Le due stanze sommariamente arredate che erano state assegnate a Forzon avevano tristi pareti rivestite di plastica d’un grigio sbiadito e per unico ornamento, in ogni stanza, il motto, dell’ERI incorniciato di nero: LA DEMOCRAZIA IMPOSTA DALL’ESTERNO È LA PIÙ GRAVE FORMA DI TIRANNIA. Le finestre guardavano sul lago calmo e profondo di un antico cratere vulcanico. Oltre l’orlo del cratere si ergevano maestosamente i picchi annebbiati di altissime montagne. In mezzo a tanto splendore naturale, l’Ente aveva scaraventato un casermone senza carattere, e l’aveva circondato di una zona desolata: capannoni, rimesse, campo di volo, vari ettari di terreno incolto… Forzon guardò irritato quell’offesa al paesaggio e pensò con commozione al leggendario uccello dello spazio che si era ammaccato le ali contro il vuoto totale.
La base ERI di Gurnil era un vuoto culturale totale.
Nel contemplarne la sterile bruttezza, Forzon si sentì avvilito. Depresso dalla tristezza di quelle stanze, disgustato dal paesaggio circostante, si mise a passeggiare con rabbia in lungo e in largo per la sua stanza. All’improvviso, uscì nel corridoio e intraprese il giro dell’edificio.
Aveva già notato che, per un fabbricato così grande, la gente in giro era pochina. L’edificio, costruito a forma di H, consisteva di due ali-dormitorio, a un piano, unite da un corpo centrale, a pianterreno, che ospitava l’amministrazione e le sale di ritrovo. Forzon attraversò l’atrio senza neanche guardarlo e percorse tutto il corridoio inferiore del dormitorio situato all’opposto del suo.
Mentre si voltava per tornare, udì della musica.
Più che udirla, ne ebbe la sensazione. Un suono così morbido, così delicato, così indescrivibilmente fragile, che non pareva percepito da un senso determinato. Si fermò, incantato, rapito, davanti a una porta, e quando la musica cessò credette a lungo di udirla ancora.
Attese, e poiché la musica non riprendeva, bussò timidamente.
La porta si aprì e Forzon si trovò di fronte a una ragazza dall’aspetto fragile e femminile, con lunghi capelli luminosi come l’oro, una veste multicolore in vivace contrasto con l’austerità della camera che le faceva da sfondo.
«Scusate» disse Forzon «non sapevo che questi alloggi fossero riservati alle donne. Ho sentito la musica e ho provato curiosità.»
Con una grande meraviglia, la ragazza diede un’occhiata di qua e di là nel corridoio, trasse Forzon dentro la stanza e chiuse la porta. Come per magia, la sua espressione accigliata si raddolcì e sorrise. Forzon si sedette nella poltrona che gli offriva e non si rese conto, sin quando il sorriso divenne ancora più marcato, che la stava fissando con insistenza.
«Scusate» le disse «tutte le donne che ho veduto dal mio arrivo a Gurnil, sembravano giocare ai soldati.»
Il riso della ragazza, quasi etereo, gli ricordò la musica che aveva testé udito. Ma quando parlò la sua voce divenne un sussurro. «Sono le impiegate della base. Devono giocare ai soldati. Io faccio parte della Squadra B.»
«Squadra B?» ripeté lui, piano come lei.
«In congedo di convalescenza» continuò la ragazza. «Mi sono presa un’infezione virale.»
A un tratto Forzon notò lo strumento posato su un tavolino accanto al letto. Era simile a quello che aveva visto nel ritratto, ma era lungo solo mezzo metro e pareva un giocattolo anziché il tramite di una grande arte. Il telaio di legno era disadorno ma nobilmente lucidato.
«È così piccolo!» Forzon esclamò. «Quello del ritratto era enorme!»
La ragazza si mise un dito sulla bocca, ammonendolo di non alzare la voce. «Quello era un torril» disse piano. «Uno strumento da uomo. Uno strumento da concerto. Il telaio è finemente intagliato, e viene costruito su misura, secondo la statura del musicista. Il giovane suonatore di torril in periodo di sviluppo deve cambiare strumento ogni anno. Questo è un torru, lo strumento delle donne. Il timbro è adatto a un salotto, ma troppo tenue per i concerti.»
