26. DIALOGO CON HAL

Null’altro era cambiato a bordo della Discovery. Tutti gli impianti continuavano a funzionare normalmente; il tamburo ruotava adagio sul proprio asse, generando la sua simulata gravità; gli ibernati dormivano senza sogni nei loro cubicoli; la nave spaziale continuava a dirigersi verso la mèta dalla quale nulla avrebbe potuto distoglierla tranne la possibilità inconcepibilmente remota di una collisione con un asteroide. Ed esistevano invero ben pochi asteroidi, 11, nello spazio di là dall’orbita di Giove.

Bowman non ricordava di essersi diretto dal ponte di controllo al tamburo ruotante; ora, non senza stupore, si sorprese seduto nel cucinino, con una tazza di caffè, vuotata a mezzo, in mano. A poco a poco ridivenne conscio di ciò che lo circondava, come un uomo che emerge da un lungo sonno provocato da sostanze stupefacenti.

Proprio di fronte a lui si trovava una delle lenti, simili a occhi di pesce, situate nei punti strategici di tutta l’astronave; le lenti che fornivano ad Hal gli impulsi visivi a bordo della Discovery. Bowman la fissò come se non l’avesse mai veduta prima; poi si alzò adagio e si diresse verso la lente.

Il suo movimento nel campo visivo dovette innescare qualche processo nella mente insondabile che stava ora governando la nave spaziale; poiché a un tratto Hal parlò.

«È un vero peccato quello che è accaduto a Frank, no?»

«Sì», rispose Bowman dopo un lungo silenzio.

«È così.»

«Presumo che tu sia molto scosso per questo.»

«Che cosa ti aspettavi?»

Hal elaborò la risposta per secoli secondo il metro dei calcolatori; trascorsero cinque interi secondi prima che continuasse:

«Era un ottimo membro dell’equipaggio.»

Accorgendosi di avere ancora in mano la tazza del caffè, Bowman bevve un lento sorso. Ma non rispose; i suoi pensieri erano talmente tumultuosi che non gli venne in mente nulla da dire… nulla che non potesse peggiorare ancor più la situazione, se possibile.

Poteva essersi trattato di un incidente causato da qualche guasto nei comandi della capsula? Oppure era stato un errore, anche se innocente, da parte di Hal? Nessuna spiegazione gli era stata data spontaneamente, ed egli paventava di chiederla, nel timore della reazione cui avrebbe potuto dar luogo.

Anche adesso, non riusciva ad accettare del tutto l’idea che Frank fosse stato deliberatamente ucciso… era irrazionale all’estremo. Era oltre ogni logica il fatto che Hal, il quale aveva funzionato impeccabilmente per così lungo tempo, potesse essersi trasformato a un tratto in un assassino. Avrebbe potuto commettere errori, chiunque, uomo o macchina, poteva sbagliare, ma Bowman non riusciva a crederlo capace di assassinio.

Eppure doveva tener conto di questa possibilità, perché, se era vera, egli stava correndo un pericolo terribile. E anche se la sua mossa successiva era ben definita dalle norme prestabilite, non sapeva bene come avrebbe potuto procedere impunemente.

Nel caso di morte di uno dei due membri dell’equipaggio, il superstite doveva sostituirlo immediatamente con uno degli ibernati; Whitehead, il geofisico, era il primo designato per il risveglio; toccava quindi a Kaminski e infine ad Hunter. La sequenza del risveglio era comandata da Hal… per consentirgli di agire nell’eventualità che entrambi i suoi colleghi umani fossero stati inabilitati contemporaneamente.

Ma esisteva anche un comando manuale, che consentiva a ciascun hibernaculum di operare come una unità completamente autonoma, indipendentemente dalla supervisione di Hal. In quelle particolari circostanze, Bowman era nettamente propenso a servirsene.

Riteneva inoltre, con una convinzione ancor più grande, che un solo compagno umano non fosse sufficiente. Già che c’era, avrebbe risvegliato tutti e tre gli ibernati.

