2. LA NUOVA PIETRA



A notte alta, GuardalaLuna improvvisamente si destò. Esausto dopo le fatiche e i disastri della giornata, aveva dormito più profondamente del solito, eppure fu istantaneamente all’erta al primo fioco raschio giù nella valle.

Si drizzò a sedere nella fetida oscurità della caverna, tendendo i propri sensi verso l’esterno, verso la notte, e la paura si insinuò adagio nell’anima sua. Mai nel corso della sua esistenza, già due volte più lunga di quanto potessero aspettarsi quasi tutti gli appartenenti alla specie, aveva udito un suono come quello. I grandi felini si avvicinavano silenziosi e la sola cosa che li tradisse era un raro franare di terriccio, o lo schianto occasionale di un ramo. Ma questo era un suono scricchiolante e ininterrotto, che andava divenendo sempre più forte. Si sarebbe detto che qualche animale enorme si stesse muovendo nella notte, senza tentare in alcun modo di nascondersi, e ignorando tutti gli ostacoli. A un certo momento, GuardalaLuna udì il rumore inequivocabile di un cespuglio sradicato; gli elefanti e i dinoterii sradicavano abbastanza spesso cespugli, ma, a parte questo, si muovevano silenziosamente come i felini.

E poi vi fu un suono che GuardalaLuna non avrebbe potuto riconoscere, perché non era mai stato udito prima nella storia del mondo. Era un cozzare del metallo contro la pietra.

GuardalaLuna venne a trovarsi faccia a faccia con la Nuova Pietra quando guidò la tribù giù al fiume nella prima luce dell’alba. Aveva quasi dimenticato i terrori di quella notte, perché nulla era accaduto dopo lo strepito iniziale, per cui egli non associò neppure la strana cosa con il pericolo o la paura. Essa non aveva, in fin dei conti, alcunché di allarmante.

Si trattava di un monolito rettangolare, tre volte più alto di lui, ma stretto abbastanza perché potesse cingerlo con le braccia, ed era fatto di un materiale completamente trasparente; invero, non fu facile scorgerlo, tranne quando il sole nascente scintillò sui suoi spigoli. Poiché GuardalaLuna non aveva mai veduto il ghiaccio, e nemmeno acqua limpida come cristallo, non esistevano oggetti naturali ai quali egli potesse paragonare questa apparizione. Era senz’altro piuttosto allettante, e sebbene egli fosse prudentemente circospetto di fronte a quasi tutte le cose nuove, non esitò a lungo prima di avvicinarsi. Poiché non accadeva nulla, sporse una mano e tastò una superficie fredda e dura.

Dopo parecchi minuti di intense riflessioni, pervenne a una spiegazione brillante. Era una pietra, naturalmente, e doveva essere cresciuta durante la notte. Esistevano molte piante che facevano altrettanto… piante bianche, carnose, dalla forma di ciottoli, che sembravano crescere durante le ore di oscurità. Si trattava di piante piccole e rotonde, questo sì, mentre la pietra era grande e aveva orli affilati; ma filosofi più grandi e più tardi di GuardalaLuna sarebbero stati disposti a ignorare eccezioni altrettanto notevoli alle loro teorie.

Questo esempio davvero superbo di pensiero astratto condusse GuardalaLuna, dopo tre o quattro minuti appena, a una deduzione che egli mise immediatamente alla prova. Le pianteciottoli bianche e rotonde erano molto saporite (sebbene alcune di esse provocassero violenti malesseri); forse quest’altra, così alta…?

Alcune leccatine e alcuni morsi esitanti lo disillusero rapidamente. Non ci si poteva nutrire con la Nuova Pietra; e pertanto, da uomoscimmia ragionevole, egli proseguì il cammino fino al torrente e dimenticò ogni cosa del monolito cristallino durante la routine quotidiana degli strilli contro gli Altri.

