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THX, senza nemmeno osare guardarsi indietro per vedere se il robopoliziotto l’aveva seguito, saltò sul primo tram che passò dalla piattaforma. La porta si chiuse, i motori ronzarono e il tram accelerò, finché il tunnel fuori non fu che un’oscurità indistinta screziata da luci occasionali.

Il tram, di un bianco lucido, era fatto per attraversare tutta la grande città sotterranea, da un capo all’altro.

Ed era incredibilmente affollato. THX era appiattito contro la porta e, premuto com’era dalla folla silenziosa e impassibile, riusciva a stento a respirare.

— Prossima fermata, zona servizi scolastici ottanta A. Per favore rimanere seduti finché il tram non si sia completamente fermato.

«Rimanere seduti. Su qualche centinaio di persone stipate nel tram, solo cinquanta sono sedute.»

THX vide spuntare in mezzo alle teste della gente l’elmetto bianco e la faccia d’acciaio di un robopoliziotto, che si faceva strada tra le persone, mute e indifferenti sotto l’effetto dei sedativi. Il robot si dirigeva verso di lui.

Si spostò dalla porta a gomitate, strisciando tra le persone come uno che cercasse in un incubo di sfuggire a ignoti orrori e non riuscisse, pur provandoci furiosamente, a correre via. Correre? THX riusciva a stento a muoversi.

C’era un’altra porta più lontano e THX vi si diresse, facendosi strada faticosamente, come uno che nuoti nel mercurio. Tutte le volte che guardava, vedeva il robopoliziotto seguirlo inesorabilmente.

— Zona servizi scolastici ottanta A. Questo è il capolinea dell’anello intraurbano DD, braccio zero otto. Il tram tornerà alla rete centrale fra cinque minuti.

Il tram rallentò. Le luci, fuori, presero forma, la loro tipica forma rotonda. Dal finestrino davanti a sé THX vide la piattaforma di fermata.

E c’erano quattro robopoliziotti che aspettavano.

Disperato, si guardò intorno alla ricerca di un’uscita. Qualsiasi uscita. Vide una maniglia rossa. C’era scritto «Uscita d’emergenza. Usare solo in caso di emergenza». Spingendo, si lanciò verso la maniglia, la tirò. Una parte intera di finestrino saltò via.

Il tunnel era lì davanti, ruggente, e il tram correva velocissimo, ora che il rinculo dell’esplosione lo spingeva. THX sentiva sulla faccia il vento di corsa. Una donna urlò. THX si guardò indietro e vide il robopoliziotto che continuava ad avanzare. Si decise, e saltò giù dal tram.

Per un istante si senti girare vorticosamente e precipitare, investito furiosamente dal vento e dal fragore. Batté contro la parete solida del tunnel: prima le spalle, poi, una volta caduto in terra, la faccia e le mani, che si scorticarono.

Giacque là intontito: le orecchie gli fischiavano, la faccia gli bruciava, le spalle pulsavano dolorosamente. Guardò in su e vide che il tram si era fermato al capolinea, parecchie centinaia di metri più avanti. Lui era immerso nell’oscurità: una pozza d’ombra fra due luci inserite nelle pareti del tunnel.

— Uno uno tre otto, prefisso THX, in arresto. Evasione da medicinali. Fuggito da tram in corsa. Licenza di distruggerlo. Controllate.

— Controllo zero quattro sei tre. Procedere.

Vide due robopoliziotti dirigersi verso il limite della piattaforma. Alcuni gradini univano questa alla base del tunnel. Fra i gradini e il punto dov’era, THX non vedeva altro che oscurità.

Si tirò su faticosamente. Inciampò. Tenendosi la spalla ferita, si addentrò nel buio della galleria.

«Non si fermeranno finché non mi avranno trovato. O finché non avranno trovato il mio corpo.»

Si mise a correre lungo il muro, cercando di orientarsi. Le sue mani tastarono una nicchia, un incavo. Vi entrò alla cieca e si sentì rotolare in un canale metallico. Urlò di stupore e di paura.

Atterrò in un mucchio di rifiuti. Puzzavano, si muovevano in un rimescolio disgustoso. Buio completo. Ma era chiaro che quella massa ripugnante stava procedendo come un fiume in piena. Agitandosi nella melma, cercò disperatamente una via d’uscita. Ma non c’era niente cui appigliarsi, né pareti, né punti d’appoggio solidi. Sotto i suoi piedi che si agitavano spasmodicamente, solo una fanghiglia molle, come di sabbie mobili.

