor Sovrintendente, abbiamo avuto la prova conclusiva che ci occorreva: Rastadt non è solo colpevole di frode, ma anche di tradimento.»

«Che cosa può mai guadagnarci!» chiese Forzon.

Leblanc scrollò il capo. «Non lo so. Dev’essere pazzo.»

«E voi che cosa contate di fare?»

«Niente. Rastadt ha in mano le comunicazioni interspaziali. Se rivolgessi una lagnanza al Comando Supremo non verrebbe inoltrata. Qualsiasi cosa egli stia cercando di fare, ha dalla sua quasi tutto il personale della sede. Per forza. Se potessi entrare in contatto con Wheeler, lo potrei convincere a spedire il mio messaggio, di contrabbando; ma, come avrete notato, Rastadt tiene Wheeler lontano dal Kurr.»

«Dite che io sono Sovrintendente alla Coordinazione. Che cosa dovrei fare?»

«Niente. Avete già assolto alla prima funzione che io avevo in mente di affidarvi. Mi occorrevano delle prove contro Rastadt, e adesso le ho. Mancano due anni soltanto alla prossima ispezione planetaria, e quella segnerà la sua fine. Ora aspetto che abbia il tempo di inoltrare il suo rapporto, dopodiché lo avviserò che voi siete arrivato qui sano e salvo. Sono curioso di vedere come reagirà.

«Nel frattempo siete Sovrintendente alla Coordinazione, e ciò significa che siete il mio superiore e che la Squadra B è a vostra disposizione. Spero possiate ideare quel modo completamente diverso di considerare il problema, di cui abbiamo tanto bisogno. Qualsiasi iniziativa vi venga in mente sotto il riflesso culturale, la Squadra B sarà lieta di tentarla.»

Si fermò per riempirsi il boccale. «Gli SC hanno più intraprendenza di quanto non immaginassi» aggiunse, meditabondo. «Sia detto senza offesa. Il fatto di districarsi in un mondo sconosciuto non è gioco da bambini, anche con un adeguato addestramento. Nel caso particolare, non vi avrei dato più di dieci minuti prima di farvi prendere, e invece siete apparso la notte dopo, salvando due miei agenti, e in modo impeccabile, per di più! Come avete fatto, in realtà?»

«Non lo sa nemmeno lui» disse Ann, asciutta.

Forzon non l’aveva udita entrare. Resistette al desiderio di fulminarla con lo sguardo. «L’ho potuto fare perché ho incontrato una donna che amava, come me, le cose belle. Non capivo la sua lingua, ma la bellezza ha un proprio linguaggio. Lo comprendevamo entrambi. La gente di quella regione è molto povera?»

«È la zona più povera di Kurr» disse Leblanc. «Credo che, alcuni secoli fa, vivesse del contrabbando; ma, dopo la rivoluzione di Larnor, i re di Kurr si sono dati molto daffare per interrompere ogni contatto con l’altro continente. La gente ha dovuto ripiegare sulla vita agricola, e lì il suolo è povero.»

«Il fatto del contrabbando spiegherebbe l’esistenza del mio nascondiglio. Comunque, quella donna era affamata di bellezza, come si può essere affamati di cibo. Credo mi abbia nascosto perché consegnandomi ai soldati, avrebbe dovuto rinunciare alla veste che le avevo dato. Qualsiasi pericolo vi fosse, la bellezza era una tale rarità nella sua vita che accettava il rischio. Quella donna conosce una lingua che voi non capite.»

Leblanc disse con cordialità: «Vivo in Kurr da trent’anni, signor Sovrintendente. Ho studiato il Kurr e la sua gente con lo stesso fervore con cui voi avete studiato, diciamo, la bellezza. Mi stupirei molto, se vi fosse un linguaggio che la gente di Kurr conosce e io no.»

Forzon staccò dal muro una delle torce e attraversò la lunga stanza fino all’estremità opposta, seguito da Ann e Leblanc. I dipinti si animarono quando la luce li colpì. Erano file e file di quadri, appesi a una parete che ricoprivano da cima a fondo. «Siete un intenditore di pittura?» chiese Forzon.

