Non andare, mi ha detto LuAnn; qualunque cosa sia, non andare, non lasciarti coinvolgere, è una faccenda che mi puzza.
E sì che non le avevo rivelato molto, davvero. Solo il lato esteriore: un gruppo religioso dell’Arizona, capisci, anzi una specie di monastero, e Eli ritiene che fare una visita potrebbe essere per noi quattro di grande valore spirituale. Andandoci potremmo ricavarne grande vantaggio, ho detto a LuAnn.
E la sua pronta reazione è stata di paura.
L’autentica sindrome della casalinga: se non sai di che si tratta, non andarci vicino.
Atterrita, quasi rinchiusa in se stessa. È un tesoro di ragazza ma è troppo prevedibile. Se le avessi rivelato la faccenda dell’immortalità, forse avrebbe reagito in maniera diversa. Ma naturalmente ho giurato di non riferire una sola parola. E in ogni caso, anche l’immortalità spaventerebbe LuAnn.
Non andare, mi avrebbe detto; c’è una trappola, salterà fuori qualcosa di terribile, è una faccenda strana e misteriosa e terrificante, non è volontà di Dio che cose simili esistano. Ognuno di noi è debitore della morte nei confronti di Dio. Beethoven è morto. Gesù è morto. Il presidente Eisenhower è morto. E tu presumi di esserne esentato, se loro hanno dovuto assoggettarsi? Ti prego, non lasciarti trascinare.
La morte! Ma cosa ne sa, della morte, quella povera ingenua di LuAnn? Ha ancora perfino i nonni. Per lei la morte è un concetto astratto, un qualcosa che è capitato a Beethoven e a Gesù. Io la morte la conosco meglio di te, LuAnn. Ogni sera vedo sogghignare il suo volto di ossa. E la devo combattere. Devo fargliela in barba.
E poi viene da me Eli e mi dice: io so dove puoi evitare la morte, Oliver. In Arizona. Recati dai membri della Confraternita, sottoponiti al loro giochetto, e quelli ti libereranno dalla schiavitù della morte. Loro sanno come strapparle la spada. Non dovrai più varcare la Soglia, scendere nella tomba, vestirti di consunzione.
E come potrei lasciar perdere questa possibilità?
La morte, LuAnn! Prova un po’ a pensare alla morte di LuAnn Chambers, diciamo giovedì mattina. Non nel 1997, ma giovedì prossimo. Sei in via degli Olmi e stai andando a trovare i nonni, e un’auto sbanda e ti viene addosso proprio come ha sbandato ieri sera l’auto di quei poveri portoricani… No, così non va bene. Non credo che la Confraternita possa proteggere dalla morte accidentale, dalla morte violenta: qualunque sistema usi, non può realizzare miracoli ma soltanto rallentare il decadimento fisico.
Ricominciamo da capo, LuAnn. Sei in via degli Olmi e stai andando a trovare i nonni, e un vaso sanguigno sotto la tempia ti scoppia a tradimento. Emorragia cerebrale. Perché no? Ogni tanto può capitare anche a chi ha vent’anni.
Il sangue esce gorgogliando e t’invade il cranio, le gambe ti si piegano sotto e tu ti afflosci sul marciapiede, dimenandoti e scalciando, e sai che ti sta succedendo qualcosa di brutto ma non riesci neppure a urlare, e in dieci secondi sei morta. Sei stata sottratta all’universo, LuAnn.
No: l’universo è stato sottratto a te. Dimentica per un momento quello che capiterà ora al tuo corpo (i vermi nella carne, i tuoi begli occhi azzurri che diventeranno fango) e pensa solo a tutto quello che hai perduto.
