E così si comincia. Le cerimonie, la dieta, la ginnastica, gli esercizi spirituali, e tutto resto. Senza dubbio abbiamo visto soltanto la sommità dell’iceberg. Ci sono ancora molte cose da svelare: per esempio, non sappiamo quando si dovrà ottemperare alle condizioni imposte dal Nono Mistero. Domani, venerdì prossimo, a Natale, quando?
Già ci guatiamo a vicenda in un modo sinistro, scrutando il volto come per attraversarlo e giungere al teschio sottostante. Tu, Ned, vorrai ucciderti per noi? Tu, Timothy, stai tramando di uccidermi in modo che tu possa vivere?
Non una sola volta abbiamo discusso fra noi di questo aspettò della faccenda: sembra troppo terribile e troppo assurdo parlarne o anche solo pensarci. Forse i requisiti sono simbolici, metaforici. Forse no.
Ciò mi preoccupa. Fin dall’inizio di questo progetto ho captato certi presupposti inespressi, a proposito di chi dovrà sparire qualora le condizioni imposte siano reali: Ned perirebbe di propria mano, io per mano degli altri due.
Naturalmente io mi rifiuterò. Io sono venuto qui per ottenere la vita eterna. Non so se si può dire altrettanto di loro. Ned, da quello spostato che è, sarebbe capace di considerare il suicidio come la sua più bella poesia. Timothy non sembra realmente interessato all’eternità, ma suppongo che la prenderebbe se venisse via senza troppa fatica. Oliver, scaldandosi fino all’eccesso, sostiene in continuazione che lui si rifiuterà sempre di morire, nel modo più categorico; ma Oliver è un individuo molto meno stabile di quanto appare in superficie, e non c’è da fare affidamento sui suoi impulsi. Con i giusti suggerimenti filosofici potrebbe trovarsi innamorato della morte con la stessa intensità con cui afferma di esserlo della vita.
Perciò non saprei proprio dire chi soccomberà al Nono Mistero e chi invece vivrà. So solo che io sto sul chi vive, e continuerò a starci per tutto il tempo che rimarremo qui.
A proposito: quanto tempo dovrebbe essere? Non ci abbiamo mai pensato minimamente. Le vacanze di Pasqua termineranno fra sei o sette giorni, immagino, e per allora l’Iniziazione non sarà certo terminata. Ho la sensazione che durerà mesi o addirittura anni. Ce ne andremo via la prossima settimana, infischiandocene? Abbiamo giurato di no, ma naturalmente i frati non possono fare molto se noi ce ne sgattaioliamo via nel cuore della notte.
Però io voglio rimanere. Settimane, se necessario. Anni, se necessario. Nel mondo esterno ci daranno per dispersi. All’anagrafe, alla commissione di leva, a casa, tutti si preoccuperanno. Purché non ci rintraccino fin qui! I frati sono andati a prendere nell’auto i nostri bagagli. L’auto, invece, è ancora parcheggiata all’inizio del viottolo che conduce nel deserto. Finirà per trovarla la polizia statale? Manderà un agente a perlustrare il viottolo, alla ricerca del proprietario di quella luccicante berlina? Ma noi rimarremo qui per tutta la durata dell’Iniziazione. O almeno ci rimarrò io.
E se la cerimonia dei Teschi si rivelerà autentica?
Quando avrò ottenuto ciò che più desidero, non mi fermerò qui come invece hanno fatto i frati. Oh, potrei stare un cinque o dieci anni: giusto per un senso di correttezza, di gratitudine.
Ma poi me ne andrò. Il mondo è grande: perché trascorrere l’eternità in un ritiro nel deserto? Mi sono già fatto il programma per la vita che mi aspetta. In un certo senso è come quello di Oliver: intendo saziare la mia fame di esperienze. Vivrò tutta una serie di vite, prendendo da ciascuna il massimo che sarà in grado di darmi.
