18

La cattedrale era grande e buia, tanto nera quanto era stata bianca la prigione. Ed era quasi vuota. SEN si teneva stretto alle ombre, tremando, e tentava di avvilupparsele intorno per sentirsi protetto: e intanto guardava dappertutto, temendo il pericolo.

Lontano, in fondo alla cattedrale, si distinguevano, montate sui loro carrelli, alcune olocamere il cui contorno era illuminato dalla luce che proveniva da un’enorme immagine di OMM, sopra una «otto» gialla. SEN notò che il pavimento era attraversato da spessi cavi e che un gruppetto di operatori e di tecnici era radunato intorno alle olocamere.

In piedi davanti al ritratto di OMM, tutto inondato da una luce giallastra e con addosso una lunga veste color zafferano, c’era un monaco alto e magro, dagli occhi incavati e scintillanti. Stava dicendo alle olocamere:

— E accadde tutto così lentamente che la maggior parte degli uomini non si accorsero nemmeno che fosse successo qualcosa. Non si erano mai resi conto di ciò che ognuno in cuor suo sa, che cioè sapere è non sapere; e che bisogna sapere di non sapere. Cambiare è girare in circolo per l’eternità.

SEN si rannicchiò nell’ombra a guardare il monaco che teneva il suo olosermone. Sapeva che lungo i sacri muri della cattedrale c’erano dipinti, sculture e strutture di metallo prodotti dall’arte più raffinata, autentici tesori venerati con amore dalle masse. Ma i tesori appartenenti alle masse non erano per lui. Lui era un uomo braccato. Ma forse, però, si poteva ancora sperare…

— Restare fermi significa fluire nel flusso della volontà di OMM — continuò il monaco. — Il respiro di OMM è infinitamente lento, eppure OMM respira. Traetene profitto. Preghiamo:

«Unità della mente, unità del pensiero, unità del comportamento. Benedizione delle masse. Voi siete creature divine.»

D’un tratto la luce se ne andò e non rimase altro che una leggera, fluorescenza proveniente dalla faccia di OMM. Pareva che il monaco e i tecnici delle olocamere fossero scomparsi. SEN vide una porta aprirsi e entrare un filo di luce polverosa. Poi la porta si chiuse di nuovo, con rumore. SEN si rattrappì ancor di più, impaurito.

Dopo aver passato lungo tempo nell’oscurità silenziosa, cominciò a strisciare lungo il muro, mantenendosi nell’ombra ma cercando di arrivare al ritratto di OMM.

Una volta che fu davanti ad esso, guardò quella faccia barbuta e i suoi occhi tristi. Era così grande che arrivava fino al quinto piano. Ed era circondato dalle olocamere. Accatastati sul pulpito che il monaco aveva usato per il sermone c’erano dei cartelloni con sopra scritto, a lettere cubitali:


«Prima di OMM fu OMM

Dopo OMM sarà OMM».


SEN se ne stette davanti al ritratto, tutto tremante.

— Ho sempre fatto quello che pensavo fosse meglio per tutti. Non sono stato come tutti gli altri, che sono pigri, sbadati, ladri e bugiardi. Ho usato il talento che mi hai dato per guidare gli altri uomini, per farli star meglio, per condurli più vicino alla tua perfezione. Ho solo cercato di rendere le cose più semplici, non di cambiarle, né ho mai inteso offenderti. Ho fatto bene, vero? Non mi hai mai detto che facevo male. Le cose… sembrano non avere senso. — Si mise in ginocchio. — Sì, pare a volte che le cose siano poco chiare, o che non si adattino… La gente non le capisce, oppure semplicemente non sa cosa fare. Forse tutto il problema sta solo nella capacità di piccoli adattamenti.

Il ritratto di OMM lo guardò, sereno.

— Io voglio fare quello che è giusto. Voglio tornare indietro. Posso ricominciare. Posso farcela. Ho soltanto bisogno di riposare un po’.

Da qualche parte si aprì una porta e si udì un rumore di passi veloci sulle plastimattonelle del pavimento. In preda al panico, SEN sbarrò gli occhi e cercò di capire chi stesse arrivando. Nella luce fioca riuscì a distinguere la sagoma di un monaco di bassa statura, vestito di bianco, che si dirigeva verso di lui. Quando quello gli fu vicino, SEN si alzò in piedi, tremando in tutto il corpo.

Il monaco gridò: — Voi là! Non è questo il posto per pregare! — La sua voce rimandava un’eco sepolcrale.