Hai perduto ogni cosa: l’alba e il tramonto, il profumo della bistecca ai ferri, la carezza di una maglietta di cachemire, il tocco delle mie labbra sui tuoi capezzoli piccoli e duri. Hai perduto il Grand Canyon e Shakespeare e Londra e Parigi e lo champagne e il tuo solenne matrimonio in chiesa e Paul McCartney e Peter Fonda e il Mississippi e la luna e le stelle. Non avrai bambini e non assaggerai il caviale autentico, perché giaci morta sul marciapiede e i tuoi umori vitali si stanno già inacidendo.
Perché deve succedere una cosa simile, LuAnn? Perché dobbiamo essere messi al mondo, in questo mondo meraviglioso, se poi tutto quanto ci viene strappato via? Per volontà di Dio, forse? No, LuAnn: Dio significa amore, e Dio non ci avrebbe giocato un tiro così crudele. Perciò Dio non esiste: c’è solo la morte, la Morte e noi dobbiamo combatterla.
Obbietti che non tutti muoiono a vent’anni? Vero, LuAnn. Ho fatto un esempio limite. Allora mettiamola in quest’altro modo.
Immaginati nel 1997. Hai avuto il tuo bel matrimonio in chiesa e i tuoi bambini, hai visto Parigi e anche Tokyo, hai assaggiato lo champagne e il caviale, e per le vacanze di Natale hai fatto un viaggetto sulla luna col ricco medico tuo marito.
A questo punto viene da te la Morte e ti dice: okay, bimba, è stato un bel gioco, non è vero?, ma adesso è finito. E tu, tac!, ti ritrovi un cancro all’utero, le ovaie marce, insomma una di quelle cose da donne, e il cancro metastatizza da un giorno all’altro e tu diventi una brodaglia di fluidi puzzolenti nell’ospedale di contea.
Forse che il fatto di aver vissuto quaranta o cinquant’anni di vita piena e intensa ti rende più disposta a chiudere baracca? E non sarà, invece, che è ancora più doloroso scoprire quanto può essere affascinante la vita e poi venirne tagliati fuori?
Tu non hai mai pensato a queste cose, LuAnn, ma io sì. E ti dico questo: più si vive, più si vorrebbe vivere. A meno che, naturalmente, uno soffra o sia deforme o solo al mondo, nel qual caso tutto gli diviene un fardello insopportabile. Ma se uno ama la vita, non ne avrà mai abbastanza. E neppure tu, dolce acqua cheta, neppure tu vorrai andartene.
Io non voglio andarmene. Ho riflettuto sulla morte di Oliver Marshall, credimi; e respingo completamente l’idea. Perché ho scelto la facoltà di medicina? Non per fare quattrini prescrivendo pillole alle signore di periferia; ma per poter compiere ricerche in campo geriatrico, sui fenomeni della vecchiaia, sul prolungamento della vita. Per poter ficcare un dito nell’occhio della Morte. Questo è sempre stato il mio grande sogno, e lo è tuttora; ma poi Eli è venuto a parlarmi dei Custodi dei Teschi, e io gli ho dato ascolto. Gli ho dato ascolto.
Stiamo filando verso ovest a cento all’ora. La morte di Oliver Marshall potrebbe sopraggiungere fra otto secondi (zip, bum, CIAC!) e potrebbe capitare fra novant’anni e forse non arriverà mai. Forse non arriverà mai.
Considera il Kansas, LuAnn. Tu conosci solo la Georgia, ma considera per un momento il Kansas. Chilometri e chilometri di grano, e un vento polveroso che spazza le pianure. Crescere in una cittadina di 953 abitanti. Signore, dacci oggi nostra morte quotidiana. Il vento, la polvere, la strada principale, le facce sottili e affilate. Vuoi vedere un film? Devi andare fino a Emporia, un viaggio di mezza giornata in auto. Voi comprare un libro? Immagino che dovresti andare a Topeka. Vuoi cibo cinese? Pizza? Enchiladas? Non dire sciocchezze. L’unica scuola, solo per le elementari, ha diciannove alunni. Un solo insegnante. Non è molto erudito, perché anche lui è cresciuto qui; troppo debole per lavorare nei campi, ha deciso di guadagnarsi da vivere facendo il maestro.