Stava affondando. Giù, sempre più giù. Toccò qualcosa con un piede. Qualcosa di affilato e metallico che gli tagliò il calcagno. Con la ferita che gli bruciava, si tirò verso l’alto, finché incontrò un altro canale. E in fondo a questo c’era una luce!

Il canale si restringeva. Adesso riusciva a scorgere, nella luce azzurrognola, le pareti e un soffitto che si abbassava gradatamente, costringendo il fiume di melma a correre più forte, sempre più forte, verso la luce.

Finalmente capì cos’era quella luce. «Una torcia di fusione!» Si trattava dunque di un inceneritore rifiuti, dove la spazzatura della città veniva bruciata dalla fiamma di fusione a calore stellare e ridotta ad atomi pronti per essere riciclati come nuovo materiale grezzo.

Un plasma di fusione di miliardi di gradi. tanto potente da essere quasi invisibile. THX cercò di puntellarsi contro un lato del canale e di resistere al flusso che lo sospingeva inesorabilmente verso la torcia. Adesso sentiva anche il rumore, il rombo basso e costante dell’energia termonucleare, roca canzone di morte di una stella fatta dall’uomo.

Ora la luce azzurrognola era abbastanza forte da fargli male agli occhi. Proprio in quel momento, THX vide un appiglio che sporgeva dal soffitto. Allungò la mano una, due volte, finché riuscì ad afferrarlo.

Era un portello. Dolorante, con la spalla ferita che gli dava fitte acute, si tenne alla maniglia e attivò il meccanismo d’apertura. Cigolando, il portello si aprì.

THX si tirò su con un ultimo estremo sforzo, e infine giacque esausto. Puzzava, ansimava, ma era in salvo, era vivo.

«LUH».

Avrebbe voluto stare lì, dormire, avere il tempo di riprendersi e di riposare. Ma la sua mente ripeteva: «LUH. Bisogna avvisarla. Bisogna fuggire».

S’impose di alzarsi. Si avviò barcollando lungo il corridoio in cui si trovava. In fondo a questo, c’erano un bagno e uno spogliatoio.

«Non posso andar fuori di qua conciato così.»

Il bagno era vuoto. Si svestì e fece la doccia, poi mise vestiti puliti. In un angolo dello spogliatoio c’era una serie di flaconi pieni di pillole. THX rabbrividì, ma non le toccò.

Gli sembrò di metterci un secolo ad arrivare al suo appartamento. Si trovava dalla parte sbagliata della città, ma non osò prendere il tram ancora. Si mantenne nelle affollate zone acquisti, nei corridoi gremiti, e usò più che poté gli scivoli.

Ogni volta che incontrava dei robopoliziotti sentiva una morsa allo stomaco, ma nessuno lo notò.

Finalmente, arrivato all’appartamento, spalancò la porta.

— LUH!

Si precipitò dentro e controllò freneticamente ogni stanza, gridando il nome di lei.

Ma lei non c’era. L’appartamento era vuoto.

Si mise a passeggiare nervosamente su e giù per il soggiorno. «Dove può essere? Che l’abbiano arrestata? O che sia al sicuro?»

Si accorse di tre robopoliziotti in piedi sulla soglia. Entrarono. Avevano tutti le sbarre d’acciaio.

— THX uno uno tre otto, siete in arresto per evasione da medicinali e resistenza a pubblico ufficiale. È inutile che opponiate ancora resistenza.

Poi, dallo stesso robot provenne la voce di OMM: — Sono qui per aiutarvi. Rilassatevi. Non avete niente da temere. Sono qui io.

THX sentì le spalle contrarsi. Non c’era nessun posto dove fuggire.

Da uno degli altri robot sentì provenire una voce sottile:

— THX è stato preso sotto custodia con spesa minima. Costo totale dell’operazione inferiore di tremila unità, al budget. Congratulazioni. Siate efficienti. Siate felici.

L’altro robopoliziotto si fece avanti e toccò THX con la sua sbarra. Delicatamente.

L’elettricità passò fulminante per ogni nervo del suo corpo. THX si sentì sprofondare nel buio.

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