17

Gli stava succedendo qualcosa di strano agli occhi. Mentre si avvicinava al nero, THX lo vedeva farsi sempre più grande. Era tutto sorridente e con le mani sui fianchi: nello stesso tempo vedeva il biancore consumarsi, raggrinzirsi e scomparire trasformandosi in grigio.

Tutto stava cambiando, come se una macchina fotografica all’improvviso mettesse a fuoco gli oggetti e questi diventassero da indistinti perfettamente chiari e netti.

C’era una porta, sui cui lati lampeggiavano luci di vari colori! Era inserita in un sostegno di metallo da cui sporgevano nervature con rivetti dentro. THX toccò per sentire se era vera.

— Co… come può essere? — sentì che diceva sbalordito SEN alle sue spalle.

— Devono averci fatto qualcosa alla vista — disse incerto THX. — Qualcosa agli occhi…

— O forse i cubi di cibo sono drogati — suggerì SEN.

— Oppure è ipnosi.

SRT ghignava di gusto. — Vi avevo detto che c’era una porta. Su, usciamo.

Tirò con forza la porta. THX fu investito da un’esplosione di rumore. Si trovavano davanti a una via principale pedonale, con torrenti di persone che correvano pigiate sugli scivoli e sgattaiolavano come topi nella gabbia dello sperimentatore.

— Tenetevi al corrimano, prego. State sulla destra; se volete passare, passate sulla sinistra.

— Chi risparmia tempo risparmia vita.

— Lo stadio intermurale del livello sei quattro due uno sarà aperto sulla serie seicentoventuno TD.

— Solo per oggi, l’ipo-credito potrà essere trasferito con una carta ottimale verde.

Dopo la quiete e la vastità della prigione, quel rumore, quella massa di umanità anonima che si affannava a correre erano spaventosi, tanto che SEN e THX si sentirono sopraffare. SEN si coprì la faccia con le mani. THX si appoggiò all’orlo della porta, con le ginocchia tremanti: quasi quasi era tentato di tornare alla tranquillità della prigione.

«E adesso dove vado?» si chiese. Ma immediatamente sentì arrivargli in mente la risposta. Si stupì di essersi fatto quella domanda.

— Bene — gridò, cercando di coprire il rumore — dirigiamoci verso quella porta, dall’altra parte del corridoio.

Si accorse che SEN stava immobile, con gli occhi spalancati dal terrore. THX lo scosse. — Su, ce l’abbiamo fatta.

— No. Non avremmo dovuto…

THX avvicinò la bocca all’orecchio di SEN e gridò — Vuoi rimanere in prigione finché non verranno a prenderti i poliziotti?

SEN sobbalzò involontariamente, poi si decise e si lanciò in avanti. Fu subito inghiottito dalla folla, che lo trascinò con sé come un pezzetto di carta portato dalle onde.

THX gli corse dietro, assieme a SRT.

— L’abbiamo perso! — gridò THX.

— Cosa?

Un milione di voci borbottavano e blateravano senza tregua. Dagli altoparlanti, i soliti ordini, le solite istruzioni.

— Aiutateci a ridurre i livelli critici di rumore di quest’area. Comunicate tutti i decibel in eccesso di uno virgola cinque.

— Controllo dodici prego.

— Chiamata cibernetica; sei quattro quattro due circuito cinque, collegarsi sul quattordici.

— Lo sviluppo interno avanza di due unità malthusiane. È un indice nuovo per questa serie.

La marea di gente continuava a trascinare THX e SRT lungo il corridoio. Le persone, di solito così silenziose e ubbidienti sui tram, così docili e passive sul lavoro, così imbambolate e informi nelle loro case, qui, nei corridoi gremiti del livello acquisti, si trasformavano in aggrovigliate, frenetiche mandrie di animali dallo sguardo selvaggio. Fare le compere nelle zone commerciali era in fondo i1 loro unico vero sport; sciamare tumultuosamente lungo i corridoi la loro unica avventura.