La polvere, LuAnn. Il grano che ondeggia al vento. I lunghi pomeriggi estivi. Il sesso. Il sesso non è un mistero, qui: è una necessità. A tredici anni si va dietro il fienile o sull’altra riva del torrente. È l’unico gioco che ci sia. L’abbiamo fatto tutti. Christa si tira giù i blue-jeans: che buffo, tra le gambe non ha nient’altro che un po’ di riccioli biondi! E adesso fammi vedere tu, dice lei. Vieni qui, sopra di me.
È un gioco eccitante, LuAnn? No, non si tratta di questo. Lo si fa perché si è disperati, e tutte le ragazze sono incinte entro i sedici anni, e la ruota continua a girare. È la morte, LuAnn, la morte pur continuando a vivere.
Io non ce l’ho fatta. Ho dovuto fuggire. Non a Wichita, non a Kansas City; ma a est, nel mondo autentico, quello che si vede alla tele. Lo sai che fatica mi è costato, uscire dal Kansas? Risparmiare il centesimo per comprare libri. Arrivato al liceo, ogni giorno novanta chilometri ad andare e novanta a tornare. E tutto questo perché vivevo l’unica e insostituibile vita di Oliver Marshall e non potevo permettermi di sprecarla coltivando il grano. E infine la borsa di studio, il massimo di voti al corso propedeutico di medicina.
Io sono un arrampicatore, LuAnn: il diavolo mi brucia la coda e io devo continuare a salire sempre di più. Ma per cosa? Per cosa? Per trenta o quaranta o cinquant’anni abbastanza decenti, e poi finis? No. No. Mi rifiuto. La morte sarà anche andata benissimo per Beethoven e Gesù e il presidente Eisenhower; ma io — senza offesa — sono diverso, non posso semplicemente sbattermi giù a crepare. Perché è tutto così breve? Perché giunge troppo presto? Perché non possiamo assorbire l’universo intero?
La morte me la son sempre vista intorno per tutta la vita. Mio padre è morto a trentasei anni, per cancro allo stomaco. Un giorno ha sputato sangue e ha detto: mi sembra di essere dimagrito molto, negli ultimi tempi. Dieci giorni dopo sembrava uno scheletro, e dopo altri dieci era uno scheletro. Trentasei anni. Che razza di vita è, una vita così breve? Quando è morto, io avevo undici anni. Avevo un cane, e questo cane è morto: naso ingrigito, orecchie cadenti, coda penzoloni, addio. Avevo anch’io i nonni, tutti e quattro: sono morti, uno due tre quattro la faccia diventata di cuoio, le lapidi nella polvere. Perché? Perché? Perché?
Voglio vedere tanti di quei posti, LuAnn! L’Africa, e l’Asia, e il Polo Sud, e Marte, e i pianeti di Alfa Centauri! Voglio veder sorgere il sole sul primo giorno del ventunesimo secolo, e anche del ventiduesimo. Sono troppo avido? Sì, lo sono. Queste cose mi stanno davanti e io sono destinato a perderle, come chiunque altro; ma mi rifiuto di arrendermi.
Perciò sto guidando verso ovest col sole che si alza in cielo alle mie spalle e Timothy che russa accanto a me e Ned che scrive poesie e Eli che medita tristemente sulla ragazza che Timothy non gli ha lasciato portare; e penso tutto ciò per te, LuAnn, penso tutte queste cose che non ti ho potuto spiegare. Riflessioni sulla Morte, di Oliver Marshall.
Presto giungeremo in Arizona. Allora subentreranno la delusione e la disillusione; berremo qualche birra, commenteremo che tutta quanta la faccenda era chiaramente un imbroglio, e torneremo indietro per riprendere questo lento morire.
Ma forse no, LuAnn, forse no. C’è una possibilità che il manoscritto scoperto da Eli dica il vero.
C’è una possibilità.