Comincerò con dieci anni a Wall Street, accumulando una fortuna. Se mio padre ha ragione (e io sono sicuro che l’ha), qualunque individuo abbastanza intelligente è in grado di sconfiggere la Borsa mediante il semplice sistema di fare il contrario di quello che fanno i presunti furbi. Costoro non sono che pecore, buoi, un branco di goyishe kops. Ottusi, avidi, sempre pronti a seguire la moda del momento. E così io giocherò in campo avverso e me ne verrò via con due o tre milioni che investirò in titoli assolutamente sicuri: ottimi dividendi, rendita garantita. Dopotutto, intendo vivere di quei dividendi per i prossimi cinque o diecimila anni.
E una volta diventato economicamente indipendente? Be’, dieci anni di gozzoviglie. Perché no? Se si hanno denaro e disinvoltura a sufficienza, si può avere qualsiasi donna al mondo, giusto? Avrò Margo, e una decina come lei ogni settimana. Ne ho il diritto. Un po’ di lussuria, certo: il sesso non sarà una cosa intellettuale, non sarà una cosa sublime, ma in un’esistenza priva di asperità ci vuole anche quello. Benissimo. Oro e lussuria.
Poi provvederò alla salute dello spirito. Quindici anni in un monastero trappista. Non parlerò con nessuno: mediterò, scriverò poesie, tenterò di giungere a Dio, mi spingerò più vicino possibile all’essenza dell’universo. Forse sarà meglio vent’anni. Purificherò l’anima, la purgherò, la farò salire sempre più in alto.
Quindi mi dedicherò alla ristrutturazione del mio fisico. Otto anni di esercizi da mattina a sera. Eli il fusto da spiaggia. Non più il gracilino di quarantanove chili. Praticherò il surf, scierò, vincerò il campionato di lotta indiana di East Village.
E poi? Musica. Non l’ho mai potuta approfondire come avrei voluto. M’iscriverò alla Juillard per l’intero corso di quattro anni, penetrerò nell’intima natura dell’arte musicale, mi immergerò negli ultimi quartetti di Beethoven, nel Clavicembalo ben temperato di Bach, in Berg, Schoenberg, Xenaxis, in tutta la roba più difficile; e utilizzerò le tecniche che consentono di arrivare al nucleo dell’universo dei suoni, tecniche imparate qui nel monastero. Forse comporrò. Forse scriverò saggi critici. Forse suonerò, anche. Eli Steinfeld in un concerto di musiche di Bach, alla Carnegie Hall. Quindici anni per la musica, giusto?
Così ho programmato i primi sessant’anni e rotti della mia immortalità. E poi? A quell’epoca sarò ben addentro nel ventunesimo secolo. Girerò il mondo. Viaggerò come il Buddha, vagabonderò a piedi di terra in terra, mi lascerò crescere i capelli, indosserò un manto giallo, porterò con me la ciotola delle elemosine, e una volta al mese incasserò uno dei miei assegni all’American Express di Rangoon, Katmandu, Giacarta, Singapore. Sperimenterò l’umanità a livello viscerale: mangerò tutti i cibi possibili e immaginabili, dormirò con donne di ogni razza e fede, vivrò in capanne dal tetto che fa acqua, in iglù, in tende, in case galleggianti. Vent’anni in questo modo, e dovrei farmi un’ottima idea della complessità culturale dell’umanità.
Poi, suppongo, tornerò alla mia specializzazione iniziale (linguistica e filologia), e mi dedicherò alla carriera nel frattempo abbandonata. In trent’anni potrei sfornare il mio trattato definitivo sui verbi irregolari delle lingue indoeuropee, o scoprire il segreto dell’etrusco, o tradurre l’intero corpus dei poemi di Ugarit. Qualunque cosa attiri la mia fantasia.
Poi diventerò omosessuale. Avendo a disposizione la vita eterna bisogna provare ogni cosa almeno una volta, e Ned ripete sempre che vivere da finocchio è un gran bel vivere. Veramente io preferisco le ragazze: sono più morbide, più lisce, più dolci da accarezzare. Ma una volta o l’altra dovrò ben vedere cos’ha da offrire l’altro sesso. Sub specie aeternitatis, che differenza dovrebbe fare se infilzo un tipo di buco piuttosto che un altro?