— Abbiamo perso SEN! — urlò THX a SRT. — Non ci troverà più!

SRT gridò di rimando: — È troppo tardi! Stiamo vicini!

Lottarono in mezzo alla fiumana e avanzarono verso la pareste di fianco del corridoio, centinai di metri più sotto del punto da dove erano entrati. Pesto, ansimante e col mal di testa, THX si appiattì contro la parete di metallo. Era calda per il calore riflesso degli esseri umani. SRT gli fu accanto: era altrettanto stanco, mia meno spaventato.

Dopo alcuni minuti, THX allungò il collo per vedere dov’erano. Non c’erano segnali direzionali in giro, e le pietre miliari colorate gli sembravano strane.

Più avanti di pochi metri, c’era l’entrata di un ascensore che saliva ai livelli superiori. THX accennò con la tenta da quella parte.

— Dove vuoi andare? gridò SRT.

THX, senza rispondere, si diresse verso l’ascensore.

L’osservatore sedeva al suo posto e guardava i suoi cinquanta schermi. Nella cuffia, il solito ronzio:

— Rottura guarnizioni di tenuta. Frammenti di vuoto al ricettacolo quattro quattro quattro. Entrata su area sessantacinque. Mandare investigatore. Il soggetto sembra essere vittima di un suicidio.

— Due detenuti sono fuggiti: agglomerato R, Habot nove due. Mancano dalle ore tre, trentadue primi e sedici secondi. Uno uno tre otto, prefisso THX e cinque due quattro uno, prefisso SEN. Già programmata operazione di recupero. Fatto budget. Fare rapporto al Controllore quando i criminali saranno stati presi.

— Abbiamo un incidente al centro dispersione moduli…

L’occhio allenato dell’osservatore si concentrò su uno schermo in alto a destra. Mostrava l’interno della cella di un ascensore sotterraneo. I numeri che lampeggiavano sullo schermo mostravano che l’ascensore era diretto in su, dal livello commerciale al centro schedari del computer principale.

Trasferì l’immagine su uno dei quattro schermi centrali. Sì, uno dei due uomini all’interno della cella non aveva la scheda di riconoscimento!

— Ho qui una violazione — disse nel suo microfono. — Cella ascensore sotterraneo zero otto quattro otto, diretta a livello quattro. Maschio di razza bianca senza distintivo. Infrazione.

— Controllare.

— Vedere registrazioni polizia su individuo senza distintivo.

L’osservatore toccò la tastiera. Subito, su uno schermo laterale, apparve la foto di THX, e sopra la registrazione.

Ma l’osservatore non riusciva a distinguere bene le immagini di THX e SRT nella cella. Erano estremamente deformate, non poteva dire che l’uomo in ascensore fosse lo stesso indicato dal. computer. Il computer poteva anche aver sbagliato.

Stringendosi nelle spalle mormorò: — Non sono io che devo decidere. Se il computer dice che è il criminale THX uno uno tre otto, è colpa del Controllo se si tratta di un errore.

Toccò sulla tastiera il bottone speciale che lo collegava col Controllore.

— Criminale uno uno tre otto, prefisso THX, identificato e localizzato.


THX e SRT uscirono dall’ascensore al livello quattro. Il corridoio era praticamente vuoto. Tranquillo. L’illuminazione era fioca e riposante.

Sulla parete opposta all’entrata dell’ascensore c’era un segnale illuminato: «Schedari Centrali del. Computer». Dall’altoparlante una piacevole voce di donna disse: — L’accesso agli Schedari Centrali del Computer è riservato soltanto al personale autorizzato. Se non avete il distintivo verde cinque quattro zero uno, per favore recatevi nell’area registrazione visitatori in fondo al corridoio, e fate richiesta per l’entrata agli Schedari. Grazie. L’Accesso agli…

— Non possiamo entrare — disse THX, fermandosi.