La ricerca di foraggio quel giorno rese pochissimo, e la tribù dovette allontanarsi di parecchi chilometri dalle caverne per trovare un po’ di cibo. Durante la calura spietata del mezzogiorno, una delle femmine più deboli crollò, lontano da ogni possibile rifugio. Le compagne le si riunirono attorno, squittendo e gemendo comprensive, ma nessuno poteva far niente. Se gli uominiscimmia fossero stati meno spossati avrebbero potuto trasportarla con loro, ma non esistevano energie in eccesso per simili atti di bontà. La femmina dovette essere lasciata indietro a ristabilirsi, possibilmente, con le proprie risorse.

Tornando alle caverne, quella sera, passarono accanto allo stesso luogo; non si vedeva nemmeno più un osso.

Nell’ultima luce del giorno, guardandosi attorno ansiosamente, timorosi dei primi predatori, bevvero frettolosamente al torrente e incominciarono l’ascesa verso le caverne.

Si trovavano ancora a cento metri dalla Nuova Pietra quando il suono incominciò.

Era appena percettibile, eppure li indusse a immobilizzarsi, per cui rimasero come paralizzati sulla pista, con le mascelle pendule. Semplice vibrazione che si ripeteva in modo esasperante, il suono pulsava fuori dal cristallo, e ipnotizzava chiunque venisse a trovarsi entro il suo incantesimo. Per la prima volta, e l’ultima durante tre milioni di anni, il suono dei tamburi venne udito in Africa.

La pulsazione divenne più forte, più insistente. Di lì a poco gli uominiscimmia incominciarono ad avanzare, come sonnambuli, verso la sorgente di quel suono coercitivo. A volte eseguivano piccoli passi di danza, mentre il loro sangue reagiva a ritmi che i loro discendenti non avrebbero creato ancora per epoche. Completamente estasiati, si riunirono intorno al monolito, dimenticando le privazioni della giornata, i pericoli del crepuscolo imminente, e la fame che avevano nel ventre.

Il tambureggiare divenne più forte, la notte si fece più scura. E mentre le ombre si allungavano e la luce dileguava dal cielo, il cristallo cominciò a splendere. Perdette dapprima la propria trasparenza, e si soffuse di una luminescenza pallida e lattea. Fantasmi allettanti, mal definiti, si muovevano sulla sua superficie e nelle profondità. Si fusero in fasci di luce e d’ombra, poi formarono disegni intersecati, raggiati, che incominciarono adagio a ruotare.

Sempre e sempre più rapide girarono le ruote di luce, e il pulsare dei tamburi accelerò con esse. Ormai del tutto ipnotizzati, gli uominiscimmia potevano soltanto fissare, con le mascelle pendule, quello stupefacente sfoggio pirotecnico. Avevano già dimenticato gli istinti dei progenitori e le lezioni di un’intera vita; non uno di essi, normalmente, sarebbe rimasto così lontano dalla caverna, a un’ora così tarda della sera. Poiché la boscaglia circostante era piena di forme immobili e di occhi fissi, mentre le creature della notte sospendevano la loro attività per vedere che cosa sarebbe accaduto ancora.

A questo punto le turbinanti ruote di luce incominciarono a fondersi e i raggi si unirono formando fasci luminosi che adagio indietreggiarono in lontananza, ruotando intanto sui loro assi. Si suddivisero a coppie, e la conseguente serie di linee incominciò a oscillare, una linea sull’altra, diagonalmente, mutando adagio gli angoli di intersezione. Forme geometriche fantastiche, fuggevoli, apparivano e scomparivano baluginanti, mentre le splendenti griglie si intrecciavano e si districavano; e gli uominiscimmia stettero a guardare, prigionieri ipnotizzati del cristallo luminoso.

Non avrebbero mai potuto supporre che le loro menti venivano sondate, i loro corpi disegnati, le loro reazioni studiate, le loro capacità potenziali valutate.

A tutta prima l’intera tribù rimase semiaccosciata formando un immobile quadro, quasi fosse eternata nella pietra. Poi l’uomoscimmia più vicino al monolito improvvisamente si riscosse.