«Né più né meno di qualsiasi capo famiglia indigeno» disse Leblanc. «Queste cose non sono pittura. Sono soltanto l’album degli onorevoli antenati e delle scenette familiari. Ogni casa ne ha uno.

«Nessuno di questi personaggi è veramente un mio antenato, benché questa penisola sia stata coltivata prima di me da un altro agente della Squadra B e da un altro ancora prima di quello. Ma se il proprietario di una grossa fattoria, come la mia, non possedesse un vasto album di famiglia da sfoggiare, la cosa parrebbe strana. Gli agenti della Squadra B sopravvivono appunto perché non fanno mai nulla di strano.»

«Suppongo che i paesaggi siano delle vedute della vostra fattoria?»

«Naturalmente. Che ne farebbe, un Kurriano, delle vedute di fattorie altrui? Vi sono dei pittori itineranti, che si fermano qui ogni due o tre giorni, in cerca di ordinazioni. Io faccio dipingere ogni anno un paesaggio diverso, e se trovo nel loro campionario un ritratto che somigli un po’ a uno dei miei pseudo antenati, lo compero e lo appendo come se si trattasse di un altro parente.»

«È pericoloso.»

«Non credo. Qualsiasi Kurriano lo farebbe se riconoscesse il volto di un suo parente nel campionario di un pittore.»

«È pericoloso per voi. Avete già fatto eseguire il vostro ritratto? Ah, sì, lo vedo. L’artista ha saputo cogliere il vostro carattere. Ingegnoso e dominatore. Perché avete scelto proprio quel pittore?»

«Mi piacevano i suoi lavori.»

«Avete molti visitatori indigeni?»

«No. Ogni anno do una festa. È ormai una tradizione. A parte ciò, non ho visitatori. Nel villaggio mi comporto come un buontempone che offre volentieri da bere e da mangiare e nessuno ritiene anormale che uno scapolo non riceva in casa sua. È una fortuna, perché sarebbe molto pericoloso avere dei vicini che mi piombino in casa inaspettati mentre qui gli agenti della Squadra B vanno e vengono in continuazione. Comunque il contadino kurriano non è particolarmente socievole, eccetto all’epoca delle feste del raccolto.»

«La vostra festa si svolge all’aperto?»

«Sì.»

«Siete più fortunato di quanto non immagini. Basterebbe una sola occhiata a codesto vostro album di famiglia per far spuntare, nella testa di qualsiasi Kurriano provvisto di un po’ d’acume il sospetto che forse ci sia qualcosa di strano in voi.»

Leblanc prese la torcia e indietreggiò, osservando perplesso i ritratti. Ann continuava a tenere gli occhi fissi su Forzon.

«Che cosa c’è che non va nel mio album di famiglia?» chiese Leblanc.

«Sono convinto che gli abitanti del Kurr espongano i quadri soprattutto perché amano la pittura e provano piacere nel guardarli. Ora, nessun amatore d’arte porrebbe la sua diletta collezione in questo angolo. La luce è pessima. Non ci sono nemmeno i bracci a muro per le torce, e di giorno l’unica luce decente è all’estremità opposta della stanza. Tanto varrebbe appenderli in un armadio.»

«In origine erano all’estremità opposta della stanza; ma, qualche anno fa, mi sono stancato di vederli lì. Credete davvero che…»

«Sì» disse Forzon deciso. «E vi è dell’altro. Una collezione privata generalmente riflette le preferenze artistiche del suo proprietario. La vostra collezione denuncia una tale varietà di gusti, da far pensare che non abbiate gusto, il che, naturalmente, non è vero. Se a voi piace davvero la pittura tradizionale, come quella del vostro ritratto, dovrebbero esservi insopportabili delle cose fantasiose come il ritratto appeso accanto a esso o quei paesaggi sull’estrema destra. Io scorgo, qui, almeno cinque stili diversi, e ho l’impressione che un indigeno che ammiri uno di questi stili dovrebbe odiare almeno un paio degli altri.» Si voltò verso Ann: «Ditemi, avete mai visto più di tre stili in una stessa collezione?»