SRT toccò il suo lucido distintivo verde. — Cosa vuol dire che non possiamo entrare? Dove credi che andiamo noi attori di oloshow per i lavori che ci assegnano e per gli indici di gradimento personali?

— Ma io però non posso entrare.

Con una gran strizzata d’occhio, SRT disse: — Abbi fiducia in me, amico.

Il nero si diresse verso il fondo del corridoio, dove c’erano due impressionanti porte di bronzo, solidamente chiuse. THX andò con lui, standogli a fianco.

— Perché fai questo per me? Perché hai fiducia in me? Io sono un prigioniero. Potrei essere un assassino…

SRT ghignò. — Io avevo fame e tu mi hai dato un po’ del tuo cibo.

— Ma il cibo era di SEN. È stato lui a dartelo.

— Sì, mia non aveva intenzione di darmelo. Me l’ha dato solo perché glielo hai detto tu. E poi lo so che non sei un assassino. Non ti avrebbero messo in prigione. Ti avrebbero distrutto, o messo a lavorare per lo Stato.

THX lo guardò fisso.

Arrivarono alle porte di metallo luccicante su cui erano impresse le parole «Schedari Centrali del Computer». Le lettere erano scolpite. Sopra le porte era inciso il motto del Centro Computer: «Pensa».

A sinistra di queste porte ce n’era una più piccola, di plastica, con la targa: «Registrazione visitatori».

SRT la aprì e guardò prudentemente dentro. THX, che sbirciava da dietro le spalle di SRT, riuscì a scorgere una piccola anticamera. In una parete c’era l’occhio di un’unica olocamera, con sotto la griglia dell’altoparlante. A fianco della lente brillava una piccolissima luce rossa, a indicare che l’olocamera era in funzione. Non c’era nessuno nell’anticamera, ma dall’altoparlante in alto si sentiva una specie di conferenza sull’econometrica:

— Oltre a questo c’è il fatto che le concezioni didattiche stabiliscono sempre conclusioni che permettono a quelli di opinione opposta di costruirsi una linea di resistenza. Considerate tutte queste cose, un giudice equanime concluderebbe…

THX escluse automaticamente la voce quasi ipnotica della donna dalla propria coscienza.

Sorpreso nel vedere che l’anticamera era vuota, disse a SRT: — Dove sono le persone?

Il nero ghignò. — Non c’è quasi mai nessuno da queste parti. Il computer fa tutto da solo. Ho la sensazione che non gli «piaccia» avere gente intorno che lo scoccia.

— Ma non è possibile lasciarlo completamente solo, vero?

— Tutto sommato credo di sì. Oh, ci sono osservatori che guardano tutto, ma il computer funziona da solo. Niente gente qui. Solo visitatori una volta ogni tanto, come noi.

— Gli osservatori…

SRT annuì e disse: — Adesso quando entriamo mantieni la calma, stai fermo e fa’ quello che ti dico io. Voglio farti passare in barba all’osservatore.

Aprì di più la porta ed entrò silenziosamente nell’anticamera. THX ‘lo seguì. SRT si portò l’indice alle labbra per indicare a THX di stare zitto e nello stesso tempo, prendendolo per il gomito con l’altra mano, gli indicò di stare incollato alla porta chiusa, in modo da essere fuori dal raggio d’osservazione dell’olocamera.

SRT si piazzò ben davanti all’olocamera.

— Sì? — disse la voce. — Cosa c’è?

SRT tenne il distintivo molto vicino alla lente e, affrettandosi a oltrepassare l’olocamera, disse: — SRT cinque cinque cinque cinque, permesso di visita due otto nove due.

La voce dell’osservatore non fece nessun commento. Soffocando una risata, SRT lanciò il distintivo a THX, stando attento che la traiettoria fosse al di fuori del raggio visivo dell’olocamera. THX ‘lo prese e lo tenne in modo che le dita coprissero parzialmente il nome che c’era scritto su, poi imitò quel che aveva fatto il nero.