«È un timbro meraviglioso, sussurrante» disse Forzon. Si alzò e si chinò sul torru. Le corde sottili erano di una fibra bianca molto ritorta, con una corda nera ogni quattro corde bianche. Le pizzicò piano, una per volta. «È una scala pentatonica inflessa. Curioso!» esclamò. «Primitiva e nello stesso tempo molto raffinata.»
La ragazza sorrideva. «Mi ero sempre chiesta come fossero quelli della SC. Ora lo so. Sentono la musica.»
Poteva essere una presa in giro, ma Forzon le rispose seriamente. «La cultura è un concetto così vasto che la Sovrintendenza ha più campi di specializzazione di quanto voi possiate immaginare. La mia specialità è quella delle arti e mestieri, e m’intendo di tutte le rarità in quel campo. Questo strumento, per esempio, la disposizione circolare delle sue corde… sapete che sfida ogni definizione?»
«Non ho mai pensato a definirlo. È uno strumento delizioso da suonare.»
«Suonate qualcosa» suggerì Forzon.
La ascoltò assorto e affascinato, guardando le sue dita agili, finché l’ultimo arpeggio di note sussurrate non svanì.
«Meraviglioso» disse in un soffio. «La sua comodità tecnica è incredibile. Le corde vengono a trovarsi tutte esattamente sotto le dita. Mentre nella maggior parte delle arpe…»
Tacque. Nel corridoio risuonavano dei passi, proprio davanti alla porta, e la ragazza si agitò, inquieta.
«Dev’essere quasi ora di colazione» disse Forzon. «Posso invitarvi?»
Scosse il capo gravemente. «Sarà meglio che nessuno sappia che ci siamo parlati. Per piacere, non ditelo a nessuno.» Lo spinse verso la porta, l’aprì con cautela e guardò fuori. «Non tornate qui» gli mormorò, «Cercherò io di vedervi prima di partire.»
Forzon si ritrovò solo nel corridoio e mentre si allontanava la porta si chiuse silenziosamente alle sue spalle. Aveva già voltato l’angolo quando gli venne in mente che la ragazza non gli aveva detto il suo nome.
Un forte odore di cucina lo attirò verso il salone da pranzo. Si dirigeva verso il dispensiere quando gli sbarrò il passo una delle soldatesse del Coordinatore Rastadt. «Gli ufficiali vengono serviti in camera» gli disse.
«Grazie» rispose Forzon, distrattamente. «Preferisco mangiare qui.»
La ragazza arrossì, confusa, ma non si diede per vinta. «Il Coordinatore ha ordinato che…»
«Ditegli» mormorò Forzon «che l’Intendente moriva di fame.»
L’aggirò, si servì da solo e portò il suo vassoio all’estremità di un lungo tavolo dove molte ragazze in uniforme e giovanotti in tuta stavano già mangiando. Lo accolse un silenzio generale, I commensali evitavano il suo sguardo e risposero a monosillabi quando tentò di attaccare discorso. Uno per volta se ne andarono, e Forzon rimase solo un bel po’ prima di aver terminato il pasto.
Tornò nel suo alloggio e vi trovò una meravigliosa colazione servita sul suo scrittoio. Nauseato gettò nel cestino il cibo freddo. Contemplava tristemente dalla finestra l’arido paesaggio quando udì bussare. Gli bastò un’occhiata per giudicare il suo visitatore. Pensò: non può essere altri che il Vice-Coordinatore.
L’uomo scattò sull’attenti e lo salutò militarmente. «Vice-Coordinatore Wheeler. Agli ordini.»
Forzon gli disse di lasciar perdere e di entrare a sedersi. Quando rispose «Sissignore» gli disse di lasciar perdere anche il «sissignore». «Mi chiamo Jef. E tu, hai un nome di battesimo?»
«Blagdon» disse Wheeler, con un sorriso sciocco. «I miei amici mi chiamano Blag.»
«Meglio. Mi verrebbe l’esaurimento, a chiamarti Vice-Coordinatore Wheeler.»