Non modificò la propria posizione, ma il suo corpo perdette la rigidità da stato di trance e si animò come se fosse stato un burattino azionato da fili invisibili. La testa si voltò da un lato e dall’altro; la bocca silenziosamente si aprì e si richiuse; le mani si strinsero a pugno e tornarono ad aprirsi. Poi si chinò, strappò un lungo stelo d’erba e, con dita goffe, cercò di formare un nodo.

Sembrava una creatura posseduta, in lotta contro uno spirito o un demonio che avesse assunto il dominio del suo corpo. Ansimava, respirando a stento, e aveva gli occhi colmi di terrore, mentre cercava di costringere le proprie dita a compiere movimenti più complessi di ogni altro mai tentato prima.

Nonostante tutti i suoi tentativi, riuscì soltanto a fare a pezzi lo stelo d’erba. Mentre i frammenti cadevano al suolo, l’influsso che lo dominava lo abbandonò, ed egli tornò a irrigidirsi nell’immobilità.

Un altro uomoscimmia si riscosse, ed eseguì gli stessi gesti. Questo era un esemplare più giovane, più duttile; riuscì là ove il più vecchio aveva fallito. Sul pianeta Terra, il primo rozzo nodo era stato formato… Altri fecero cose più strane e ancor più inutili. Alcuni tennero le mani in avanti, a braccia tese, e tentarono di accostare la punta delle dita… dapprima con tutti e due gli occhi aperti, poi con un occhio chiuso. Altri furono costretti a fissare disegni quadrettati nel cristallo, disegni che si suddivisero sempre più minutamente, finché le linee non si furono confuse in una chiazza grigia.

E tutti udirono singoli e puri suoni di timbro variabile, che rapidamente calavano al di sotto della soglia di udibilità.

Quando venne la volta di GuardalaLuna, egli si sentì ben poco impaurito. La più intensa delle sue sensazioni fu un vago risentimento, mentre i suoi muscoli si contraevano e le sue membra si muovevano ubbidendo a ordini che non erano del tutto suoi. Senza sapere perché, si chinò e prese un piccolo sasso.

Quando si raddrizzò vide che nel monolito di cristallo v’era una nuova immagine.

Le griglie e i disegni danzanti in movimento erano scomparsi. Si vedeva ora, invece, una serie di circoli concentrici, intorno a un piccolo disco nero.

Ubbidendo agli ordini silenziosi del suo cervello, egli lanciò il sasso con un movimento goffo del braccio dall’alto. Mancò il bersaglio di parecchie decine di centimetri.

Riprova, disse l’ordine. Egli cercò intorno a sé finché non ebbe trovato un altro ciottolo. Questa volta colpì il monolito con una vibrazione squillante, da campana. Era ancora lontano dal bersaglio, ma la mira stava migliorando.

Al quarto tentativo, colpì a pochi centimetri appena dal centro del bersaglio. Una sensazione indescrivibile di piacere, quasi sessuale tanto era intensa, gli pervase la mente. Poi l’influsso che lo dominava cessò; egli non sentì più alcun impulso di fare qualcosa, tranne che rimanere in piedi e aspettare.

A uno a uno, tutti gli appartenenti alla tribù furono fuggevolmente posseduti. Alcuni riuscirono, altri fallirono nei compiti loro affidati e tutti furono opportunamente retribuiti con spasimi di piacere o di dolore.

Ormai non rimaneva che un bagliore uniforme e senza caratteristiche nel grande monolito, per cui esso si levava simile a un blocco di luce sovrapposto alla circostante oscurità. Cose se si fossero destati da un sonno profondo, gli uominiscimmia scossero la testa, e di lì a poco ripresero a muoversi lungo la pista verso il loro rifugio. Non voltarono la testa a guardarsi indietro, né si meravigliarono della strana luce che li stava guidando verso le caverne… e verso un avvenire ancora ignoto, anche alle stelle.

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