12. VIAGGIO ALLA LUCE DELLA TERRA

SETTORE DEL MACROCATERE: si estende a sud della prossimità del centro dell’emisfero visibile della Luna, e a est del settore del Cratere Centrale. Fittamente costellato di crateri d’urto; molti dei quali grandi, e tra essi i più grandi della Luna; a nord alcuni crateri sono fratturati dall’impatto che forma il Mare Imbrium. Superfici accidentate quasi dappertutto, tranne che nel fondo di alcuni crateri. La maggior parte delle superfici in pendenza, quasi tutte con un’inclinazione da 10° a 12°; il fondo di taluni crateri è quasi livellato.

ALLUNAGGIO E MOVIMENTI: allunaggio generalmente difficile a causa delle superfici accidentate e in pendio; meno difficile nel fondo livellato di alcuni crateri. I movimenti sono possibili quasi dappertutto, ma occorre una selezione degli itinerari; risultano meno difficili sul fondo livellato di alcuni crateri.

COSTRUZIONI: in genere moderatamente difficili a causa delle pendenze e di numerosi grossi blocchi di materiale franoso; lo scavo della lava è difficoltoso nel fondo di alcuni crateri.

TYCHO: cratere di ottantasei chilometri di diametro, altezza dell’orlo 2.370 metri sulla regione circostante; profondità del fondo, 3.600 metri. Tycho ha il più vistoso sistema raggiato della Luna, e alcuni raggi si estendono per oltre ottocento chilometri.

(Estratto da «Studio tecnico speciale della superficie lunare», Ufficio tecnico del Dipartimento dell’Esercito. Rilevamento geologico USA. Washington 1961.)

Il laboratorio mobile, che stava percorrendo la pianura del cratere a ottanta chilometri orari, aveva l’aspetto di un’enorme roulotte montata su otto ruote flessibili. Ma era molto di più: si trattava di una base autonoma nella quale venti uomini potevano vivere e lavorare per parecchie settimane. In effetti poteva essere considerato una nave spaziale a ruote… e, in caso di emergenza, poteva anche volare. Se veniva a trovarsi dinanzi a un crepaccio o a un canyon troppo lunghi per poter essere aggirati e troppo ripidi per potervi discendere, era in grado di saltare l’ostacolo grazie ai suoi quattro motori a getto disposti inferiormente.

Guardando fuori dal finestrino, Floyd vide perdersi in lontananza dinanzi a sé una pista ben definita, ove decine di veicoli avevano lasciato una fascia ben compressa nella superficie friabile della Luna. A intervalli regolari lungo la pista si trovavano aste alte e sottili, ognuna con una luce lampeggiante. Nessuno avrebbe potuto smarrirsi lungo il tragitto di trecentoventi chilometri dalla Base Clavius al TMA-1, anche se era notte e il Sole non sarebbe sorto ancora per parecchie ore.

Le stelle in alto erano soltanto un po’’ più luminose, o più numerose, che in una notte limpida sugli altopiani del Nuovo Messico o del Colorado. Ma esistevano due cose, in quel firmamento nero come carbone, che distruggevano ogni illusione di trovarsi sulla Terra.

La prima era la Terra stessa… un faro luminoso sospeso sopra l’orizzonte settentrionale. La luce che si riversava da quel gigantesco emisfero era decine di volte più vivida di quella della Luna piena e avvolgeva tutto il territorio in una fredda fosforescenza azzurroverdastra.

La seconda immagine celeste consisteva in un cono di luce fioca e perlacea, obliquo nel cielo a oriente. Diventava sempre e sempre più luminoso verso l’orizzonte, facendo pensare a immensi incendi nascosti subito di là dall’orlo della Luna. Ecco una pallida radiosità che nessun uomo aveva mai visto dalla Terra, tranne che durante i pochi e fuggevoli momenti di una eclisse totale. Si trattava della corona, preannuncio dell’alba lunare, che avvertiva come di lì a non molto il Sole avrebbe percorso quel suolo addormentato.

Sedendo con Halvorsen e Michaels nella saletta d’osservazione anteriore, situata immediatamente sotto la cabina del conducente, Floyd constatò che i suoi pensieri tornavano con insistenza all’abisso di tre milioni di anni appena spalancatesi dinanzi a lui. Come tutti coloro che hanno una cultura scientifica, era abituato a prendere in considerazione periodi di tempo di gran lunga maggiori… ma essi si riferivano soltanto ai movimenti delle stelle e ai lenti cicli dell’universo inanimato. La mente o l’intelligenza non erano state coinvolte; quei periodi cosmici, quasi eternità, erano privi di tutto ciò che toccava le emozioni.

Tre milioni di anni! Il panorama infinitamente affollato della storia scritta, con i suoi imperi e i suoi re, i suoi trionfi e le sue tragedie, occupava a malapena un millesimo di questo spaventoso intervallo di tempo. Non soltanto l’uomo stesso, ma quasi tutti gli animali ora viventi sulla Terra non erano nemmeno esistiti quando qualcuno aveva così accuratamente seppellito il nero enigma laggiù, nel più vivido e nel più spettacolare di tutti i crateri della Luna.

Il dottor Michaels aveva la certezza assoluta che fosse stato seppellito, e con un deliberato proposito. «All’inizio», spiegò, «ero propenso a sperare che potesse indicare la posizione di qualche struttura sotterranea, ma i nostri ultimi scavi hanno fatto cadere questa ipolesi. Esso poggia su un’ampia piattaforma dello stesso materiale nero, sotto la quale v’è roccia indisturbata. Le… creature… che lo hanno costruito volevano essere certe che rimanesse dov’è, purché non si fossero verificati violentissimi terremoti lunari. Costruivano per l’eternità.»

Vi fu una nota di trionfo, e al contempo di tristezza, nella voce di Michaels, e Floyd poteva condividere entrambi gli stati d’animo. Finalmente, uno dei più antichi interrogativi dell’uomo aveva trovato risposta, quella era la prova, di là da ogni ombra di dubbio, che l’intelligenza umana non era la sola prodotta dall’universo. Ma a questa certezza si accompagnava, una volta di più, una consapevolezza dolorosa dell’immensità del Tempo. Chiunque fosse passato di lì, aveva mancato il genere umano per centomila generazioni. Forse, si disse Floyd, era meglio così. Eppure… che cosa non avremmo potuto imparare da esseri capaci di attraversare lo spazio mentre i nostri antenati vivevano ancora sugli alberi!

Poche centinaia di metri più avanti, un cartello indicatore stava emergendo sopra l’orizzonte stranamente limitato della Luna. Alla sua base v’era una struttura a forma di tenda, coperta di lucente stagnola argentea, ovviamente per proteggerla dalla feroce calura del giorno.

Mentre il laboratorio mobile passava, Floyd riuscì a leggere, nella vivida luminosità della Terra:

DEPOSITO DI EMERGENZA N. 3

20 chilogrammi di Lox

10 chilogrammi d’acqua

20 razioni MK 4

1 cassetta attrezzi tipo B

1 attrezzatura per riparazione tute

TELEFONO

Загрузка...