Nelle settimane difficili che lo aspettavano poteva aver bisogno di tutto l’aiuto possibile. Con un uomo scomparso, e con il viaggio compiuto a metà, la questione provviste non costituiva più una grave difficoltà.

«Hal», disse, nel tono più fermo che gli riuscì di assumere, «dammi il comando manuale di ibernazione, su tutte le unità.»

«Su tutte le unità, Dave?»

«Sì.»

«Posso farti rilevare che è prevista una sola sostituzione? Gli altri non devono essere svegliati ancora per centododici giorni.»

«Lo so benissimo. Ma preferisco regolarmi in questo modo.»

«Sei certo che sia necessario svegliare anche soltanto uno di loro, Dave? Possiamo cavarcela benissimo da soli. La mia memoria è capacissima di far fronte a tutte le esigenze della missione.»

Glielo faceva credere la sua immaginazione troppo spinta, si domandò Bowman; o v’era davvero una nota di supplica nella voce di Hal? E le parole di lui, per quanto sembrassero ragionevoli, lo colmarono di un’apprensione ancor più grande di prima.

Hal non aveva potuto fargli la proposta per errore; egli sapeva benissimo che Whitehead doveva essere svegliato dopo la scomparsa di Poole. Quanto proponeva era un cambiamento importante nel programma della missione, e pertanto stava andando molto oltre i limiti degli ordini ricevuti.

Quanto era accaduto prima poteva essere stato una serie di incidenti; ma questo era il primo indizio di ammutinamento.

Parve a Bowman di camminare sulle uova, mentre rispondeva: «Dato che è venuta a determinarsi una situazione di emergenza, mi occorre tutto l’aiuto possibile. Quindi, per piacere, dammi il comando manuale di ibernazione.»

«Se sei sempre deciso a svegliare l’intero equipaggio, posso provvedere io stesso. Non è affatto necessario che tu ti prenda il disturbo.»

V’era in tutto ciò una sensazione di irrealtà da incubo. A Bowman parve di trovarsi sul banco dei testimoni e di essere interrogato da un pubblico accusatore ostile a causa di un delitto che ignorava… sapendo che, sebbene fosse innocente, un semplice lapsus linguae avrebbe potuto portarlo al disastro.

«Voglio farlo io stesso, Hal», disse. «Per piacere, dammi il comando manuale»

«Ascolta, Dave, hai un gran numero di cose da fare. Ti suggerirei di lasciar fare a me.»

«Hal, passa al comando manuale di ibernazione.»

«Capisco dalle armoniche della tua voce, Dave, che sei molto turbato. Perché non prendi una pillola di tranquillante e non riposi un po’’?»

«Hal, sono io al comando di questa astronave. Ti ordino di passarmi il comando manuale di ibernazione.»

«Mi dispiace, Dave, ma il regolamento speciale Cl435-trattino-4 dice: “Quando l’equipaggio è morto o nell’impossibilità di agire, il calcolatore di bordo deve assumere il comando”. Devo pertanto ignorare la tua autorità, dato che tu non sei in grado di esercitarla in modo intelligente.»

«Hal», disse Bowman, parlando ora con gelida calma, «non mi trovo nell’impossibilità di agire. A meno che tu non ubbidisca ai miei ordini, sarò costretto a disinserirti.»

«So che ci stai pensando già da qualche tempo, Dave, ma questo sarebbe un terribile sbaglio. Sono molto più capace di te di governare l’astronave e ho un grandissimo entusiasmo per la missione e una fiducia grandissima nel suo successo.»

«Ascoltami con molta attenzione, Hal: a meno che tu non mi passi immediatamente il comando manuale di ibernazione e non esegua ogni ordine che ti darò d’ora in poi, mi recherò nella Centrale e ti disinserirò completamente.»

La resa di Hal fu tanto totale quanto imprevista. «Okay, Dave», egli disse. «Sei senz’altro il capo. Stavo soltanto cercando di fare quello che ritenevo fosse più giusto. Naturalmente eseguirò tutti i tuoi ordini. Hai ora il pieno comando manuale dell’ibernazione.»