— SDS cinque uno cinque tre, permesso due otto otto sei — disse, passando in gran fretta e così vicino alla lente da sfiorarla.

— Visto? — disse SRT riprendendo indietro il suo distintivo. — Ce l’abbiamo fatta senza nessuna fatica.

THX gli sorrise. Entrarono attraverso le porte di plastiglas nell’ufficio registrazione e poi nella sala principale degli schedari del computer.

— Dove hai imparato quel trucco? — chiese THX.

— Gli attori imparano un sacco di trucchi — disse SRT. — Qualcuno ha inventato quel trucco li per una storia poliziesca in cui recitavo io. Facevo la parte della vittima dell’omicidio.

Ora che si trovavano fra gli schedari, THX non sapeva praticamente cosa fare. Gli schedari erano enormi, file apparentemente interminabili di console di computer, banchi di memoria, con tavolini ogni venti console sui quali c’erano schermi di lettura e tastiere per fare richieste al computer.

«I nastri che riguardano LUH sono qui da qualche parte» si disse.

— Ora che siamo qui — disse SRT — ti spiacerebbe dirmi cosa stiamo cercando?

— Nastri. Lo schedario personale della mia… della mia compagna di stanza. Credo sia stata mandata in prigione anche lei. Vorrei scoprirlo.

SRT s’incamminò lungo uno degli stretti corridoi di passaggio fra i moduli del computer. Quelle pesanti masse elettroniche parevano estendersi per chilometri, ronzanti, con luci ammiccanti a intimi scherzi misteriosi: lunghissime file di memorie elettroniche e di elaborazione dati costantemente in funzione, senza sonni né emozioni, in mezzo al vibrare costante dei moduli delle console che si ergevano più alti di un uomo.

Da qualcuno dei moduli, delle voci:

— Ritrasmettere all’analisi. Ordini ineseguiti in sezione sei uno sette otto otto due uno. Abbiamo perso il contatto con entrambe.

— Gruppo unità quarantuno, riferite a centro correlazione. Gruppo unità quattro uno, ripeto, quattro uno.

— Se il finanziamento prevede incrementi di trentasette o più…

Sconcertato dall’enormità e dalla complessità degli schedari, THX si mise a vagare tra una fila e l’altra senza sapere da dove cominciare.

SRT gli stava al fianco.

— Per che cosa ti hanno messo in prigione? — gli chiese con noncuranza.

THX balbettò: — Evasione da medicinali e, be’, la mia compagna di stanza, lei…

— Oh. — SRT si strinse nelle spalle. — Diavolo, se mettessero in prigione tutti quelli che lo fanno. Perché proprio te?

THX scosse la testa. — Non lo so.

— Su, forza adesso, che non possiamo stare qui per sempre. Chiedi al computer quello che vuoi sapere.

THX mormorò: — Ho… ho paura.

— Cosa? — Poi SRT capì. — Ah, hai paura che chiedendo di lei ti possano individuare qui. È una riflessione intelligente.

— No. — THX non aveva mai pensato una cosa del genere. — Paura di scoprire cosa le hanno fatto.

Prima che SRT potesse rispondere, dagli altoparlanti in alto esplose una voce:

— Attenzione! Attenzione! Ascoltate! Ascoltate! Un evaso, il criminale THX uno uno tre otto, è stato osservato assieme a un complice non identificato sul quarto livello, nell’area degli Schedari Centrali del Computer. I cittadini stiano tutti all’erta. L’evaso THX uno uno tre otto può essere pericoloso. La polizia si sta dirigendo nella zona. Riferite subito al Controllo su «qualsiasi» persona sospetta.

— Oh-oh — disse SRT, guardando il soffitto.

— È meglio che tu scappi finché sei in tempo — disse THX.

Il nero scosse la testa. — Non servirebbe a niente. Ormai avranno già la mia foto. Scoprire chi sono è solo una questione di tempo.

— No! — gridò THX, e si buttò a correre per il corridoio più vicino, attraversando in poco tempo moltissime file di moduli. «Hanno detto che non è identificato: se non ci troveranno insieme potrà restarsene fuori dai guai.»