Wheeler sorrise nuovamente, porse a Forzon un grosso libro e si adagiò comodamente nella poltrona. Forzon gli sorrise. Dopo aver conosciuto il Coordinatore Rastadt, il suo vice era come si poteva prevedere: un uomo bonario, grande e grosso, il cui compito principale presso la base consisteva probabilmente nel calmare le ire suscitate dai modi bruschi del suo superiore.
Il sorriso di Wheeler scomparve e Forzon si accorse con sorpresa che l’uomo aveva due facce, una tragica, l’altra comica, e probabilmente non sapeva neanche lui se fosse un lacrimevole pagliaccio o un risibile attore tragico.
Forzon sollevò il libro. «Che cos’è?»
«Il Manuale Operativo 1048-K. Il manuale ERI fondamentale. C’è tutto, dentro. Probabilmente più di quanto ti interessi.»
Forzon lo spinse da parte. «Sei stato incaricato di istruirmi.»
«Sì» annuì Wheeler. «Ma, prima, c’è un’altra cosa. Abbiamo trovato i tuoi ordini.»
«Li avete… trovati?»
Wheeler annuì con imbarazzo. Anche nell’espressione più tetra il suo viso tondo, gioviale pareva prossimo al riso. Forzon lo guardò con commiserazione. Indipendentemente dalle sue qualità, quell’uomo era destinato a fare sempre il vice di un altro. A ogni svolta della sua carriera, il lato clownesco della sua personalità doveva far capolino e convincere i suoi superiori che non si poteva prenderlo sul serio.
«Un impiegato dell’ufficio comunicazioni ha preso un granchio» disse Wheeler. «Non è tutta colpa sua. Effettivamente gli ordini erano indirizzati a qualcuno di cui non aveva mai sentito parlare. Sapeva che sul pianeta Gurnil non vi era un Jef Forzon, e che non c’erano intendenti di sorta nel raggio di molti anni-luce. Naturalmente ha creduto che gli ordini fossero giunti a Gurnil per errore di codice e li ha archiviati provvisoriamente chiedendo conferma. Ne accadono di tutti i colori, con i ripetitori spaziali. La conferma non è arrivata… e i tuoi ordini sono rimasti in archivio. Nulla di grave, comunque. Tu sei qui, i tuoi ordini sono qui. Ne sto facendo fare delle copie. Devi assumere il comando della Squadra B.»
Forzon lo guardò stupito. «Un ufficiale della Sovrintendenza Culturale al comando di una squadra operativa delle Relazioni Interspaziali? Rimetti in archivio quegli ordini e chiedi un’altra conferma, è meglio!»
«Già fatto» disse Wheeler. «Voglio dire che ho chiesto conferma. È la prassi. Non credo vi sia probabilità d’errore.»
«Allora qualcuno al Comando Supremo ERI è diventato matto.»
Per una volta il viso di Wheeler fu solamente pensoso. «È quanto io sostengo, da anni. Ma, indipendentemente dalle condizioni mentali della persona che li formula, gli ordini sono ordini, inevitabilmente. La Squadra B è tua.»
«Per farne che…?»
«Già… Forse un po’ di storia di Gurnil ti sarà utile.»
«Qualsiasi cosa mi può essere utile.»
«Certo, dimenticavo che tu non hai… che tu non sei…» sorrise malinconicamente e tacque un momento per pensare. «Come già saprai, l’Ente Relazioni Interplanetarie lavora, essenzialmente, ai margini della Federazione dei Mondi Indipendenti, oltre confine. A mano a mano che la Federazione si allarga, l’ERI muove un altro passo avanti e gli prepara la strada. Compila le carte spaziali, esplora e rileva i pianeti. Se vi scopre forme di vita intelligente, nomina un Coordinatore e impianta una base di Relazioni Interplanetarie, conduce uno studio di classifica, e mette in piedi le squadre operative necessarie a guidare il pianeta verso la sua associazione alla Federazione. Se non vi trova vita intelligente, allora accadono altre cose, nessuna delle quali ci interessa, qui a Gurnil, perché la prima volta che questo pianeta è stato rilevato, quattrocento anni fa, possedeva due fiorenti civiltà di tipo umano. Sai qualcosa dei metodi impiegati dall’ERI?»
Forzon scosse il capo: «Come faccio a saperlo? Voi non lasciate entrare la SC finché non avete decretato il pianeta “non ostile”, e questo non avviene se non quando il vostro lavoro è terminato e il pianeta ha praticamente chiesto di entrare a far parte della Federazione.»
