Frank Poole era già passato per l’intera routine, ma non accettava nulla come dimostrato… nello spazio ciò costituiva un’ottima ricetta del suicidio. Eseguì il consueto minuzioso controllo di Betty e dei rifornimenti di carburante; anche se non sarebbe rimasto all’esterno dell’astronave per più di trenta minuti, si accertò che la capsula fosse rifornita di tutto il necessario per ventiquattr’ore. Disse poi ad Hal di aprire la camera di equilibrio e azionò il getto uscendo nell’abisso.
L’aspetto dell’astronave era identico a quello che essa aveva avuto durante l’ultima escursione… con una differenza importante. In precedenza, il grande riflettore parabolico dell’antenna a lunga portata era puntato all’indietro verso la traiettoria invisibile percorsa dalla Discovery… verso la Terra che girava così vicina alle ardenti fiamme del Sole.
Ora, senza segnali direttivi che lo orientassero, il disco aveva assunto automaticamente la posizione neutra. Era puntato in avanti nella direzione dell’asse dell’astronave… orientato per conseguenza verso il brillante faro di Saturno, dal quale li separavano ancora mesi di viaggio nello spazio. Poole si domandò quante altre difficoltà sarebbero sorte prima che la Discovery raggiungesse la sua ancora remota mèta. Guardando attentamente, riusciva a vedere che Saturno non era un disco perfetto; a entrambi i lati si trovava qualcosa che nessun occhio umano aveva mai visto prima di allora senza l’ausilio di strumenti ottici… il lieve schiacciamento causato dalla presenza degli anelli. Quali meraviglie avrebbero veduto, si disse, quando quel sistema incredibile di polvere e ghiaccio in orbita avrebbe colmato il loro firmamento, e la Discovery sarebbe divenuta un’eterna luna di Saturno! Ma un simile successo sarebbe stato vano, se non fossero riusciti a ristabilire le comunicazioni con la Terra.
Una volta di più parcheggiò Betty a sei metri circa dalla base del sostegno dell’antenna, e passò il controllo ad Hal prima di aprire il portello.
«Esco adesso dalla capsula», riferì a Bowman. «Tutto è in ordine.»
«Spero che tu abbia ragione. Sono ansioso di vedere quell’elemento.»
«Lo avrai sul banco di collaudo tra venti minuti, te lo prometto.»
Seguì per qualche tempo il silenzio, mentre Poole si spostava adagio verso l’antenna. Poi Bowman, in piedi sul ponte di controllo, udì vari sbuffamenti e grugniti.
«Può darsi che debba rimangiarmi la promessa; uno di questi controdadi si è bloccato. Devo averlo stretto troppo… pfui… ecco che cede!»
Seguì un altro lungo silenzio; poi Poole disse:
«Hal, sposta il riflettore della capsula di venti gradi a sinistra… grazie… così va bene.»
Il più vago dei campanelli d’allarme incominciò a squillare in qualche punto nelle profondità della coscienza di Bowman. V’era qualcosa di strano… non proprio di allarmante, ma soltanto di inconsueto. Si domandò crucciato per qualche secondo di che cosa potesse trattarsi, prima di capire la causa della sua preoccupazione.
Hal aveva eseguito l’ordine, ma senza darne la conferma, come faceva invariabilmente. Una volta che Poole avesse terminato, dovevano approfondire la cosa…
All’esterno della nave spaziale, sul sostegno dell’antenna, Poole era troppo indaffarato per notare qualcosa di insolito. Aveva afferrato con le mani guantate la piastra del circuito e la stava estraendo dalla scanalatura.
La piastra dell’elemento si staccò e lui la tenne alta nella pallida luce solare.
«Eccolo, il piccolo bastardo», disse all’universo in generale e a Bowman in particolare. «A me continua a sembrare perfettamente okay.»
Poi si interruppe. Il suo sguardo era stato attratto da un movimento improvviso… lì all’esterno, ove nessun movimento era possibile.
Alzò gli occhi, allarmato. La direzione dei due fasci luminosi provenienti dai riflettori della capsula, dei quali egli si era servito per fugare le ombre, proiettate dal Sole, aveva incominciato a mutare, girandogli intorno.
Forse Betty era andata alla deriva; poteva essere stato sbadato nell’ancorarla. Poi, con uno stupore così immenso da non lasciare spazio alla paura, vide che la capsula veniva direttamente verso di lui con la propulsione del getto al massimo.
La visione era talmente incredibile che paralizzò i suoi normali riflessi e non tentò in alcun modo di evitare il mostro scaraventato contro di lui. All’ultimo momento, ritrovò la voce e urlò: «Hal! Massima spinta di frenaggio…» Era troppo tardi.
Al momento dell’urto, Betty si stava muovendo ancora molto adagio; non era stata costruita per le accelerazioni improvvise. Ma anche ad appena sedici chilometri all’ora, una massa di mezza tonnellata può essere letale, sulla Terra o nello spazio…
All’interno della Discovery quell’urlo, troncato di colpo, alla radio fece sussultare Bowman con tanta violenza che soltanto le cinghie di sicurezza lo trattennero sul sedile.
«Che cosa è accaduto, Frank?» gridò.
Gridò ancora la domanda. E di nuovo non ebbe risposta.
Poi, all’esterno degli ampi finestrini di osservazione, qualcosa si mosse nel suo campo visivo. Egli scorse, con uno stupore immenso come quello che aveva provato Poole, che si trattava della capsula… diretta, con il motore al massimo, verso le stelle.
«Hal!» urlò. «Che cosa è accaduto? Massima spinta di frenaggio su Betty! Massima spinta di frenaggio!»
Non vi fu alcun mutamento. Betty continuò ad accelerare sulla sua traiettoria di fuga.
Poi, rimorchiata dietro la capsula all’estremità del cavo di sicurezza, apparve una tuta spaziale. Uno sguardo bastò a Bowman per capire che era accaduto il peggio. Non ci si poteva ingannare sui flaccidi contorni di una tuta che aveva perduto la pressione ed era aperta al vuoto.
Ciò nonostante egli continuò a gridare stupidamente, come se un incantesimo avesse potuto riportare indietro il morto: «Pronto Frank… Pronto Frank… Riesci a sentirmi?… Riesci a sentirmi?… Agita le braccia se mi senti… Forse c’è un guasto alla tua trasmittente… Agita le braccia!»
E infine, quasi rispondendo alla sua supplica, Poole agitò le braccia.
Per un attimo Bowman sentì la pelle formicolargli sulla nuca. Le parole che stava per gridare si spensero sulle sue labbra a un tratto inaridite. Perché sapeva che il suo amico non poteva più essere vivo; e ciò nonostante agitava le braccia…
Lo spasimo di speranza e di paura passò all’istante, mentre la fredda logica sostituiva l’emozione. La capsula, continuando a accelerare, scuoteva, semplicemente, il fardello che si trascinava dietro. Il gesto di Poole ripeteva quello del capitano Achab, quando, legato ai fianchi della balena bianca, il suo cadavere aveva salutato l’equipaggio della Pequod, votato alla condanna.
Cinque minuti dopo, la capsula e il suo satellite erano svaniti tra le stelle. Per molto tempo David Bowman continuò a guardare, da quella parte, lo spazio che ancora si stendeva per tanti milioni di chilometri fino alla mèta cui, ormai ne aveva la certezza, non sarebbe mai potuto arrivare. Un solo pensiero continuava a martellargli la mente.
Frank Poole sarebbe stato il primo tra tutti gli uomini a raggiungere Saturno.