37. ESPERIMENTO

Chiamiamolo la Porta delle Stelle.

Per tre milioni di anni aveva ruotato intorno a Saturno, aspettando un momento del destino che avrebbe potuto non presentarsi mai. Per costruirlo, una luna era stata frantumata, e i residui della costruzione si trovavano ancora in orbita.

Adesso la lunga attesa stava terminando. In un altro mondo ancora l’intelligenza era nata e fuggiva dalla propria culla planetaria. Un antico esperimento era sul punto di arrivare al momento culminante.

Coloro che lo avevano iniziato, tanto tempo prima, non erano stati uomini, e nemmeno remotamente umani. Ma si era trattato di esseri fatti di carne e di sangue, e contemplando le profondità dello spazio avevano provato timore reverenziale, e meraviglia e solitudine. Non appena in grado di farlo, erano partiti verso le stelle.

Nel corso delle loro esplorazioni avevano incontrato la vita sotto molte forme, e osservato il corso dell’evoluzione su un migliaio di mondi. Era stato loro possibile constatare quanto spesso i primi fiochi barlumi di intelligenza baluginassero e si spegnessero nella notte cosmica.

E siccome, nella galassia, non avevano trovato nulla di più prezioso della Mente, ne avevano incoraggiato ovunque gli albori. Erano divenuti gli agricoltori dei campi delle stelle; seminavano, e a volte mietevano.

E talora, imparzialmente, dovevano estirpare.

I grandi dinosauri si erano estinti da tempo quando l’astronave esplorante aveva raggiunto il sistema solare dopo un viaggio protrattosi per almeno mille anni.

Era passata accanto ai gelidi pianeti esterni, soffermandosi brevemente sopra i deserti di Marte morente, e infine aveva esaminato la Terra.

Disteso sotto di loro, gli esploratori avevano veduto un mondo brulicante di vita. Per anni e anni si erano impegnati a studiare, a collezionare, a catalogare.

Una volta appreso tutto quello che potevano, avevano cominciato a modificare, influenzando i destini di molte specie, sulla terra e negli oceani. Ma non avrebbero potuto sapere per almeno un milione di anni quale dei loro esperimenti sarebbe riuscito.

Erano pazienti, ma non erano ancora immortali. Esistevano innumerevoli cose da fare in quell’universo di cento miliardi di soli, e altri mondi li chiamavano. Perciò si erano lanciati di nuovo nell’abisso, sapendo che non sarebbero mai più tornati da quella parte.

Né del resto era necessario. I servi che avevano lasciato indietro avrebbero fatto il resto.

Sulla Terra, i ghiacciai avanzavano e indietreggiavano, mentre in alto la Luna immutabile continuava a conservare il proprio segreto. Con un ritmo ancor più lento di quello dei ghiacci polari, le maree della civiltà si alzavano e si abbassavano nella galassia. Strani e splendidi e terribili imperi si affermavano e tramontavano, tramandando quanto avevano accumulato in fatto di conoscenze ai loro successori. La Terra non era stata dimenticata, ma una nuova visita sarebbe servita a ben poco. Era uno tra milioni di mondi silenziosi, pochi dei quali avrebbero mai parlato.

E ora, tra le stelle, l’evoluzione stava conducendo verso nuove mete. I primi esploratori della Terra erano arrivati da tempo ai limiti della carne e del sangue; non appena le macchine da essi costruite avevano superato le prestazioni dei loro organismi, era giunto il momento di traslocare. Avevano trasferito dapprima i loro cervelli, e poi soltanto i loro pensieri, in nuove splendenti dimore fatte di metallo e di plastica.

In esse, vagabondavano tra le stelle. Non costruivano più navi spaziali. Erano essi stessi navi spaziali.

Ma anche l’èra delle entitàmacchine aveva avuto una durata assai breve. Con esperimenti incessanti, essi erano riusciti ad accumulare la conoscenza nella struttura stessa dello spazio e a conservare i loro pensieri per l’eternità in rappresi tralicci di luce. Erano riusciti a divenire creature di radiazione, esenti finalmente dalla tirannìa della materia.

In ultimo, per conseguenza, si erano trasformati in pura energia; e in mille mondi i vuoti gusci da essi abbandonati avevano guizzato per qualche tempo in una ottusa danza della morte, per crollare poi rosi dalla ruggine.

Ormai essi erano i padroni della galassia, di là dalla portata del tempo. Potevano vagare a loro piacere tra le stelle e calare come tenue nebbia tra gli interstizi stessi dello spazio. Ma, nonostante le loro facoltà divine, non avevano dimenticato del tutto le loro origini, nella melma tiepida di un mare scomparso.

E continuavano a seguire gli esperimenti iniziati dai loro antenati, tanto tempo prima.

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