«Non ci possiamo permettere di lasciar impasticciare il nostro lavoro» osservò Wheeler.
«Grazie» disse Forzon asciutto. «Nel frattempo voi impasticciate il nostro.»
Wheeler sfoggiò il suo sorriso tragico. «Ci sono due o tre cose alle quali dobbiamo badare, all’infuori della cultura. Guidare il pianeta verso l’associazione alla Federazione può essere talvolta un lavoro spinoso. Bisogna che a capo di tutto il pianeta vi sia già un governo democratico voluto e istituito dal popolo stesso, senza visibile interferenza estranea. Dobbiamo lavorare in un intrico tremendo di regolamenti…»
«La democrazia imposta dall’esterno…» mormorò Forzon.
«È la prima legge dell’Ente. Raramente troviamo un pianeta retto da un governo unico, e tanto meno democratico. Perciò guidiamo piccoli gruppi politici verso un sistema democratico, poi li portiamo a unirsi in gruppi più importanti, e un bel giorno abbiamo la nostra democrazia planetaria. E tutto questo, naturalmente, lo dobbiamo fare senza che la gente sappia che siamo presenti. Talvolta occorrono secoli.»
«Ragion per cui, quando arriviamo noi, la cultura locale è inquinata.»
«Non possiamo evitarlo.»
«E allora che ci faccio io, ora, a Gurnil?»
«Non lo so» disse Wheeler con franchezza. «Ti sto solo spiegando che cosa fa qui l’ERI. Gurnil è bicontinentale. Al nostro arrivo, ciascun continente costituiva un’entità politica, governata da una monarchia assoluta. Le squadre di classifica dell’Ente avevano valutato a cinquant’anni il tempo occorrente per assolvere il nostro compito.»
«Quattrocento anni fa?»
Wheeler annuì. «La Squadra A, qui, in Larnor, è riuscita subito. Nello spazio di dodici anni la monarchia era stata sostituita da una fiorente democrazia. È tuttora fiorente. Anzi, è un modello del genere. La Squadra B, laggiù, in Kurr, non è riuscita a niente. Dopo quattrocento anni, il Kurr non ha fatto un solo passo avanti verso la democrazia. Si trova oggi allo stesso punto in cui l’abbiamo trovato quando il pianeta fu scoperto. Anzi, la situazione non fa che peggiorare. Ogni nuovo monarca consolida un po’ più il suo potere. Così, al momento, stanno le cose.»
«Quindi io devo prendere il comando della Squadra B, e la mia missione è quella di convertire il Kurr alla democrazia.»
«Senza ingerenza esterna visibile» Wheeler aggiunse con un sorriso. «Dovrai dare un’occhiata agli atti della Squadra B, e vedere quel che si è già tentato, prima di cominciare a elaborare piani personali.»
«Il problema, hai detto, dura da quattrocent’anni.»
«Sì…»
«In quattrocento anni si possono tentare molte cose.»
«Gli atti della Squadra B riempiono una sala» disse allegramente Wheeler.
«Inoltre, poiché l’ERI deve trovare irritante, se non addirittura imbarazzante, il problema del Kurr, gli avrà dedicato, nel corso degli anni, alcuni dei suoi uomini migliori, che devono avere impiegato tutti i trucchi, tutti gli espedienti, tutte le manovre che siano riusciti a escogitare. Tutti hanno fatto fiasco, e così l’ERI affida il lavoro a un ufficiale della Sovrintendenza Culturale. Anche se scartiamo l’ipotesi della pazzia, questo comunque sembra un provvedimento alla disperata.»
«Il Comando Supremo è infatti disperato» confermò Wheeler. «Non si tracciano le frontiere della Federazione a festoni e ricciolini. Né può esserci una bella fetta di spazio proibito, all’interno dei confini. Un pianeta come Gurnil può bloccare l’ammissione di un intero settore di mondi e portare a un punto morto l’espansione federale.»
«Se il Kurr è un osso così duro, come mai il Larnor si è arreso così facilmente?»