— Se volete parlare con OMM dovete andare a una cabina di preghiera, oppure a un’unichiesa. Lo sapete bene. Fra quindici minuti dobbiamo registrare un altro sermone, qui.

— Ma io…

— No, no. I tecnici saranno di ritorno fra pochi minuti. Andate a pregare nel posto giusto.

— Sì — mormorò SEN.

— Ma… — Il monaco si era avvicinato di più e adesso lo stava scrutando attentamente. — C’è qualcosa che non va?

— No, no. Sto bene — rispose in fretta SEN. — Adesso vado.

Il monaco allungò una mano per fermarlo. — Dov’è la vostra scheda di riconoscimento? Il numero e il prefisso? Dovrò inserirli nel vostro nastro.

— No, vado via subito.

Il monaco lo tenne stretto e insistette: — Mi spiace, ma devo riferire su tutti gli intrusi. Mi date la vostra scheda di riconoscimento?

SEN si guardò il risvolto della giacca vuoto. — L’ho perduta.

— Ma è una violazione. Farò rapporto alle autorità. Questo va oltre la mia competenza.

Il monaco voltò le spalle, incamminandosi nella direzione da dove era venuto. Pazzo di terrore, SEN lo aggredì alle spalle e lo buttò in terra.

— Datemi tempo! Datemi tempo!

Il monaco si mise a urlare, mentre lottava. SEN gli diede dei calci, poi si mise a cavalcioni su di lui, tenendolo stretto per il cappuccio.

— Tempo! — gridò, con la voce roca per l’impeto e il terrore. — Tempo! Tempo! Tempo! — A ogni parola sbatteva la testa del monaco contro il pavimento.

Finalmente si fermò. La lunga veste candida del monaco era tutta imbrattata di sangue e i suoi occhi erano fissi sulla faccia, di OMM, ormai incapaci di vedere.

SEN si tirò un po’ indietro, stando sempre in ginocchio, e fissò pieno di orrore la faccia del monaco. Sollevò la testa a guardare il ritratto.

— OMM. OMM, cos’ho mai fatto?

T’ornò a guardare il cadavere. Nella lotta al monaco erano scivolate fuori dalle tasche alcune pillole. Pillole rosse, azzurre, gialle, bianche, che adesso erano sparse sul pavimento. SEN ne prese una manciata a caso e le inghiottì tutte in una volta, con fatica e disperazione.


THX avrebbe voluto essere morto, ma in realtà non era nemmeno svenuto. Stava là, abbandonato sulla tastiera, senza avere la forza o la volontà di muoversi. «Distrutta, l’hanno distrutta. E il bambino, vogliono usarlo…»

All’improvviso qualcuno gli toccò la spalla.

Si girò. Era SRT, e aveva un’espressione molto seria. — Forza — disse — ci saranno un centinaio di robopoliziotti che si aggirano da queste parti. Dobbiamo andarcene.

— Cosa importa?

SRT lo guardò. — Vuoi farti prendere e distruggere?

Con un fremito THX si alzò in piedi. — No. Non ancora. Prima devo fare una cosa.


L’uomo che coordinava le operazioni della polizia del Controllo stava seduto davanti a una serie di schermi molto simili a quelli di una stazione d’osservazione. Ma i suoi schermi mostravano quello che in quel momento un intero plotone di poliziotti stava vedendo. Sullo schermo centrale però c’era un’altra scena, sempre riguardante THX e SRT, ma dipendente non più dall’ottica dei poliziotti, bensì da quella dell’osservatore.

Nella cuffia, una marea di chiamate:

— I due criminali che si trovano negli Schedari Centrali del Computer sono in sei due uno B, fila quarantaquattro otto nove. Arresto imminente.

— Ho qui una morte non accidentale, Cattedrale zero novanta, Area F. Si sa di nessun criminale che circoli in quell’area?

— Controllo budget, abbiamo bisogno di un’analisi delle spese per la cattura di THX. Includete tutte le percentuali degli interessi e dell’inflazione.

— Totale dell’unità monetaria: seicentoquarantanove, in aumento.

— Coordinamento Controllo, il controllo budget riferisce che le spese per uno uno tre otto, prefisso THX, sono di seicentoquarantanove, in aumento.

Il coordinatore annuì, distratto. Muoveva freneticamente le mani sulla tastiera, cercando di coordinare le azioni di un intero plotone di robopoliziotti.

I due fuggitivi adesso si stavano preparando a scappare.