«Non ho mai fatto caso agli stili» confessò la ragazza. «I villaggi da cui vengono tutti i pittori del Kurr sono cinque, perciò c’è effettivamente da credere che esistano cinque stili; ma non avevo mai pensato al fatto che ci sia chi ne ama uno e non l’altro. Per me, sono semplicemente… quadri.»

«Avete fatto analizzare chimicamente questi colori?» chiese Forzon a Leblanc.

Questi rispose come scusandosi: «No…»

«Avete fatto registrare della musica di torril, a scopo di studio?»

«Non l’ho mai creduto necessario. Se qualcuno volesse studiarla, ne può ascoltare fin che vuole.»

«C’è un repertorio classico di canti?»

«Gli indigeni cantano, sì, ma…»

«Ma voi non ci avete mai fatto caso» disse Forzon rassegnato. «È raro incontrare un popolo tutto intero che possiede una passione innata per la bellezza; ma i Kurriani sembrano averla. Suppongo che queste panche siano arredi comuni di ogni casa; ma sono bellissime. Guardate con quale cura il lavoro è stato eseguito per sfruttare meglio la vena del legno. Sono tutte sullo stesso modello, ma ognuna è una creazione in sé. La persona che ha fatto queste panche era un artista quanto quella che ha dipinto il vostro ritratto. Dite che la Squadra B è vissuta in mezzo a un’arte e a un artigianato di questa classe, per quattrocento anni, senza accorgersene?»

Leblanc non rispose. Forzon riprese la torcia e si chinò a esaminare il pavimento di pietra. Non vi erano due pietre della stessa dimensione, eppure il muratore le aveva combinate in maniera perfetta, traendone disegni squisiti. Rivolse la sua attenzione a una tavola, alla quale delle gambe a spirale conferivano una incantevole impressione di altezza, e poi sollevò lo sguardo per ammirare l’adorabile semplicità delle travi nude del soffitto.

«Io vi abbandono Rastadt» disse a Leblanc. «Non saprei comunque cosa farne. Mettetevi in contatto con Wheeler, se potete, o cercate di spedire una comunicazione fuori del pianeta in altro modo. Non credo sia una cosa urgente. Rastadt non può far nulla alla Squadra B anche se voi non ottemperate ai suoi ordini, cosa che io vi autorizzo a fare, e in ogni caso la prossima ispezione planetaria lo sistemerà. Il Kurr è un pasticcio da quattro secoli, due anni di più non cambieranno nulla. In quanto a me, mi occorrono lezioni di lingua. Avete tutto l’occorrente?»

«Vi faremo seguire il corso fondamentale, come a tutti i nuovi agenti della Squadra B. Dura dieci giorni. Che cosa volete fare?»

«Avevo intenzione di mettere in piedi un rilievo culturale, ma non c’è neanche da parlarne. È un lavoro troppo vasto per una persona sola e ovviamente non posso contare su una grande collaborazione da parte della Squadra B.»

«Vi daremo tutto l’aiuto di cui avrete bisogno» protestò Leblanc.

Forzon scosse il capo. «Un rilievo culturale non è un censimento agricolo. Richiede addestramento e attitudini non comuni, e voialtri della Squadra B non avete né l’uno né le altre. Ann suona il torru, d’accordo, e lo suona molto bene; ma sa ascoltare altrettanto bene? Quanti stili vi sono nella musica di torril, Ann?»

Ann non rispose.

«Ciò che mi propongo di fare è una indagine sulla passione dei Kurriani per la bellezza.»

«Credete che in quel campo potrà esserci uno spunto che ci aiuti a rovesciare Re Rovva?» chiese Leblanc.

Forzon sorrise. «Non ne ho la più pallida idea. Indagherò sulla passione dei Kurriani per la bellezza perché mi interessa.»

Загрузка...