* * *

Hal aveva mantenuto la parola. Gli indici degli indicatori dell’hibernaculum erano scattati da AUTOMATICO a MANUALE. La terza posizione (RADIO) era ovviamente inutile fino a quando non fosse stato possibile ristabilire il contatto con la Terra.

Mentre faceva scorrere la porta del cubicolo di Whitehead, Bowman senti una folata d’aria gelida investirlo in faccia, e il suo alito si condensò in nebbia. Eppure lì non faceva realmente freddo; la temperatura era molto sopra il punto di congelamento. Vale a dire trecento gradi più che nelle zone dello spazio ove si stavano dirigendo adesso.

L’indicatore biosensorio, identico a quello che si trovava sul ponte di controllo, mostrava che tutto era perfettamente normale. Bowman contemplò per qualche momento il volto cereo del geofisico della squadra di ricognizione; Whitehead, pensò, si sarebbe meravigliato molto destandosi così lontano da Saturno.

Sarebbe stato impossibile capire che l’uomo addormentato non era morto; non si scorgeva il benché minimo indizio visibile di un’attività vitale. Senza dubbio il diaframma si stava sollevando e abbassando impercettibilmente, ma soltanto la curva della «respirazione» lo dimostrava, perché il corpo rimaneva interamente nascosto dai cuscinetti elettrici di riscaldamento che avrebbero aumentato la temperatura con il ritmo programmato. Poi Bowman notò che v’era un segno di ininterrotto metabolismo: la barba di Whitehead era cresciuta lievemente durante i mesi di vita inconscia.

L’ordinatore manuale di sequenza del risveglio era contenuto in un piccolo armadietto a un’estremità dell’hibernaculum a forma di bara. Bastava rompere il sigillo, premere un pulsante e aspettare. Un piccolo programmatore automatico, non molto più complicato di quelli che regolano i cicli di lavaggio nelle lavatrici domestiche, avrebbe allora iniettato i farmaci opportuni, diminuito gli impulsi dell’elettronarcosi e incominciato a innalzare la temperatura del corpo. In dieci minuti circa l’ibernato avrebbe ripreso conoscenza, anche se sarebbe occorso poi almeno un giorno prima che fosse in grado di muoversi senza essere aiutato.

Bowman spezzò il sigillo e premette il pulsante. Parve che non accadesse nulla; non si udì alcun suono, non vi fu alcuna indicazione del fatto che l’ordinatore di sequenza aveva cominciato a funzionare. Ma, sull’indicatore biosensorio, le curve che languidamente pulsavano avevano cominciato a modificare il loro ritmo. Whitehead stava emergendo dal sonno.

E poi accaddero due cose contemporaneamente. La maggior parte delle persone non avrebbero notato né l’una né l’altra, ma, dopo tutti quei mesi a bordo della Discovery, era venuta a determinarsi una specie di simbiosi tra Bowman e l’astronave. Quando si verificava un mutamento qualsiasi nel ritmo normale del suo funzionamento, egli se ne accorgeva all’istante, anche se non sempre consapevolmente.

Anzitutto vi fu un’attenuazione appena percettibile delle luci, come sempre accadeva quando i circuiti elettrici venivano assoggettati a un nuovo carico. Ma adesso non v’era alcun motivo che giustificasse un nuovo carico; non gli venne in mente alcun apparato che dovesse entrare improvvisamente in funzione proprio in quel momento.

Poi sentì, ai limiti dell’udibilità, il ronzìo lontano di un motore elettrico. Per Bowman, ogni motore della nave spaziale aveva la sua voce caratteristica; questo lo riconobbe immediatamente.

O era impazzito e già stava soffrendo di allucinazioni, oppure stava accadendo qualcosa di assolutamente impossibile. Un gelo di gran lunga più intenso di quello relativamente mite dell’hibernaculum parve fermargli il cuore, mentre ascoltava la debole vibrazione che giungeva sino a lui attraverso le strutture dell’astronave.

Giù nella rimessa delle capsule, entrambi i portelli della camera di equilibrio si stavano aprendo.

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