«È un continente povero e il suo re era di una stupidità sconfinata. Le risorse erano trascurate. La gente viveva nella più nera miseria, e non c’è voluto molto per spingerla alla rivolta. Si istigò il re a imporre sempre nuove tasse e la gente a far qualcosa in proposito.»
«Sempre senza ingerenza estranea, naturalmente.»
«Senza ingerenza visibile. Non è del tutto la stessa cosa.»
«E il Kurr?»
«È un continente immensamente ricco e ha avuto solo governanti molto in gamba. Tiranni, d’accordo, con i soliti vizi dei tiranni; ma hanno sempre saputo, al millimetro, fin dove potessero spingersi senza irritare i loro sudditi. Si direbbe che un istinto raffinato tenga a freno la loro avidità naturale, e possono procacciarsi tutte le ricchezze di cui a loro avviso hanno bisogno, senza ricorrere a tassazioni oppressive, data la ricchezza grandissima del loro regno. Hanno anche la furbizia di temperare i loro atti di crudeltà. Magari il re fa rapire senza tanti complimenti una ragazza di cui si è invaghito, ma non manca di compensarne il padre o il marito, e anche la ragazza, quando se n’è stancato. Un intollerabile atto d’arbitrio diventa così un onore molto proficuo. Il re, se un suddito lo offende, può fargli tagliare il braccio sinistro sino al gomito, cosa che l’attuale re, Rovva, fa spesso; ma la vittima riceve una pensione, e di solito si tratta di un personaggio di corte e al popolo non gliene importa un bel niente. C’è poi il fatto, naturalmente, che da generazioni il popolo è stato allevato nel rispetto del monarca.»
«E i rapporti fra il Kurr e il Larnor?»
«Dalla rivolta del Larnor in poi, non vi sono più stati rapporti ufficiali. I re del Kurr hanno avuto la furbizia di capire che le idee dei Larnoriani erano pericolose. Ufficiosamente i Larnoriani spedivano missionari per diffondere la loro religione e la loro democrazia; ma tutti scomparivano senza lasciare traccia. Probabilmente finivano nelle moncopoli del re, i villaggi d’esilio delle sue vittime mutilate. Entrambi i continenti sono, tecnicamente, a livello venti e i viaggi transoceanici si svolgono in condizioni primitive. Non è stato difficile per il Kurr interrompere materialmente ogni rapporto.»
«Hai detto che l’ERI lavora in un terribile intrigo di regolamenti. Quali sono?»
Wheeler indicò il manuale operativo ERI 1048-K. Forzon lo trasse a sé, fece scorrere le pagine. Sul frontespizio e in testa a ogni capitolo figurava in epigrafe la legge numero uno dell’Ente: La democrazia imposta dall’esterno è la più grave forma di tirannia. Delle capsule con ciò che evidentemente l’Ente giudicava la quintessenza della saggezza risaltavano in carattere tondo nero maiuscolo sulle pagine che Forzon percorreva. L’ente non crea la rivoluzione. Crea la necessità della rivoluzione. Stabilita questa necessità la popolazione indigena è perfettamente in grado di fare la propria rivoluzione.
La democrazia non è una forma di governo, è uno stato d’animo. Non si può porre arbitrariamente un popolo in un determinato stato d’animo.
La regola dell’uno è stata una concessione abile perché non concedeva niente. I contadini ignoranti si agitavano perché fosse sostituita la tecnologia all’intelligenza. È stata loro concessa la tecnologia in modo da lasciarli totalmente in balia dell’intelligenza.
L’urgenza della rivoluzione si misura col raffronto fra la libertà di cui gode un popolo e quella cui aspira.
Forzon chiuse il libro facendolo schioccare. «To’, prendi» disse, e lo gettò a Wheeler che lo afferrò goffamente, col viso contorto dallo sbigottimento. Era come un attore tragico che nell’espressione del pathos più profondo avesse inspiegabilmente suscitato una risata. «Che cosa… che cosa farai?»
«Quanto tempo occorre a uno dell’Ente per arrivare in fondo a questa alluvione di parole in corpo piccolo?»
«Tre anni.»
«Non credo proprio che i tuoi superiori abbiano l’intenzione di farmi dedicare tre anni ad assimilare il Manuale Operativo 1048-K.»