Gli parve di correre per chilometri. Finalmente si fermò e si appoggiò a una console calda e ronzante. Ansimava forte. SRT non si vedeva più. THX rimase in ascolto per sentirne i passi. Niente. Senti da qualche parte le voci:

— Richiesta di aiuto dagli agenti diciannove nove nove e ventuno ottantasette. Stanno cercando nell’area degli Schedari del Computer. Richiesti altri tre agenti.

— Blocco mentale impossibile. L’area degli Schedari è sensibile ai campi elettrici. Continuate le ricerche.

Lontanissimo, enormemente in distanza, vide sbucare un robopoliziotto, così piccolo che sembrava. un giocattolo. Il suo cuore si riempì di paura. Piano, con calma, THX svoltò per il corridoio più vicino che intersecava le file dei moduli, e si abbassò un po’, così da essere fuori vista. Diede un’occhiata prudente in giro per vedere se c’erano altri robopoliziotti. Nessuno. Allora si mise a correre più forte che poté.

Finalmente si fermò coi polmoni che quasi scoppiavano e le gambe schiantate, crollando quasi su un tavolino al termine di una fila di moduli. THX notò lo schermo e la tastiera sul tavolo, e capì che era una stazione di domanda, per chiedere al computer informazioni e dati.

— LUH — si disse. — Devo trovarla…

«Ma se chiederai di lei al computer, sapranno il punto preciso in cui ti trovi. La polizia potrà catturarti.»

A voce alta, ansimando, mormorò: — Ma loro sanno comunque… che sono… qui. Solo… questione di… tempo.

Per un momento insopportabile rimase lì, piegato sul tavolo, lottando mentalmente per prendere una decisione. Poi, di colpo, si sedette nella poltroncina di plastica vicina al tavolo e chiese:

«LUH 3417. Attuale localizzazione.»

Le lettere e il numero erano adesso sullo schermo.

Si asciugò una goccia di sudore dagli occhi quando sullo schermo del computer apparve la scritta: «In funzione».

— Ho bisogno di lei — mormorò. — E lei ha bisogno di me. «Devo» andare da lei. Devo salvarla. — Di nuovo si asciugò il sudore. — È tutto così pazzesco. Io devo essere pazzo. Cosa sto facendo? È tutto così confuso. Se solo…


Il Controllore guardò THX attraverso la lente a occhio di pesce dell’olocamera posta nel soffitto degli Schedari Centrali del Computer.

— Vi ha fatto vedere esattamente dove si trova — disse il Controllore con voce amabile. — Prendetelo.

Una voce dura e cavernosa rispose: — Sissignore.


Lo schermo del computer mostrò a THX una veduta di una clinica del Centro Riproduzione. File e file di feti chiusi nei ventri di plastica, tutti con la testa in giù, le braccia e le gambe raggomitolate, i cordoni ombelicali collegati ai tubi di nutrimento che correvano lungo i binari cui erano fissati gl’involucri di plastica.

Lo schermo inquadrò in primo piano un contenitore. Era etichettato LUH 3417.

THX digrignò i denti, furioso. «Stupido! Stupido sistema!» Toccò di nuovo la tastiera:

«LUH 3417 è una donna di vent’anni. Professione osservatore. Il riprocentro è colpevole di errata etichettatura.»

Lo schermo si fece bianco per un attimo, poi riapparve l’immagine del feto etichettato col nome di LUH. A fianco apparvero le parole:

«Criminale LUH 3417, colpevole di atto sessuale e evasione da medicinali, distrutta in esecuzione all’ordinanza 9374911. Feto asportato al momento dell’autopsia. Nome LUH 3417 trasferito al feto nell’interesse dell’economia e di un’accurata conservazione nastri. Feto da usarsi per scopi sperimentali.»

THX urlò, annientato dal dolore, e crollò sulla tastiera del computer.

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