— No, no! — gridò al microfono. — Tieniti al corridoio centrale, zero quattro, e tu, zero sette, tienti a quello di sinistra. Voglio che facciate un reticolato, che li accerchiate. Coprite ogni corridoio, circondate la stazione quarantatré cinquanta.

Il coordinatore stava ora sudando abbondantemente.

— Stanno percorrendo il corridoio principale di sinistra in direzione nord. Chi è più vicino? Bene, trentaquattro, con le unità dallo zero nove al diciassette: bloccate tutte le uscite nord. A tutta velocità!

— Totale dell’unità monetaria: mille, in aumento.

D’un tratto il coordinatore sentì la voce tagliente del Controllore: — Vi rendete conto che l’uomo che si trova con THX uno uno tre otto non è SEN cinque due quattro uno?

— Sissignore! — rispose immediatamente il coordinatore. — Stiamo identificandolo, signore.

— Dov’è SEN cinque due quattro uno?

— Ab… abbiamo perso le sue tracce, signore. È stato dato ordine a tutti gli osservatori di riferire la sua ubicazione appena l’avranno individuato, signore.

— Capisco. — Per il coordinatore la voce del Controllore fu come acqua ghiacciata sulla schiena. O forse come piombo fuso.

— Signore — disse il coordinatore tremando. — Signore, si potrebbero usare altri due plotoni di agenti. Gli Schedari Centrali del Computer sono così grandi. Voi lo sapete bene, signore. E i robot sono molto lenti. Ma un uomo solo non può occuparsi di più d’un plotone, per cui ci vorrebbero almeno altri due coordinatori…

— Economicamente inattuabile, dato il budget stabilito perla cattura dei criminali in questione. Dovete prenderli con l’unico plotone che vi è stato assegnato.

— Ma signore…

— La responsabilità è la vostra — disse il Controllore, chiudendo l’argomento.

Il coordinatore rabbrividì. — Sissignore.


SRT guidò THX verso un’uscita che si trovava al limite estremo dell’area. Un altoparlante sulla porta di metallo strillò:

— Rimanete dove siete. Questa è un’area riservata. Quest’uscita è da usarsi solo in caso di emergenza. State calmi e aspettate istruzioni.

SRT ghignò e disse: — Se questa non è un’emergenza…

THX si voltò a guardare il corridoio da cui erano venuti. Un paio di robopoliziotti stavano avanzando con passo pesante.

— Andiamo!

SRT si appoggiò alla porta con la spalla. Questa si spalancò, riversando su di loro una ventata d’aria proveniente dal corridoio là fuori, che sembrava deserto.

Sopra le loro teste, risuonò la voce rassicurante di OMM.

— Andrà tutto bene. Siete in mano mia. Non potete andare da nessuna parte. Sono qui per proteggervi. Cooperate con le autorità, che vogliono soltanto aiutarvi. Non ci sono posti dove possiate andare.

— Da che parte? — chiese SRT.

— Al terzo livello — disse deciso THX. — Alla Riproclinica.

Si misero a correre lungo il corridoio, cercando un ascensore. Sentirono dietro di loro la voce di un robot che gridava:

— Vogliamo soltanto aiutarvi. Non c’è mente di cui dobbiate aver paura. Tornate, per favore. Non vi faremo del male.

THX e SRT continuarono a correre, mettendo sempre più distanza tra loro e i robot.

— Totale dell’unità monetaria: milleduecentoquaranta, in aumento.

— Contatto visivo col criminale cinque due quattro uno, prefisso SEN. Habot venticinque, Area H DS nove quattro sette.

— Procedete alla cattura.

— Criminale uno uno tre otto, prefisso THX. Contatto visivo, livello quattro, area CCF-N-due due otto. Cattura imminente.

Trovarono un ascensore, ma THX dissuase SRT dal prenderlo.

— Non possiamo usarlo!

— Volevi pur andare al prossimo livello. Non possiamo tornare da dove siamo venuti. I robot…

— Ma adesso ci stanno osservando. Possono intrappolarci nell’ascensore. Fermare la cella, o lasciarla precipitare.

— Già, è vero. Ma dove andiamo allora?

THX guardò le nude pareti di metallo del corridoio, poi disse: — Dovrebbe esserci una scala di servizio da qualche parte. Per la manutenzione dell’ascensore.

— Bene, allora tu vai da quella parte, e io da quest’altra. Se trovi qualcosa, fammi un fischio.

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