Si alzò avviandosi alla finestra. Ogni volta che rivedeva la zona desolata della base, si arrabbiava di più. Chissà se il personale ERI guardava mai oltre i condizionati confini del proprio edificio, se non notava mai la corruzione della grandiosità del cratere? Fosse stata una base della Sovrintendenza Culturale, sarebbe stata ora circondata da tutta la bellezza che delle mani devote e delle macchine docili non avrebbero mancato di ricavare dall’ambiente circostante.
Si voltò: «Quei dipinti nell’anticamera, provengono dal Kurr?»
Wheeler esitò. «Penso di sì, per la maggior parte. Non ho mai pensato a indagare.»
Forzon disse causticamente: «Se ne provengono alcuni, tutti ne provengono. Due continenti separati e distanti non possono produrre arti e tecniche identiche.»
Avrebbe potuto fare a meno di chiederlo. La ragazza col torru apparteneva alla Squadra B, cioè veniva dal Kurr, e il torru era una versione in miniatura del complesso strumento del dipinto. «E gli indigeni non sanno della vostra presenza qui» rifletté Forzon. «Non mi meraviglio che il Coordinatore abbia fatto un salto, quando gli ho chiesto di far venire dei musicisti e dei pittori! Ma come pretendete di guidare un popolo verso la democrazia, se non avete con esso alcun contatto?»
«Noi l’abbiamo!» protestò Wheeler con indignazione. «Ogni agente di squadra operativa ha una personalità indigena. Dovrai averne una anche tu, prima di poter assumere il tuo comando.»
«Capisco. In altre parole, una specie di travestimento.»
«Non è un travestimento, è un’identità.»
«Chiamala come vuoi. Comincio a intravedere un barlume di luce. L’Ente ha, nel Kurr, un problema di vecchia data. Il Kurr ovviamente possiede una cultura di livello eccezionale. In capo a quattrocento anni, qualcuno, all’Ente, lo ha notato, e si è chiesto se chissà mai non potesse essere utile un ufficiale della Sovrintendenza Culturale. E va bene. Sono stato messo al comando della Squadra B. Andrò dunque in Kurr e utilizzerò la Squadra B per mettere in piedi un rilievo culturale.»
«Un rilievo…» Wheeler fece un lungo respiro e finì in falsetto «…culturale?»
«È a questo che io sono addestrato. Sarebbe sciocco da parte mia cominciare dal Manuale Operativo dell’ERI. Tutt’al più potrei sperare, ciò facendo, di saperne fra tre anni quanto un cadetto di prima nomina… a patto di studiare con diligenza. In mancanza di ordini contrari, mi è logico presumere che l’ERI desidera colmare quelle sue lacune d’informazione che corrispondono al mio ramo di specializzazione, e che io sia stato preso in forza per assolvere questo compito. Hai una spiegazione migliore, per la mia nomina?»
Wheeler non rispose.
«Ho bisogno di un corso accelerato di lingua» disse Forzon.
«Certo, ti manderò tutto l’occorrente. E provvederò anche per la faccenda della tua identità.»
«Mi piacerebbe incontrare qualcuno della Squadra B» disse Forzon, che pensava alla ragazza dal torru.
Wheeler corrugò la fronte. «Va bene, però non è facile. Risiedono tutti in Kurr, in pianta stabile, e non sempre possono andarsene così su due piedi. Hanno una posizione da mantenere, altrimenti perdono il frutto di un lungo lavoro. Potremmo far venire una o due persone per volta. Ma ti occorrerà un’eternità se ne vuoi conoscere un certo numero. È molto meglio che tu li veda in Kurr.»
«Non c’è nessuno della Squadra B, qui alla base?»
«No» disse Wheeler tranquillamente. «Un tempo la Squadra B teneva un comando, qui; ma ora c’è solo l’archivio, di cui si occupa il personale della base. La Squadra B è tutta in Kurr. Potrai andarvi in aereo appena sarai pronto.»
Fece un cordiale cenno di saluto col capo e uscì. Il primo impulso di Forzon fu quello di andar subito negli alloggi delle donne; ma rifletté un attimo e vi rinunciò. Quando la ragazza gli aveva detto di non tornare nella sua stanza pensava forse alle convenienze.
Oppure aveva voluto dargli un avvertimento.