Quando sarò tornato nella fase eterosessuale me ne andrò su Marte. Sarà circa il 2100: per quell’epoca l’avremo già colonizzato, ne sono sicuro. Dodici anni sul pianeta rosso. Eseguirò lavoro manuale, roba da pionieri.
Poi vent’anni dedicati alla letteratura: dieci per leggere tutto ciò che è stato scritto dall’inizio della civiltà, o almeno tutto ciò che ne vale la pena; e dieci per comporre un romanzo che sia all’altezza del meglio di Faulkner, Dostoevskij, Joyce, Proust.
Perché non dovrei essere capace di uguagliarli? A quell’epoca non sarò più un ragazzino moccioso: avrò 150 anni di esperienza, sarò in possesso della più profonda e ampia autoistruzione che un essere umano abbia mai avuto, e sarò ancora nel pieno delle energie giovanili. E così mi dedicherò all’impresa: una pagina al giorno, una pagina alla settimana, cinque anni per progettare la struttura del libro prima di scrivere la parola d’inizio. Dovrei essere in grado di produrre… be’, un capolavoro immortale. Sotto pseudonimo, naturalmente.
Sarà un bel problema, cambiare identità ogni ottanta o novant’anni. È probabile che anche nello splendido futuro futurista la gente nutrirà sospetti nei confronti di uno che continui a campare senza morire mai. La longevità è una cosa, ma l’immortalità è un altro paio di maniche. In un modo o nell’altro dovrò trasferire a me stesso i miei investimenti, scegliere la nuova identità in modo che figuri come quella del mio unico erede. Dovrò continuare a scomparire e tornare di nuovo in circolazione sotto nome diverso. Dovrò tingermi i capelli, portare e togliere parrucca, lenti a contatto, barba, baffi. Dovrò stare attento a non avvicinarmi troppo alla macchina del governo: una volta che le mie impronte digitali siano finite nel computer centrale, avrò dei guai. Che cosa userò, come certificato di nascita, ogni volta che rifarò la mia apparizione? Dovrò pensare a qualcosa. Ma chi è abbastanza furbo da vivere per sempre, lo è anche abbastanza da poter far fronte alla burocrazia.
E se m’innamorerò? Se dovessi sposarmi, avere figli, vedere mia moglie che avvizzisce e invecchia, vedere i miei stessi figli scivolare verso la senilità mentre io rimango fresco e giovane?
Probabilmente non dovrei sposarmi; oppure potrei farlo ma solo per amore d’esperienza, e poi, al massimo dopo quindici anni, anche se lei l’amo ancora, chiedere il divorzio per evitarle tutte le complicazioni successive. Vedremo.
Dov’ero rimasto? Ah sì, al 2100, e stavo programmando il futuro a blocchi di dieci anni ciascuno.
Dieci anni a fare il lama nel Tibet. Dieci anni a fare il pescatore in Irlanda, sempre che a quell’epoca siano rimasti pesci da pescare. Dieci anni come membro onorario del Senato degli Stati Uniti.
Poi dovrei dedicarmi alla scienza, la grande negletta della mia vita. Con l’opportuno quantitativo di pazienza e impegno, sarò in grado di digerirla: fisica, matematica, tutto quello che avrò bisogno d’imparare. Intendo arrivare all’altezza di Einstein e Newton, con una rapida carriera durante la quale funzionerò al massimo livello intellettuale.
E poi?
Potrei tornare alla Casa dei Teschi, immagino, a vedere come se la passano Fra Antonio e il resto della cricca. Cinque anni nel deserto.
E poi via, via un’altra volta nel mondo. Che mondo, sarà! Professioni radicalmente nuove, cose che oggi non si sospetterebbe neppure che si possano inventare: potrei trascorrere vent’anni come esperto di smaterializzazione, quindici in levitazione polivalente, dieci come venditore ambulante di sintomi.
E poi? E poi? Avanti e avanti e avanti. Le possibilità saranno infinite.
Ma per ora sarà meglio che tenga strettamente d’occhio Timothy e Oliver, e forse anche Ned, a causa di quel maledetto e tre volte fottuto Nono Mistero. Se due dei miei compagni dovessero uccidermi martedì prossimo, diciamo, un così bel programma a lunga scadenza andrebbe sprecato.